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Autore: Akemichan    11/10/2015    1 recensioni
«C'è un'ultima cosa che dovete sapere.» Il ghigno scomparve com'era venuto e Dragon tornò a parlare di lavoro. «Mentre Serse è un regno sotto il Governo Mondiale, Baharat non lo è. Fa parte dell'Impero di uno dei quattro Imperatori Pirata.» Una piccola pausa, per fissare i suoi occhi neri penetranti su Sabo. «Si tratta di Barbabianca.»
[...]
Incredibilmente, Sabo aveva avuto la reazione più composta, a parte gli occhi che si erano spalancati in un attimo: poi aveva abbassato lo sguardo, per nascondere il sorriso che gli si stava formando sul volto. Ace era entrato nella Rotta Maggiore già da due anni, ma era la prima volta che poteva avere concretamente una possibilità di incontrarlo. Improvvisamente Serse e la sua crudeltà erano diventati obiettivi di poco conto.
[Partecipante al Contest "Mahjong Contest" indetto da My Pride]
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Koala, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Sabo
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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L'incontro

«A me non sembra una buona idea» fu la conclusione di Marco, una volta che ebbero raccontato tutto a Barbabianca, tornati a bordo della Moby Dick che navigava in quel periodo non troppo distante da Baharat.
Gli altri Comandanti, quelli che non avevano avuto a che fare con Sabo in prima persona, spostavano lo sguardo da Marco al loro Capitano, il quale era immerso in riflessioni e non si era ancora espresso al riguardo. Poi Izou alzò timidamente la mano.
«Ho solo avuto occasione di vederlo un attimo, ma mi è sembrato molto giovane. Meno di vent'anni» disse. «Siamo sicuri che costituisca questo grande pericolo?» Alcuni tra gli altri comandanti annuirono.
«Ace ha la stessa età» rispose Marco, e poi fece un'occhiata eloquente per ricordargli che cosa era riuscito a combinare quand'era ancora più giovane. «E tu non hai visto il suo Haki.»
«È parecchio forte» confermò Vista, incrociando le braccia. «Mi è sembrato molto ben allenato, troppo. Non vorrei dire del governo, ma...» Non terminò la frase, era chiaro a tutti quello che intendeva.
«E poi insiste per parlare con Ace» intervenne Satch. «Siamo la ciurma di uno dei Quattro Imperatori, ma un ladro di gioielli vuole parlare con Ace. Non vi pare sospetta, la cosa?» domandò. Izou dovette annuire: c'era di certo qualcosa di poco chiaro in quella storia. «Insomma» aggiunse Satch, «sappiamo tutti quale potrebbe essere la ragione.» Il nome di Roger non venne fatto, ma aleggiò comunque nella stanza assieme al silenzio che seguì quell'affermazione.
«Ammettiamo che sia vero» disse allora Haruta. «Ammettiamo che sia del governo e che abbia organizzato tutto solo per parlare con Ace e che il gioiello sia davvero andato perso. Che cosa ci costa rischiare?» Si voltò a guardare specificatamente Marco, che era solitamente quello più prudente di tutti. «È legato e rinchiuso, non potrebbe fargli male in nessun modo.»
«È un manipolatore» rispose Marco. Non gli piaceva l'idea che gli altri lo considerassero iperprotettivo, semplicemente pensava semplicemente alle conseguenze e valutava prima di agire. «Non so nemmeno io cosa abbia in mente, ma non mi piace l'idea che possa ficcare qualche strana paranoia ad Ace, proprio perché non so che cosa sarebbe.»
«Pensate solo a come potrebbe reagire Ace se gli nominassero suo padre.» A parlare era stato Jozu: era di poche parole, ma azzeccava sempre il punto della questione.
«Babbo» disse Marco, tornando a rivolgersi a Barbabianca. «Non credo assolutamente che dovremo lasciare che Ace gli parli.»
