Anime & Manga > Magi: The Labyrinth of Magic
Segui la storia  |       
Autore: Hirriel    31/10/2015    5 recensioni
They say hope begins in the dark, but most just flail around in the blackness, searching for their destiny.
The darkness, for me, is where I shine.
(Richard B. Riddick)

Judal non si aspettava niente da quel viaggio nel sud d’occidente; Kougyoku si doveva sposare e lui la doveva accompagnare, punto. Non sarebbe dovuto succedere proprio nulla di anormale a parte gli occasionali bisticci e il fastidio arrecato dall’insopportabile caldo del territorio. Senonché gli rotolò davanti una piccola ragazzina con le guance paffute e gli occhi torbidi.
Il suo nome? Lilith.
E la quantità di problemi che portò fu indirettamente proporzionale alla sua altezza.
INTERROTTA
Genere: Dark, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Judal, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Cancel your destiny


11. Il mondo è terribile ma le persone lo sono ancor di più



The greatest quintessence of a broken man isn’t so much that he himself is broken — it’s when everything else is breaking all around him, and all he could do is watch.

—N.T.
 



«Tesoro mio, l’hai mai vista una tempesta? No?» una fresca risata risuonò armoniosa in quello spazio oscuro «Io l’ho vista, una volta. Tuo padre mi aveva portato in una terra lontana, un luogo così differente da questo che neanche la più fervida mente potrebbe mai immaginare. Era come un deserto, eppure al posto della sabbia un terriccio umido e nutriente permetteva a piante, erbette e alberi enormi con foglie più grandi delle tue mani di campeggiare alti nel cielo –sì, proprio come un’enorme e infinita oasi! Tuo padre mi portò lì e dopo due giorni arrivò quel temporale; l’acqua scendeva dalle nuvole ininterrottamente in piccole ma potenti gocce e tutto sembrava gioire e muoversi a ritmo del violento vento che soffiava su di noi. Un forte odore di terra, acqua e vita mi avvolgeva, perfino il cielo urlava la sua euforia.» ricordi passati sembrarono distendersi davanti ai suoi occhi, riemersero dentro di lei e si cibarono di lei «Fu la cosa più bella e più spaventosa che io avessi mai visto, annientò tutto: si alzò un uragano così forte che gli alberi si sradicarono, intere case vennero distrutte e tante persone persero la vita. E in quel momento, in quel preciso istante, seppi che quel luogo era casa.» delle mani le circondarono la testa e cominciarono ad accarezzarle il capo, gentili «Io, io potevo sopravvivere alla tempesta –potevo sopravvivere nella tempesta. Capii che essa mi avrebbe accolto e sarebbe arrivata a ferirmi, straziarmi, ma mai spezzarmi. No, mi avrebbe temprata, avrebbe forgiato una nuova me e così mi sarei potuta librare nell’eternità e finalmente, finalmente avrei potuto vivere. Con tuo padre.» le unghie le artigliarono i capelli e cominciarono a farle male «Le altre persone non potevano certo sfuggirle. Erano troppo deboli, difettose, non riuscivano a capire la sua bellezza ed è per questo che furono uccise. Invece tuo padre non era come loro, lui mi comprendeva, sapeva ciò che provavo. Glielo leggevo nei suoi occhi e nel suo sorriso. Era la promessa di una vita meravigliosa.» improvvisamente avvertì il freddo pavimento sotto i palmi delle mani e le dita che ancora le stringevano i capelli le fecero sbattere più e più volte la fronte contro la dura pietra. Si chiese se ciò che le colava sulle guance fossero rivoli di sangue o lacrime.

«E tu hai rovinato tutto.»
 



Lilith fu capace di dire che quello fosse il cadavere del brigante solamente perché un attimo prima aveva visto il bandito lì in piedi, se non l’avesse fatto probabilmente non sarebbe stata in grado di riconoscere quella... cosa carbonizzata come un corpo.

Il silenzio che calò su tutti i presenti durò solo un istante ma le pesò sulle spalle più di quanto lei stessa avrebbe mai potuto immaginare. Terribile, così dolorosamente terribile. Quella quiete stava urlando una sentenza di morte.

«Cosa…?»

«Che cazzo è successo?!»

«Cos’è quel-»

Ovattate udì le voci dei briganti, come se fossero lontane, un effimero eco che ben presto sarebbe svanito senza lasciare altro che quella offuscata apatia nella quale la sua mente era caduta.

«Uno.» Judal invece sembrava perfettamente presente, non esitò neanche per un momento: puntò nuovamente il dito contro un secondo uomo e un altro lampo di luce si sprigionò dal corpo di quello. Per qualche istante la sua carcassa carbonizzata ondeggiò in modo buffo, per poi cadere con un tonfo sordo a terra «Due.»

“Una tempesta…”

Un inferno di grida e fragore sembrò far tremare perfino il cielo quando i briganti capirono veramente cosa stava succedendo; sembrarono realizzarlo tutti nello stesso istante, trasformando ciò che prima era quiete in un coro assordante di terrore.

«In ognuno di voi,» la voce di Judal sovrastò il panico che si era creato «c’è una scarica elettrica pari a un fulmine, mi basta decidere quando farla esplodere e il vostro corpo diventerà un fuoco d’artificio!!» cominciò ad indicare velocemente più uomini che poteva e la risata che gli era nata nel petto non fece altro che ingigantirsi. Di più, di più e ancora di più, un susseguirsi di esplosioni eruppe tutt'attorno a loro e non serviva a niente scappare, nascondersi, urlare implorando pietà; l’implacabile voce del Magi continuava di riecheggiare su ogni cosa, senza fermarsi, senza indugiare, contando in modo quasi fiero quanti piccoli omini riusciva a buttar giù.

Tre, quattro, cinque, sei, sette, otto nove, dieci, undici…

Lilith fissava la scena con occhi sbarrati, incapace di convincere il corpo a muoversi anche solo di un passo.

“Una feroce e incontrollabile tempesta.”

Al vedere gli uomini tentare comunque la fuga, Judal proruppe in un gridolino offeso, quasi infantile «Ah! No no no, non potete scappare!» agitò velocemente la bacchetta e da essa si sprigionò un vento tale che riuscì a sollevare le macerie e i resti delle abitazioni distrutte, insieme a così tanta sabbia e cenere che in molti furono costretti a coprirsi il viso nel tentativo di proteggersi da quell’improvviso turbinio. L'incantesimo spazzò via ogni ostacolo, rivelando alla vista tutti gli uomini che si erano affrettati a nascondersi. Se il Magi avesse voluto, avrebbe potuto far crollare tutto al suolo e schiacciare completamente i briganti, ma no, sarebbe stato troppo semplice, noioso. Il divertimento era appena iniziato e non aveva alcuna intenzione di stroncarlo a quel modo. 
Con il vento che gli fischiava tra i capelli scuotendo violentemente la treccia in cui erano raccolti, ruotò il polso in movimenti circolari, e tutto ciò che aveva sollevato cominciò ad ammassarsi attorno a loro, creando un cerchio e intrappolandoli in esso come topi in gabbia; prima che qualcuno di loro potesse dire o fare qualsiasi cosa, le mura di quella grande arena si ersero come una terribile condanna.

Il primo che tentò di reagire fu un piccolo brigante che incoccò tre frecce contemporaneamente e le lanciò contro Judal ma quest’ultimo non si curò neanche di pronunciare il nome della magia; alzando gli occhi al cielo, gonfiò le guance e soffiò scherzosamente verso le frecce, agitando per la terza volta la sua stecca di metallo. Quelle si rigirarono a mezz’aria come sospinte dal suo respiro e si diressero versp l’uomo che le aveva scoccate. Una gli si conficcò nel cranio e due gli trapassarono le spalle, incastrandosi nei resti di una casa dietro di lui. Per qualche secondo il cadavere rimase grottescamente in piedi, attaccato alla vecchia parete di legno, gli occhi vitrei non mostravano neanche la sorpresa –l'orrore- che l’uomo doveva aver provato; erano leggermente socchiusi, quasi pensosi, come se il brigante non avesse avuto neanche il tempo di realizzare l’accaduto. E forse era stato davvero così. Forse non si era neanche accorto di essere morto.

Le frecce si ruppero sotto il suo peso e quello cadde scompostamente nel terreno.

«Ju-» la fievole voce di Lilith venne soffocata da altri lampi e rimbombi.

“Judal.”

Si era sollevato in aria, il Magi, e finalmente Lilith riuscì a vedere l’espressione euforica che aveva in viso. Veloce, volteggiò sopra il macabro spettacolo che lui stesso aveva creato, sordo a qualsiasi preghiera e cieco davanti tutto quell'atrocità, si fermava solo per scegliere chi sarebbe stato la sua prossima vittima.

Pareva stesse danzando, le esplosioni erano il suo ritmo e le urla la sua musica.

Doveva fermarlo doveva fermarlo doveva fermalo doveva fermarlo doveva fer-

“Smettila…” Lilith alzò lentamente un braccio, la mano distesa verso la figura del giovane come per cercare di afferrarlo, di farlo tornare in sé, perché quello che stava facendo era sbagliato e terribile e... e…

Lui le stava dando le spalle.

