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Autore: LadyRealgar    10/10/2015    4 recensioni
(Sequel de La sua Paura, crossover The Avengers, The Amazing Spiderman; possibili riferimenti ad altri personaggi fumettistici)
Sono passati quattro anni dagli eventi che hanno portato Chiara ad Asgard e, nuovamente sulla Terra, la ragazza cerca di riprendere una vita normale, ma nulla sfugge all'occhio attento dello S.H.I.E.L.D. e la giovane senese è costretta di nuovo ad affrontare la separazione dalla sua famiglia, ma questa volta ha uno scopo: proteggerla.
Dal capitolo 1:
-Lei è Arianna Watson?- chiese poi, simulando la voce di Nick Fury; con una mano si copriva l'occhio sinistro, imitando la benda, mentre con l'altra faceva scorrere sullo schermo il file con le domande che aveva l'obbligo di porre alla sua cavia ogni volta prima di procedere al trattamento.
-Affermativo- rispose Chiara in uno sbuffo -Seriamente, dobbiamo fare tutte le volte questa sceneggiata?
-Nata a Washington DC il 12 Aprile del 1992?- continuò l'uomo, ignorando la domanda.
-Affermativo.
-Dichiara libertà allo S.H.I.E.L.D. di eseguire le dovute analisi sul suo metabolismo e di sottoporle i farmaci necessari per perpetrare le suddette analisi?
-Affermativo.
Ps. Possibili riferimenti ad Avengers:Age of Ultron. Spoiler Alert
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton, Loki, Nick Fury, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer: i personaggi e le situazioni relative al mondo Marvel (fumettistica e MCU) non mi appartengono, ma sono frutto della fervida fantasia di Stan Lee e degli altri autori.

1. 1461 giorni

-Nella storia dell’uomo il tempo ha assunto connotazioni e caratteristiche- gracchiava la voce del professor Miller, dell’università di Harvard, resa metallica dagli altoparlanti della vecchia televisione –Differenti e varie sulla base della civiltà in cui tale concetto veniva preso in analisi. Nella cultura classica, come anche quella indiana, esso era rappresentato da un ciclo, assimilabile al trascorrere delle stagioni, per cui vi è la nascita, lo sviluppo, l’invecchiamento e, infine, la morte, a cui segue un nuovo ciclo di nascita, sviluppo, eccetera. Nel contesto biblico e coranico, invece, possiamo rappresentare il succedersi degli eventi come una linea retta, in cui le azioni umane sono irreversibili e destinare a rimanere tali per l’eternità. Sebbene la teoria di Lavoisier, con il concetto di eternità di massa e materia, tenda ancora ad avvicinarsi all’idea di tempo ciclico, gli studi newtoniani escludono questa visione, considerando, ad esempio, l’irreversibilità di alcuni processi chimico-fisici. La fisica moderna, invece, sembra ritornare al tempo-ciclo, anche se con alcune variazioni, come, ad esempio, la concezione a spirale formulata da Einstein nella Teoria della Relatività.

Mentre serviva l'ultimo caffè della giornata a una guardia notturna che stava per iniziare il suo turno di sorveglianza nel centro commerciale lì vicino, Chiara non avrebbe saputo spiegare la teoria di Einstein riguardo allo scorrere del tempo, ma di una cosa era certa: i suoi ultimi 1461 giorni1 se li sentiva tutti sulle spalle, con tutto il peso delle 35.064 ore passate da quando il Bifrost l'aveva fatta atterrare nel campo di grano da poco mietuto della famiglia Rossi, suoi vicini di casa.

Quando la tazza di ceramica giallo limone fu piena, la guardia la ringraziò con un sorriso, mostrando il vuoto creato dalla mancanza del quarto incisivo inferiore, e cominciò a zuccherare abbondantemente la bevanda scura.

-Arianne- chiamò una voce roca da dietro la porta della cucina -Puoi venire un momento?

Chiara appoggiò in fretta la brocca del caffè, ormai vuota, sul bancone del bar e, saltando il pavimento bagnato che la sua collega Talia, armata di mocho, stava pulendo prima della chiusura della tavola calda, arrivò alla porta della cucina, il cui oblò di vetro faceva intravedere l'interno del locale.

La ragazza spinse la vecchia porta di legno, che cigolando ruotò sui cardini arrugginiti, e un forte puzzo di bruciato le impregnò violentemente le narici, mentre un leggero borbottio di disappunto le giungeva alle orecchie da un vano del bancone alle sue spalle, in cui un cane meticcio, accoccolato sopra un cuscino di tela verde pisello, osservava la scena e sembrava molto contrariato da quel puzzo.

-Cosa succede, mr Bailey?- domandò Chiara, correndo ad aprire la finestra per arieggiare la cucina e far uscire la nuvola nera che si era formata sul soffitto.

-Dev'essere ancora quel maledetto fusibile!- imprecò il corpulento uomo, togliendo dal forno una teglia su cui una torta carbonizzata troneggiava tristemente, emanando fumi grigi.

Il signor Charles Bailey, proprietario del bar-tavola calda il Daily Coffee presso cui Chiara lavorava, era un uomo di colore di sessant'anni, dalla splendida voce baritonale, purtroppo resa roca e aspra dalle innumerevoli sigarette che fumava quotidianamente, e dai grandi occhi color ebano che rispecchiavano la sua natura gioviale e cortese.

Il signor Bailey, posata la teglia sul lavandino, si sfilò dalle mani callose i guanti da forno e rimase per un attimo ad osservare con disappunto il cadavere della torta di carote che giaceva davanti a lui: amava il suo lavoro più di qualunque altra cosa, eccezion fatta per la signora Bailey, e in quello che faceva metteva tutto il suo impegno e tutti i suoi cinquant'anni di esperienza, perciò, ogni qualvolta che un dolce si bruciava o un piatto gli scivolava dalle mani, la prendeva come una forma di sconfitta personale.

-Doveva essere molto buona!- disse la ragazza, cercando di risollevargli un po' il morale.

-È tutta colpa di quello stupido forno!- disse il signor Bailey, indicando l'elettrodomestico incriminato con l'indice teso, quasi fosse stato davanti a un giudice in un tribunale.

-Quel povero forno sarà più vecchio di te!- esordì Talia, entrando in cucina con le ultime stoviglie da lavare su un vassoio di latta -Sarà prossimo alla discarica.

-È un oggetto vintage!- ribatté quasi offeso l'uomo, mentre buttava il blocco carbonizzato nel cestino e si avvicinava al forno per esaminarlo meglio.