«Parlare a chi?» La porta della camera privata si era aperta senza che se ne accorgessero e un Ace piuttosto innervosito aveva fatto il suo ingresso all'interno. I Comandanti lo guardarono con aria colpevole: non era stato corretto da parte loro organizzare una riunione senza informarlo. Per di più, in una ciurma come la loro, era difficile che una notizia del genere come una riunione privata dei Comandanti passasse sotto silenzio, soprattutto se ne era stato escluso uno.
«Dormivi» tentò di giustificarli Haruta, che ricevette in cambio un'occhiata di fuoco, anche se non in senso letterale.
«Che cosa mi state nascondendo?» La domanda fu fatta guardando fisso Marco, un po' perché era chiaro che stava parlando di lui, un po' perché lo conosceva abbastanza da sapere che poteva essere stata una sua idea quella di non informarlo.
«Un ladro ha rubato la “Stella Blu” della regina Atossa e vuole parlare con te per restituircelo» riassunse Satch in maniera casuale. Fu il suo turno di ricevere un'occhiataccia, stavolta da Marco, alla quale rispose allargando le braccia e alzando le spalle. Ormai Ace era lì, tanto valeva provare a chiedere direttamente a lui cosa ne pensasse.
«Non dovevate sorvegliare voi la situazione?» domandò Ace, con un sorrisetto accondiscendente.
Sarebbe andato lui alla festa, se Satch non l'avesse battuto all'ultimo turno di morra cinese - e non se ne fosse vantato successivamente. «Va bene, che ci vuole. Ci parlerò.» Lo disse con un tono come se stesse facendo loro un favore, quando si vedeva che era più che soddisfatto della vicenda.
«Sinceramente, non credo che sia una buona idea» disse Marco, incrociando le braccia e sospirando.
«Non ti fidi di me?» Ace lo guardò inarcando un sopracciglio.
«È di lui che non mi fido» rispose Marco. «Non mi convince, credo che abbia qualcosa in mente.»
«Be', me ne posso occupare io. Che ci vuole.»
«È un manipolatore. Non è il genere di avversario che sei preparato ad affrontare.» Marco odiava discutere con Ace, lo trovava snervante. Nonostante gli argomenti logici che poteva portare, Ace aveva una logica tutta sua tramite la quale lo faceva capitolare, più per disperazione che per altro.
«Quindi non credi che possa farcela a non farmi manipolare» dedusse Ace. «Quindi ho ragione io e sei tu che non ti fidi di me.»
«Non ho detto questo, ho solo detto che...»
«Invece hai detto esattamente questo.»
«Perché non provi a guardare le cose dal mio punto di vista, per una volta?»
La discussione venne interrotta da Barbabianca, che scoppiò a ridere. Era la sua solita risata gutturale, non acuta, ma che faceva comunque tremare l'aria attorno a lui anche quando era sinceramente divertito. In quel caso, la causa di tale ilarità era stata proprio Marco: non perdeva mai la calma tranne quando si trattava di Ace. Che fosse perché si preoccupava eccessivamente o perché loro due erano totalmente diversi di carattere, Ace riusciva in imprese che nessuno in ciurma aveva mai ottenuto prima.
«No, Marco, credo che stavolta abbia ragione lui» disse, una volta che fu riuscito a calmare le risate.
«Babbo...» mormorò Marco, con un tono che era quasi supplicante. Sapeva che non sarebbe mai riuscita a spuntarla in una discussione con Ace, ma almeno sperava che Barbabianca riuscisse ad essere più ragionevole.
«Capisco le tue perplessità e le condivido» disse allora Barbabianca. «Ma credo anche che non si debba lasciare a questo tipo la possibilità di credersi in una posizione di vantaggio. Pensa di poter manipolare Ace? Dimostriamogli quanto si sta sbagliando.»
«E va bene» acconsentì Marco alla fine. Capiva quando non c'era possibilità di convincere gli altri e ormai erano tutti più orientati sul provarci. In fondo si trattava di una semplice chiacchierata e avrebbero potuto intervenire in qualsiasi momento se Ace si fosse trovato in difficoltà. Tergiversare avrebbe solamente dato idea di debolezza. «Vieni.»