Non la vedeva e non la cercava con lo sguardo, e Lilith si sorprese quando realizzò di non esserne abituata; ogni volta che stavano insieme gli occhi vermigli di Judal erano pronti a volgersi verso di lei, sempre attento a cosa stesse facendo, sempre pronto a infastidirla o farla sorridere o semplicemente fissarla. Ora sembrava essersi scordato della sua esistenza e la ragazza rabbrividì quando un improvviso senso di smarrimento la avvolse, una strana consapevolezza sembrò piombarle addosso e le fece quasi male.

Era già troppo tardi.

La mano che tentava di raggiungerlo volò sulle sue stesse labbra quando un conato di vomito la costrinse a piegarsi in due. Lo stomaco sembrava contorcersi in dolorosi spasmi e un forte sapore di bile le inondò la bocca. Cercò di fare gradi respiri e deglutire, tutto il suo essere concentrato a non rigettare perché quello non era assolutamente il momento per una scenata simile. Tentò di risollevare lo sguardo ma una violenta vertigine la costrinse a piegare le ginocchia a terra.

Restò lì, inerme, la vista offuscata e la mente che non riusciva ancora a metabolizzare ciò che stava succedendo. Aveva assistito a tanta morte nella sua vita, credeva che ormai nulla avrebbe più potuto sconvolgerla ma ancora una volta era stata ingenua. Niente poteva essere paragonato a quel momento e non solo per ciò che stava accadendo; erano le sensazioni che aveva tentato di zittire a lasciarla completamente senza parole. Perché nonostante tutto, inizialmente –quando il primo cadavere era stramazzato a terra- si era accorta che una piccola parte di sé stava sussurrando che era giusto, era la punizione per tutta la morte e la distruzione che quegli uomini terribili avevano portato. Solo perché era terrorizzata dalla violenza con cui stava accadendo non voleva dire che ciò che stavano soffrendo non fosse meritato; erano morte famiglie, persone con un futuro luminoso davanti a loro, innocenti che avrebbero potuto vivere una vita felice se non fosse stato per quella disgrazia, persino Halima era rimasta ferita. Poco prima quegli stessi uomini che ora stavano cadendo a terra come mosche erano pronti a stuprarla e ucciderla.

Serrò forte gli occhi.

Fece finta di essere lontana da quel luogo, di non appartenere a quel momento, di non esistere.

[Come facevi con la mamma]

Per un attimo poté e riuscì a credere di essere sola, e si permise di desiderare che tutto quello che stava pensando fosse realtà. Per giustificare tutti quei dubbi, per giustificare Judal stesso.

Era vero, si meritavano di morire! Il mondo era marcio per colpa di persone del genere.

[Ipocrita… così ipocrita e fragile…]

Strinse ancora di più gli occhi e sperò che, una volta riaperti, sarebbe stata sicura di quello che pensava. Nessun dubbio, nessuna esitazione. 
Era giusto, sì giusto, Judal aveva ragione, era giu-

[Ipocrita e egoista.]

Alzando lo sguardo non vide nient’altro che un massacro.

[Apri gli occhi!]

Un forte brivido la riportò alla realtà quando si accorse che il Magi si era rivolto verso di lei e stava procedendo a passo cadenzato nella sua direzione. Quando le si parò davanti e distese il braccio con l’intento di toccarla, tutti gli sforzi che aveva fatto per riacquistare una freddezza che lei stessa sapeva di non avere si sgretolarono; appena sollevò gli occhi e incontrò quelle pupille vermiglie sembrò come se il mondo cominciasse di nuovo a funzionare. I rumori che prima erano solo un ovattato eco lontano la colpirono come una frustata in viso e la realtà ricominciò a muoversi velocemente, tutto sembrò fin troppo vero. Fece male.

«Non toccarmi!» la voce le era uscita diversa, non sembrava la sua, era un tono rotto, spezzato sotto il grande peso di un qualcosa che neanche lei riusciva a comprendere «Questo… questo è… tu-»

Ma nulla poteva essere paragonabile al sorriso che ancora campeggiava sul viso di Judal. Non era lo stesso che il ragazzo rivolgeva alla carneficina che stava compiendo, no, era un sorriso paziente e nella sua postura –nel suo atteggiamento- sembrava quasi compiacente; come se stesse semplicemente aspettando che Lilith arrivasse a una risposta che lui già conosceva, come se fosse perfettamente consapevole del violento tumulto di emozioni che si agitava dentro di lei e se ne rallegrasse.

Sorprendentemente il dolore che quello sguardo le provocò accese una fiamma che presto divenne un inferno e infuocò il suo animo.

«Tu sei un mostro.» le sputò, quelle parole, le rigurgitò fuori insieme a tutta la rabbia, la paura e l’incredulità che le stavano stritolando il cuore. Sperò di averlo ferito tanto quanto lo era lei.

Forse ci riuscì, forse riuscì a toccare qualcosa, lì in fondo, qualcosa di importante. Perché il sorriso scomparve in un battito di ciglia, sostituito da uno sguardo serio e pericoloso che la trapassò da parte a parte. Era così pieno di significati e traboccava di talmente cose non dette che Lilith non riuscì a comprenderlo. Sembrò star tentando di comunicarle qualcosa ma in una lingua incomprensibile, una che forse a quel punto non era neanche interessata a decifrare.

Il Magi alzò nuovamente il braccio e indicò un brigante che si era avventato su di lui brandendo un pugnale, pronto ad affondarlo nella sua carne. Esplose. Ne indicò un altro e un altro e un altro ancora, provocando una miriade di esplosioni attorno a sé, finché Lilith fu quasi sopraffatta dal desiderio di coprirsi le orecchie e serrare forte gli occhi, distoglierli da quello sguardo scarlatto che tornava a fissarla dopo ogni scoppio.

Non lo fece però, decidendo invece di chiudere le mani a pugno, conficcarsi le unghie nella carne e stringere i denti fino a sentire le gengive dolerle «Basta!» urlò a pieni polmoni, non curandosi del bruciore che le provocò contro la gola «Basta basta basta!!»

«…Basta, Lilith?» non fece in tempo a reagire all’improvviso movimento di Judal, quasi non lo registrò, perché per una frazione di secondo i suoi occhi si erano spostati proprio sul cadavere del brigante che ancora impugnava il Judal le afferrò il polso e la avvicinò a sé, il suo sguardo magnetico la costrinse per l’ennesima volta a rivolgersi a lui e a lui solo, facendole quasi dimenticare il veloce e disperato pensiero che le aveva attraversato la mente «E perché mai? Sei così bella con quell’espressione terrorizzata.» era quasi bestiale, ora, il tono con cui diceva quelle cose.

«Mi fai schifo!» ringhiò lei, incapace di sopprimere la seconda ondata rabbia che le esplose nel corpo, circondandola e dandole una nuova forza «Tu… sei solo questo, conosci solo questo… sei solo uno squilibrato che sguazza e annega nel suo potere, senza capire niente, niente, niente!» polmoni le facevano male a forza di urlare, ma in quel momento non le importava «E io provo solo pena per te.» e sentì le dita che le stringevano il viso allentare la presa, e vide di nuovo quel qualcosa attraversare lo sguardo del Magi. Dunque diede uno strattone, riuscendo a liberarsi.

I successivi movimenti del suo corpo furono così veloci che lei stessa si stupì di quanta energia le scorresse nelle vene; per una volta reagì d’istinto, ascoltando quella fugace e quasi inafferrabile idea che le aveva sfiorato la mente. Piegò le ginocchia e con una spinta delle gambe si lanciò verso il pugnale che le mani carbonizzate del brigante stavano ancora stingendo, lo afferrò e, senza esitare neanche per un momento, menò un fendente che Judal riuscì a evitare a mala pena, un’espressione quasi incredula gli si dipinse sul viso e Lilith si ritrovò a ghignare davanti ad essa. Ecco, quello era ciò che voleva vedere: smarrimento e debolezza, proprio come la faceva sentire lui. L’incontenibile desiderio di fargli del male la travolse e l’adrenalina che portò quel pensiero la fece sentire nuovamente forte.
Veloce, approfittando del fatto che il ragazzo fosse ancora sorpreso e non avesse un buon equilibrio sulle gambe, si spinse in avanti, agguantando il candido panno adagiato sulle sue spalle e tirandolo verso di sé, costringendolo a piegarsi. Puntò la lama nello spazio tra il mento e gli anelli d’oro che gli abbracciavano il collo, lì dove la carne pulsava di vita. Il sorriso le si allargò e per un attimo si sentì davvero invincibile.

«Io giuro, giuro, giuro che ti-»

«Ammazzo?»

E basta.

Bastò solo quella parola. Le bastò vedere l’espressione di Judal cambiare nuovamente e come –nonostante tutto, malgrado ciò che gli aveva detto, a dispetto di tutto quello che aveva fatto… come avesse ancora il coraggio di sorridere.

Quella finta bolla di euforia che l’aveva circondata esplose e si dissolse tanto velocemente quanto era apparsa.

