Capitolo
tre
-
Un
colpo di fortuna.
«Mi
piaci di più quando non ci sei.
L'assenza nasconde i difetti e copre ogni ricordo ostile,
così mi ritrovo a pensarti nella tua parte
migliore.
Non riuscirai mai a essere più bella del mio ricordo di te
nella lontananza»
»
La pietà dell'acqua, Antonio Fusco.
“Attenzione”.
La
voce robotica uscì dall'altoparlante, si propagò
in ogni stanza
del Rifugio: “Il
Plutone è in arrivo, attenzione. Presentarsi nell'aula dei
ricevimenti per la cerimonia, attenzione. I ritardatari non
resteranno impuniti, attenzione”.
Ivan
sussultò al messaggio inatteso, le cinque erano scoccate e
lui non era ancora pronto.
«Accidenti!»
Urlò
il mal capitato, si sistemò il cappello per nascondere la
bandana,
indossò la maglia della divisa e cominciò a
correre a perdifiato
lungo il corridoio. Era in ritardo alla cerimonia, Ivan era famoso per
l'incapacità di rispettare gli orari, trovava sempre un
impegno che lo tratteneva fino all'ultimo minuto. Si
era isolato per un po' nella camera con gli attrezzi ginnici, aveva
preso a pugni il sacco pieno di sabbia per schiarirsi le idee, ma
aveva perso la concezione del tempo.
Il
fatto che doveva salire sul palco per presentarsi come tutore non
l'aiutava, Giovanni non voleva fare figuracce davanti
ai novellini. Esigeva la perfezione.
Era
solo una questione di minuti.
Un
piano.
Ivan
correva lungo la scalinata con le ginocchia molli dall'emozione, i
gradini erano la via più veloce, l'ascensore era
più lento.
Riuscì a intravedere la soglia della sala, i suoi
colleghi erano in fila davanti alla porta. Il sorriso si
propagò
lungo il volto di Ivan. Si poteva considerare un colpo di fortuna.
*
* *
Max
era stato male per tutto il tragitto.
La
tortura era durata poche ore, ma la traversata in mare
sembrò
interminabile. Il rosso detestava profondamente l'oceano e l'acqua in
generale, provava disgusto per la brezza marina che gli accarezzava
il volto. Vomitò anche l'anima nella stiva semi buia del
traghetto
mezzo diroccato, sotto lo sguardo ripugnato dei compagni
dall'intestino d'acciaio, era bianco come un cadavere quando
l'imbarcazione
attraccò al porto di Aranciopoli, l'incubo era finito.
Almeno in
parte.
Dana
e Leila non si erano mai separate dall'amico e, per affrontare il
tratto di strada a piedi, Max si lasciò aiutare dalle due
donne. I
tre riuscirono a raggiungere il pullman in perfetto orario, sul quale
montarono non appena avevano sistemato i pochi bagagli.
Max si adagiò sul sedile e iniziò ad assopirsi,
stanco com'era. Non
molto e si addormentò.
Quando
Dana l'aveva svegliato erano ad Azzurropoli, il veicolo non era
parcheggiato molto lontano dal Casinò, bastava attraversare
la
strada. Le otto reclute erano vicine al Rifugio, potevano procedere
in tutta sicurezza e sentirsi liberi di spogliarsi dai travestimenti.
Max cominciava a odiare il cappotto enorme, era stato il primo a
disfarsene.
Si
guardò attorno.
L'orologio
segnalava le cinque precise e la quiete faceva da sovrana eppure,
gran parte dei cittadini, si incamminavano sulle vie principali per
fare ritorno alle abitazioni. L'aria della sera era mossa da un
venticello fresco, i raggi del sole cominciavano ad affievolirsi.
Meraviglioso.
Sublime. Stupendo.
Max adorava già quel posto, fremeva dalla
voglia di andare a scoprirlo, da amante della ricerca non vedeva
l'ora di mettere le mani sui segreti di Azzurropoli. Sorrideva in
silenzio mentre si sistemava i capelli rossi con il pettine
tascabile, poi si copriva la testa con il cappello nero, intanto Dana
e Leila chiacchieravano del più e del meno, le loro emozioni
erano
palpabili con mano. Max era troppo impegnato a guardare il
Casinò
per intromettersi, era una struttura imponente illuminata da un
numero illimitato di luci, faticava a contarle tutte. Lo poteva
definire come casa, il posto in cui avevano allestito un laboratorio
professionale pronto per accoglierlo.
«Dai
Passerotto, muoviamoci»
L'incoraggiamento di Leila.