Ace trotterellò tutto soddisfatto dietro di lui, con un gran ghigno sul volto. Era sempre felice quando riusciva a fare le cose a modo suo, perché i sistemi di Marco erano troppo noiosi per i suoi gusti, dato che ragionava prima di fare qualsiasi cosa. Lo seguì fin nei recessi più segreti della Moby Dick, stanze ricavate nello spazio rimasto che, se necessario, venivano utilizzate come prigioni. Marco aprì la botola di una di quelle e gli fece cenno di procedere davanti a lui. Ace obbedì e scese una breve rampa di scale che lo portò in una stanza di quattro metri quadrati, la cui metà era occupata da una cella di agalmatolite che avevano rubato da una nave della marina.
Era il posto più sicuro della nave per tenerci qualcuno e Marco l'aveva scelto perché sapeva che Sabo poteva rompere facilmente per lo meno il legno con l'Haki che si ritrovava. Quindi aveva preteso che fosse incatenato là dentro, con manette di agalmatolite alle mani - sia mai che avesse anche un frutto del diavolo - e corde alle caviglie. Sabo l'aveva trovato eccessivo, ma non si era opposto. Era diventato estremamente docile quando aveva capito che aveva concrete possibilità di incontrare Ace, cosa che aveva insospettito maggiormente Marco.
Anche se, a vederlo adesso, i suoi motivi non apparivano maligni. Il modo in cui stava guardando Ace da quando l'aveva visto scendere le scale non era di soddisfazione per aver ottenuto il suo scopo, ma di genuina gioia. Le labbra erano piegate in un sorriso e leggermente aperte, e gli occhi spalancati passavano da una parte all'altra del corpo di Ace, come ad assicurarsi che fosse davvero lui o a non perdersi nemmeno un particolare di quello che vedeva. Anche Ace lo stava scrutando, ma non pareva altrettanto entusiasta.
«Tutto qui?» commentò infatti, in direzione di Marco. «Da come ne parlavi mi aspettavo chissà cosa.» Invece si era ritrovato una specie di damerino che forse pensava di incutere qualche paura per la cicatrice che aveva sul volto, ma senza successo.
«Ehi!» protestò Sabo, offeso. Era vero che non aveva i muscoli dei due pirati davanti a lui, ma il suo Haki non aveva nulla da invidiare a nessuno e il fatto che potesse spaccare un cranio di una persona facilmente come se fosse stato un uovo era abbastanza spaventoso.
«Vabbe', dai, se si deve fare...» Ace si sedette a gambe incrociate davanti alla gabbia. Gli si era smorzato tutto l'entusiasmo, doveva ammetterlo. Anche se non doveva dimenticarsi che comunque si trattava di una persona che era riuscito a rubare sotto il naso di tre comandanti di Barbabianca. «Sputa il rospo.»
Sabo guardò annoiato Marco, che pareva intenzionato a rimanere in piedi a guardare la scena. «Mi pareva di aver specificato che volevo parlargli da solo.»
Marco fece per protestare, ma Ace lo anticipò: «Esci».
«Va bene, ma sarò qui fuori se avessi bisogno.» Era l'unica concessione che era disposto a fare. I due lo guardarono uscire e chiudere la botola dietro di lui, prima di tornare a fissarsi l'uno con l'altro.
Sabo aveva di nuovo quell'espressione estasiata, ma non poteva farci nulla. Dopo anni passati ad immaginarlo, era di nuovo assieme al fratello. Certo, la situazione non era esattamente come aveva previsto - non c'erano gabbie o manette della sua fantasia - ma non gli importava. Gli sembrava stare benissimo, era diventato grande, enorme rispetto al bambino magrolino che ricordava. Persino lo stile era diventato personale, ma rifletteva il suo carattere.
«Non hai ancora capito chi sono, vero?» domandò Sabo, scuotendo appena la testa. I suoi fratelli non erano tanto svegli di cervello, lo sapeva. D'altronde non poteva nemmeno prendersela tanto, lui aveva avuto il vantaggio del nome scritto sotto l'avviso di taglia. Nove anni cambiavano una persona.