Judal non aspettò nessuna reazione da parte sua, le afferrò il polso e spinse il pugnale contro la sua carne «Dai fallo.» e gli venne da ridere a squarciagola quando l’espressione di Lilith mutò completamente da quella che aveva avuto pochi istanti prima.

«Fallo, Lilith.» ripeté sfrontatamente, guardandola dall’alto in basso «Sei troppo vicina, non posso attivare il mio borg, solo un po’ di pressione in più e un piccolo movimento del polso. Sgozzami. Non dovrebbe essere così difficile.»

Con un sussulto, Lilith si rese conto che lungo la lama scorreva un piccolo rivolo di sangue, segno che doveva avergli tagliato la pelle. E di colpo lei aveva sette anni e il Magi non era altro che il piccolo bambino con la grande fetta di melone e il pugnale sembrava più piccolo, più arrugginito, terribilmente simile a quello che aveva usato per ucciderlo.

«Fall-»

Lasciò cadere l’arma ancor prima che Judal finisse di parlare. Lasciò che le scivolasse dalle dita tremanti e che rotolasse nella polvere, la quale andò ad attaccarsi a quell’unica, piccola goccia di sangue uscita dal collo del Magi. Entrambi osservarono il movimento della lama prima di puntare nuovamente lo sguardo l’una negli occhi dell’altro.

«Sono contento, sai?» Judal inclinò il capo, mantenendo l’espressione divertita, senza curarsi di nient’altro intorno a loro «Finalmente ti ho potuta vedere in questo stato. Finalmente credo di aver capito. È bello sapere che anche tu sei capace di fare un’espressione del genere.»

Lilith sentì l’urgenza di dire qualcosa, qualsiasi cosa «Io… mi…»

«Dispiace? Per cosa? Per quello che mi hai detto o per quello che hai fatto? Vedi, è questo il problema.» il Magi scrollò le spalle, probabilmente cercando di apparire indifferente, ma il lampo d’ira che gli illuminò i tratti del viso fu fin troppo evidente «Non sei niente più di questo. Hai un’enorme rabbia che non sai come gestire e che esplode quando sei messa alle strette, ma è comunque troppo debole e insulsa. Perché, nonostante tutto, ti fermi sempre prima; proprio mentre stai per fare finalmente qualcosa cambi idea. Perché sei fragile e scialba, irresoluta.» si allontanò di qualche passo per poterla squadrare completamente «Non odi abbastanza ma non riesci neanche a liberarti da questo odio. Non saresti capace di maledire il tuo destino ma neanche di amare la vita, perché è ovvio che non puoi farlo dopo tutte le cose che ti sono successe. La tua incapacità di reagire è veramente penosa, guardati: cosa ti è rimasto? Non sei riuscita a fermarmi dall’ammazzare quelli là, non sei riuscita a uccidermi, non avresti neanche avuto la forza di aiutarmi a farli crepare. Cos’hai fatto? Cos’hai fatto per tutta la tua vita? Niente.» si fermò per prendere un respiro, per mettere un punto a quel fiume di parole che impetuoso gli stava uscendo dalle labbra, incapace di fermarsi. Era arrabbiato –deluso? No, non era quello il sentimento che le sue parole esprimevano, era infuriato per qualcos’altro. Ma Lilith non riusciva più a capirlo, forse non lo aveva mai capito e non serviva più a niente rimuginarci sopra.

«Non ho più bisogno di te.» puntò la sua bacchetta verso il muro di macerie alle spalle della bruna e quelle si spostarono sotto suo comando, creando un varco «Te l’ho detto piccola, ho perso interesse e mi sto annoiando a morte. Ho visto quello che volevo vedere e non credo che tu possa darmi più di così.»

«Che-»

«Basta, Lilith.» e, per la prima volta dall’inizio della carneficina, tutte le emozioni abbandonarono il suo viso, lasciando solo un grande vuoto nel suo sguardo «L’avevo già detto prima che questi tizi arrivassero e non credere che abbia cambiato idea. Vattene, non mi servi più. Ma anche se è stato breve mi sono divertito, quindi suppongo che un grazie sia d’obbligo: vai per di là, lascia questo posto e non farti più vedere, altrimenti ti farò esplodere proprio come tutti questi altri. Vedi? È questo ciò che sono. Infinitamente più forte e potente di voi, di te. E non importa quanta vergogna o sconforto proverai, non sarai comunque capace di fare nulla.»

Lilith non era sicura di che espressione il suo viso stesse mostrando, perché lei stessa non aveva alcuna idea di cosa si stava agitando dentro di lei. Incredulità, confusione, spaesamento. Umiliazione.

«Io…» strinse i denti «Io ti o-»

«Uh, già, non sei la prima a dire di odiarmi.» il moro sbuffò e si scrocchiò il collo, noncurante «Ma ti posso dire che il sentimento è più o meno reciproco, dopo quello che mi hai detto ti lascio in vita solamente perché so quanto starai male d’ora in poi. Vattene via, Lilith, vattene e resta sola come meriti.» e per lui era abbastanza, aveva detto tutto, sapeva come sarebbe finita e sapeva che quello era un addio. Fece per darle le spalle.

Ma la ragazza dovette per forza peggiorare la situazione «Halima…» era un sussurro, e Judal avrebbe potuto far finta di non averla sentita se non avesse continuato «Non- non puoi mandarmi via, non puoi dire così, c’è ancora Halima all’accampamento e io non me ne andrò finchè-»

«Halima non esiste più.»

E proprio quando sembrava essersi fermato, il mondo ricominciò a crollarle addosso «Cosa?»

Il Magi digrignò i denti e si volse di nuovo verso di lei, le mani sui fianchi «Credevi davvero quei due di Al Sarmen sarebbero stati capaci di salvarla? Loro hanno fatto semplicemente ciò che ho detto: non farla morire. Ma sai, quando siamo arrivati la vecchia già non respirava più, la cassa toracica era stata compressa così tanto da tutta quella roba che le era caduta addosso che i polmoni erano stati completamente schiacciati, aveva varie emorragie interne e forse anche schiena spezzata? Non ricordo.» fece spallucce alzando gli occhi al cielo e assumendo un tono pensoso «È stata una fortuna che non sia morta mentre andavamo all’accampamento –probabilmente sono stati i Rukh neri ad aiutarla. Però neanche noi possiamo fare miracoli, per farla risvegliare ci sarebbero voluti almeno venti maghi e non due. Quelli di Al Sarmen, passandole il magoi attraverso la scatoletta nera, hanno semplicemente fatto in modo che i Rukh esterni continuassero a darle energia, facendo sì che il suo cuore non smettesse di battere e il suo stesso Rukh non si staccasse del tutto dal suo corpo, ma non potrà andare avanti per sempre: prima o poi avrà bisogno di nutrimento e non solo di energia magica e, non potendo mangiare nulla, il suo corpo diventerà sempre più debole fino a non poter sopportare neanche il peso del magoi che le viene dato. Morirà. Qui i Rukh neri sono troppo pochi e quei due non possono eseguire una magia guaritrice potente perché non ne hanno né i mezzi né le capacità, servirebbe qualcosa come Phenex per aggiustarla.»

Non capiva. Non capiva la maggior parte delle parole che stava dicendo «E tu… tu non puoi… fare qualcosa?»

Judal inarcò le sopracciglia «No, ti ho detto che non ci sono abbastanza Rukh neri.» fece una pausa, studiando l’espressione sui tratti della bruna. Notò che le mani avevano cominciato a tremarle violentemente. Non lo stava guardando, aveva lo sguardo perso in un punto indefinito e il ragazzo poteva quasi immaginare ciò che le aveva appena detto ripetersi mille e mille volte nella sua mente, mentre cercava di concepire la terribile verità che le si era parata davanti. Si decise a parlare di nuovo «E poi perché dovrei farlo?»

Gli occhi grigi scattarono nei suoi e un silenzio di tomba regnò tra i due. Lilith boccheggiò un paio di volte e poi tacque, mentre tutto quello che aveva tentato di ignorare, tutti i pensieri che aveva rinchiuso in un angolo della sua mente, venivano fuori. Judal non seppe quanto tempo passò prima che si decidesse a parlare. Forse un respiro. Forse parecchi istanti.

«Tu non mi mai hai detto niente.» mai, mai, mai, non aveva fatto altro che avvolgerla nell’effimera speranza che sarebbe andato tutto bene «Quando sono arrivata nella bottega, non mi hai detto che Halima era sotto le macerie mi- mi hai detto che si era salvata, che era sopravvissuta.» e ci aveva creduto, si era bevuta le parole del Magi come fossero acqua. Come poteva essere stata così stupida? «E- e poi… questo. Io credevo che…» ma non era più importante quello che credeva, no? Era solo una fantasia in cui si era crogiolata per troppo tempo, affidandosi completamente a quel ragazzo che ormai non sembrava nient’altro che un estraneo. Una persona crudele e spietata. Se solo non l’avesse mai incontrato…

«È colpa tua.» realizzazione. Era così che la chiamavano. Quando d’un tratto si viene travolti da una terribile verità e tutto, tutto comincia ad avere senso, si incastra così perfettamente che ci si stupisce di non essersene accorti prima.