Max
tornò alla realtà e annuì con un
movimento leggero della testa,
poi recuperò il proprio bagaglio e si lasciò
guidare dai colleghi,
capitanati a loro volta da un Generale dai comportamenti piuttosto
eleganti e raffinati, il quale era impegnato a spiegare il modo
più
rapido per entrare nell'edificio senza farsi scoprire dagli abitanti
del posto. Il
rosso non parlava dalla troppa emozione, era difficile
anche immagazzinare quel susseguirsi di informazioni. Il regolamento
era più o meno simile a quello adottato nel campo di
addestramento,
perciò non era complicato tenere a mente la porta che
permetteva
ogni genere di spostamento. Peccato
che, se non erano previste delle missioni, servivano i permessi per
lasciare il Rifugio. Lì la sicurezza veniva prima di
qualsiasi altra
esigenza, a quanto pare Giovanni non era il personaggio che si
rovinava a causa degli inetti.
I
passi di Max erano in perfetta armonia con quelli dei compagni di
squadra, i suoi occhi si spostavano da una zona
all'altra senza mai fermarsi e, attraversata la soglia che conduceva a
un
corridoio vuoto decorato da un misero poster, si augurava di
conoscere persone tranquille o con cui era possibile aprire una
conversazione.
Sospirò e si mordicchiò il labbro. Era nervoso.
Il
Generale Rocket a quel punto si fermò all'altezza del pezzo
di carta
ridotto a brandelli, infilò la mano sotto di esso e
schiacciò un
pulsante.
Si udì un fastidioso suono metallico e il pavimento
rivelò la presenza di un passaggio
segreto, che celava delle scale a chiocciola. Scendevano verso il
basso, il nascondiglio del Team si trovava nei
sotterranei.
Max poteva mettere piede dentro al Rifugio
del Team Rocket.
* * *
«Ivan,
dove eri finito?! Stavamo per cominciare senza di te»
Non
appena Ivan aveva messo piede dentro alla sala, felice di averla
fatta franca ancora una volta, Ariana l'aveva trascinato nella parte
più remota della stanza. Lì aveva cominciato a
rimproverarlo,
ribolliva dalla rabbia.
«Ho
perso la cognizione del tempo, mi stavo allenando con il sacco, mi
dispiace»
si giustificò Ivan,
poi abbassò lo sguardo per evitare quello della donna. «Non
succederà più, lo giuro»
Ariana
scrollò le spalle e ignorò completamente le
promesse di Ivan, ormai
erano anni che le sentiva ripetere. Niente era cambiato, era rimasto
il solito ritardatario.
Anche punirlo era diventato inutile.
«Ancora
mi domando come mai Giovanni ha scelto te come tutore, ci voleva
qualcuno di più affidabile. Non rispetti mai il regolamento,
ti
perdi nel Rifugio e con le parole sei un disastro. Giovanni ha voluto
rischiare»
Ivan
arricciò le labbra e assottigliò lo sguardo, poi
intrecciò le
braccia contro al petto. Cercò di soffocare la rabbia, era
indispettito dalle critiche poco costruttive del Generale. «Non
la pensa come te. Ma dove sono i nuovi arrivati?»
«Il
tuo superiore si sta preoccupando di accompagnarli, tu
pensa a comportarti da gentleman oppure al discorso di benvenuto. Se
fai il selvaggio come al tuo solito, li farai scappare».
Seconda
frecciatina.
Ivan
scrollò le spalle, restò in silenzio e si
massaggiò il collo per
rilassare i nervi. Era agitato a causa dell'incarico improvviso, Ivan
non era in grado di formulare le parole giuste in un breve lasso di
tempo, se l'avesse saputo qualche giorno fa non si sarebbe ridotto
all'ultimo minuto.
Ma così non era stato.
A
quel punto sperava solo di cavarsela, ma era difficile sperare in un
successo.
Aveva
bisogno di un miracolo.
«Farò
del mio meglio»
commentò
infine.
«È
quello che tutti si aspettano da te, sei ancora sicuro di voler
proseguire Ivan?»
la donna si
posò una mano sul volto per nascondere il sorriso, il modo
in cui
ridacchiava era semplicemente celestiale, però
gettò uno sguardo
provocante su Ivan.
Non era un buon segno.
«Sarei
felice di cambiare
tutore all'ultimo minuto, almeno Gerardo saprebbe cosa fare al tuo
posto. Lui è un ottimo lavoratore, a differenza tua, ancora
non
capisco come mai non segui il suo esempio e ti impegni fino
all'ultimo. Eppure passate tutto il tempo insieme»
Ivan
digrignò i denti dalla rabbia, Ariana aveva oltrepassato il
limite.
Era a conoscenza del fatto che fosse più velenosa del Budew
di Gerardo, adorava il carattere forte che le aveva
permesso di diventare un Generale Rocket, ma non poteva prendersi
delle libertà simili. Non con lui, Ivan non era l'uomo che
si
lasciava mettere i piedi in testa così facilmente. «Parli
sempre di lui, ma se ti piace così tanto perché
non te lo sposi?»