«Dovrei?» si stupì Ace, e assottigliò gli occhi per cercare di mettere in moto il cervello.
«Eh, direi proprio di sì!» Se inizialmente Sabo l'aveva trovato divertente, adesso stava iniziando ad essere seccato dalla situazione. Non era passato un giorno senza pensare a lui e a Rufy, pensare a come avrebbero potuto essere da adulti, a quando si sarebbero incontrati di nuovo. E adesso Ace non arrivava nemmeno a una conclusione così ovvia. «Ti darò un indizio» disse allora, sorridendo. Nulla pareva comunque scalfire la felicità di stare con Ace. «Come sta il nostro fratellino?»
Ace spalancò gli occhi: finalmente aveva capito. Sabo continuò a sorridere, aspettandosi che da un momento all'altro Ace lo avrebbe ricambiato. Invece la sua espressione si era fatta di pietra e poi si era lentamente alzato in piedi. Un istante dopo aveva infilato la mano all'interno della grata per afferrarlo per il bavero e trascinarlo in malo modo, il petto che sbatteva dolorosamente contro le sbarre di agalmatolite.
«Come osi. Come. Osi
«Cosa? Cosa?» Sabo sbatteva le palpebre più velocemente del solito, senza capire che cosa stesse succedendo.
«Chi te l'ha detto?» continuò Ace, apparentemente noncurante della sua perplessità. «Sei stato a Goa? Giuro che se hai fatto del male a Rufy ti sventro seduta stante e al diavolo il diamante. O a Dadan e agli altri, se è per questo!»
«Perché mai avrei dovuto fare del male a Rufy!» sbottò Sabo. Non lo vedeva da anni ma era pur sempre il suo fratellino! «Ma che caspita stai dicendo? Chi doveva dirmi cosa?»
Ace pareva non ascoltare minimamente quello che stava dicendo, perso in un mondo tutto suo. «Ma che cosa credevi, che funzionasse davvero? Fingerti Sabo! Chi pensi ci possa credere?»
«Non capisco cosa tu stia dicendo! Parliamone un attimo con calma!» Sabo non aveva idea di quello che stava succedendo. «Sono io! Sono Sabo!»
«Piantala!» Ace lo strattonò maggiormente contro le sbarre. «Sabo è morto. Morto, capisci? Quindi tu chi diavolo sei e che cosa vuoi da me?!»
Allora Sabo spalancò gli occhi e lo fissò sconvolto. Pensava che fosse morto? Perché, come, quando? Gli aveva mandato una lettera apposta perché non si preoccupassero per lui, visto che doveva partire senza poterli salutare un'ultima volta, ci doveva essere qualcosa che era andato storto ma non riusciva a capire... Poi gli venne un flash: il modo in cui aveva lasciato Goa non era certo stato dei più facili e se qualcuno avesse visto la situazione avrebbe potuto darlo per spacciato...
Non ebbe il tempo di verificare che la sua teoria fosse corretta, perché Marco aveva spalancato la botola, preoccupato per le urla che si sentivano anche attraverso il pavimento. «Che cos'è successo?» domandò, non appena vide la scena. C'era una nota di preoccupazione nella sua voce.
Ace sputò per terra e lasciò finalmente andare Sabo, che si accasciò a terra in malo modo, quindi scostò di lato Marco e salì le scale per lasciare la stanza.
«Che cos'hai fatto?» domandò allora Marco, con tono di voce seccato, rivolto a Sabo. Non ebbe risposta, ma gli passò anche la voglia di chiedere oltre perché lo vide in qualche maniera sconvolto, con gli occhi lucidi e il petto che si alzava ed abbassava troppo velocemente. E sconvolto lo era davvero, Sabo, dopo aver appena realizzato che i suoi fratelli, a cui non aveva smesso nemmeno per un attimo di pensare, lo avevano creduto morto per tutti quegli anni.