«Tu lo sapevi che il villaggio era stato attaccato… saresti potuto andare da lei e salvarla e invece… cosa stavi facendo quando ti ho incontrato? Cosa facevi nel retrobottega dove Halima era… schiacciata e…» avevano parlato, ne era sicura, perché il soffitto non era crollato prima che Judal uscisse da quella stanza «Cosa ti ha detto?!» urlava, ora, soffocando nella sua stessa voce «Cosa le hai detto?! Sei stato tu a far crollare tutto, tu hai cercato di ucciderla-»

Venne interrotta dalla risata del ragazzo. Prima fievole, poi sempre più forte, finché non esplose in un eco tutt’attorno a loro e Judal fu costretto a piegarsi in due, le spalle scosse da un’ilarità che non credeva di poter avere «Sei- sei assurda.» rise così tanto che gli vennero le lacrime agli occhi «L’hai capito solo ora?»

«Co-»

«Non fraintendere.» mise le mani davanti, bloccando qualsiasi cosa stesse per dire «Puoi credermi o no, a questo punto non ti potrei neanche biasimare se non ti fidassi, ma non volevo ucciderla, quella stava crepando già da prima che arrivassi. E non sono stato io a far crollare il soffitto, è stato un caso, il fuoco aveva consumato tutta la bottega e le travi non hanno più retto, mi sembra anche normale. Ma tutto il resto…» ridacchiò di nuovo e si mise le mani in tasca, muovendo di nuovo qualche passo verso di lei «La piccola, povera, ignara Lilith se ne accorge solo adesso? Certo che ti ho mentito, certo che non l’ho voluta salvare.» sputò quelle parole quasi gli facessero disgusto «E ti chiedo di nuovo, perché avrei dovuto farlo? Lei non è niente per me, non è più o meno importante di questi briganti, o degli abitanti di questo paesino o delle persone che vivono in altre città. L’unica cosa che mi legava a lei eri tu… e in quel momento eri scomparsa. Entrambi ti avevamo data per morta a dire il vero. Quindi perché mai avrei dovuto aiutarla?»

«Tu potevi-»

«Non cercare di addossarmi colpe che non esistono.» sibilò chinandosi e rivolgendole uno sguardo spietato «Non cercare di giustificare il fatto che tu non eri lì per lei, che tu non l’hai potuta salvare. È vero, ti ho mentito, ti ho detto che era viva quando invece era accanto a te, sepolta dalle macerie, ma credo di aver già risposto al perché di questa domanda.» ridusse la sua voce a un sussurro e ripeté le parole del giorno prima «Perché voglio stare con te.»

Lilith fece istintivamente un passo indietro, rivolgendogli uno sguardo tra l’adirato e l’incredulo ma lui la ignorò, raddrizzando il busto e aggrottando le sopracciglia «O meglio -si corresse- volevo. Ti trovavo interessante, quindi volevo tenerti con me il più tempo possibile. Quando le travi sono crollate addosso alla tua vecchia ho pensato che non ci fosse più speranza per lei, e che senso avrebbe avuto mostrarti un cadavere? Probabilmente avresti avuto una crisi e sarebbe diventato impossibile farti ragionare o convincerti a venire con me. Lo stesso vale per la questione del suo risveglio –anzi, del suo non-risveglio. Anche se te l’avessi detto le cose non sarebbero cambiate, quindi perché farlo? Si sarebbe solo creato un gran casino per nulla.»

«Non-» la ragazza si mise una mano sulla bocca, di nuovo nauseata.  Halima era morta. Era già morta e niente avrebbe potuto farla più svegliare.

«Oddio…»

Non respirava, non riusciva a respirare.

«Non è vero, ci deve essere qualcosa che posso fare. Judal ti prego, ti prego, farò tutto quello che vuoi. Halima non può morire, non può…» sapeva di essere patetica agli occhi del ragazzo ma non le importava più, non le importava quello che aveva fatto o non aveva fatto. Non le importava più dei briganti o di se stessa. Semplicemente non riusciva a credere che avrebbe dovuto continuare a vivere in un mondo senza la sua amica. Era sola. Completamente sola.

“Ho paura.”

«Non c’è nulla da fare e anche se ci fosse non lo farei. Ora che ti sei messa l’anima in pace puoi anche andartene.» il Magi gesticolò di nuovo verso l’uscita e girò i tacchi una volta per tutte, non guardandola più.

«Oh... cazzo! Come puoi non provare niente? Come puoi essere così tranquillo e dirmi… dirmi… o mio dio. Fermati, fermati e ascoltami. Aspetta. Ti prego non lasciar-aspetta aspetta aspetta aspetta aspetta…»

“Mamma…”

Voltandosi, Judal notò un altro passaggio scavato tra le macerie. I pochi briganti che non aveva ancora ucciso erano scomparsi.
“Sono scappati da lì? Devono aver spostato tutta quella roba mentre parlavo con Lilith.” come aveva fatto a non accorgersene? Era stato davvero così distratto da non notare una cosa del genere? Poco male, li avrebbe rincorsi. Non sarebbero rimasti nel paese, erano troppo spaventati e probabilmente stavano già fuggendo con l’intenzione di allontanarsi il più possibile da quel luogo. Lui poteva volare ed era facile rintracciare le persone dall’alto, soprattutto se stavano fuggendo nel deserto. Forse era una cosa positiva, almeno avrebbe potuto riempire un altro po’ del suo tempo prima di tornare all’accampamento.

Attivando l’incantesimo gravitazionale spiccò un salto e cominciò a fluttuare in aria. Ignorò la voce di Lilith. La ignorò per tutto il tempo finché fu abbastanza lontano da non poter più distinguere quello che diceva –non che le frasi che stava farfugliando avessero un senso.

Si voltò solo un’ultima volta, quando non poté più sopportare quel grande macigno che gli pesava sul petto. Era piegata su se stessa, la ragazzina, il viso nascosto tra le mani, il petto che si alzava e si abbassava freneticamente. Continuava a parlare –a gridare, e Judal fu quasi sicuro di riuscire a distinguere la parola ‘mamma’ ripetuta più e più volte.

Ma ormai era troppo tardi.

«Io non sono te, io non mi faccio consumare dalle emozioni che non riesco a controllare.»

Sbuffò.

“È qui che ti sbagli, Lilith, io e te siamo fin troppo simili.”
 



{Il giorno prima}

«Magi, chi è quella ragazza?»

«Uh? Lilith? Lei è-» per un attimo si bloccò, aggrottando la fronte, guardando verso il piccolo edificio che era la sua stanza; Lilith si era addormentata sul suo letto e lui aveva avuto la compassione di lasciarla riposare, d’altronde aveva altre cose a cui pensare, prima fra tutti la fastidiosa ferita alla gamba «intrigante.» concluse, senza riuscire a elaborare più di così.

«Vuoi farle conquistare un dungeon?» chiese l’uomo di Al Sarmen senza scomporsi. Non sembrava sorpreso –probabilmente quei tizi non erano capaci di provare emozioni così forti, eppure appariva in qualche modo… cauto.

«No.» il moro questa volta non esitò «Non ha la stoffa del re.» non era lo stesso interesse che provava nei confronti di Hakuryuu, o Kouen o addirittura lo stupido sovrano, ad attrarlo verso la ragazzina «C’è qualcos’altro… lei… nasconde qualcosa, e voglio capire cos’è.»

«È un’affermazione parecchio vaga, Magi. Non puoi permetterti di-»

Oh, se gli sguardi avessero potuto uccidere... «Lei resta qui.» non era una richiesta «Non so neanche perché ne sto parlando con voi vecchi! Non è come se me lo poteste impedire.» il giovane si sedette più comodo sul tappeto che fluttuava a pochi metri dal terreno e fece per volare via.

«Tra poco ci dirigeremo a Balbadd, hai intenzione di farla venire con noi anche in quel paese?»

Suo malgrado, Judal si bloccò e si voltò leggermente, così da poterlo osservare con la coda dell’occhio «Se mi va sì.»

«E quando torneremo a Kou? È verosimile che in molti avranno qualcosa da ridire, non puoi portare una popolana, per giunta straniera, a palazzo, senza un vero motivo. La moglie dell’imperatore vorrà chiarimenti.»

«Me la vedrò io con Gyokuen e quel maiale di suo marito, se serve anche con Kouen e tutti gli al-»

«Non sarebbe meglio risolvere la questione il prima possibile? Potremmo cercare di capire cos’ha di peculiare questa giovane, noi tutti ci fidiamo e mai metteremmo in dubbio il tuo giudizio ma senza un vero motivo sarà complicato farla accettare. Lei stessa potrebbe incorrere in qualche… incidente, se non tutelata.»

Di colpo, Judal si trovava a pochi centimetri dal viso dell’uomo, le sopracciglia aggrottate in un modo che non prometteva niente di buono. Scrutò a fondo nel suo velo, tentando di scorgere qualche segno di espressività; un luccichio degli occhi, la piega che aveva assunto la bocca, qualsiasi cosa. Non trovò niente.

«Voi non la toccherete con un dito finché io non vi darò il permesso.»