-Sarà anche vintage- riprese Talia, ridacchiando -Ma se un giorno la cucina prende fuoco io sarò quella che scapperà per prima!

Nel frattempo il proprietario del locale, facendo attenzione a non scottarsi, aveva staccato la presa e aveva rigirato il forno, per poi estrarre un piccolo fusibile annerito e fumante: -Eccolo qua, il piccolo criminale!- esclamò Charles, poi, rivolgendosi a Chiara, chiese: -Lo so che è la seconda volta questo mese, ma potresti chiede al tuo amico se può fare di nuovo il suo miracolo?

Chiara riusciva a leggere il senso di disagio che permeava quella domanda: il signor Bailey era un uomo di profondo orgoglio, che nella vita aveva sempre lavorato sodo per non dover mai chiedere niente a nessuno, ma quelli erano tempi difficili per il Daily Coffee, che lottava contro la spietata concorrenza delle grandi catene in franchising di caffetterie, ed era necessario stringere un po' la cinghia per tirare avanti.

Tempo addietro il signor Bailey aveva ricevuto dalla banca un avviso di pignoramento per via del debito che aveva contratto per mettere in regola l'impianto elettrico e quello idraulico secondo la nuova normativa: da mesi il signor Bailey, impegnato a pagare, oltre allo stipendio delle sue dipendenti, la clinica che si occupava della moglie affetta dal morbo di Ahlzeimer, non era riuscito a pagare le rate del mutuo.

E ora sulla sua testa pendeva la minaccia dello sfratto, perciò spese come la sostituzione di un vecchio elettrodomestico dovevano attendere momenti più rosei.

-Lo pagherò non appena avrò sistemato le cose con la banca- aggiunse l'uomo -Deve solo dirmi la cifra.

Chiara sospirò e, prendendogli dalle mani il piccolo oggetto di metallo, disse: -Non ti preoccupare, non è tipo che ha bisogno di essere pagato per questi lavoretti. Lo fa praticamente per hobby.

-In ogni caso, troverò il modo di ringraziarlo per i suoi miracoli!- sorrise Bailey, la cui indole allegra non gli permetteva di restare arrabbiato per più di dieci minuti.

"La vita è troppo breve per sprecarla in tristezza" era solito dire.

-Il pavimento della sala è uno specchio- disse Talia, mettendosi i guanti di gomma rosa per i piatti -La macchina del caffè è stata pulita e ora rimangono solo gli ultimi piatti per concludere la cerimonia della chiusura.

-Ottimo lavoro, ragazze- sorrise Bailey, puntellando le grosse mani sui fianchi -Ora però si è fatto tardi, perciò voi andate pure. Ci penserò io ai piatti sporchi.

-Ma mr Bailey...- tentò di protestare Chiara, interrotta, però, dall'uomo che con un gesto della mano chiuse il discorso: -Siete giovani, non potete certo rimanere a fare la muffa qui dentro! Andare a riposarvi. Ci vediamo domani, ragazze!

Le due cameriere si lanciarono un'occhiata complice: tentare di discutere con Charles era come cercare di abbattere un muro a testate, impossibile e controproducente. Rassegnate, salutarono educatamente il proprietario del caffè, si tolsero i grembiuli e, seguite a ruota dal cane, uscirono dal locale, facendosi investire dalla fresca e umida aria di fine Settembre. Per le strade di quel popoloso quartiere di Brooklyn c'erano già festoni, zucche, fantasmi fosforescenti e streghe di plastica in attesa della notte di Halloween; -Dovremmo cominciare anche noi ad addobbare il Daily- considerò con tono vago Talia, intenta ad accendersi una sigaretta, osservando una testa del mostro di Frankenstein di carta pesta che ondeggiava da un balcone del palazzo a fianco.

-Credo che Bailey voglia preparare qualche dolcetto a tema- rispose Chiara, agganciando il guinzaglio al collare dell'animale -Spero solo che non ci chieda di vestirci da zombie come l'anno scorso!

-Con le occhiaie che ci ritroviamo? Non avremo bisogno di travestirci!- ridacchiò la ragazza, espirando una nuvoletta di denso fumo grigio.

-E Annibale lo travestiamo da lupo mannaro- rise Chiara rivolgendosi poi al meticcio che al suo fianco annusava interessato l'asfalto del marciapiede -Che ne dici, giovanotto?

Quello alzò il muso e iniziò a scodinzolare, avvicinando il naso alla gamba della padrona per ottenere delle carezze: -Con questo musino dolce?- chiese Talia, facendo un buffetto sul naso dell'animale -Non spaventerebbe nessuno.

-Forse hai ragione- rispose Chiara, osservando distrattamente il quadrante del suo orologio da polso: erano le 22.11.

-Che farai stasera?- le chiese la squillante e armoniosa voce dell'amica.

-Andrò subito a trovare il mio amico elettricista o domani mattina non ci saranno brioches da servire- rispose vaga la ragazza iniziando a cercare nella borsa l'abbonamento dell'autobus ed estraendolo dopo qualche secondo dalla tasca laterale -Tanto dovevo già passare da lui.

-Passi molto tempo da questo elettricista- esordì maliziosa Talia, spegnendo il mozzicone della sigaretta sul cestino più vicino e buttandolo -Non è che per caso è un po' più di un amico?

Chiara alzò un sopracciglio: -Credimi, no. No, davvero- rimarcò il concetto notando l'espressione incredula dell'amica -Non ho né tempo né voglia di impegnarmi con qualcuno e, te lo assicuro, lui sarebbe l'ultima persona con cui vorrei fare coppia. E poi è già fidanzato e anche da qualche anno, oramai.

-Peccato- sospirò la cameriera mentre si incamminavano verso la fermata dell'autobus -Sarebbe carino sentirti parlare di ragazzi. O di ragazze. O di qualunque persona che possa attirare il tuo interesse.

-Forse un giorno- ridacchiò Chiara, avvolgendole le spalle con un braccio -Ma non ci spererei troppo! Tu, piuttosto, come è andata con Thomas? Non te ne ho più sentito parlare dall'ultima volta che siete usciti insieme. Quando è stato? Una settimana fa?

-Due settimane e mezzo, a dire il vero- precisò l'altra, stringendosi nella giacca a vento -Sembrava andasse piuttosto bene: era carino, simpatico e tutto, ma poi ha detto che Spiderman è un criminale al pari di quelli che pretende di catturare. Ti lascio immaginare in che modo l'abbia piantato.

