You
do?
La
mattina arrivò troppo velocemente, sebbene avessi
passato il resto della notte a fissare il soffitto inquieta, stare
lì al
calduccio mi piaceva. Al buio della stanza, in silenzio potevo ancora
fare
finta che fosse uno strano sogno, che non mi ero davvero sposata con
una
rockstar finlandese, che il ragazzo accanto a me, che mi stringeva
contro di
lui, fosse una persona qualunque, conosciuta per caso e per caso
condiviso una
notte di passioni.
E
invece no.
Era
un bellissimo e pallido angelo, che veniva da
una remota parte dell’Europa, che avevo anche
difficoltà a rintracciare sulla
cartina geografica, e faceva per qualche strano scherzo del fato, parte
della
mia vita.
Nei
film, i matrimoni a Vegas prendono in
considerazione tutta la parte romantica, i sospiri, il divertimento
nello
sposare uno sconosciuto. Ma poi finisce lì. Dopo arriva la
mattina e non si è
più indipendenti, bisogna avvisare amici e parenti, trovare
i soldi per
l’avvocato o cercare in qualche modo di costruire una vita
insieme.
E’
difficile, dannatamente disperatamente difficile.
E
io già sguazzavo allegramente nelle seghe mentali.
Cosa
dovevo fare ora?
Dovevo
chiamare mia madre. Almeno lei povera donna,
le sarebbe preso un infarto. Era una lesbica convinta, democratica e
contro il
matrimonio. L’avrei uccisa.
E
poi chiamare in ufficio, sicuro volevano sapere
com’era andata l’intervista. Cosa gli dovevo dire?
Ho sposato l’intervistato.
Anzi, mi sono fatta convincere a farlo.
E
ora. Lui aveva il suo tour, io il mio lavoro.
Inconciliabili. Io vivevo a New York e andarmene era fuori questione.
Lui
girava il mondo a suonare. Zero futuro.
Però.
C’era un però. Stare lì tra quelle
braccia
magre, guardarlo dormire…era così dannatamente
invitante.Non sapevo chi era. Ma
volevo, anzi, speravo di avere una vita per conoscerlo, per innamorarmi
di lui.
Avevamo iniziato al contrario, ma il cuore mi diceva, che, forse questo
per me
era l’unico modo di legarmi a qualcuno. La logica urlava di
dolore per lo
sgarbo che le stavo facendo, ma il cuore batteva forse, giocando a
bowling con
la ragione. E facendo strike.
“Svegliati”
tentai, togliendo tutte le coperte e
lasciandolo nudo. Argh. Difficile resistere, ma dovevo farlo. Prima
parlavamo,
poi potevamo permetterci di passare a cose più divertenti.
“Che
c’è?” chiese stiracchiandosi e cercando
i boxer
sparsi da qualche parte sul letto.
“Dobbiamo
parlare” dissi solenne. Incrociando le
gambe e le braccia.”E non sento scuse!”.
Sorridendo
si mise sull’attenti, pronto ad
ascoltarmi, anche qualcos’altro si stava mettendo
sull’attenti, ma cercai di
non farci caso.
“Che
si fa ora?”
Pensieroso
frugò nella sua giacca buttata per terra,
ne tirò fuori una sigaretta, l’accese e ma la
porse, poi fece lo stesso per
lui.
“Ci
serviranno” disse.
Stupita.
Ero stupita. Come faceva a sapere che
necessitavo urgentemente di una sigaretta? Era disumano.
“Allora.
Ormai la pazzia l’abbiamo fatta”
Grugnii.
Ci voleva un genio per capirlo. Capra, che
non era altro.
“Io
sarei per provarci, che ne dici?”
Tutto
qui?
Provarci.
E
tutti gli altri problemi dove li mettiamo? Non
siamo nel paese dei balocchi, dissi a me stessa. In realtà
non avevo la forza
di parlare, la mia parlantina aveva collassato, insieme al mio cuore.
Non
volevo ammettere che un po’ ci speravo che avesse risposto
così. Forse bastavo
io a farmi i problemi. Se lui la faceva semplice, e io mi complicavo la
vita,
magari non sarebbe poi finita così male.
Drin
drin.
I
nostri cellulari squillarono insieme.
