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Autore: Adeia Di Elferas    20/10/2015    2 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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 “Ecco, come lor signori mi avevano chiesto – disse il segretario del vescovo Alessandro Numai, porgendo un foglio a Girolamo Riario – ho qui un elenco delle glabelle più invise alla città di Forlì.”
 Caterina si sporse in precario equilibrio sul suo cavallo per riuscire a strappare di mano al marito il resoconto.
 Girolamo non se ne lamentò, dissimulando il proprio disappunto solo per non fare una figura troppo meschina col segretario.
 Caterina lesse in fretta l'elenco e trovò molte delle tasse imposte dagli Ordelaffi veramente inutili. Balzelli sulla spesa, sulla dote delle spose, sul macinato, finanche sulle eredità... Tuttavia, si trovò a pensare che se negli anni gli Ordelaffi si erano spinti così oltre, significava che la città era difficile da mantenere.
 Per i primi tempi – Caterina dubitava che Sisto IV sarebbe vissuto ancora a lungo – avrebbero potuto usufruire dei proventi delle mille cariche che Girolamo aveva in Vaticano, ma poi, forse, pure loro avrebbero dovuto imporre tasse e balzelli...
 Poco importava, però, in quel frangente. L'importante, come in tutte le cose, era cominciare con il piede giusto. Se avessero catturato la benevolenza del popolo, sarebbe stato più facile, in futuro, far digerire ai Forlivesi una stretta economica dettata dalla necessità.
 “Oggi entreremo in città e ci lasceremo andare ai festeggiamenti.” decretò Caterina, mentre scorreva ancora la lista: “E domani, vi suggerisco di fare una comunicazione ufficiale in cui dichiarerete eliminate tutte queste tasse.” e ridiede il foglio al marito.
 A Girolamo non era sfuggito il tono di ordine nascosto dietro il 'vi suggerisco' usato a beneficio del segretario. Come se anche lui, come tutti gli altri, non avesse capito l'aria che tirava tra i due coniugi...
 “Ah, parlate bene voi...” si lamentò Girolamo, accarezzando distrattamente il collo del cavallo, mentre l'animale superava a fatica un tratto fangoso: “Abolire le tasse! E i conti? Come faccio a far tornare i conti? Vi rendete conto di quanto è difficile tenere a quadro un bilancio?”
 Caterina non scoppiò a ridere per un pelo. Sentire suo marito che si preoccupava del bilancio era quanto di più comico le fosse mai accaduto. Quell'uomo non sapeva nemmeno quanto costava in media un sacco di macinato e ora voleva farle credere di essere un fine economista?
 “Insomma, la città va già bene così, ha buoni introiti... Se togliessi tutte queste giuste tasse, dove andrei a prendere i danari per portare avanti tutto, eh?” chiese Girolamo, guardando il segretario, nella speranza di trovarvi un appoggio.
 In tutta risposta, il segretario si mise a scrutare l'orizzonte, come se non avesse sentito e Caterina scosse il capo: “Li prenderete dove li prendete per fare ogni cosa: dalle vostre casse personali. Che poi sono le casse Vaticane, visto che di vostro non avete ancora guadagnato un centesimo.”
 Al che Girolamo fermò di colpo il cavallo, causando un breve scompiglio nel seguito, che per non travolgerlo dovette fare altrettanto: “Come vi permettete...!” disse, gli occhi lampeggianti di rabbia.
 Se c'era una cosa che lo faceva infuriare, soprattutto negli ultimi tempi, era che qualcuno gli ricordasse la sua inettitudine. Se poi a farlo era la moglie e davanti a così tanti testimoni, allora Girolamo perdeva completamente la testa.
 Caterina si pentì immediatamente della sua sfrontatezza. Erano a poca distanza, ormai, da Forlì e non poteva permettersi un ripensamento del marito proprio ora che era in vista delle mura.
 “La signoria di Forlì vi frutterà molto, mio signore.” lo lenì, facendo avvicinare il suo cavallo a quello del marito: “Ma prima dovrete investire per qualche tempo. Gli Ordelaffi hanno fallito perchè non avevano un capitale iniziale da investire, mentre voi l'avete.”
 Girolamo strinse il morso, occhieggiando tutt'attorno, notando con vergogna come gli sguardi del loro seguito fossero tutti o quasi di aperto biasimo nei suoi confronti.