-Avevi qualcosa di liquido in mano?

-Sì, una cioccolata calda- ridacchiò Talia.

-Povero ragazzo, l'avrai ustionato! Ma nessuno può osare toccare il tuo Spidey!

-No, nessuno, nemmeno J. Jonah Jameson!- la risolutezza dell'amica non fece altro che incrementare il riso di Chiara -Lo difenderò fino alla fine dei miei giorni.

-O dei suoi- ribatté asciutta la ragazza -Non vorrei davvero trovarmi nei suoi panni con tutti i criminali che lo vogliono morto.

-Ma lui sarà sempre una ragnatela avanti a loro!

Un paio di grossi fanali gialli, sormontati dalla scritta luminosa "Midtown, Manhattan" si avvicinarono alla pensilina e le due ragazze di salutarono in fretta, permettendo così a Chiara di salire sul mezzo e, mostrato l'abbonamento al conducente, di prendere posto in uno degli ultimi sedili in fondo. A quell'ora non c'erano molti viaggiatori e praticamente tutti i sedili erano vuoti, ma quella era un'abitudine che aveva acquisito ai tempi del liceo, in cui i posti in fondo sono quelli dei "fighi", e che non si era riuscita a togliere. Più per scaramanzia che altro. E inoltre le piaceva sentire il ronzio del motore sulla schiena e sotto al sedere: era quasi come essere cullati e su di lei aveva un effetto distensivo e rilassante.

Sentì il muso di Annibale appoggiarsi delicatamente sulle sue ginocchia e, accarezzandogli la testa affusolata, si mise ad osservare il caleidoscopio di luci della New York notturna. Era stata in una notte come quella, si ritrovò a pensare la ragazza, che la vecchia Ford di Clint aveva attraversato il ponte di Brooklyn, lasciandosi alle spalle la luccicante Manhattan e addentrandosi nelle strade ben più sobrie del distretto di Brooklyn, nel Long Island.

Non era la prima volta che lei e Clint arrivavano in una nuova città, ma quella era stata diversa: non sarebbero stati lì solo il tempo delle visite e delle analisi di consuetudine tra le quattro mura di una clinica, ma si sarebbero trasferiti a tempo indeterminato.

Così aveva deciso Fury dopo essere tornato dalla tomba in cui si credeva giacesse freddo e riempito di piombo: gli esperimenti dovevano essere mandati avanti, ma con discrezione. Dovevano nascondersi, celarsi agli occhi dell'HYDRA e apparire come comuni cittadini; quale posto migliore per nascondersi se non la frazione più popolosa della città più caotica di tutti gli States?

Se Chiara ripensava al viaggio che aveva programmato di fare in America per festeggiare la laurea, le veniva quasi da ridere: non poteva certo immaginare che sarebbe stata l'America stessa a venirla a prendere.

Era appena tornata da casa di Marco e gli occhi le bruciavano dopo il pianto fatto in macchina lungo tutta la strada del ritorno, l'unica cosa che desiderava era infilarsi nella doccia e continuare a piangere e non fece caso alla macchina nera che era parcheggiata dietro casa.

Lasciò l'automobile al suo posto abituale e corse alla porta, aprendola di scatto e trovando nel proprio salotto quella che sembrava essere una piccola riunione tra la sua famiglia e due sconosciuti: un uomo di colore in long coat nero di pelle e una benda sull'occhio e una donna dai capelli rossi in jeans e camicia lillà.

Il gruppo si voltò a guardarla non appena ebbe aperto la porta e suo padre le fece cenno di avvicinarsi. Sul volto dei suoi familiari Chiara lesse sgomento e la presenza dei due estranei non le suggeriva nulla di buono.

-Chiara, tesoro- esordì suo padre con un sorriso forzato -Ti presento il signor Fury e la signorina Romanoff, dall'ambasciata statunitense. Sono venuti qui per farti delle domande riguardo quello che ti è capitato.

L'uomo chiamato Fury si alzò dalla poltrona su cui sedeva e le strinse solennemente la mano; la sua stretta era ferma e salda. Chiara sentì la forza di quell'arto nascosto dal cuoio nero: avrebbe potuto romperle il metacarpo come se fosse stato fatto di cartapesta, ma le dita che si strinsero attorno al suo palmo erano perfettamente controllate.

La donna, invece, non si avvicinò per svolgere i consueti riti di presentazione, ma si limitò a studiarla con i suoi freddi occhi blu e a sorridere cordiale. Per la ragazza fu come trovarsi di fronte a una pantera: affascinante ma al contempo pericolosa.

-Cosa c'entrano gli USA con quello che mi è capitato?- chiese diretta Chiara ai due sconosciuti.

-Forse avrai letto sui giornali o sentito alla televisione dei fatti accaduti a New York- la pronuncia della donna era piuttosto incerta, con cadenze e suoni tipiche della lingua inglese, ma la grammatica era impeccabile -Abbiano saputo che in queste zone si è verificato di un fenomeno simile, con l'arrivo improvviso di creature non terrestri attraverso un passaggio interdimensionale. Abbiamo fatto le nostre ricerche ed esse ci hanno condotto a te.

-Specifico la domanda, allora- riprese la ragazza cercando di mantenere il sangue freddo -Cosa volete da me?

-Solo parlarti- rispose la signorina Romanoff -Per il momento- rettificò un secondo dopo -Dipende da quello che apprenderemo dal nostro colloquio.

I suoi familiari capirono l'antifona e uscirono in fretta dal salotto, lasciando i tre a discorrere in tranquillità; tra i due era Romanoff l'unica che parlava l'italiano perciò era anche quella che poneva le domande, ascoltava le risposte e le riferiva, tradotte in inglese, all'uomo. Fury ascoltava attento e osservava: per tutta la conversazione e gli anni a seguire in cui fu in stretto contatto con Nick Fury, Chiara si sentì quell'occhio scuro puntato su di sé senza un attimo di sosta, mettendola piuttosto a disagio.

Le chiese di raccontare quello che le era capitato, di descrivere fatti, luoghi e persone e, quando si arrivò a parlare di Phoneus e dei mezzi di trasporto degli Elfi chiari Chiara vide la Romanoff sporgersi in avanti e strizzare leggermente gli occhi, come un gatto in agguato. Per tutto il tempo Chiara fece attenzione a non nominare la figura di Loki.