Marco scosse la testa e tornò sottocoperta a cercare Ace. Non era andato troppo lontano, in realtà, aveva semplicemente girato l'angolo e si era accasciato contro la parete di legno, la testa stretta tra le mani. Gli faceva male vederlo così, ma non riusciva nemmeno ad immaginare quale fosse la causa. Se fosse stato nominato suo padre, la reazione sarebbe stata di rabbia incontrollata. Quella disperazione sembrava qualcosa di totalmente differente.
«Va tutto bene.» Marco si chinò e gli toccò una spalla. «Da adesso ce ne occupiamo noi.» Non doveva dire a nessuno “ve l'avevo detto”, anche se lo pensava. Adorava Barbabianca, ma ogni tanto persino lui riusciva a sbagliare per troppa bontà.
«No» scosse la testa Ace. «Lo devo fare io.»
«Non impuntarti per forza sulle cose. Siamo una famiglia qui-»
«Sta' zitto! Zitto!»
Marco rimase perplesso: non era una reazione alla Ace. Qualunque cose l'avesse provocata, non era in grado di dirlo. E quindi non era in grado di aiutarlo. Questo lo faceva soffrire più di qualsiasi altra cosa.
«Lo devo fare io» ripeté Ace in tono tagliente. Si alzò senza dire una parola e si diresse nuovamente verso la prigione.
Aveva la mente in subbuglio. Marco non aveva fatto altro che ripetergli di quanto manipolatore fosse quel tizio, per cui non avrebbe dovuto stupirsi che avesse cercato di empatizzare in qualche maniera con lui. Inventarsi di essere Sabo sopravvissuto all'esplosione era stato un colpo di genio, doveva ammetterlo. Chissà se era stato Rufy a raccontarglielo, quello era un idiota patentato e di sicuro facilmente manipolabile. Ace era tutt'altra storia. Però c'era una piccola, grandissima parte di lui che voleva credere con tutto se stesso che fosse vero. Sapeva che non lo era, sapeva che lo stavano manipolando. Ma se lo fosse... Se lo fosse...!
«L'esplosione!» gli gridò immediatamente Sabo, non appena lo vide rientrare. Il sollievo era enorme, aveva seriamente temuto che quella botola sarebbe rimasta chiusa per sempre o che Marco non gli avrebbe più permesso di rientrare. «Non sono morto! Sì, è vero, la mia barca è stata colpita ma sono stato salvato! Mi hanno salvato! Non sono morto!»
Ace si sedette davanti a lui, con solo le sbarre a separarli, come prima. Respirava pesantemente. Non voleva assolutamente lasciarsi ingannare, era chiaro che avrebbe trovato quella scusa. Veniva vantaggiosa, eh?
«Per favore, per favore, dammi la possibilità di provarti che sono davvero io!» lo supplicò. Ormai gli occhi gli si erano riempiti di lacrime che, legato com'era, erano libere di scorrere lungo le guance e gocciolare a terra. «Chiedimi qualsiasi cosa, qualsiasi!» Non vedeva altro modo: il suo piano non prevedeva certo che Ace lo credesse morto e adesso gli si stava rivoltando contro.
Che cosa poteva chiedergli? Ace sapeva che Rufy era un chiacchierone e che non sarebbe stato difficile estorcergli informazioni, persino riguardo a suo padre. Non c'era nulla che avesse valore ormai. Non c'era un modo per cui potesse dimostrargli veramente la sua identità.
Lo fissò dritto negli occhi. «Sei davvero tu?»
Sabo ricambiò lo sguardo senza abbassarlo, quindi annuì lentamente. Le lacrime non accennavano a smettere nemmeno un istante, quindi quando aprì la bocca si accorse che non sarebbe riuscito a dire una parola, con la gola impastata che aveva. Ace lo afferrò per le spalle e lo trascinò di nuovo contro le sbarre, al punto da fargli temere che volesse aggredirlo nuovamente, invece lo abbracciò stringendogli la schiena con le mani.
«Pensavo fossi morto...!» Aveva nascosto il volto nell'incavo della sua spalla, ma il tono di voce bastava ad indicare che anche lui stava piangendo adesso.
