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Autore: Betta7    30/10/2015    5 recensioni
La ragazza S. e il ragazzo A.
Il Destino è un mistero che ci avvolge completamente nelle sue mani e, tra due anime affini, niente può fermare il corso dell'Amore.
" Non riuscivo a pensare lucidamente e, anche se era piuttosto stupido e alquanto imbarazzante, non riuscivo neanche ad immaginare quanto sarebbe stata bella.
Stringevo tra le mani il pacchetto con la rosa all'interno e, riflesso su di esso, vidi Sana scendere dalle scale.
Mi sembrò che il mio cuore si fosse fermato e che, improvvisamente dopo qualche secondo, avesse ripreso a battere. "

" Appoggiai di nuovo la testa sulla sua spalla e mi lasciai portare da lui, e mi resi conto in quel preciso istante dell'enorme fiducia che riponevo in quel ragazzo.
Eravamo amici-nemici, da sempre, eppure non avrei affidato la mia vita in mano a nessun altro. "

Dopo University Life, un'altra storia su un rapporto ai limiti dell'impossibile, un passo separa l'Amicizia e l'Amore.
Ma il Destino sa sempre cosa fa.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Natsumi Hayama/Nelly, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 10.
E ADESSO...


Pov Akito.

Ero al telefono con Tsuyoshi da ore, cercando di farmi consigliare su cosa regalare a Sana per il nostro secondo mese di matrimonio, ma come sempre nè io nè lui riuscivamo a deciderci.
«Tutto ti sembra banale, non pensi di esagerare adesso? Io avrei una vita, tanto per la cronaca."
Avrei voluto sbattergli in faccia tutte le volte in cui mi aveva chiamato parlandomi e riparlandomi del suo pasticcino, mentre l'unica cosa che volevo era mandarlo al diavolo, ma non potevo perchè era il mio migliore amico.
«Grazie dell'aiuto, Tsuyoshi. Veramente, sei un amico.»
Chiusi la chiamata, esasperato dalla situazione e da come le cose si stavano evolvendo tra me e Sana.
Erano passati due mesi, 13 settembre 2015 e, anche se non ero mai stato il tipo da regali, non potevo far passare inosservato quel momento che era stato importante per entrambi, nonostante tutte le difficoltà annesse.
In quel momento, probabilmente, avrei chiesto a mia sorella un consiglio e lei mi avrebbe risposto ridendo e prendendomi in giro. Mi mancavano quei lati di lei, mi mancava vederla la sera accarezzarsi il pancione che ormai non c'era più, e parlarmi di Sana come se sapesse già che il mio destino con Sana fosse segnato.
Lei ne era sicura, ne era sempre stata sicura, eppure io non sapevo mai come affrontare quelle parole.
Tu e Sana? Siete anime gemelle, Akito. Dovrete capirlo, prima o poi...
Le sue parole mi piombarono addosso come un pesante macigno. Volevo mia sorella. E non mi accontentavo più di stringerle la mano mentre non sapevo neppure se riusciva a sentirmi, volevo vederla sorridere, aprire gli occhi e chiedermi di sua figlia.
Kaori stava bene, sarebbe presto uscita dall'ospedale e la nostra vita sarebbe cambiata, ma non avevo paura.
Ero terrorizzato.
Sana negli ultimi tempi aveva ripreso in mano la sua vita, come ovvio che fosse, ed era stata impegnata, oltre che con mia nipote, con alcune conferenze stampa e qualche riunione con il regista del film che avrebbe girato di lì a breve, che speravo non la portasse troppo lontana da me.
Sapevo che prima o poi sarebbe successo, sapevo perfettamente che la nostra vita insieme era un continuo conto alla rovescia e speravo semplicemente che rallentasse o che, per qualche scherzo del destin»o, mi sarebbe stato concesso più tempo. Anche quella, ne ero consapevole, era una vana speranza.

Pov Sana.