Quando la Romanoff ebbe concluso le domande e riferito le ultime cose al suo superiore, i due si misero a confabulare fittamente in inglese; Chiara non era mai stata molto brava nelle lingue straniere ma riuscì a distinguere una frase che la fece rabbrividire: We must bring her to Washington.

A quel punto fu, finalmente, Fury a parlare: -È necessario per la tua sicurezza che vengano fatti degli accertamenti. Domani mattina verremo a prenderti alle 4, fatti trovare pronta.

La pronuncia era pessima e l'accento era caduto più volte sulla sillaba sbagliata, ma aveva proferito quelle parole con sicurezza: doveva essersi preparato quella battuta prima di incontrarla. Il che significava che per tutto quel tempo era già stato deciso cosa ne sarebbe stato di lei.

-Non voglio.

I due sconosciuti si bloccarono a metà della stanza, da cui stavano uscendo per avvisare i suoi genitori della decisione presa, e rimasero a fissarla per qualche secondo.

-Non vado da nessuna parte- ripeté la ragazza -Chi mi dice che posso fidarmi di voi?

I due si scambiarono un'occhiata eloquente e la Romanoff, emettendo un sospiro, le si avvicinò; il suo primo istinto fu quello di retrocedere ma si impose di rimanere ferma dove si trovava: non doveva mostrare timore.

-Chiara- iniziò la rossa -Ti ricordi di quello che è capitato a New York un paio di anni fa? Il signor Fury ed io facciamo parte di un'organizzazione antiterroristica che si occupa di affrontare emergenze di questo tipo e quello che ti è successo fa parte della nostra amministrazione: se quello che ci hai raccontato è vero, le conoscenze che hai acquisito potrebbero esserci di grande aiuto per prevenire eventuali altri attacchi. Potresti impedire che altri civili vengano coinvolti in guerre e attentati da parte di forze aliene. Terresti la tua famiglia al sicuro.

Un sobbalzo dell'autobus e il suono del clacson la svegliarono bruscamente, le ci volle una frazione di secondo per capire dove si trovasse e perché l'uomo al volante le stesse dicendo di scendere, ma quando comprese di essere giunta al capolinea, prese il proprio zaino dal sedile accanto e condusse Annibale fuori dal mezzo.

Attorno a loro la scintillante e rumorosa Manhattan li avvolgeva con la sua luce e il suo smog, che anche a quell'ora della sera non mancava mai di appestare l'atmosfera; il cielo a mala pena si vedeva tra le teste degli alti grattacieli pieni di uffici solitamente brulicanti di persone e appartamenti lussuosi. In alto all'edificio che maggiormente svettava nello skyline della Grande Mela la scritta luminosa STARK era come un faro tra le correnti di un mare di macchine, negozi, rumori di ogni sorta e odori di ogni tipo, la cui luce la ragazza si apprestò a seguire non appena fu scattato il verde dell'attraversamento pedonale.

Come sempre quando andava da Stark, la hall di ingresso alla Tower era buia e inanimata, ma dall'altoparlante del citofono una familiare voce la accolse pochi secondi dopo che ebbe premuto una combinazione di tasti: -Buonasera Miss Watson- la voce artificiale le arrivò gracchiante ai timpani, appena percettibile in quella bolgia di suoni di motori di automobili -Il signor Stark la sta aspettando all'ultimo piano.

-Grazie, Jarvis- rispose Chiara attraversando le porte di vetro antiproiettile che si erano aperte per farla entrare.

-Posso chiederle di lasciare il canide fuori dall'edificio?- riprese l'intelligenza artificiale sfruttando gli altoparlanti della hall, mentre i due nuovi arrivati la percorrevano in direzione dell'ascensore.

-No, Jarvis- ribatté Chiara -Per l'ennesima volta.

Ding! squilò allegro il campanello dell'ascensore raggiungendo il piano terra e aprendo le sue porte. Chiara entrò e premette il bottone con il numero 31, i meccanismi si attivarono di nuovo e la scatola metallica iniziò a salire lenta.

-Devo forse rammentarle che il canide ha quasi urinato sui miei circuiti l'ultima volta che è venuta a farci visita, Miss Watson?- chiese l'I.A.

-"Quasi", Jarvis- sottolineò Chiara con la voce -Se ben ricordi l'ho portato fuori prima che potesse fare alcunché. Questa volta, inoltre, mi sono assicurata che abbia fatto tutto prima di portarlo qui. Puoi stare tranquillo per i tuoi circuiti.

L'assistente computerizzato di Stark non disse più nulla e nell'ascensore gli altoparlanti diffusero la melodia della Primavera di Vivaldi come sottofondo della lunghissima ascensione verso il loft del miliardario. Annibale sbadigliò annoiato e si distese sul pavimento di metallo dell'ascensore.

Sulla porta un piccolo schermo si illuminava mostrando dei numeri in progressione e Chiara seguì con lo sguardo sul quadrante i piani raggiunti: 9...10...11...12...13...14...

Sospirò, cercando di ricordare quante volte aveva aspettato quegli interminabili 30 piani prima di raggiungere il genio/milionario/playboy/filantropo che aveva realizzato la H.A.D.: Health and Analysis Device, la macchina che, in pratica, teneva sotto controllo la sua vita da quasi due anni.

"Clint, tesoro" aveva chiamato Laura dalla finestra della cucina che si affacciava al granaio, dove Occhio di Falco stava piallando un'asse di legno che avrebbe fatto parte della nuova porta del piano di sopra "Al telefono!".

Chiara, seduta sul divano a guardare la televisione assieme alla figlia minore della coppia, aveva teso istintivamente le orecchie: le uniche telefonate che i Barton ricevevano erano da parte dei genitori di Laura e, solitamente, avvenivano tra le 18 e le 20. Erano soltanto le 16.37 e chiunque avesse chiamato di certo non era la nonna di Kate, che giocava con le bambole al suo fianco, mentre la televisione trasmetteva le immagini dell'abbattimento del Quartier Generale dello S.H.I.E.L.D. a Washington DC. "Attacco terroristico agli uffici del Triskelion" diceva la scritta che scorreva veloce sul fondo dello schermo "Steve Rogers aka Capitan America risulta disperso".

Alle sue spalle la porta si aprì e i familiari passi dell'agente Barton attraversarono il corridoio di ingresso e raggiunsero la cucina; con uno scatto felino, Chiara si alzò dal divano e, fingendo di scegliere un dvd dalla videoteca, drizzò le orecchie, concentrando tutta la sua attenzione sull'ascolto.