«Mi sei mancato così tanto...! Mi siete mancati così tanto» aggiunse, perché avevano anche un fratellino di cui non potevano scordarsi. «Non lo sapevo, non ne avevo idea...» Il regno di Goa era nel pieno dei festeggiamenti per l'arrivo del Drago Celeste, era convinto che nessuno al di fuori della città potesse mettervi piede, figuriamoci persone dal Grey Terminal dopo l'incendio che l'aveva devastato. E invece...
Rimasero abbracciati a piangere l'uno nell'altro finché l'agalmatolite delle sbarre non iniziò a dare la nausea ad Ace per il contatto ravvicinato, quindi si separò e si asciugò il viso con il dorso della mano prima di alzare il viso. E poi sorrise: non aveva ragione di credergli, ma Marco aveva torto. Lui sapeva, inconsciamente ma lo sapeva, che quella persona davanti a lui era davvero Sabo.
Anche Sabo ricambiò il sorriso, pur con le lacrime che gli solcavano ancora il viso. Finalmente l'incontro stava tornando sui binari che si era sempre immaginato.
«Guarda qui, che frignone che sei diventato...» mormorò Ace, allungando una mano all'interno per asciugargli le guance.
«Senti chi parla!» protestò Sabo, ridendo e singhiozzando e tossendo assieme. Poi rabbrividì appena quando le sue dita sfiorarono i bordi della cicatrice, ma lo lasciò fare.
«L'esplosione?»
Sabo annuì. Decise che una spiegazione era d'obbligo, anche se ormai avevano chiarito tutto. «La mia barca è affondata e io ero gravemente ustionato, ma sono stato salvato» disse allora. «Un dottore bravissimo mi ha rimesso in sesto dopo, altrimenti non ce l'avrei fatta.»
«Avrei dovuto sperarci» commentò Ace. «Solo che Dogura era così sicuro che...»
«Non lo biasimo» rispose immediatamente Sabo. «Era una brutta situazione. Sono stato fortunato.»
Rimasero a fissarsi per un po', senza dire una parola, grati semplicemente della presenza l'uno dell'altro. Ace, soprattutto, non riusciva a credere che fosse vero. «Certo che rubare un diamante solo per incontrarmi non è stata una mossa molto furba» disse, con un grosso sorriso. «Un tempo ero io quello scavezzacollo.»
Sabo scoppiò a ridere. «Da quello che ho letto, lo sei ancora!» esclamò. «In ogni caso, mi dispiace per il tuo ego, ma quel diamante mi serve anche per un'altra cosa.»
«Spiegami.»
«L'uomo che mi ha salvato a Goa, sai... Si trattava di Dragon.» Aveva deciso di prendere la strada lunga per il racconto, in fondo prima o poi gliel'avrebbe chiesto.
«Dragon... Intendi...?» Sabo annuì. «Sei un rivoluzionario...» capì Ace, quasi sussurrando la sua deduzione. «Ma... E il tuo sogno di diventare pirata? Che è successo?»
«Se ti ricordi bene, io volevo solo essere libero» rispose Sabo. «Ma mi sono reso conto che non c'è davvero libertà a questo mondo. Le cose che ho visto... Io lo voglio cambiare. Sto cercando la libertà per tutti, anche per voi.»
Ace rimase a riflettere sulla questione. «In un certo senso, ti si addice...» mormorò infine, pensando soprattutto ai suoi genitori.
«Lo penso anche io.» Sabo tirò internamente un sospiro di sollievo: aveva paura che lo giudicasse per aver cambiato idea sull'essere un pirata.
«Ma cosa c'entra con il diamante? Siete diventati ladri di gioielli?»
«No, no!» negò subito Sabo, divertito. «Mi serve per una missione.» Non voleva entrare troppo nei particolari, anche perché immaginava che ad Ace non interessassero minimamente. «Devo consegnarlo ad una persona per poter entrare in un'isola che vogliamo liberare da un tiranno. Ma dopo abbiamo intenzione di restituirlo.»