«È per il bene di tutti.» si era quasi scordato ci fosse anche l'altro mago, era stato in silenzio per tutto il tempo, rinchiudendosi in quel mutismo tombale così tipico di quei tizi che era stato difficile prestare attenzione anche a lui «Presto la situazione si farà movimentata a Balbadd, è per questo che ti abbiamo fatto venire con noi, Magi, ma non possiamo permetterci imprevisti, soprattutto se quella ragazza potrebbe diventare una tua debolezza.»

«Una debolezza?! Vi rendete conto che quello che dite non ha un cazzo di senso-»

Il primo uomo parlò nuovamente «Oggi hai rischiato di morire.» e Judal stava davvero cominciando a pensare di farlo fuori per averlo interrotto di nuovo, ma ciò che disse lo bloccò. Aprì la bocca e la richiuse non trovando niente da dire, e volse il viso da un’altra parte con fare scocciato.

«Il borg per qualche strana ragione non si è attivato -continuò l’altro- e immagino tu possa capire quanto una cosa del genere possa essere pericolosa. Tutto ciò per salvare due persone; nonostante l’anziana si sia rivelata utile per condurre qualche nuovo esperimento, ora come ora la situazione appare molto scomoda.»

«Non è colpa di Lilith se non sono riuscito a proteggermi.»

«Il problema è che uno scenario del genere potrebbe riproporsi. Essere disposto a mettere la propria vita a repentaglio per, perdoni le mie parole, una sciocca infatuazione è una cosa insensata e controproducente, bisognerebbe liberarsi di questo fastidio.» l’uomo fece giusto in tempo a evitare una scia luminosa di magoi lanciata nella sua direzione; quella andò a scontrarsi con il terreno formando un piccolo cratere.

Judal puntò di nuovo la sua bacchetta contro di lui «Una cosa?!»

«Ti prego Magi di non creare disordini.» si affrettò ad ammonirlo l’altro, mettendo le mani avanti «È comprensibile che tu sia parecchio stanco da tutti questi viaggi ed è una cosa che si potrà risolvere facilmente quando raggiungeremo la prossima città –si trovano molte belle donne nei bordelli. Ma ti dobbiamo chiedere di liberarti di questa ragazza prima che il tutto degeneri in qualcosa di più.»

Li avrebbe distrutti. Li avrebbe fatti diventare un’insulsa poltiglia umana e poi li avrebbe gettati in pasto agli animali «Ma che cazzo- siete stupidi?! Lilith non è niente per me sotto quel punto di vista, come potrebbe mai-»

Fu quasi sicuro di sentire uno sbuffo da parte di uno dei due, ma probabilmente era stata solo la sua immaginazione «Se è come dici allora dimostracelo. Scopri cosa c’è di tanto interessante in lei e dacci un buon motivo.» con il suo bastone, gesticolò alla sua coscia fasciata dalle garze «Altrimenti trai le tue conclusioni, se ti rende vulnerabile è meglio allontanarla il prima possibile.»
 



Non si era accorto dell’arrivo dei briganti e non li aveva sentiti scavare una di via d’uscita per scappare. Tutto questo perché stava parlando con Lilith. Cosa sarebbe accaduto se uno di quelli avesse tentato di colpirlo in quel momento? Cosa sarebbe capitato se lui non avesse avuto la prontezza di agire?

Finalmente aveva tratto le sue conclusioni.

E poi era meglio così, aveva finalmente risposto alle sue domande; la piccoletta non aveva niente di peculiare, era solo incapace di controllare la sua rabbia, si faceva trasportare dai sentimenti esattamente come faceva lui. Per quello era arrivata ad uccidere un bambino. La differenza tra loro due era che Judal non si sarebbe mai pentito di una cosa del genere, mentre lei non faceva altro che flagellarsi con il ricordo di ciò che aveva fatto.

Si era tolto un peso, finalmente sarebbe potuto tornare a fare come più gli piaceva, senza quella fastidiosa voce che chiamava costantemente il suo nome o quegli occhi di pietra che a volte, quando lo guardavano in modo troppo insistente, lo facevano sentire instabile, quasi vulnerabile. Così facendo si era liberato di un sacco di problemi.

La morsa che gli stringeva lo stomaco non fece altro che aumentare.

(Avrebbe voluto... conoscerla di più...)

Il suo sguardo si indurì e senza rivolgerle un'altra occhiata salì ancora più in alto nel cielo, attraversando le nubi e ignorando il freddo e l’umidità che ben presto si attaccarono ai suoi vestiti fino a bagnarli. Continuò a volare più velocemente che poteva, senza sapere dove stava andando, senza vedere nulla.

«Un mostro.»
«Uno squilibrato che sguazza e annega nel suo potere.»
«Mi fai schifo.»

Lanciando un’occhiata sotto di sé vide un paio di figure a cavallo che si affrettavano a correre lungo il deserto. Si diresse verso di loro.

Persino i Rukh intorno a lui sembravano agitarsi infuriati, e il Magi dell’impero Kou promise a se stesso che quel giorno avrebbe fatto tremare la terra, tanto era grande il potere e la rabbia che gli stavano scorrendo nelle vene.
 



La principessa Kougyoku, anche se ad una prima occhiata poteva non sembrare, era una persona estremamente gelosa.

Non perché pensasse di avere un chissà quale diritto di possesso su quella determinata persona o oggetto, no, una sfrontatezza del genere non era di certo nel suo carattere; ciò che la spingeva a reagire in modo ostile verso maggior parte degli “agenti esterni” che le si avvicinavano –che si avvicinavano alle sue cose- era la grande e incontrollabile paura che questi le stessero per portare via ciò a cui teneva. Di nuovo, non perché ritenesse le cose a cui mostrava affetto sue e solamente sue, no, Kougyoku in fin dei conti non aveva alcun problema a condividere. Ma quel campanello d’allarme che le risuonava nella mente appena vedeva qualcosa che, in un certo senso, considerava vicino a sé volgersi verso qualcos’altro, sembrava sempre starle dicendo le stesse cose.

[Ecco. Hanno trovato qualcosa migliore di te.

Ti lasceranno di nuovo sola.

Ti abbandoneranno.

Che poi come mai si sono avvicinati a te? Sei così patetica.

Tornerai ad essere invisibile. E forse è meglio così.

Torna in quel buco di stanza dove ti eri rinchiusa e restaci.]

Era un’enorme insicurezza che la accompagnava da tutta la vita e forse lo avrebbe fatto per sempre. Probabilmente perché solo poche persone erano riuscite a farla sentire veramente accettata.
Non era del tutto consapevole di questa parte di sé ma sapeva ben dire quando aveva sbagliato o esagerato in qualcosa, ed era il caso di Lilith.

Probabilmente, vedendola, si era solo spaventata pensando che Judal se ne sarebbe andato. Il che era parecchio ironico dato che il Magi aveva più volte messo in chiaro che lui non era un suo amico, che tra loro non c’era nessun particolare tipo di legame se non quello tra due persone che si conoscono fin da quando sono bambine –non c’era neanche il tipo di rapporto che il Canditato Re ha con il suo Magi, Kougyoku sapeva di rappresentare pressoché l’ultima scelta per Judal tra le varie persone che avevano conquistato dei dungeon e sinceramente non desiderava neanche essere la prima. Non sarebbe stata in grado di addossarsi una responsabilità simile. Alcune volte si domandava come mai Vinea l’avesse scelta.

Ma nonostante ciò, la principessa era una persona che si riprendeva in fretta e riusciva anche a comportarsi in modo sorprendentemente maturo; quando riconosceva i suoi sbagli li ammetteva senza vergogna ed era ciò che aveva intenzione di fare con Lilith. Scusarsi prima di tutto. Tentare di spiegarle come mai aveva reagito in quel modo, stando attenta a non fare commenti come quello che aveva spinto la piccoletta a rovesciarle la colazione per terra.

D’altronde l’aveva aiutata, si era prestata ai suoi servigi e Judal era stranamente attratto da lei. Anche se ancora non capiva i motivi o i criteri di scelta del giovane, sicuramente c’era una buona ragione e, se Judal avesse mai deciso –cosa che sembrava molto probabile- di trascinarsela dietro per un tempo indeterminato, avrebbe almeno voluto entrare in buoni rapporti con lei.

Aveva preso una decisione dunque. Ora doveva solo metterla in atto.

Quando Ka Koubun la avvertì che Judal e Lilith erano stati visti andar via dall’accampamento si era detta che avrebbe aspettato fino al loro ritorno. C’era una sorta di tensione mista a trepidazione nel suo sguardo, mentre si ripeteva nella mente più e più volte le parole che avrebbe rivolto alla ragazzina.
La sua ansia presto scemò per venir sostituita da un sentimento simile, ma più profondo e preoccupante: la sera era arrivata e i due giovani non erano ancora rientrati. La principessa aveva un gran brutto presentimento. Ogni minuto si affacciava dalla sua stanza nella speranza di poter accorgersi di qualcosa, anche solo sentire la risata del Magi o un vociare arrabbiato che probabilmente sarebbe appartenuto a Lilith, insomma, un minimo segno che stavano tornando.