-Ma come diavolo...?- udì Barton imprecare alla cornetta poi il silenzio. Dopo circa un minuto Clint parlò di nuovo, la sua voce di nuovo fredda e controllata: -Sì, signore. Saremo lì.

Il click del tasto del telefono wireless decretò la fine della conversazione e Chiara poté facilmente immaginare quale espressione si fosse disegnata sul viso dell'agente dall'altra parte del muro. Un'espressione molto probabilmente simile alla sua: che Chiara sapesse c'era solo una persona a cui Clint Barton si rivolgeva con quell'appellativo. Ed era morta circa una settimana fa.

-Va tutto bene?- chiese istintivamente all'uomo sconvolto che le si era avvicinato.

-Prepara la valigia- rispose l'agente puntandole contro le sue iridi color del ghiaccio -Stasera abbiamo un appuntamento e ritengo che sia meglio essere preparati ad ogni evenienza.

-Chiara va via?- Kate aveva messo da parte i suoi giochi e li osservava dal divano con un'espressione preoccupata.

-Può darsi- le rispose Clint, prendendola in braccio e stampandole un grosso bacio sulla guancia, facendola ridere per il solletico che la sua barba di tre giorni le aveva procurato -Ma poi ritorna- aggiunse poi, rivolgendo a Chiara un sorriso, che però lei non ricambiò: le piacevano i Barton e in loro aveva trovato quel calore familiare che da due anni le mancava, dormire in una vera casa, abitata da persone vere e non da agenti federali con una pistola sempre attaccata alla cintola, era un'oasi verde nel bel mezzo di un deserto di cemento armato, asfalto e vetro antiproiettile. Rifugiarsi presso di loro era stata la cosa migliore che le fosse capitato in quegli ultimi mesi e, se solo avesse potuto, sarebbe rimasta lì a oltranza, ma l'incanto dell'idillio era svanito, come spesso accade, troppo presto e quella notte, messi a dormire i bambini e stretto un'ultima volta in un abbraccio la cara Laura, Chiara e Annibale salirono sulla vecchia Ford di Clint, viaggiando nell'oscurità.

In pochi minuti raggiunsero un locale notturno sull'autostrada, sporco, rumoroso e pieno di gente dall'aria poco raccomandabile, ma oramai, pensò Chiara quando ebbe oltrepassato la soglia dell'edificio, posti del genere non la spaventavano più. Non sapeva dire, però, se fosse dovuto al numero spropositato di motel che aveva frequentato negli ultimi mesi o per la presenza rassicurante di Clint.

"Forse entrambe le cose" si disse, quando vide l'agente lanciare un'occhiata intimidatoria a un uomo ubriaco che la stava osservando e che, spaventato dallo sguardo del Falco, aveva immediatamente focalizzato la sua attenzione sul bicchiere vuoto che aveva davanti.

-Hai detto che avevamo un appuntamento- bisbigliò la ragazza al suo protettore -Con chi?-; la risposta di Barton fu un veloce cenno del capo in direzione del tavolo in fondo alla sala, a fianco delle slot machines, e Chiara capì, paralizzandosi sul posto.

-Oh mio Dio...- sussurrò, riconoscendo nell'uomo in maglione scuro e berretto da baseball che sedeva al tavolo proprio il presunto defunto capo dello S.H.I.E.L.D., Nick Fury.

-Buonasera- le sorrise Fury, emettendo un sospiro di sollievo -Pensavi già di esserti liberata di me?

-Lo credevamo tutti- intervenne il Falco prendendo posto al tavolo e lanciando una veloce occhiata alla stanza -Natasha in persona mi ha chiamato per dirmi che un pazzo con una protesi di metallo ti aveva freddato, che l'Hydra si era infiltrata nell'agenzia e che tutti i files sul progetto Panacea erano spariti dai server e dalla banca dati. Poi ho visto al telegiornale il Quartier Generale venire ridotto a un cumulo di macerie e nessuna notizia né da Nat né da Steve né dalla Hill mi è pervenuta! Per l'amor del Cielo, hai idea della condizione in cui mi sono trovato?

-Lo capisco, Barton- disse con tono conciliante il capo dello S.H.I.E.L.D. -E credimi quando ti dico che mi dispiace, ma le condizioni e i tempi hanno richiesto l'inscenamento della mia morte. Nemmeno Romanoff aveva idea di quello che stava accadendo.

-Questo non mi rassicura- sbuffò Clint, ancora molto nervoso -Che ne è stato dei files?

-Se l'Hydra fosse riuscita a mettere mano sul progetto Panacea, a quest'ora avreste avuto ogni singolo agente corrotto e traditore alle spalle e, anche se sono sicuro che gli avresti dato diverso filo da torcere, non ci sarebbe stato un solo posto sicuro in cui rifugiarvi. Nemmeno il tuo Nido, Falco.

-Quindi dove sono?- sbottò impazientemente la ragazza.

-New York.

New York le si aprì luminosa davanti agli occhi allorché le porte dell'ascensore sparirono nelle pareti perfettamente bianche del loft elegante del miliardario dall'abito di ferro; era uno spettacolo mozzafiato ammirare l'Empire State Building, la Statua della Libertà e Central Park dall'alto, dorati delle migliaia di luci che mai si spegnevano nella città insonne.

-Anne, tesoro!- l'accolse una voce flautata, accompagnata dal ritmo secco e cadenzato dei tacchi -Come stai?

-Ciao Pepper!- le sottili braccia della donna la avvolsero in un abbraccio amichevole e caldo, nonostante il freddo colore delle sue occhiaie, che facevano apparire il suo viso stanco e provato -Sembri affaticata, da dove sei tornata questa volta? Bombay?

-New Delhi- precisò l'imprenditrice con un sorriso stanco, ma felice; Chiara adorava Pepper, era praticamente il suo idolo: intelligente, determinata, sveglia, paziente e bellissima, persino con quelle brutte occhiaie che le rigavano il viso. La ragazza avrebbe fatto carte false per essere come lei, soprattutto quando la mattina si svegliava con lo strascico degli incubi avuti durante la notte.

-Ah!- esclamò, facendo scivolare una spallina della borsa e iniziando a frugarci dentro -Ti ho portato la commissione.

Sotto lo sguardo impaziente della donna, Chiara estrasse un parallelepipedo rigido avvolto nel pluriball e con un nastrino dorato malamente annodato in un angolo e glielo porse: -Spero ti piaccia, non sono del tutto sicura di essere riuscita a cogliere lo sguardo che avevi nella foto che mi hai dato e poi...