«Oh, be', allora è tutto a posto!» esclamò Ace sollevato. «Spiegherò tutto io al Babbo, vedrai che non ci saranno problemi.»
Qui veniva la parte difficile. «Non glielo puoi dire.» Oltre al fatto che dubitava che Marco si fidasse, nonostante quello che Ace poteva dirgli, non aveva idea di come poteva reagire un Imperatore Pirata sapendo determinate cose sull'armata rivoluzionaria. Il motivo più importante però era un altro. «Devo mantenere la segretezza. Nessuno deve sapere perché o per chi ho preso il diamante. Per questo mi sono rivolto a te.» Il sottinteso era: “tu sei mio fratello, ti racconto cose che agli altri non dico e non posso dire”.
«Ma che cosa vuoi che faccia?» Ace allargò le braccia. «Al Babbo non piace che si tocchino i suoi protettorati, e nemmeno a me. Ne va della nostra reputazione.»
«Lo capisco. E non voglio che tu menta alla tua ciurma» disse Sabo. «Basta solo che sappiano che restituirò il diamante, non devono sapere anche tutti i particolari.»
«Possiamo dire che ti sei pentito perché ti abbiamo terrorizzato.» Ace non poté trattenere un sorriso all'espressione un po' seccata di Sabo a quella proposta. «Ma non ti lasceranno andare a prenderlo da solo: non si fidano. E, insomma, è comprensibile.» Anche qui il concetto era piuttosto chiaro: “si fiderebbero, se gli dicessi che sei mio fratello”.
«Allora vieni con me» disse subito Sabo. La frase gli era venuta fuori senza nemmeno rifletterci, e non sapeva nemmeno se fosse il caso di farlo venire in missione con lui, ma gli sembrava la cosa più sensata da fare. E l'avrebbe adorata, come cosa.
Ace era rimasto per un attimo perplesso, alla proposta, ma poi aveva sorriso complice. «Come ai vecchi tempi?»
«Già.» Sabo ricambiò il sorriso.
«Affare fatto!» La realtà era che Ace non voleva certo separarsi da lui così presto, non dopo che l'aveva appena ritrovato dopo averlo creduto morto per dieci anni, ma immaginava che avesse parecchie responsabilità – non aveva idea di cosa combinassero i rivoluzionari, ma suonava importante – e quindi non poteva tenerlo lì legato, anche se una parte di lui l'avrebbe preferito, almeno per tentare di recuperare un po' di tempo. «Vado subito a dirglielo.»
Sabo rimase un attimo deluso di vederlo così ansioso di andare via, ma la missione chiamava e prima avessero lasciato la Moby Dick prima avrebbero potuto metterla in moto. E poi, se fosse davvero venuto con lui, avrebbero avuto altri momenti per recuperare. Quindi non aggiunse nulla e si riaccomodò meglio nella sua cella.
Quando Ace uscì quasi fischiettando, trovò Marco che lo aspettava preoccupato seduto praticamente appiccicato alla botola, e gli riservò un sorrisetto. «Tutto a posto, riavremo il gioiello. È stato facile.» E non poté trattenere una risata allo sguardo sconvolto di Marco. «Sì, è vero, prima mi aveva quasi preso in contropiede, ma adesso gli ho fatto capire chi comanda.» Alzò un braccio e gli fece prendere fuoco. «Non mi piace torturare la gente, ma sono parecchio bravo a farlo.»
Marco era incredibilmente sollevato a vedere che adesso Ace pareva stare perfettamente, rispetto allo stato in cui era prima, ma il cambio era stato così repentino che era decisamente sospetto. «Che cosa ti ha detto?»
«Oh, niente di che.» Ace agitò la mano noncurante. «Voleva il diamante per soldi, ma evidentemente non valgono la sua vita.»
«No, intendevo dire cosa ha detto a te» lo interruppe Marco. «Eri sconvolto prima.»
«Oh, be'...» Ace ragionò in fretta sulla scusa da dirgli, non potendo parlare di suo fratello e della storia che c'era dietro. «Cose che non mi piace ripetere. E comunque non ha importanza, non è riuscito a fregarmi alla fine.»
