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Autore: Elgul1    16/10/2015    18 recensioni
Il cavaliere osservo per qualche minuto la folla che lentamente si era radunata e fissava da una parte lui e dall'altra parte il cadavere, si mise il cappuccio poi la sciarpa e voltandosi di spalle, disse:" Io non ho più un nome, o almeno finché non avrò adempiuto al mio compito non posso rivelarlo voi potete chiamarmi, semplicemente occhi grigi."
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti
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Una fitta pioggià e un forte vento stavano colpendo la piccola e sperduta provincia di Sonè del regno di Frael. La cittadina aveva basse mura di pietra, le case erano per la maggior parte fatte interamente di legno scadente attraverso cui la pioggià e l'umidità passavano indisturbate. Gli unici edifici fatti di pietra erano la piccola torre di guardia, dalla cui cima sventolava la bandiera del regno, l'edificio del capo villaggio e infine la piccola taverna denominata "l'ammazza orchi", dove la maggior parte della gente trovava riparo durante le stagioni fredde. Lungo la strada che attraversava il villaggio c'era silenzio. Pochi erano i viaggiàtori che attraversavano una zona così desolata e priva di qualsivoglia commercio, una fitta nebbia si stava intanto addensando all'entrata del villaggio e da lì apparve un cavaliere.

Era un uomo di media statura, con addosso un grande cappotto nero che nascondeva le fattezze del corpo, in testa portava un cappuccio che però non riusciva a nascondere del tutto la sua lunga chioma nera. Sul viso, inceve, una sciarpa rossa lasciava intravedere soltanto gli occhi grigi come la nebbia. Lo sconosciuto si avvicino a passo svelto verso la locanda: lesse il nome e poi con tutta calma entrò dentro. Non appena aprì le porte tutti si zittirono e si voltarono a fissarlo. Con passi pesanti iniziò ad avvicinarsi al bancone; anche senza vederlo notava che gli occhi della gente erano puntati sulla sua figura. Sapeva bene di non passare inosservato e questa cosa, più di una volta, si era rivelata fatale per qualcuno.

Prese uno sgabello e si mise a sedere appoggiàndo le mani sul grande bancone di legno. L'oste, un uomo molto grasso e dalla folta barba bianca, che stava pulendo un bicchiere, con tranquillità chiese: "Cosa ti porto straniero?”
Senza togliersi la sciarpa e con una voce roca, rispose: "Portami una pinta di birra e qualcosa da mangiare." Il vecchio annui e gridò l'ordine ai cuochi che subito si misero all'opera. Intanto, mentre aspettava, osservò come ci fosse un brusio sempre in crescendo all'interno della locanda. Sorrise amaramente "A quanto pare sono passato velocemente di moda, meno male." Pensò lui mentre già pregustava il pranzo dopo giorni di digiuno. Dopo una decina di minuti il vecchio posò di fronte a lui un gigantesco boccale traboccante di birra chiara insieme a un piatto con all'interno un piccolo pollo arrosto servito con patate al forno.
“Per lei.” Disse il vecchio con un sorriso.
“Grazie mille." Rispose lui iniziando a togliersi la sciarpa sotto la quale emerse una lunga cicatrice che partiva dal labbro superiore destro fino a raggiungere il mento.

Mentre stava mangiàndo le porte della locanda si spalancarono di nuovo con violenza. Dall'ingresso entrarono tre uomini: tutti quanti indossavano armature sgualcite e al fianco portavano delle spade che avevano avuto giorni migliori, alcuni dei commensali uscirono in tutta fretta, altri fecero finta di nulla e continuarono a fare ciò che stavano facendo sperando di non finire nel loro mirino. Il trio adocchiò un tavolo molto vicino al bancone a cui sedeva una coppietta. Quello in mezzo fece cenno agli altri due che ridacchiando iniziarono ad avviarsi verso il tavolo. Si misero ai suoi lati, quello in mezzo mise le grosse mani sopra le spalle del giovane e disse: "Scusate ma questo tavolo è nostro, siete pregate di togliervi di mezzo oppure... be', non c'è bisogno che mi spieghi, no?" Il ragazzo agguantò la mano della sua fidanzata e uscì di corsa dal locale.