Ivan la stuzzicò con un sorriso sfacciato sul volto,
donandole una
gomitata fastidiosissima sul braccio.
La donna non si azzardò a rispondere, infuriata com'era, si
limitò
ad agguantargli una guancia con due dita, pizzicandole con forza.
Ivan iniziò a lacrimare e si dimenò per liberarsi
dalla stretta, ma Ariana non lo lasciava andare.
«Non
ti azzardare più a parlarmi in questo modo, sono stata
abbastanza
chiara Ivan?»
Ivan
annuì e la donna lo liberò. Si
massaggiò la mascella, osservò gli
occhi cangianti della ragazza. «Sai
Ariana, ti detesto quando mi paragoni a Gerardo»
commentò con un sospiro.
«Tu
mi infastidisci quando non rispetti le regole, eppure continui a fare
di testa tua»
replicò Ariana.
La porta principale si aprì con uno schianto e i due
terminarono
di parlare mentre guardavano le otto reclute, che entravano nella
sala insieme ad Archer, il Generale Rocket più rispettato da
quelle
parti. Come Ariana anche il secondo Generale era fedele a
Giovanni, lavorava a stretto contatto con lui e indossava la divisa
bianca al posto di quella nera. Nonostante i tratti somatici asiatici
che lo caratterizzavano, aveva la pelle chiara ma decorata da
deliziosi occhi a mandorla, quest'ultimi erano di un elegante verde
acqua e si intonavano con i capelli dello stesso colore, li portava
rasati e non scendevano più in là della testa.
Era giunto il
momento di salire sul palco.
Ivan
era nervoso, iniziò a muoversi per raggiungere la sedia in
cui
doveva sedersi, aspettare che i Generali parlassero del più
e del
meno per esporre al meglio il regolamento, poi doveva prendere il
controllo del microfono e terminare la cerimonia con un bel discorso.
Ariana gli afferrò la mano:
«Ti
auguro buona fortuna, ti servirà Ivan»
«Non
preoccuparti, Ariana, me la caverò»
«Lo
spero bene, è risaputo che le tue sono promesse da marinaio»
«Da
stasera sarò sulla bocca di tutti, me lo sento»
esclamò Ivan con il sorriso e agguantò la mano
della donna, nell'attimo dopo la baciò velocemente.
«Sì
Ivan...»
«Posso
andare adesso?»
«Vai
e conquistali tutti»
«Lo
farò, stanne certa»
Era la prima volta
che Ivan saliva sopra a un palco per dedicarsi a
un discorso, non era piacevole avere un sacco di occhi puntati
addosso.
Ma non poteva tirarsi indietro, non dopo che aveva
accettato l'incarico da tutore, doveva prendere la palla al balzo e
affrontare la situazione come meglio poteva.
Per
fortuna Giovanni era seduto al suo fianco, teneva il sigaro acceso a
portata di mano e si gustava un delizioso drink dello stesso colore
dell'ambra. Mentre Archer illustrava il regolamento ai nuovi
arrivati, il Capo tirava delle gomitate a Ivan per permettergli di
adocchiare le due ragazze presenti tra i novellini, erano molto
carine riguardo l'aspetto. Il tutto sotto lo sguardo assassino di
Ariana, seduta poco più in là.
Ivan non voleva commettere
errori, ma lasciò che per una volta le emozioni prendessero
il
sopravvento, perciò cominciò a ridacchiare alle
battute sporche che
gli arrivavano alle orecchie, ogni tanto buttava giù un
sorso
dell'alcoolico che aveva recuperato prima di sedersi. Non gli faceva
bene ingerire quel genere di sostanze, non prima di parlare al
microfono, ma non riusciva a essere coraggioso senza un piccolo aiuto
esterno.
Terminati
i comportamenti maliziosi, Ivan si preoccupò di gettare lo
sguardo
sui nuovi arrivati. Erano otto personaggi, a prima vista parevano
uguali data la presenza della divisa nera, se ne stavano in fila
davanti all'impalcatura e dipendevano dalle parole del Generale.
Uno
in particolare.
Ivan
non riuscì a inquadrarlo, aveva notato solo dei
capelli rossi.
«Ivan
alzati, è il tuo turno adesso»
Ariana
l'aveva salvato da una figuraccia, per fortuna.
Ivan
deglutì e guardò sia Ariana che Giovanni, non era
pronto. Lasciò il bicchiere da una parte e si
alzò malamente dalla sedia,
sentiva che l'alcool mentre gli circolava nel sangue, successivamente
si avvicinò al microfono e lo impugnò con
delicatezza.
Un
respiro.
Poi
iniziò a parlare.