 Così si convinse a spronare il cavallo: “Ci penserò.”
 Quando diceva così era come ammettere che dava ragione alla moglie, perciò Caterina non tornò più sull'argomento, sicura che il giorno seguente Girolamo avrebbe annunciato a tutti l'abolizione delle glabelle.
 Da parte sua, Girolamo non fece altro, per quel poco che restava del viaggio, che osservare Caterina. Più il tempo passava, più l'ammirava e l'amava. E questo lo faceva adirare più di ogni altra cosa. Si sentiva inferiore a lei e il suo continuo respingerlo e disprezzarlo lo faceva soffrire e arrabbiare, intrappolandolo in una vita di sofferenza.
 Quella donna, appena diciottenne, lo faceva sentire molto piccolo. Più volte Girolamo aveva detto di non poter più vivere senza di lei, e chi lo aveva sentito aveva pensato che si riferisse alla bellezza della moglie, o alla sua grazia. Invece Girolamo non poteva più fare a meno della mente brillante di Caterina, dei suoi consigli – che apprezzava, in fondo, anche quando erano ordini – e anche della sua freddezza e durezza, perchè lei era così e lui l'amava così.
 Girolamo aveva e aveva avuto tantissime donne, alcune bellissime, ma l'unica che aveva mai amato era stata Caterina. Ed era l'unica su cui lui sembrava non aver alcun effetto, se non negativo.
 “Siamo arrivati.” annunciò improvvisamente Caterina, risvegliando dai suoi pensieri Girolamo, che si stava perdendo al ritmo lento e cadenzato dei passi del suo destriero.
 Caterina vide negli occhi dell'uomo di nuovo quel timore velato, quello spettro di paura che non lo lasciava quasi mai.
 Sperò che i Forlivesi non lo notassero mai. Parte della città, aveva sentito dire, stava ancora dalla parte degli Ordelaffi, ingiustamente cacciati dal papa e un nuovo signore che aveva paura anche della sua ombra non sarebbe stato adatto a una situazione così delicata...
 Le mura della città erano tanto vicine da gettare sul corteo una lunga ombra e quasi si poteva sentire il vociare eccitato del popolo appena oltre.
 “Non credete che sarebbe meglio lasciare indietro la scorta armata e entrare tranquillamente da soli, per far capire che ci fidiamo?” chiese Caterina, mentre tutti rallentavano il passo, per ordinare la colonna in modo da fare un ingresso spettacolare.
 “Ma io non mi fido!” ribatté Girolamo, la voce resa acuta dal panico improvviso.
 “Ma dimostreste di essere un signore coraggioso e forte, che non ha bisogno di tutte queste armature per entrare nelle città che è sua di diritto...” provò Caterina.
 “Devo ricordarvi che Giuliano Medici è morto perchè si avventurava tra la folla senza armatura e senza scorta?” prese a dire Girolamo: “E se l'avete dimenticato anche vostro padre, ha fatto una fine molto simile se avesse avuto un minimo di prudenza, non sarebbe stato ammazzato davanti a una chiesa come un...”
 Caterina lo stava guardando con la mascella contratta e le mani strette attorno alle redini, con gli occhi torvi, come se la stretta impressa ai finimenti fosse in realtà destinata al collo di Girolamo.
 “Non credo di poterlo dimenticare.” disse Caterina, quasi sussurrando.
 “Sì, ecco...” farfugliò allora Girolamo, mentre il suo cavallo si faceva irrequieto: “Quindi...”
 “Quindi io vi precederò, senza scorta. Voi arrivate pure dopo, quando vi sarete assicurato che non sono stata uccisa come un cane. E portatevi anche la scorta. Magari trecento uomini armati a cavallo non verranno notati da nessuno, che ne dite?” fece Caterina voltando il suo destriero e ordinò a uno degli uomini più fidati che avevano: “Corri in città senza farti notare e cercami Andrea Bernardi. Voglio sapere tutto su come partecipare in modo corretto ai festeggiamenti di questa città. Appena l'avrai trovato, portalo da me. Intanto io faccio l'ingresso ufficiale. Mio marito seguirà dopo di me, con la sua scorta.”
 “Ma siete incinta!” tentò allora Girolamo, mentre la moglie si allontanava quasi al galoppo, seguita da un paio di portabandiere: “Nel vostro stato non dovreste...!”
 Ma Caterina era già troppo lontana per sentirlo, così Girolamo concluse in un bisbiglio: “...correre pericoli.”
 