Niente. Niente finché non si fece notte e Kougyoku ancora non riusciva a scrollarsi di dosso quel profondo disagio che non la faceva addormentare. Cominciò a pensare a come raggiungerli, che forse erano tornati in quel paesino, che forse erano incappati in qualche problema che li aveva tenuti bloccati –non voleva neanche immaginare una situazione come il giorno prima, se Judal fosse morto per quella freccia… non riusciva nemmeno a pensarci.

La sua ultima congettura si rivelò sbagliata quando, lanciando un’altra occhiata fuori dalla sua finestra, vide il Magi atterrare con poca grazia tra le polveri dell’accampamento. Era così sollevata. Avrebbe voluto raggiungerlo, avrebbe voluto sorridere e chiedergli dov’era Lilith, dirgli che magari d’ora in avanti sarebbero stati dei giorni più leggeri e che in tre si sarebbero anche potuti divertire.

Si affrettò ad uscire fuori. Venne investita da un’aria innaturalmente gelida, un brivido le scese lungo la schiena e quella strana sensazione non fece altro aumentare quando si avvicinò al giovane; di fronte alla sua espressione, tutti i pensieri positivi della principessa vennero spazzati via.

«Ju…dal?» lo chiamò, avanzando qualche passo incerto nella sua direzione. Il Magi non si scompose di un millimetro, a passo cadenzato la oltrepassò senza degnarla di uno sguardo «Judal?» provò di nuovo, questa volta con voce più ferma «Cos’è successo?»

«Niente.» gli arrivò la risposta monocorde, priva di qualsiasi calore «Non succede un niente, come al solito.»

La principessa si ritrovò a pensare che forse Lilith le aveva davvero portato via una parte di Judal. Una parte che lei non sarebbe mai stata capace di riempire nuovamente.
 



{Cinque giorni dopo, Balbadd}

«Fratello Abumad…»

«È inevitabile.»

«Ma fratello, Kou non sarà per niente content-»

L’uomo dalla voce tremante e lo sguardo timoroso venne zittito con un gesto incurante «Ho detto che è inevitabile! Sei sordo forse?! Saranno ancora più infuriati se accogliamo la mia promessa sposa in una situazione del genere. Dannato popolo, quei vermi non sono mai contenti... Barkak!» il maggiore dei due fratelli non si preoccupò neanche di alzarsi dal suo bel trono imponente, sventolando una mano in aria e rivolgendosi a quello che sembrava essere il generale dell’esercito.

«Sì, mio re?»

«Chiama il consulente economico Marukkio! Digli che ho un messaggio urgente da riferire all’esercito di Kou che sta scortando l’ottava principessa qui a palazzo! E digli di fare presto!»

«Agli ordini.»

Ma Abumad non sembrava ancora contento «Dannazione…» digrignò i denti e la sua faccia si contorse in una smorfia di puro disprezzo «Proprio quando sembrava stesse andato tutto per il meglio. Maledetti Briganti della Nebbia… maledetto Alibaba!»
 


 

I know there’s something out there, I think I hear it move.
I’ve never felt like this before.
I wish you never told me, I wish I never knew.
I wake up screaming, it’s all because of you.

—Three Days Grace, Scared
 


 

Sorprendentemente, il tempo passò in modo fin troppo facile. Il sole e le stelle si avvicendarono nel cielo nell’esatto moto che avevano seguito per miliardi di anni, la sabbia si scaldò con la luce e gelò nella notte, le poche piante si cibarono di tutti i nutrimenti che la terra e l’aria avevano da offrire e i piccoli insetti volarono imperturbabili, facendosi sospingere dal vento e bramando il buon nutrimento dei piccoli e rinsecchiti fiori.

Lilith si sorprese a chiedersi più volte come fosse possibile che dentro di lei ci fosse così tanto ma che il mondo continuasse la sua routine prestabilita senza prestarle attenzione, senza curarsi delle emozioni che sembravano starle corrodendo le interiora. Non sapeva come definire se stessa in quel momento, mentre si trascinava come un fantasma nel deserto, sempre più assetata, sempre più stanca.

Distrattamente si era ricordata di prendere qualcosa con cui sostenersi, nel paesino: un po’ d’acqua, qualche indumento in cui aveva avvolto una discreta quantità di frutta, un panno chiaro per coprirsi il capo e proteggersi dai violenti raggi del sole da cui sapeva non avrebbe avuto scampo.
Si era diretta verso l’oasi che circondava le mura della città ma non ci si era fermata per molto tempo; giusto quanto bastava per riposarsi e ripartire di mattina presto. Arrivata lì era perfino stata capace di prendere qualche dattero –da bambina faceva a gara con i suoi coetanei a chi riusciva ad arrampicarsi più velocemente lungo i tronchi delle palme per poi afferrare quei piccoli frutti zuccherosi, non era estranea a cose del genere. Ma non era sicura di ricordare come ci fosse riuscita. Sentiva il capo stranamente leggero e i pensieri lontani, le orecchie le fischiavano e gli occhi non riuscivano a focalizzarsi su qualcosa in particolare.

Non guardava i cadaveri delle persone, non stava all’erta se qualche altra forma di vita si stesse ancora aggirando per quelle stradine desolate. Quasi non fece caso alle ferite che si procurò mentre, in modo distratto e goffo, si aggrappava alla tagliente corteccia delle palme per prendere i piccoli e appiccicosi frutti. Osservò silenziosamente i profondi tagli sui palmi delle mani prima di fasciarli con dei pezzi di stoffa che un attimo dopo cominciò a impregnarsi di sangue.

Si era tenuta indaffarata per tutto il tempo, ricontrollando più e più volte se aveva preso tutto il necessario, contando in modo maniacale ogni cosa, camminando tra le palme e gli arbusti, in cerca di qualcosa che non conosceva neanche lei.

(Per non pensare, non pensare, non pensare che in quel posto avevano passato del tempo assieme, che tra quegli alberi gli aveva sorriso e avevano scherzato e bevuto e giocato. Era stato per pochissimo tempo. Perché faceva così male?)

Fortunatamente, il tempo passò in modo assurdamente veloce e presto cominciò ad albeggiare. Lilith non aveva dormito neanche un po’ ma convenne con se stessa che non sarebbe stato un problema.

Era andata avanti così: camminava all’alba e nelle ore serali, durante il giorno cercava sempre un rifugio all’ombra –che fosse un albero rinsecchito o una duna più alta delle altre- si scavava una buca così da trovare sabbia meno calda che in superficie e si distendeva lì, avvolgendosi in panni chiari, tentando di proteggersi dal sole.
Era stata costretta ad abbandonare alcune delle cose che aveva deciso di prendere; solitamente in viaggi del genere bisognava portare almeno un cammello con sé, avrebbe aiutato a trasportare i viveri e tutti gli oggetti più pesanti e scomodi. Lei era sola e le cose che aveva preso la rallentavano, di quel passo non sarebbe neanche riuscita a raggiungere la meta che si era prefissata.

«Ho preso l’acqua. Il cibo. I vestiti di ricambio li ho buttati. Devo stare attenta che gli occhi non si brucino per la troppa luce. Ho l’acqua. Attenzione ai coyote. I datteri. Per fortuna Alibaba mi ha dato delle scarpe buone con cui riesco a camminare senza ustionarmi i piedi. Ho preso la frutta ma prima o poi ne dovrò lasciare un po’ indietro. L’acqua. Appena mi comincia a girare la testa devo trovare un posto all’ombra. I datteri. Attenzione ai serpenti. Ci dovrebbe essere un pozzo non molto lontano da qui. Per la prossima città ci vorrà un po’. Devo accendere un fuoco di notte. Devo trovare la via principale. Trovare una carovana. Chiedere un passaggio. Un cammello. L’acqua. L’acqua. Non mangiare molto. L’acqua.»

Era un mantra finché non si assopiva. Il sonno durava solo poche ore, solitamente si risvegliava di soprassalto o soffocando un grido; a volte avrebbe potuto giurare di sentire una voce, un sibilo, borbottarle qualcosa di incomprensibile all’orecchio.

Dormiva sempre meno.

Un giorno si trovò uno scorpione tra i vestiti. Era stata fortunata che non l’avesse punta, anche solo una piccola quantità di veleno sarebbe stata capace di ammazzare un uomo adulto. Aveva stretto il suo pungiglione tra le dita, così da essere sicura che non l’avrebbe usato, e aveva sollevato il piccolo animale all’altezza degli occhi, scrutandolo attentamente.

«Ora ti mangio.» sussurrò e si chiese se lo scorpione potesse almeno avvertire il pericolo incombente. Le piacque pensare fosse così, dato che sembrò cominciare a divincolarsi più di prima «Ti staccherò le zampette a morsi e mi gusterò le tue interiora, ma ti lascerò in vita.» lo agitò per aria «Farò in modo che tu possa restare vivo per tutto il tempo, così da essere consapevole di cosa ti sta succedendo. Divertente vero?» fece un sorriso ebete quando quello si inarcò puntando le proprie chele verso di lei, come un gesto di sfida. I suoi movimenti erano aggraziati ma allo stesso tempo rivoltanti.

«…Non preoccuparti.» sussurrò dopo un po’ la bruna «Sono sicura che farà meno male di quello che sto provando io.»