Continuavo a guardare il telefono ogni due minuti, sperando che Akito mi chiamasse per chiedermi almeno se ero viva o morta. Approfittando del fatto che la bambina non era ancora a casa e che, in quel caso, avevo ancora del tempo libero, ero uscita di buon ora per andare a parlare con il registra del film che avrei girato dopo qualche mese.
Avevo posto come assoluta condizione il fatto che, in qualsiasi momento, avrei potuto prendermi una pausa perchè la mia famiglia aveva bisogno di me. Inizialmente il regista non era sembrata molto contento, aveva cercato di dissuadermi, ma era un punto su cui non discutevo.
«Pensi che il signor Miyazaki si sia offeso per le condizioni che ho messo avanti?".
Rei continuò a guardare la strada, annuì e poi strinse ancora di più il volante fino a farsi diventare le nocche bianche. Non aveva preso bene la mia decisione di sposarmi con Akito quindi ogni conseguenza che ciò comportava lo rendeva nervoso.
«Non è stata di certo la scelta più saggia, ma sono disperati. L'ultima attrice che gli era stata proposta gli ha dato buca, quella precedente non sapeva nemmeno recitare: ti daranno ogni beneficio che gli chiederai. Ma ti prego, Sana, non approfittartene. Non fare in modo di essere vista come la star snob che pensa solo a se stessa.»
La predica mi era bastata, ma lasciai che continuasse a parlare perchè non avrei retto una seconda predica su quanto io stessi trascurando il mio lavoro a causa di Hayama. Era triste sapere che l'uomo che mi aveva praticamente fatto da padre odiava l'unico uomo che sarei stata in grado di amare.
Quando arrivammo a casa mia aprii lo sportello, feci per scendere dalla macchina ma poi riflettei su Rei e su quanto si sforzasse per non farmi pesare ciò che realmente provava.
Mi voltai e gli posai un leggero bacio sulla guancia.
«Sta' tranquillo, non farò casini.»
Lui annuì, mi sorrise,  e io scesi dalla macchina, pronta per affrontare la serata con mio marito che, ovviamente, non mi considerava sua moglie abbastanza per farmi una telefonata.

*

Aprii la porta e, inizialmente, non capii ciò che avevo davanti. Mi tolsi le scarpe, le tirai all'angolo del salotto come ogni sera, poggiai la borsa accanto al divano ma, voltandomi, notai che il camino era acceso.
Era strano, solitamente Akito non lo accendeva mai perchè non gli andava di stare attento al fuoco, quindi mi accorsi che l'intera casa era al buio.
«Ciao, Kurata.»
La voce di Akito, per un secondo, mi penetrò attraverso le ossa. Alle mie spalle avvertivo la sua presenza, e speravo che prima o poi avrei smesso di sentirmi in quel modo quando lui mi stava vicino.
Mi voltai, quasi meravigliandomi del fatto che lui fosse molto più alto di me, e incrociai il suo sguardo.
Aveva in mano una bottiglia di vino e due bicchieri.
«Festeggiamo?» chiesi, meravigliata.
«Non esattamente. Vieni.»
Mi tolse il cappotto e lo poggiò sul divano, portandomi vicino al camino. Prima di quel momento non mi ero resa conto che il tavolino del salotto era apparecchiato e circondato di cuscini.
«Ho pensato che... visto che oggi avevi quell'importante riunione di lavoro, stasera potevamo rilassarci mangiando davanti al camino.»
Quello non era un gesto da Hayama, lo sentivo in ogni piccolo movimento che si stava sforzando solo per rendermi felice, per cercare di darmi ciò che avevo sempre cercato in una relazione. Ogni volta che, tra noi, si arrivava a quell'argomento io dicevo sempre di volere un uomo attento ai miei bisogni, mentre lui non mi rivelava mai le qualità della sua donna ideale. A volte avevo sperato che dicesse di volere una donna maldestra, disordinata, incasinatissima e sempre sorridente, volevo rivedermi in quella descrizione e, per un attimo, pensare davvero di contare qualcosa per lui.
Mi prese per mano e, accompagnandomi vicino al camino, mi mise una mano sulla schiena. Teneva fermo il palmo e il pollice si muoveva lentamente, accarezzandomi piano.
Forse quello era il contatto più intimo che avessimo mai avuto.
«E poi, tanto perchè tu te lo ricordi, oggi è il nostro mesiversario.»
Restai ferma, immobile, scioccata da quelle parole. Stavamo festeggiando il nostro secondo mese di matrimonio? Aveva organizzato tutta quella sorpresa semplicemente per dirmi che era felice di essersi sposato con me? Non potevo crederci. E io che avevo pensato per tutto il giorno che mi stesse ignorando.
«Non so che dire...» dissi infine, cercando di trovare le parole adatte, in mezzo a tutta la confusione che avevo in testa, per fargli capire che anche io ero contenta.
Anche se tutto era successo in fretta, anche se l'avevamo fatto solo per necessità, anche se non ci aspettavamo di certo di sposarci così giovani, anche se probabilmente avremmo dovuto affrontare migliaia di ostacoli, era l'unica cosa che avrei rifatto mille volte nella mia vita.
Nemmeno Akito parlò molto, si limitò ad allontanarsi per un attimo e a tornare con un mazzo di fiori tra le mani.
Quando lo presi e lo guardai bene, mi accorsi che niente di tutto ciò che aveva fatto era stato un caso.
Era un boquet di rose bianche e, al centro, c'era un'unica rosa rossa.
Mi veniva quasi da piangere, mi sentivo scoppiare il cuore dalla gioia.
«Okay, adesso... che ne dici di un po' di pasta?»
Scoppiai a ridere, aveva appena rovinato il momento più romantico della mia vita, ma non riuscivo comunque ad essere arrabbiata con lui.
Era Akito.

