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Autore: arcobalenidopolapioggia    05/10/2015    0 recensioni
Io l'avevo capito sin da subito, da quando avevo iniziato ad avere capacità di pensiero, che non sarei stata mai uguale a tutti gli altri.
Ma non mi sarei mai aspettata che ciò, si sarebbe rivelato un difetto.
Qualcosa da cui stare lontani.
Eppure, così è stato.
Non so quando, di preciso.
O forse, lo so, ma ho preferito non indagare a fondo.
Anche se ora credo sia giunto il momento di farlo.
E' stato forse l'amore?.
E' stato l'aver dato troppo senza ricevere mai nulla in cambio?.
O il problema ero solo e solamente io?
Ma prima di continuare, lasciate che vi spieghi delle piccole cose.
Non sarà una storia pienamente felice, quella che andrò a raccontarvi.
Non è una storia che forse, vale la pena raccontare.
Ma è una storia che probabilmente, vale la pena leggere.
Quindi piacere, sono Cris. Ho diciassette anni, tra poco diciotto ed abito in un piccolo paese, di quelli che scopri per caso, leggendo il nome su un cartello ossidato, mentre passi in auto per raggiungere la grande città.
E questa, è la mia storia.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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“Questo sono io, sciolgo l’armatura, l’ho detto,
sono fragile ma non avrò paura”.
Mentre la seconda canzone parte, io ritengo necessario iniziare a raccontarvi dall’inizio.
Mi chiamo Cristina (per gli amici che non ho e per me stessa, Cris) e sono nata il 15 maggio 1997, tra i pianti di gioia dei miei familiari e le sbuffate stanche dei medici, che si erano impegnati veramente tanto per permettermi di uscire dal corpo di mia madre.
Non che io fossi particolarmente grossa, probabilmente avevo solo deciso, già da allora, di essere un fagotto ribelle e fare le cose secondo le mie volontà, ed evidentemente, quel giorno non avevo proprio voglia di venire al mondo.
I miei genitori mi hanno sempre descritto come una bimba allegra e sveglia, piena di curiosità e tanta voglia di esplorare l’ignoto, nel tempo ammetto che questi particolari sono venuti a mancare.
I capelli castani, lisci ed il mio metro e cinquantacinque di altezza,  li devo a mia madre, così come la passione per la musica.
Gli occhi verdi e le lentiggini, invece, li devo a mio padre, così come il mio essere un po’ fuori dagli schemi.
Ad essere onesta, non so proprio come mia madre così precisa, ordinata ed attenta ai dettagli, abbia potuto sposare mio padre, un uomo certamente elegante e colto, ma così talmente disordinato e a suo modo, buffo.
È proprio vero che gli opposti si attraggono.
Sin da piccola ho avuto la passione per la musica e la lettura, le uniche due cose che col tempo sono rimaste quando tutti e tutto hanno iniziato, a modo loro, ad andarsene.
Non che io ci abbia sofferto in modo particolare, o almeno, non subito.
Già dall’asilo, le maestre e i miei coetanei, avevano capito che con me in circolazione non ci sarebbe stato un momento di tranquillità in caso di confronti, perciò hanno sempre sperato in un miglioramento.
E poveri illusi, nemmeno sapevo parlare in modo corretto, ancora, il peggio di me, non era riuscito ad esprimersi al meglio.
Di solito, l’asilo, è per tutti i bambini una gioia infinita. Niente compiti, niente obblighi, solo divertimento con i propri amichetti.
Eppure, già da allora, a me le persone non piacevano.
Per questo, probabilmente, non impiegai molto a farmi dei nemici ed a non avere amici.
Ricordo ancora di Martina, quell’odiosa bambina dai capelli biondi platino, lisci, gli occhi di un celeste chiaro quanto il cielo nelle sue giornate migliori, che aveva ben pensato di sfruttare a suo favore.
Non a caso, tutti i bambini le ronzavano attorno, nemmeno fosse qualcosa di così speciale, infondo.
Io ero speciale.
Ma questo, nessuno l’aveva e l’ha mai notato.
Comunque, tornando alla mia infanzia, ricordo di Martina in modo particolare, visto che ebbi la sfortuna di passare assieme a lei, anche la scuola elementare.