Non lo mangiò. Anche se gli scorpioni erano commestibili, dopo la piccola chiacchierata che avevano avuto non era più affamata, forse aveva sviluppato una sorta di affettività per la creaturina. Lo lanciò il più lontano possibile, lungo la pendenza di una duna molto alta e guardò la sua piccola figura confondersi con la sabbia dorata fino a scomparire.

Si chiese se stesse impazzendo.

Altri due giorni passarono. Il sole le aveva ustionato la pelle e la sete aumentava; più di una volta era stata tentata di svuotare le tre borracce –ora ne rimaneva solo una- che aveva deciso di portare, così da dissetarsi completamente ma era riuscita a resistere al desiderio, d'altronde era nata in quell'ambiente ostile, fin da piccola era stata costretta ad adattarsi alle rigide regole del deserto.

Non bere troppi fluidi. Raziona con attenzione minimale ogni cosa. Continua a muoverti.

Eppure era sempre più difficile trovare ragioni per non lasciarsi andare. Tentava di ricordare la sua vita, di rimembrare momenti importanti. Non le era rimasto niente. Solo un grande senso di vuoto e di abbandono. Aveva sbagliato, sbagliato così tanto che ormai non riusciva neanche a trovare una giustificazione. Non c'era più nulla, era tornata al punto di partenza; tutto quello che aveva provato da quando se ne era andata dal luogo in cui era nata –da casa- sembrava essere scomparso, un gran senso di vuoto e di stanchezza le pesava sullo stomaco. Non voleva più neanche quello, non voleva più niente.

Niente. Niente. Niente.

Il mondo sarebbe solo dovuto scomparire come il sole nel tramonto; spegnersi e immergere tutto nel silenzio più assoluto. Ogni giorno credeva che di notte sarebbe stata meglio, nel buio era più facile non notare quanto la desolazione del deserto fosse l'unica cosa che le rimaneva. Ma, oh, quanto si sbagliava. L'oscurità portava pensieri diversi, più profondi e spaventosi, e quell’infinità di sabbia non scompariva ma diventava un enorme mare d’inchiostro su cui non splendeva alcuna luce, simile a un cielo senza stelle, e la inghiottiva nel suo freddo abbraccio.
Cominciò ad odiare sia la luce che il buio.

Fu in una di quelle notti che si rese conto di essere troppo stanca.

Mentre tremava per il freddo e si stringeva al petto il sacco in cui erano rimaste le ultime cose da mangiare, convenne con se stessa che era inutile continuare a combattere; chiuse gli occhi e si rilassò, senza borbottare più alcunché, senza cercare di trovare una distrazione. Per un momento ascoltò il silenzio che la circondava e quasi senza accorgersene, cominciò a rimettere in ordine i propri pensieri.

Eventualmente si addormentò o, per meglio dire, entrò in quello stato di dormiveglia dove la mente diventa completamente schiava delle emozioni e perde qualsiasi potere di volontà su se stessa. Sapeva di essere Lilith, sapeva di trovarsi nel deserto e sapeva di essere inevitabilmente sola. Eppure delle immagini cominciarono a disegnarsi e prendere vita nella sua testa, prima confuse, poi sempre più nitide, fino a mostrarle i più piccoli particolari che era stata sicura di essersi dimenticata con il passare degli anni. Sotto le palpebre, i suoi occhi cominciarono a muoversi in modo quasi frenetico, ammirando quello che sembrava un sogno –ma lei era sveglia, era presente, sapeva cosa stava succedendo- distendersi davanti a lei e circondarla.
 



La prima cosa che le veniva in mente quando qualcuno menzionava la parola “casa” era un colore. Una sfumatura tetra, forse grigiastra, con mille e mille crepe nere ad adornarla. Poi quel colore si trasformava in qualcosa di tangibile, diventando una parete di pietra, e le crepe si allungavano e distorcevano, andando a disegnare i contorni della stanza in cui si trovava.

Era in quel momento che Lilith si ricordava dell’odore: secco e leggermente aromatico, si mischiava alla costante muffa che impregnava quei freddi muri. L’odore della muffa le era sempre piaciuto.

Per ultimo ma non meno importante, il ricordo che le giungeva alla mente era quello uditivo; non c’era mai silenzio, a casa sua. I sussurri non cessavano quasi mai, il rumore di piccoli oggetti che venivano spostati in modo attento sugli scaffali era comune e poi c’erano i passi. Così tanti –troppi troppi troppi- passi risuonavano con piccoli tonfi sul tappeto che rivestiva il pavimento, sul quale lei giaceva, a fissare la parete. Passi che, una volta cominciati, non si fermavano più. Erano veloci e decisi ma con il passare del tempo sarebbero diventati troppo forti, frettolosi, e quasi confusi, come se non avessero idea di dove dovessero andare. Da qui in poi non era sicura di non mescolare ricordi e eventi di quando era bambina con quelli che era sicura ci fossero stati quando era cresciuta. D’altronde fino all’età di tredici anni (almeno, questa era l’età che Halima aveva detto che doveva avere la prima volta che si erano incontrate) era sempre stato tutto uguale: urla e sorrisi, mani che prima le sfioravano il capo, le districavano i nodi dei capelli e le intrecciavano le ciocche in motivi eleganti, un attimo dopo le artigliavano il viso, la scuotevano per le spalle costringendola a guardare l'artefice di quei gesti in volto. Erano degli occhi neri quelli che si ritrovava a fissare, leggermente strabici, forse in tempi più giovani erano potuti risultare sensuali. A lei, l’unica cosa che avevano mai trasmesso –per lo meno, per quanto riusciva a ricordarsi- era un sentimento che fin troppo presto aveva saputo riconoscere e nominare. Follia.

Era sicura, sicura ci fossero stati tempi migliori, era assolutamente certa che sua madre non fosse sempre stata così… fuori di sé. Lei stessa glielo raccontava. Suo padre, suo padre era stata la benedizione e poi la rovina della mamma, questa era una delle prime cose che Lilith era riuscita a comprendere.

«Tuo padre era come il sole per me. Anzi no, no, era qualcosa di più! Era la vita stessa. Era l’unica persona con la quale io potevo finalmente respirare e essere felice. Tutti i sogni che una sciocca ragazzina può avere a quell’età, lui con un solo sguardo sembrava realizzarli; mi amava e io lo amavo.»

Allora perché, avrebbe voluto chiedere Lilith, perché l’aveva abbandonata?

«Tuo padre, tesoro mio, tuo padre era come il sole.»

Lo aveva già detto.

Lo aveva già detto lo aveva già detto lo aveva già detto.

«Anzi, era molto di più!»

Zitta zitta zitta zitta zitta zitta zitta zitta zitta.

«Aveva sempre vissuto per le strade, facendo i lavori più disparati, amando il mondo come se non ci fosse niente di più bello. Quando lo incontrai per la prima volta, tentò di vendermi un cesto di vimini. Allorché gli dissi che non ce ne era bisogno, che a casa ne avevamo tantissimi, essere figlia di un ricco commerciante dava i suoi frutti. Lui a quel punto mi rivolse un sorriso bello come il sole.»

Lilith aveva sempre odiato il sole.

«E insistette; diceva che era importante, che non era un semplice cesto, di prenderlo, prenderlo e scoprire le bellezze che esso conteneva. Ti sembrerà assurdo, ma alla fine lo comprai. E capii che accettarlo era come accettare il fatto che, da quel momento in poi, la mia vita sarebbe appartenuta a lui. Tuo padre lo sapeva e io lo sapevo e dopo quel muto accordo cominciammo a vederci sempre di più, amandoci alla follia. Successivamente riuscii a convincere i miei genitori che lui era l’uomo giusto per me, che nonostante non avesse una famiglia ricca mi avrebbe reso felice, e dopo un po’ di tempo mi diedero la loro benedizione. Ci sposammo e con i soldi che la mia famiglia mi regalò viaggiammo per il mondo; tuo padre era molto bravo nelle contrattazioni e conosceva tutte le vie e i mezzi per raggiungere luoghi sconosciuti e esotici, riuscimmo a sostenerci per tre interi mesi e io lo amai come non sapevo essere capace di amare.» più o meno a quel punto prorompeva sempre in una risata sciocca, socchiudendo gli occhi e perdendosi in quei ricordi. Lilith la osservava in modo attento, quasi guardingo, sapendo già cosa sarebbe successo dopo. Storie simili gliele raccontava sempre, sua madre; prima l’uomo di cui si era innamorata era un principe diseredato, poi una assassino in fuga, poi un lontano parente di suo cugino che per pura circostanza aveva scoperto di essere stato adottato, dunque di non avere legami di sangue con lei, dunque di poterla amare senza riguardi.