Marco continuava ad essere sospettoso, ma d'altronde non voleva nemmeno sollevare un argomento potenzialmente depressivo. «Allora dov'è il diamante?»
«Non me l'ha esattamente detto...» Ace si rese contro che, preso dall'eccitazione, si era scordato di chiedere a Sabo dei particolari della cosa. In fondo era lui quello bravo nei piani, mentre Ace si occupava di cose più pratiche. «Ha paura che l'ammazziamo una volta che sappiamo dov'è, capisci? L'ho terrorizzato!» Era meglio esagerare con i particolari. «Vuole accompagnarci direttamente. Mi pare una buona idea, almeno anche noi saremo sicuri di andare nel posto giusto, no?»
«Potremo sempre ucciderlo dopo comunque» commentò Marco. Non l'aveva detto in tono crudele, semplicemente un dato di fatto. «In ogni caso, va bene. Vado a prenderlo così che possiamo dare ordini ai navigatori.»
Quello non l'aveva previsto: aveva dato per scontato che avessero navigato con il suo striker. «Ecco, no... Penso che voglia che ci vada solo io. Anche se è terrorizzato, ha comunque delle richieste che credo...»
«No.» Il tono di Marco era stato calmo, quindi secco e irremovibile. Quando era così serio era difficile fargli cambiare idea. «Non ti manderò da solo con quel tipo.»
«Non ti fidi di me di nuovo?» protestò Ace.
«E tu non credi che possa essere tutta una trappola?» ribatté Marco, senza lasciarsi trascinare nuovamente nel vortice del fiducia sì/fiducia no che l'aveva fregato prima. «Il suo terrore potrebbe essere una finta. Potrebbe essere tutto un piano per farti abbassare la guardia e trascinarti da qualche parte dov'è in vantaggio.»
A quello Ace non poteva ribattere in alcun modo. «Me la posso cavare!»
«Semplicemente non ti lascerò rischiare» concluse Marco. «L'unica concessione che posso fare è che si vada con un piccolo gruppo. Verrò sicuramente anche io. E anche Satch. Credi che così vada bene?»
«Posso provare a convincerlo» disse allora Ace, con riluttanza. Non gli venivano in mente altre scuse per liberarsi da quella situazione.
«Bene, allora vado a preparare una delle Little Moby» annuì Marco. Sebbene si sentisse sollevato a vedere Ace così in forma, non poteva cedere. Certe cose andavano fatte a modo suo.
Ace annuì e fece finta di seguirlo, poi però prese una direzione diversa e tornò immediatamente indietro, alla botola. Sabo alzò lo sguardo quando entrò e sorrise, felice di rivederlo così presto.
«C'è un problema. Marco non vuole che andiamo noi due, non si fida» gli disse in fretta. «Non sono riuscito a convincerlo altrimenti.»
«Era prevedibile» ammise Sabo. Il suo cervello si era già messo in moto per trovare un'altra soluzione. Ma fu Ace ad arrivarci prima di lui.
«L'unica è partire senza che se ne accorgano» disse. «Lascio che preparino la nave, quindi ritardo la partenza così stanotte ti tiro fuori di qui e ce ne andiamo.»
A Sabo parve una buona idea. «Non si arrabbieranno?» chiese. Apprezzava che il fratello volesse aiutarlo, ma non a discapito di fargli passare dei guai seri.
«Nah.» Ace sorrise in maniera furba. «Faccio sempre di questi casini.» Ne era orgoglioso, anche se sapeva che faceva impazzire gli altri. «Vado subito a controllare la situazione.»
Stavolta che la missione era avviata, a Sabo dispiacque troppo vederlo andarsene per non provare almeno a fermarlo. «Ma dopo torni?» gli chiese.
«Certo» rispose Ace. Anche lui non voleva stare lontano per troppo tempo. «Ci sono un sacco di cose che mi devi raccontare, non pensare di scampartela.»

 
   
 
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