La tipica bambina bulletta che ha mille amici attorno perché paparino le compra i giocattoli all’ultimo modello ed ha le barbie più costose, che puntualmente accantona perché insoddisfatta.
Forse questo, accentuò ancora di più la mia insopportazione nei suoi confronti.
Ma a differenza sua, sapevo parlare in modo fin troppo discorsivo per la mia età e riuscivo a difendermi a parole meglio di quanto potesse fare lei a gesti.
E ancora oggi, a quasi diciotto anni, ciò accade ancora.
Che sia stata lei a dare un inizio al mio malessere? Non lo so, probabilmente, in piccola parte, credo abbia contribuito.
Ma probabilmente, siamo ancora troppo lontani con i tempi, e la mia carriera scolastica, non credo vi interessi in modo rilevante.
Salterò quindi delle vicende ancora impresse nella mia memoria, che ora non vale la pena raccontare.
Ricordo il mio ingresso alla scuola media come fosse ieri, un ricordo quasi intatto come il mio primo giorno di liceo, che merita una pagina di questo diario tutta per se.
Mia madre quella mattina mi aveva accompagnata e come ogni genitore premuroso, si era assicurata che tutto fosse al posto giusto.
Mi aveva augurato un “in bocca al lupo”, al quale nemmeno avevo risposto, perché quasi certamente, il lupo mi avrebbe mangiata davvero.
Durante l’estate ci avevo pensato a lungo, perdendomi tra le pagine dei miei amici libri, a come sarebbe stato andare in quella scuola, cambiare compagni di classe ed insegnanti.
Non avrei comunque avuto amici, sono sempre stata una persona fredda nei rapporti e nel relazionarsi, o forse, era semplice timidezza.
Sta di fatto che però, le cose, non andarono come io me l’ero programmate.
All’entrata di scuola ci smistarono nelle nostre classi e una scuola così grande, non l’avevo mai vista, prima di conoscere il liceo.
Il banco in ultima fila, purtroppo, era stato occupato e l’unico posto libero, era vicino ad una ragazzina dai capelli scuri, color pece, che non aveva notato la mia presenza nemmeno quando, spostando la sedia rumorosamente, mi sedetti in prima fila.
Non riuscì a vedere i suoi occhi color nocciola e il suo volto, dai lineamenti non troppo marcati, fino a quando non alzò lo sguardo e si alzò in piedi all’entrata del professore nella nostra aula.
Era poco più alta di me a quei tempi.
Non disse una sola parola, nemmeno un “Buongiorno” al prof, nemmeno un “Piacere, sono la tua compagna di banco e saremo nella stessa classe per tre anni”.
La cosa, non mi dispiaceva affatto.
Io non avevo alcuna intenzione di socializzare con persone a me estranee e lei sembrava pensarla come me.
Però, dopo quattro delle cinque ore che avremmo dovuto passare in quella classe per quel primo giorno, quel silenzio quasi sembrò pesarmi.
Le persone non mi piacevano, non mi erano mai piaciute, ma quelle che a loro modo mi sembravano diverse, mi incuriosivano particolarmente.
Alla fine, però, le cinque ore passarono in un silenzio profondo, e l’unica cosa che le dissi prima di uscire, fu un semplice e quasi impercettibile  “ciao”.
I giorni passarono, e con loro, la prima settimana dentro quel nuovo ambiente, che di lì a poco, avrei odiato.
E sapete quale fu la cosa buffa? Che una settimana era passata ed io non avevo ancora pronunciato una parola, se non con qualche professore..La mia compagna di banco, tuttavia, fece anche “peggio”, non parlò nemmeno con un prof ma d’altronde, né loro né i nostri compagni di classe, le avevano rivolto particolare interesse.
Non sapevo nemmeno il suo nome, a dire la verità, non avevo fatto troppe ricerche per raggiungere questo scopo. Ritenevo che dovesse essere lei a presentarsi e che non dovevo essere io a costringerla.
Tuttavia, quel lunedì mattina della seconda settimana, ci fu una svolta.
Mi sedetti accanto a lei, come ogni giorno e mentre il prof di inglese spiegava, lei prese un foglio, ci scrisse qualcosa e me lo passò accennando un sorriso.
“Che noia…Questo proprio non si sopporta”.