-Anne, è bellissimo!- esclamò Pepper, dopo aver scartato l'oggetto con l'entusiasmo di una bambina alla mattina del 25 dicembre e aver rivelato un dipinto su tela della dimensione di un foglio A4.

-Le hai fatto il naso storto.

Un Tony Stark in jeans, camicia bianca e due flute di champagne in mano apparve da dietro il bar con il suo solito sorriso beffardo di chi crede di avere il mondo ai propri piedi. E quello che lo rendeva ancora più insopportabile alla ragazza era il fatto che in effetti il mondo era veramente ai suoi piedi.

-Il fatto che tu abbia il naso di Cirano di Bergerac non significa che sia il resto della popolazione mondiale ad avere il naso storto- sputò velenosa la ragazza. Come faceva una donna meravigliosa come Pepper a sopportare un uomo infantile e fastidioso dello stampo di Tony?

-Uuuh, sbaglio o si è abbassata la temperatura qui dentro?- ridacchiò Tony con fare superiore, ma la voce metallica di Jarvis si intromise: -Negativo, signore, la temperatura è sempre di 25°C.

-Jarvis, dobbiamo lavorare sul sarcasmo- sospirò l'uomo appoggiando i flute sul tavolino di vetro accanto alle donne -Coraggio, Arianne, andiamo.

Sospirando impercettibilmente, Chiara lasciò cadere all'ingresso la propria borsa e, seguita a ruota dal suo fedele Annibale, percorse il lussuoso loft dai pavimenti in marmo variegato e il ricercato mobilio, fino al vecchio laboratorio privato di Stark, convertito a infermeria dopo il suo trasferimento a Brooklyn. Ora Tony aveva dedicato due interi piani dell'edificio ai suoi giocattoli (per non parlare di quello che si trovava nella sua casa in California), mentre quella grande stanza era stata arredata con un lettino, una sobria scrivania con un largo schermo piatto, uno schedario e un armadio pieno di kit per il prelievo del sangue e delle urine. Sarebbe apparso un comune ambulatorio medico se metà dell'ambiente non fosse stato occupato dall'imponente H.A.D., costituente il 50% del progetto Panacea.

La restante metà era Chiara.

Appena entrato, il signor Stark prese posto alla scrivania, sulla cui superficie comparì una tastiera luminescente; l'uomo digitò la password e sullo schermo apparve la foto di Chiara, affiancata da una serie di numeri e sigle: -L'ultima volta che ci siamo visti avevi la pressione un po' bassa e il colesterolo nel sangue era ai minimi accettabili. Hai mangiato un po' meglio in questo ultimi giorni?- chiese Tony, leggendo pensieroso i dati sul computer.

-Sì, sì, non ti preoccupare- quella finta apprensione che il milionario ostentava ogni volta che si incontravano le dava ai nervi. Come se fosse stato veramente preoccupato per la sua salute.

-Dunque, procediamo!- esclamò l'uomo, accendendo una piccola videocamera e puntandola verso di lei: -Lei è Arianna Watson?- chiese poi, simulando la voce di Nick Fury; con una mano si copriva l'occhio sinistro, imitando la benda, mentre con l'altra faceva scorrere sullo schermo il file con le domande che aveva l'obbligo di porre alla sua cavia ogni volta prima di procedere al trattamento.

-Affermativo- rispose Chiara in uno sbuffo -Seriamente, dobbiamo fare tutte le volte questa sceneggiata?

-Nata a Washington DC il 12 Aprile del 1992?- continuò l'uomo, ignorando la domanda.

-Affermativo.

-Dichiara libertà allo S.H.I.E.L.D. di eseguire le dovute analisi sul suo metabolismo e di sottoporle i farmaci necessari per perpetrare le suddette analisi?

L'obiettivo della piccola telecamera appoggiata sul tavolo brillò di un bagliore freddo alle luci delle lampade, mentre su di essa una piccola spia rossa lampeggiava a intermittenza.

-Affermativo- rispose per l'ennesima volta la ragazza, abituata oramai a rispondere a quella serie di domande come una macchinetta.

-Ha assunto farmaci non prescritti, sostanze alcoliche e/o stupefacenti negli ultimi tre giorni?- continuò Stark, dondolandosi sulla sedia.

-Negativo- rispose asciutta Chiara.

-È in stato di gravidanza o ritiene di esserlo?

-Negativo.

-Ha accusato sintomatologie quali affaticamento, asma, nausea, vomito, vertigini e/o mal di testa persistenti?

-No, ma mi sta arrivando un gran mal di testa proprio adesso, se continuiamo con queste assurde domande- sbottò la ragazza, infastidita e a disagio -Si sta facendo tardi e gradirei tornarmene a casa il prima possibile.

-Molto bene, allora procediamo- l'uomo spense la videocamera e la ripose in un cassetto della scrivania, poi si alzò e si mise ad armeggiare con l'H.A.D per metterla in moto, mentre Chiara iniziava a sfilarsi il maglione.

Un brivido freddo le percorse tutta la lunghezza della schiena quando, sfilati anche i pantaloni e le calze, toccò il pavimento di marmo con i piedi nudi.

-Dovresti seriamente prendere in considerazione di fare installare un sistema di riscaldamento a induzione sul pavimento- suggerì fredda Chiara, rimasta oramai solo in intimo, mentre si sdraiava sul lettino.

-Ho appena preso un appunto mentale- le sorrise il milionario, digitando dei comandi sullo schermo della macchina -Dammi il via quando sei pronta.

"Inspira" fece entrare aria dal naso, con calma, concentrandosi sul rilassare le spalle e il collo "Espira".

-Potrebbe bruciare all'inizio- disse l'uomo dai folti ricci bruni al suo fianco, mentre disinfettava con cura l'incavo del suo braccio sinistro. Le sue mani erano ferme, ma il suo tocco era delicato, come se avesse avuto paura di poterle spezzare le ossa applicando anche solo una leggera pressione: -Se ti fa troppo male, non hai che da dirlo e fermiamo tutto, d'accordo?

Ecco quello che le faceva piacere così tanto il dottor Banner: la sua premura. Di medici, luminari, specialisti e infermieri ne aveva incontrati a mazzi negli ultimi mesi e tutti, dal primo all'ultimo, guardandola vi avevano visto un affascinante mistero della medicina da risolvere ad ogni costo. Chiara era la loro sfida e loro rispondevano ai trattamenti andati a vuoto con proposte e prodotti ancora più aggressivi e radicali.