 Caterina aveva sentito parlare di quel Bernardi da Michele Arcesio, un soldato che era stato a servizio di suo nonno Francesco Sforza e di cui lei era diventata amica. L'aveva anche rivisto di recente, a Roma, e proprio in quell'occasione egli le aveva ribadito che se c'era qualcuno che conosceva bene la città, quello era proprio Andrea Bernardi.
 Proprio mentre Caterina varcava le porte della città, accolta da un tripudio di colori e grida, vide il suo uomo di fiducia arrivare di corsa assieme a quello che doveva essere Andrea Bernardi.
 Caterina ordinò all'uomo del suo seguito di lasciare il cavallo alla guida e così cavalcò accanto a Bernardi, che era così agitato che per poco non cadde di sella dall'emozione.
 “Mia signora, è un onore, un onore...” balbettò il Novacula, sovrastando a stento il rumoreggiare della folla.
 Caterina gli spiegò in breve come aveva fatto a pensare a lui e il barbiere ne parve davvero lusingato.
 “E ora spiegatemi qualcosa in più di Forlì.” disse Caterina, mentre agitava la mano verso il popolo, sorridendo e lanciando baci.
 “La città è ovale, mia signora, con circa dodicimila abitanti e le mura, le mura...” Bernardi aveva la bocca impasta ed era sopraffatto da tutto quel caos e dall'inaspettata opportunità di parlare, primo tra tutti, con la nuova signora di Forlì.
 “Vostro marito non c'è?” chiese, senza riuscire a frenare la lingua.
 “Mio marito è poco dietro di noi. Entrerà in città dopo. Ha voluto lasciare a me l'onore di conoscere per prima i Forlivesi.” mentì Caterina, con il più dolce dei sorrisi dipinti in volto.
 Il Novacula restò folgorato da quel viso così perfetto, fresco e giovane, affatto provato dal caldo torrido e da quello che doveva essere stato un lungo e difficile viaggio. Notò che la giovane aveva il ventre gonfio, ma riuscì a trattenersi, stavolta, e non chiese alla sua signora conferme di quella che sembrava una gravidanza quasi a termine.
 “Proseguite, avanti, ditemi altro.” lo incoraggiò Caterina, mentre rallentavano la marcia, per permettere a tutti i presenti di vedere meglio e di urlare i propri incoraggiamenti alla nuova signora.
 Il Novacula parlò delle quattro porte, delle chiese e delle strade principali. Si perse nel raccontare come gli Ordelaffi dall'oggi al domani erano stati spodestati e si permise pure di far intendere come parte della popolazione fosse scettica nei confronti di questa decisione del Santo Padre.
 “È comprensibile.” annuì Caterina, lasciandosi guidare dal barbiere-storico verso il centro della città.
 “Inoltre, ecco, i rappresentanti della chiesa, ecco, in città non sono molto, come dire... Apprezzati...” si trovò a confessare Bernardi: “Ed essendo la signoria di vostro marito nipote illustre del Santo Padre...”
 “Non temete. Non ricorderete nemmeno che mio marito è nipote di Sisto IV. È lui il primo a non aver a cuore lo stato Vaticano...” fece Caterina. Una confessione scomoda in cambio di un'altra confessione scomoda.
 “Eccoci, mia signora.” disse poi il Novacula, mentre davanti a loro si apriva una piazza piena di gente: “Questa è la piazza Grande e, ecco, c'è l'usanza...”
 “Ditemi, senza timore.” disse Caterina, gli occhi verdi spersi a guardare giovani, vecchi e bambini assiepati davanti a lei, intenti ad appludire, fischiare e vociare.
 “Il nuovo signore, vostro marito, dovrebbe percorrere a cavallo tre giro di piazza e finita la corsa lasciare che il popolo lo sollevi di sella e lasciare cavallo e finimenti alla gente... Noi diciamo che il signore deve 'correre la piazza' e poi sottoporsi al 'furto del cavallo'. Solo così verrà riconosciuto come signore di Forlì. Sono le usanze...” soggiunse il Novacula, a mo' di scusa.
 “Capisco.” disse Caterina, facendosi un attimo pensierosa.
 Proprio non ci voleva. Suo marito non si sarebbe mai prestato a una simile cosa. Tanto meno avrebbe permesso ai Forlivesi di sollervarlo di peso dalla sella...
 “Bene, bene...” soffiò Caterina, facendosi già agitata all'idea di quello che sarebbe accaduto se Girolamo si fosse rifiutato di seguire la tradizione.
 “Potremmo aspettare vostro marito là in fondo, dove è stato preparato il vostro palco, mia signora. E quando arriverà potrei rispiegargli la questione...” disse il Novacula, agitato.
 L'uomo aveva capito che qualcosa turbava la sua nuova signora e di riflesso anche lui ne era turbato. Conosceva bene i suoi concittadini e sapeva che non l'avrebbero presa bene, se la corsa della piazza e il furto del cavallo non fossero andate secondo tradizione.
 “Va bene. Aspetteremo insieme mio marito. Nel frattempo, parlatemi ancora delle usanze di questa città, sono molto desiderosa di apprenderle.” convenne Caterina e si lasciò guidare fino al palchetto, guardandosi di tanto in tanto alle spalle, nella speranza che Girolamo arrivasse in fretta e che, una volta nella vita, facesse la cosa giusta.
 
 
 

 
 

 

   
 
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