Era
Lon. Dannazione.
“Si,
si, Lon tutto bene. L’intervista, fantastica,
te la mando appena posso.”
Come
se ci stesse credendo. Mi chiese senza troppa
gentilezza cosa avessi combinato.
“Ehm,
niente di che. Mi sono solo sposata. Sai com’è
Vegas…un bel ragazzo.”
Inizio
a ridere come un’idiota.
“Bella
questa Andy, hai sempre avuto una fantasia
meravigliosa. Beh, quando ce l’hai pronta mandamela, ci
vediamo quando torni.”
Ecco
cosa succedeva quando facevi cose pazze, la
gente non ci credeva. Sarebbe stato con tutti così, me lo
sentivo.
“Babe?”
La voce di Ville mi distolse dalle mie urla
silenziose.
“Sì?”
“Io
stasera ho il concerto, vuoi il pass?” mi chiese
sovrappensiero.
“Solo
se mi ci fai scrivere sopra Andrea Valo”
risposi ridendo. Mi avvicinai e istintivamente gli spostai un boccolo
dalla
faccia.
“Ovviamente,
che altro volevi scriverci?” disse
prendendomi il polso, in un gesto possessivo. “Devo
annunciarlo ai quattro
venti che finalmente anche io mi sono sposato. Ah ah. E con una bella
vipera di
New York, cinica e antipatica. Era anche ora.”
Mi
strinse contro il petto, la sua stranissima
risata risuonava nella cassa toracica, scuotendomi. Era contagiosa.
Iniziai a
ridere anche io.
“Siamo
senza speranza lo sai?” gli dissi
strusciandomi contro di lui.
“Ce
la faremo, mia signora” rispose, mi baciò la
fronte. “Abbiamo una vita per conoscerci e tanto tanto sesso
da fare. Non avrai
pensato spero che non volessi riscuotere i miei diritti di marito
vero?”.
“Non
attendo altro, mio signore”.
Mi
fissò un attimo. Poi controllo qualcosa sul
piccolo cellulare che teneva in mano.
“Ah,
hanno finito”.
“Finito
cosa?”
“Di
portare le tue valigie qui!”
Iniziai
a ridere di nuovo. Senza speranze,
decisamente senza speranze. Soprattutto se ogni minuto che passava mi
convincevo, che forse, ma solo forse, la mia cazzata si stava rivelando
la più
grande figata della mia intera vita.
“Finito
a Vegas me ne torno a casa prima di iniziare
a registrare il nuovo album.” Disse, buttandola lì
con nonchalance.
New
York, pensai. Avevo tutto lì. Helsinki, non
sapevo nemmeno dove fosse.
“Pensi
alla tua città, eh?” mi chiese.
Annuii
silenziosa.
“Io…”
iniziò. “Ho passato un brutto periodo, molto
brutto. Tornare nella mia città mi ha ridato vita.
E’ un posto strano,
misterioso e gentile. Si fanno cose normali, la vita è
tranquilla. La mia
famiglia è lì.”. Una lacrima, al
pensiero di casa sua, gli sfiorò il volto.
Non
mi stava narrando di Helsinki, la sua era una
dichiarazione d’amore.
“Mi
stai subdolamente cercando di convincere a
venire con te a Helsinki?” chiesi.
“Uno
sfrutta le carte che ha” rise.
“Ci
devo pensare. Devo pensare a tutto” risposi.
“New York no eh?” aggiunsi, con un briciolo di
speranza.
“Ehm”
“Come
non detto!”
Mi
avvicinai e lo baciai. “Sei un pezzo di merda lo
sai vero? Se riuscirai a convincermi a venire lì, pretendo
ore di adorazione
della mia persona, intesi?”
Vidi
una luce di speranza brillare nei suoi occhi.
Era bello a volte far felice qualcuno.
“Adesso
andiamo a goderci un po’ Vegas!”
“In
realtà volevo presentarti ai ragazzi” disse
raggomitolandosi su una poltroncina e accendendosi un’altra
sigaretta.
“Ai
ragazzi?”
“Si,
alla band. Saranno entusiasti di te.”
Si,
come no. Sparane un'altra mio bel pinguino della
Scandinavia.