Poi la sua strada si era incrociata con quella di un uomo dai grandi occhi timidi, che quando aveva letto la sua cartella clinica era inorridito e aveva passato un buon dieci minuti di esercizi di respirazione per mantenere la calma.

-Arianne- le aveva detto -Ora ti prendo i parametri vitali e un campione di sangue in maniera da assicurarmi che tu stia bene, poi desidero che tu esca di qui e ti prenda un paio di settimane di assoluto riposo. Non voglio che metti piede in una clinica finché non te lo dico io, è chiaro?

Dopo circa un mese dal loro ultimo incontro, il dottor Banner era venuto di persona al Triskelion in compagnia del signor Stark e di diverse casse di legno imbottito di Etaphoam, che avevano fatto portare nella sua stanza e disposte sul pavimento.

Quando aveva ricevuto quella visita inaspettata, Chiara aveva percepito subito una discreta tensione tra gli agenti che di norma pattugliavano quel piano, le cui mani scattavano continuamente al fodero della pistola al minimo rumore. Non riuscì a giustificare quell'insolito comportamento.

I due uomini, accompagnati da Fury, le avevano chiesto di spogliarsi e di distendersi sul letto, mentre loro iniziavano ad estrarre i macchinari dalle casse e a montarli, disseminando bulloni, viti e varie componenti metalliche sul pavimento.

-Questo è un siero- spiegò Banner, inginocchiandosi a fianco del letto e mostrandole la siringa che teneva in mano -Te lo inietterò in vena e poi verrà attivato con le radiazioni emesse da quella specie di grossa lampada di Wood che vedi lì- indicò il macchinario che Stark stava finendo di montare -Terremo monitorati i tuoi parametri vitali e la tua attività cellulare e, se tutto andrà bene, non dovrai più girare come una trottola per tutta la nazione.

Chiara annuì in silenzio, porgendogli l'arto e preparandosi a ricevere l'ennesimo medicinale in corpo, ma Banner la guardò per un momento e disse calmo: -Nessuno ti impone di ricevere questa cura, se hai paura o non te la senti, sei libera di rifiutarti.

-Sono pronta.

Non c'era esitazione nella sua voce: riportare alla memoria le parole del dottor Banner l'aiutava ogni volta a ricordare per cosa e, sopratutto, per chi aveva accettato di seguire gli agenti fino all'altro capo dell'Atlantico.

Stark passò il cotone imbevuto di disinfettante sulla pelle del braccio e, trovata la vena, vi affondò la punta dell'ago con un gesto pulito e preciso, nonostante il leggero tremore della mano, tipico di chi ha assunto per molto tempo grandi quantità di alcolici. Lo stantuffo iniziò a scendere e il liquido rosa cominciò a pizzicarle sotto la pelle.

Aveva imparato a convivere con quel bruciore e, con il susseguirsi delle sedute, aveva quasi smesso di sentirlo. Attese che il serbatoio della siringa da insulina venisse completamente svuotato, poi ordinò ad Annibale, che per tutto quel tempo l'aveva osservata a fianco del lettino con i suoi grandi occhi nocciola, di andare dietro la scrivania; quello obbedì e Tony, riposta la siringa in un sacchetto che sarebbe finito nell'inceneritore, lo seguì, per poi azionare a distanza H.A.D., che iniziò a vibrare mentre i suoi meccanismi si mettevano all'opera.

Una piccola spia rossa si accese sul macchinario e Chiara chiuse gli occhi, mentre il suo corpo veniva irraggiato delle radiazioni emesse da H.A.D.; poteva sentire il siero correrle veloce nel suo sistema circolatorio, infiltrandosi nel ventricolo destro, venire spinto nell'atrio destro e poi pompato fino ai polmoni, per poi tornare ad attraversare il suo corpo fino a raggiungere il ventricolo sinistro, l'atrio sinistro e l'aorta.

Ovunque esso andasse, qualunque cosa toccasse, era come una scintilla sull'erba secca, mandando le sue cellule a fuoco; nel frattempo le sue orecchie potevano udire il computer sulla scrivania riprodurre il battito del suo cuore sempre più accelerato.

-Coraggio, Anne- la rassicurò l'uomo dall'altra parte della stanza -È quasi finito e tu ti stai comportando alla grande.

-Facile per te!- ridacchiò la ragazza, ma la sua voce uscì più gutturale e cupa del previsto e fu costretta a schiarirsi la gola, facendo abbaiare Annibale.

Non potendo aprire gli occhi per evitare che le radiazioni le rovinassero i cristallini, Chiara gli diede il comando di silenzio con la mano e quello si acquietò, pur continuando a brontolare tra i denti.

Dopo dieci minuti di quel trattamento, finalmente H.A.D. si fermò e il suono di un campanello decretò la conclusione della seduta: -Potresti pensare di aggiungere una lampada abbronzante a questo trabiccolo, almeno avrei una tintarella invidiabile tutto l'anno!- disse la ragazza sollevandosi dal lettino e dando una carezza al suo fedele animale domestico che era andato ad accertarsi che la sua padrona stesse bene.

-Meglio di no- rispose Stark, osservando sullo schermo la scansione che la macchina aveva fatto della paziente durante il trattamento -A meno che tu non voglia avere il colore di un pollo arrosto e un bel po' di melanomi qua e là.

-No grazie- Chiara infilò le gambe nei jeans e li abbottonò -Hannibal, jumper!- ordinò e il cane trotterellò fino all'angolo dove giaceva il maglione, lo prese delicatamente in bocca e glielo portò, scodinzolando tutto contento.

-Good boy!- lo premiò la fanciulla estraendo dalle tasche un sacchetto di biscotti per cani, sotto gli occhi affascinati di Tony, il quale, salvati i dati acquisiti quella sera, chiese con ammirazione: -Ora sa anche distinguere gli indumenti?

-Solo qualcuno- rispose Chiara, mentre si allacciava le scarpe -Conosce jumper, socks e scarf. Confonde ancora gloves e shirt, ma sta imparando. Ah!- esclamò poi, portando la mano alla tasca -Stavo per dimenticare.

Estrasse il fusibile dal pantalone e lo lanciò all'uomo, che lo afferrò al volo e iniziò a studiarlo, mentre si lasciavano l'infermeria alle spalle e rientravano in salotto: -Fammi indovinare- disse Tony -Di nuovo il forno?

-Già- rispose asciutta -Puoi aggiustarlo?