Il terzetto rise di gusto, si mise a sedere e iniziò a chiamare a gran voce la cameriera. "Sono tornati di nuovo, maledizione..." Sussurrò piano il barista, visibilmente preoccupato e nervoso. Il cavaliere alzò il viso dal piatto, ormai vuoto, e disse: "Chi sono quei tizi?"
"Sono gli uomini di James Pekk, soprannominato il tagliatore di teste, è una sorta di autorità in questa zona." Replicò lui iniziando a pulire il bancone con uno straccio umido.
"E le guardie non fanno niente?" Domandò perplesso.
Il vecchio scosse la testa e rispose: "Ci hanno provato, a volte sono venuti anche alcuni cacciatori di taglie, ma quel mostro del loro capo massacra chiunque si presenti qua." Il cavaliere annuì, sapeva bene ciò che succedevano in simili regioni. Nonostante il potere dei sovrani e dei vassalli alcune città erano controllate da banditi o altri mali della loro società.
Stava per rispondere quando uno dei tre, arrivato al bancone, lo colpì in pieno con una spallata. "Hai qualche problema straniero?" Chiese uno dei tre energumeni in malo modo come se volesse provocarlo. L'oste sbiancò completamente e il suo sguardo si spostò dal bandito a quello di lui che, sorseggiàndo la birra rimasta, fece finta di niente e continuò indisturbato a bere. L'altro fece cenno, il cavaliere sentì il rumore delle sedie che venivano spostate con forza e i loro passi pesanti sul parquet di legno: lo avevano appena circondato.
"Ehi, il mio amico sta parlando con te!" Esclamò un altro spintonandolo da dietro e facendo rovesciare la birra sul bancone. Lui sbuffo piano. "Perché tutte le volte deve succedere così?" Pensò fra sé e sé afflitto da quella specie di maledizione che lo attanagliava ovunque andasse. Poi, cercando di rimanere calmo, disse: "No, non ho alcun problema con voi, vorrei solo finire di bere e poi andarmene da questa città dimenticata da Dio. Perciò lasciatemi stare, per favore." Il gruppetto stette per qualche istante in silenzio.

Non erano abituati a quel tipo di situazioni di solito, chiunque andavano a importunare tremava come una foglia. Al contrario, quell'uomo sembrava stranamente tranquillo. Il più grosso dei tre sogghignando guardò gli altri due con uno sguardo complice e disse: "D'accordo, ti lasceremo stare, solo dovrai chiedere scusa al mio amico in ginocchio... come il codardo che sei." Gli altri due risero di gusto e a quel punto non ne poté più.

Con uno scatto velocissimo si alzò dallo sgabello e sferrò un potente destro a quello più grosso che si andò a schiantare contro la parete rompendola in parte e perdendo i sensi. Gli altri due, ancora sorpresi, non ebbero nemmeno il tempo di reagire che lui gli si gettò addosso. Con un calcio all'inguine atterrò il secondo che poi finì con pugno dritto sul mento facendogli sputare alcuni denti e sangue, il terzo tentò di reagire ma lui con una piroetta evito il pugno, lo afferrò per le spalle e lo scagliò fuori dall'ingresso del locale.

L'oste lo fissò visibilmente preoccupato e balbettando cercò di parlare, senza riuscirci. Il cavaliere prese un piccolo sacchetto dalla tasca destra, glielo lanciò e disse: "Tieni, per i danni e per il conto, il pollo era ottimo esattamente come la birra, mi scuso ancora, a presto." Detto questo spalancò le porte e si trovò in strada. Stava per andarsene fuori dal villaggio quando sentì una voce stentorea gridare: "Dove cazzo credi di andare, eh?" Si voltò e si trovò di fronte un vero e proprio gigante.

Era un uomo alto, oltre i due metri e dal fisico muscoloso, la sua testa era completamente rasata, gli occhi erano neri come il carbone e una folta barba scura gli scendeva fino al collo. Indossava un'armatura fatta interamente di ferro a esclusione delle gambe da cui si intravedevano i pantaloni. Quello era James Pekk.