Lessi ricambiando il sorriso, continuai a scrivere sotto la sua frase.
La grafia era precisa, le lettere di misure omogenee e perfettamente centrate nel foglio a righe, una grafia così ordinata, mai l’avevo notata.
“Io mi chiamo Giulia..Tu?”.
Questa fu la terza frase, e finalmente, la ragazza misteriosa (quasi quanto me) iniziava ad avere un nome.
“Cristina..Ma puoi chiamarmi Cris”.
Continuammo a scrivere e scrivere, parlando dei nostri interessi, rimanendo tuttavia sempre sul vago.
E dire che già da allora diffidavo delle persone, ma in quella ragazzina c’era qualcosa di diverso che mi incuriosiva.
Ma ciò che ancora oggi mi porto dentro come ricordo in modo particolare, fu il momento dopo il suono della campanella che annunciava la ricreazione.
-Mi accompagneresti alle macchinette?”-Lei non rispose, si limitò ad annuire, accennando un sorriso forzato.
Andammo alle macchinette e una volta giunta lì, le chiesi consiglio su cosa scegliere tra i diversi snack. Mi aspettavo che parlasse, dicesse qualcosa, commentasse insieme e a me quelle prelibatezze, invece, ancora una volta si limitò ad indicare ciò che più le ispirava.
Rimasi sorpresa, nel vedere che non disse più una parola, né tanto meno mi scrisse su un foglio fino alla fine delle cinque ore.
Solo il giorno dopo, realizzai il perché.
Ci incrociammo all’entrata della classe, mi diede un foglietto ripiegato con su scritto “Leggilo a casa” e dannazione, io morivo dalla voglia di sapere cosa conteneva.
Ma dovetti aspettare di essere a casa e con impazienza, non appena raggiunsi camera mia, aprire e leggere quel biglietto furono le prime cose che feci.
Poche righe al suo interno citavano:”Cris, abbiamo tante cose in comune, una tra queste, è il non voler socializzare con nessuno…Anche se a me, almeno un po’, piacerebbe poter parlare con qualcuno.
Ti scrivo questo biglietto perché le parole non sono mai riuscite ad uscire dalla mia bocca.
E questo, amica mia, finché sarà possibile, sarà il nostro segreto, vero?. A domani. Giulia.”.
Rilessi più e più volte quelle parole.
Alla fine compresi a pieno il loro significato.
Giulia era muta ed io, insieme a tutti gli altri in quella classe, ero talmente distratta da cose futili da non averlo capito sin dall’inizio.
Sorrisi, perché finalmente, dopo undici anni, avevo qualcuno al mio fianco, per così dire.
Finalmente, la mia prima e vera amicizia.
Ma purtroppo, non sempre le amicizie sono destinate a rimanere tali.
E soprattutto, a volte, i nostri più cari amici, diventano i nostri più temuti nemici.
 
 
 NOTE DELL'AUTRICE:

Buona sera care personcine, come state? Spero tutto bene.
MI SCUSO se il testo appare totalmente in corsivo, purtroppo non capisco il motivo, se avete una soluzione da consigliarmi, vi ringrazio in anticipo.
Eccomi qua, con questo secondo capitolo, vi ringrazio per il supporto, siete gentili e dolci.
Spero che la storia, andando avanti, vi incuriosisca sempre di più.
Come ho cercato di farvi capire, questo è il diario di Cris, come se fosse lei a parlarvi faccia a faccia.
-I RIFERIMENTI SONO CASUALI-
Ci tengo sempre a precisarlo.
In questo capitolo, entrano in scena anche altri due personaggi, Martina e Giulia, a modo loro, insieme ad altri, interferiranno nella vita di Cris.
Come sempre, se avete voglia lasciate un'opinione, critiche e consigli sono ben accetti.
Purtroppo mi scuso nel caso in cui l'utilizzo dei tempi verbali non sia corretto, ho sempre avuto alcune difficoltà nello scrivere al passato, ma è una cosa che mi piace fare in modo particolare e scrivere aiuta a migliorarsi sempre di più ed a correggersi.
Vi lascio il mio link di ask, se avete curiosità o domande, chiedetemi pure. Ecco a voi: http://ask.fm/arcobalenidopolapioggia
Vi auguro una splendida serata.
 
   
 
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