Pov Akito.

Il viso di Sana era tutto un sorriso. La sua bocca sorrideva, i suoi occhi sorridevano, tutto in lei era felicità pura e io non potevo non pensare che quella felicità fosse merito mio.
Avevo sprecato una giornata cercando un regalo che potesse essere adatto a lei senza rendermi conto che, l'unico regalo che Sana avrebbe voluto ricevere, era esattamente lì, ed ero io.
Lei voleva l'Akito premuroso, l'Akito attento e, anche se non potevo prometterle di essere sempre così, potevo sforzarmi di darglielo per almeno un paio d'ore.
«Quindi, dov'è il mio regalo?" disse lei continuando a sorridermi e dandomi una spinta con la spalla, facendomi quasi cadere all'indietro.
«Lo dirò sempre: tu eri un uomo alla nascita.»
Scoppiammo a ridere entrambi di gusto e Sana prese a fare la sua versione maschile, fingendo di avere i baffi.
«Sono seria comunque, voglio il mio regalo.»
Non riuscivo a decifrare la sua espressione, non capivo se scherzasse o se dicesse sul serio, quindi mi limitai a prendere di nuovo in mano il boquet di fiori e a darglielo, sperando che capisse quanto mi ero impegnato per organizzare quella serata.
«Pensavo saresti stato più originale sinceramente.»
Si alzò, la faccia contratta dalla delusione, e mi lasciò da solo andando in camera e sbattendo la porta alle sue spalle.
Rimasi interdetto, non pensavo potesse arrbbiarsi perchè non le avevo comprato un vero regalo, Sana non era mai stata il tipo da tenere alle cose materiali.
Per due anni consecutivi mi ero presentato con un misero pupazzo di neve e ora che eravamo adulti, ed entrambi consapevoli che non fossero quelle le cose importanti, lei si arrabbiava perchè non le avevo comprato un diamante o chissà cosa?
Non potevo accettarlo. Mi alzai da terra e, furioso, le corsi dietro aprendo la porta della nostra camera come se mi avesse fatto un torto.
Trovai  Sana seduta sul letto, con l'espressione di chi non riesce più a trattenersi.
Guardò l'orologio e, tranquillamente, come se non fosse appena successo nulla, mi sorrise.
«Ci hai messo esattamente ventisette secondi a reagire. Pensavo ti importasse un po' di più di me."
Scoppiò a ridere e per un secondo la rabbia si impossessò di me.
«Vaffanculo!». Feci per uscire ma la mano di  Sana mi bloccò improvvisamente, ma non era perchè voleva tranquillizzarmi: voleva colpirmi a tradimento.
Sapeva quanto odiassi il solletico quindi, tanto per farmi infuriare ancora di più, si aggrappò a me e cominciò a farmi il solletico sui fianchi, il mio punto debole.
Risi così forte che i vicini mi sentirono sicuramente, e insieme alle mie risate anche le mie urla da femminuccia. Cominciai a scappare, cercando disperatamente di togliermela di dosso, ma non funzionava, così mi buttai sul divano dove potevo ribaltare la situazione.
Così feci, finalmente riuscii a farla staccare e a bloccarle le mani. Le tenevo i polsi, fermi sopra la sua testa, e l'atmosfera si fece diversa.
Le risate cessarono. Tutto si trasformò in una realtà parallela, dove quei giochi non erano quelli di due amici, ma di un marito e di una moglie, reali e innamorati.
Le ciglia di Sana erano ipnotizzanti, sbattevano a pochi centimetri dalle mie, e mi sembrava di potermi immergere completamente in quel movimento impercettibile.
I suoi occhi... più li guardavo, più mi sembrava di non riuscire a tenere il controllo della situazione.
Non riuscivo a parlare, a respirare e, con tutto quel silenzio, potevo sentire chiaramente i nostri cuori battere.
Per lo meno sentivo il mio e, per poco, non stava uscendo fuori dal petto.
Per fortuna ci pensò lei a scacciare via quel silenzio, perchè io non avrei saputo come fare.
«E adesso?» sussurrò abbassando lo sguardo sulle mie labbra.
Sembrava volermi dire baciami, adesso.
«E adesso?» ripetei io, soffermandomi a guardare anche io le sue labbra. Volevo baciarla. Non lo facevo da così tanto.
«Adesso... io....». Muoveva le mani intorno alle mie, accarezzandomi lentamente le dita, e solo quel contatto mi stava facendo uscire di testa.
«Tu...» continuai. Mi piaceva quel gioco delle frasi lasciate a metà.
«Io...».
Tutto d'un tratto mi ritrovai le sue mani sulla nuca e la sua bocca sotto la mia.
Baciare Sana mi sembrò un'esperienza del tutto nuova, come se non fosse mai successo prima, come se tutte le volte che ci eravamo timidamente sfiorati prima di quel momento non fossero mai esistite, come se la conoscessi per la prima volta.
Improvvisamente la vidi, cosi, semplicemente e chiaramente come avrei dovuto vederla molto tempo prima. Teneva gli occhi chiusi, e le sue guance erano rosse, come se si vergognasse.
Non avevo mai pensato al fatto che, dopo tanto dolore, potesse esserci anche la felicità, mai avrei detto che il mio cuore sarebbe stato pronto per un amore del genere. Eppure, in quel momento, mentre la guardavo baciarmi e sfiorare il mio viso come se fosse stato la cosa più importante al mondo, la vidi.
E, ancora una volta, mi innamorai.