L'uomo sospirò e domandò: "Per caso sei il capo dei tre gentiluomini che ho appena mandato a fare un riposino?” James, che alle spalle aveva uno dei suoi subalterni con il viso sporco di fango, sputò ai piedi del suo interlocutore e replicò: "Sì, esatto, sono proprio io!" Dalle case intanto a causa del baccano decine di persone stavano uscendo in attesa, secondo molti, di un altro futuro cadavere ad opera del tagliatore di teste.
"Sono stati loro a cominciare... Mi sono solo difeso." Ribatté lui anche se già sapeva come sarebbe andata a finire. Il colosso iniziò ad avvicinarsi ed estrasse una gigantesca spada a due mani, grande quasi quanto il cavaliere e furente rispose: "Ti sarai anche solo difeso ma chi osa toccare i miei uomini merita solo la morte!" "Non voglio combattere con te." borbotto lui serio e aggiunse "Lasciami andare per la mia strada..."
"Se sei un vero spadaccino estrai la tua arma e affrontami!" Esclamò Pekk iniziando ad avanzare sicuro di sé. Il cavaliere lo osservò con due occhi pieni di tristezza aveva capito che stava per macchiare di un'altra morte la sua coscienza già sporca.

Con un movimento rapido si tolse il mantello e fece vedere a tutti una splendida armatura d'argento con lo stemma di una tigre rampante intarsiata di gemme sugli occhi. Sul fianco destro si notava un lungo fodero nero da cui estrasse un'affusolata spada bianca come le nuvole del cielo.

Il bandito lo osservò un po' stupito si aspettava un qualche vagabondo non certo un simile tipo, ma senza lasciarsi sopraffare dalla sorpresa lo attaccò. James cercò d'attaccare a destra, ma il cavaliere si spostò a sinistra ed evitò il fendente con occhio vigile. Mirò al petto del gigante, che facendo un passo indietro evitò l'affondo e cercò di tagliare la testa del suo avversario, che frappose la sua lama contro quella del gigante bloccando così l'assalto. Il bandito fece un passo indietro e continuò ad attaccarlo da ogni direzione, ma senza successo data la velocità del suo avversario che, a un certo punto, come avvertimento disse: "L'hai visto anche tu non riesci nemmeno a toccarmi, smettila ora." Senza ascoltarlo il gigante eseguì un altro fendente mirando alla testa, ma lui, abbassandosi, evitò il colpo e con un movimento della spada tranciò di netto le gambe del suo nemico che crollo a terra.

James urlo dal dolore, gli spettatori erano completamente sbiancati e basiti, alcune donne urlavano dal terrore mentre l'aguzzino del villaggio veniva sommerso in una pozza del suo stesso sangue. Il cavaliere iniziò ad avvicinarsi a lui, gli alzò la testa e mormoro: "Hai visto cosa mi hai costretto a fare? Credi che ne sia felice?" Il suo avversario non rispose, sembrava che stesse piangendo dal dolore. Il cavaliere fisso i suoi occhi e vide la paura e lo smarrimento nell'uomo che fino a qualche minuto prima si dimostrava spavaldo. Lo afferrò per la testa e con voce dura disse: "Adesso farò ciò che tu hai fatto a molte altre persone, pagherai per ciò che hai fatto e per quello che mi hai fatto fare." Detto questo, senza che lui potesse rispondere gli taglio la testa di netto, la quale inizio a rotolare per le strade piene di fango. Il cavaliere si rialzò in piedi, si guardo le mani e le vide, come molte altre volte, sporche di sangue non suo.

Voleva piangere, voleva urlare, però sapeva che ciò non avrebbe permesso ai suoi peccati e alle sue colpe di sparire. Sentì tossicchiare, si girò e vide che un anziano, forse il capo villaggio, lo guardava con un misto d'ansia e di pauragli si avvicino e disse:"La ringrazio per averci liberati da questo flagello, potrei sapere il nome di colui che ha eliminato questa minaccia?" Il cavaliere osservò per qualche minuto la folla che lentamente si era radunata e fissava da una parte lui e dall'altra parte il cadavere, si mise il cappuccio, poi la sciarpa e, voltandosi di spalle, sussurro: "Io non ho più un nome, o almeno finché non avrò adempiuto al mio compito non posso rivelarlo. Voi potete chiamarmi semplicemente Occhi Grigi. Detto questo il cavaliere si incamminò e alcuni raggi di sole illuminarono finalmente il villaggio.





Angolo dell autore: Salve a tutti questa è una piccola raccolta che mi è venuta in mente solo l altro giorno e la voglio rendere pubblica, la narrazione consisterà in circa 5 o 6 capitoli, forse di più se mi vengono in mente altre idee, recensite pure aspetto vostre risposte :D 
 
   
 
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