-Sai che al centro commerciale vendono degli ottimi elettrodomestici?- domandò il milionario, ma l'eloquente occhiataccia della ragazza gli intimò di concentrarsi sul fusibile e, così, proseguì -C'è da sostituire il filo conduttore con uno della stessa portata amperometrica, dovrei avere qualcosa del genere in qualche cassetto. Ci metto un attimo.

Le porte dell'ascensore si aprirono al suo passaggio e in un attimo l'uomo sparì, diretto al suo laboratorio, mentre Pepper stava già scegliendo dove collocare il ritratto appena ricevuto.

-Mettiti pure comoda- le disse la donna, mentre sollevava il quadro contro una parete -Fa' pure come se fossi a casa tua.

"Una casa sei volte più grande e molto, molto più costosa" pensò la ragazza, confrontando il lussuoso loft con il suo bilocale preso in affitto a Brooklyn, ma, con un sorriso di cortesia cristallizzato in volto, rispose con un educato: -Grazie.

-Anne- riprese qualche minuto dopo la donna, avendo finalmente trovato il porto adatto per il dipinto -Stavamo per metterci a tavola. Vuoi unirti a noi?

-No, Pepper, ti ringrazio. Preferirei tornare a casa il prima possibile: domani dovrò essere a lavoro molto presto per avviare il forno.

In realtà sarebbe rimasta anche piuttosto volentieri: Pepper era una cuoca spettacolare e, di sicuro, avrebbe sfoderato qualche bell'aneddoto sul suo viaggio in India, ma non voleva fare da terzo incomodo alla coppia. Per via del lavoro di entrambi, i due fidanzati avevano ben poco tempo da trascorrere insieme e Chiara non aveva intenzione di rovinare quel loro momento assieme con la sua scomoda presenza.

Il suo stomaco sarebbe stato soddisfatto una volta tornata a Brooklyn.

Trascorse una mezzoretta di piacevoli chiacchierate e pettegolezzi prima che Tony riemergesse dal laboratorio con la sua scintilla di soddisfazione quando portava a termine con successo un lavoro: -A voi, madame!- disse, porgendole con un gesto plateale il fusibile tornato come nuovo e accuratamente riposto in una scatola imbottita di polistirolo.

-Grazie, Tony- Chiara prese la scatola e la infilò in borsa, poi fece scivolare il cappotto sulle spalle -Sarà meglio che torni a casa, ora.

-È piuttosto tardi- considerò l'uomo accompagnandola all'ascensore -È pericoloso uscire a quest'ora. Vuoi un passaggio?

-Con una delle tue macchine da corsa o con la limousine?- rise la ragazza -Meglio di no, attireremmo troppo l'attenzione. È già un miracolo che nessuno mi abbia ancora vista entrare qui. Prenderò l'autobus, come al solito. In fondo non è così tanto tardi.

Tony la squadrò dall'alto in basso con i suoi grandi occhi scuri, per niente convinto di quella soluzione, ma alla fine dovette cedere e chiese: -Hai il teaser che ti ho dato?

-Sì, tranquillo- sbuffò Chiara.

-Vedere- ordinò il milionario, porgendo la mano.

-Non ti fidi?

-Voglio solo verificare che funzioni bene.

La ragazza sospirò e, frugato nel caos della borsa per un momento, estrasse da una tasca laterale la scatoletta di plastica con due piccole sporgenze, da cui partirono delle scosse blu quando l'uomo premette il pulsante di accensione.

Tony studiò l'oggetto per qualche secondo, poi, soddisfatto, lo restituì alla proprietaria: -Mettilo dove puoi estrarlo rapidamente o non servirà a niente.

-Va bene, va bene!- esclamò esasperata quella, mettendosi il teaser in tasca -Posso andare ora?

-Ok, va' pure, ma stai attenta e se succede qualcosa, usa il comunicatore. Ce l'hai quello, vero?- chiese inquisitorio.

"Merda, l'ho lasciato a casa!" pensò Chiara, ma, esibendo un largo sorriso, rispose: -Ovvio che ce l'ho! Per chi mi hai presa? Davvero, Tony, la tua mancanza di fiducia mi offende.

-Va bene, non ti agitare!- ridacchiò l'uomo sotto ai baffi, poi, dopo aver lasciato un abbraccio a Pepper, la ragazza e il suo cane poterono finalmente ridiscendere l'edificio e tornare in strada.


1 corrispondono a quattro anni

Angolo dell'autrice: salve a tutte e benvenute alla fine del primo capitolo di Panacea Project! :D Spero che queste pagine vi abbiano incuriosito e che vogliate continuare a scoprire cosa accadrà alla nostra Chiara nella lontana New York.

Sono veramente contenta di essere riuscita finalmente a pubblicare il sequel de La sua paura, anche se, mi rincresce dovervelo dire, non sarò in grado questa volta di mantenere il ritmo di una pubblicazione a settimana: sono appena uscita da un brutto blocco dello scrittore e la stesura della storia non è avanzata quanto mi piacerebbe, inoltre quest'anno universitario si preannuncia particolarmente tosto e impegnativo. Farò il possibile per mantenere una cadenza mensile, ma, se non sarò sempre puntualissima, spero mi perdonerete.

Dunque, come avrete notato, questa storia, a differenza della prima, non è ambientata principalmente ad Asgard, ma per buona parte vedrà New York come teatro degli eventi che accadranno e coinvolgerà nuovi personaggi (della Marvel e non), creando un ampio crossover. Personalmente mi emoziona molto l'idea di far interagire Chiara con personaggi non appartenenti al mondo di Thor, voi che ne pensate? Comunque non temete: Thor e la sua crew si rifaranno vivi ad un certo punto.

Nel frattempo, che impressioni avete avuto di quello che avete letto finora? Cosa pensate della situazione in cui Chiara si è trovata e delle relazioni che ha intrecciato?

Vi mando un grossissimo abbraccio e un bacione, spero di ritrovarvi presto!

Lady Realgar

Ps. Riferendomi alla figlia di Clint (mi riaggangio a The Avengers: Age of Ultron) mi riferisco a lei con il nome di Kate per due ragioni: la prima è che non ricordo se nel film le viene dato un nome o se resta “etichettata” semplicemente come la figlia di Barton; la seconda per fare un piccolo omaggio al personaggio di Kate Bishop (Occhio di Falco negli Young Avengers), che è stata completamente dimenticata nel MCU. Ad ogni modo, se vorrete segnalare il vero nome della bambina, provvederò a sostituirlo per amor di precisione.

Grazie mille e un abbraccio!

   
 
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