________________________________________________

Pov  Sana.

Passammo la serata in quel modo, ci baciammo finchè la bocca non ci fece male, finchè entrambi dicemmo di non poterne più. Lo dicevamo, ma mentivamo.
Era la seconda volta che baciavo Akito di mia sponte e, improvvisamente, mi resi conto che tutta la confusione che dicevo di avere, tutte le paranoie e i problemi... non erano stati altro che frutto della mia paura.
Io ero terrorizzata da lui, dal dolore che avrei potuto provare se solo avessi ammesso i miei sentimenti.
In quel momento, mentre lui sparecchiava e io ero ancora distesa sul divano nella stessa posizione in cui ero mentre ci stavamo baciando, lo vidi chiaramente.
I suoi occhi, la sua pelle, i suoi capelli chiari e il suo sorriso che custodiva gelosamente come il più prezioso dei tesori.
Io ero innamorata di Akito. Ma innamorata da sempre, e non avevo bisogno che mi dicessero che ero stata io cieca a non volerlo ammettere, perchè lo sapevo benissimo.
«Sana ma cos'hai?». Akito si avvicinò a me, posando il piatto che aveva in mano, e mi sfiorò il viso. «Stai piangendo.»
Non mi ero neanche resa conto di stare piangendo finchè il suo dito non mi toccò la guancia e mi accorsi che era bagnata.
«E' successo qualcosa? Se ti sei pentita, se non volevi...»
Lessi la preoccupazione nelle sue parole e mi venne ancora di più da piangere. Come poteva pensare che mi fossi pentita, quando baciarlo era stata la cosa più giusta che avessi mai fatto?
Scossi la testa e, immediatamente, rifugiai il viso nell'incavo del suo collo, cercando di sentire il suo odore.
«Sei strana forte, lo sai vero?» disse lui accarezzandomi i capelli lentamente.
Io risi e lo strinsi ancora più forte.
"Tu abbracciami.» conclusi infine.
E lui lo fece, senza battere ciglio o dare il minimo segno di instabilità. Mi cullò finchè non mi addormentai, avvolta tra le sue braccia e dal suo profumo.


Non so davvero come scusarmi per queste settimane di silenzio stampa, ma purtroppo l'università assorbe tutto il mio tempo.
Spero solo che non smetterete di seguirmi nonostante questo, spero che la mia storia vi appassioni, spero che nonostante la storia vada a rilento -così come University Life- non smetterete di leggermi. Voi siete la forza di tutto, e la mia forza è la scrittura, come sempre.
Vi voglio bene e grazie sempre di tutto, dei commenti positivi e di quelli negativi... GRAZIE!
Akura.


 

   
 
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