Ci volle un po’ di tempo prima che la bambina si accorgesse che in realtà non era la storia che cambiava, le cose che accadevano erano pressoché identiche. L’unica cosa che mutava era il ruolo di suo padre, la mamma si inventava sempre cose nuove riguardo alle sue origini, ma per il resto non cambiava niente al loro incontro: lui era sempre un uomo povero e latitante, con un animo così positivo e sereno che sembrava catturare l’attenzione di tutte le persone attorno a sé, e la mamma era sempre la figlia di questi ricchi mercanti. I loro viaggi erano sempre gli stessi e anche la fine della storia era sempre uguale.
Al loro ritorno dal viaggio, i genitori della mamma erano stati misteriosamente uccisi e dunque il suo amato, mantenendo sempre quell’atteggiamento sicuro e positivo, decideva di prendersi carico delle loro attività commerciali. Ma per qualche strano intrigo che persino la mamma non sembrava essere capace di spiegare, finirono sul lastrico, e i due sposi rimasero con nient’altro che quella piccola casa e una bambina appena nata.

«Non è stata colpa di tuo padre. -ripeteva- Tuo padre ha dato tutto se stesso affinché le cose andassero in porto… eppure… eppure siamo stati sfortunati. Ma non mi importava, d’altronde avevo voi due e l’amore che provavo per entrambi mi bastava per sopravvivere.»

Quello era il momento.

Lilith lo sapeva ancora prima che succedesse.

Le braccia di sua madre cominciavano a stritolarla in una morsa di ferro, facendole male e lei provava anche a dirglielo ma la stretta non faceva altro che aumentare.

«Quando tu avevi pressoché due anni, lui se ne andò.» a dare inizio al pianto era sempre un piccolo singhiozzo. Sfuggiva dalle labbra screpolate della mamma per poi dare il via a una serie di pietosi singulti «Non sembrava più felice in quel periodo, il suo sorriso bello come il sole non si mostrava quasi più e ogni volta che ci fissava era… era…» piangeva più forte, spingendo via Lilith, e ogni volta cercava il suo cesto di vimini, ormai rovinato e rotto, consumato da quel sentimento che non aveva più –e forse non aveva mai avuto- ragione di esistere.

«Quando quel giorno, poco prima di uscire, ti guardò per un’ultima volta, capii che era colpa tua, amore mio. Tutta, tutta, tutta colpa tua. Se solo tu non fossi nata, lui non mi avrebbe mai abbandonato. Ti odiava. Odiava il fatto che la tua nascita era avvenuta precisamente lo stesso giorno in cui ci hanno comunicato che la nostra compagnia doveva chiudere. Sapevo, sapevo che ti considerava come un segno di cattivo augurio, eppure tentai di dare il mio amore sia a lui che a te, così che un giorno potesse aggiustarsi tutto.» rigirava tra le mani quell’oggetto di vimini che diceva essere stata la cosa che l’aveva legata a lui, ci passava le labbra sopra, ne sentiva il profumo. Annegava sempre di più nella sua pazzia. Eppure Lilith era troppo piccola, troppo giovane per capirlo davvero.

«Anche tu mi vuoi lasciare, non è così?» terminava sempre con quella domanda e la bruna si era arresa ormai a negarlo; sapeva che non l’avrebbe comunque ascoltata. Si limitava a fissare la parete di pietra dalle mille crepe, ascoltando il suono dei suoi passi farsi sempre più forte finché non le era di nuovo vicina e la prendeva tra le sua braccia in un gesto violento e gentile «Non te lo permetterò.» sussurrava e il suo sguardo non mostrava altro che panico «Sei solo una piccola irriconoscente. Io sono l’unica che ti ama, tesoro mio. L’unica che potrà mai amarti e tu vuoi andartene?!»

Non era vero. Non voleva farlo. Non poteva. Perché le faceva questo? Perché perché perché per-

«Tu hai bisogno di me.»

Era vero.

«Resteremo per sempre insieme.»

Anche quello era vero.

«Perché la mamma ti ama, e anche tu ami la mamma.»
 



Solo successivamente, una volta lontana da quell’inferno, Lilith si era resa conto di molte cose –Halima stessa l’aveva aiutata a capire.

Ma ormai neanche quello aveva più senso, perché perfino Halima l'aveva lasciata. E mentre era lì, avviluppata tra i vestiti che usava come coperte, piena di sabbia e sudore freddo, circondata da nient’altro che solitudine e silenzio, le parole di Judal cominciarono a sommarsi a quelle di sua madre, in un vortice che la trascinava sempre più in fondo.

Si accorse che il Magi aveva ragione. Era bloccata. Non riusciva ad arrendersi, non riusciva ad andare avanti; desiderava ambe due le cose allo stesso modo ma non era capace di scegliere né l'una né l'altra. Non era capace di odiare ma neanche di amare.
Immobile in quell’indecisione di cui sapeva non si sarebbe mai liberata, sentì il disperato bisogno di qualcuno che la guidasse, che le dicesse che andava tutto bene e che era al sicuro, qualcuno che le stesse affianco. Si rannicchiò ancora di più.

Soffocava. Avrebbe voluto urlare ma era sicura non sarebbe uscito niente. Forse stava impazzendo davvero.

Era vero, era vero, era vero, la sua vita non era stata altro che un vortice di indecisioni a cui non avrebbe saputo neanche dare un nome... che cosa aveva fatto? Che cosa aveva costruito in tutto quel tempo? Niente. Tutto ciò che riusciva a stringere tra le mani insanguinate erano piccoli granelli di sabbia che le si attaccavano alle ferite sui palmi ormai infettate.

La mamma. Halima. Il padre. Il bambino che aveva ucciso. Judal.
Li odiava, li odiava tutti. Eppure al tempo stesso sentiva un irrimediabile e terribile bisogno di-

«Non è importante.» sussurrò a se stessa, ricordandosi che di tutte quelle persone solo una era sicura fosse ancora viva e, comunque non l’avrebbe rivista mai più «Non importa più nulla.»

Nonostante tutto la mattina dopo si alzò e riprese a camminare, e quando Kougyoku la trovò, stava mangiando gli ultimi datteri che le erano rimasti.
 



{Accampamento dell'impero Kou. Scorta dell'ottava principessa imperiale Kougyoku Ren.}

«Magi, ti disturbo?»

«Cosa vuoi? Ho già detto che non toccherò più nessuno.»

«Non sono qui per quello, anche se non posso negare che ci hai fatto la vita molto difficile con la sfuriata di due giorni fa, ma è tutto risolto e ormai il signor Ka Koubun sta più o meno bene. Ah, non che ti possa interessare ma questa mattina la principessa Kougyoku-»

«Non me ne frega niente di Kougyoku o del quattr’occhi. Se sei venuto solo per questo puoi anche evaporare.»

«In realtà no, Magi.»

«Allora cosa c’è!»

«Ti prego di non arrabbiarti, ma volevo domandarti cos’è quest’oggetto.»

«…»

«Ti fa venire in mente qualcosa?»

«È il puzzle di Lilith… avrei dovuto buttarlo via, mi sono scordato. L’hai trovato in camera mia?»

«Sì, Magi. Ma bisogna ammettere che è stata una fortuna che tu non te ne sia liberato.»

«Ah? E perché?»

«Temo che le tue congetture sulla peculiarità di quella ragazza non fossero del tutto infondate, abbiamo trovato qualcosa di alquanto interessante… e forse sarebbe un bene se potessi portarla di nuovo qui.»

.
.
.
.
EHM, SALVE!

In ritardissimo ma neanche troppo (almeno, non come le altre volte) ecco il capitolo undicesimo. Oltre al fatto che l'11 è il mio numero preferito sì okay non interessa a nessuno avete notato qualcosa? Qualcosina?? No?!? Probabilmente no.
SONO ESATTAMENTE DUE ANNI DA QUANDO HO POSTATO IL PRIMO CAPITOLO *fuochi artificiali*. Devo dire che è stato un caso, non me ne sono accorta fino a mezz'oretta fa, mentre, rileggendo il capitolo, ho pensato che domani è il mio compleanno e mi si è accesa la lampadina! Sono stranamente euforica per questa cosa e non so neanche perché.

Comunque! Nonostante possiamo prendere questo aggiornamento come un piccolo festeggiamento per il compleanno della fic (e il mio uhuh) questo è probabilmente il capitolo più deprimente che abbia mai scritto. Spero vi... ehm... piaccia?
Ho avuto grandissimi dubbi a far andare in questo verso la storia (e Halloween_ lo sa molto bene, ti ringrazio ancora per il grande aiuto che mi hai dato, tesoro :3) ma alla fine mi sono convinta, anche perché è un pezzo che bene o male avevo programmato di scrivere fin dagli albori di Cancel your destiny. Spero sia ben riuscito.

Qui, vi lascio qualcosa che mi è stato inviato poco dopo aver postato il capitolo 10, che mi ha letteralmente fatto fare i tripli salti mortali di gioia.

Al vederla, il mio povero cuoricino è imploso di felicità e davvero non sarò mai in grado di spiegare quanto jaspeg (andate a dare un'occhiata alle sue storie e ai suoi disegni mi raccomando) mi abbia reso felice con questo disegno! Specialmente Lilith, è bellissima. Grazie grazie e ancora grazie cara :D Nei prossimi capitoli posterò i successivi diegni che con sua immensa gentilezza mi ha inviato!

Vi auguro un felicissimo Halloween e tanti dolci e tante carie, festeggiate tutti assieme la notte dei mostri e divertitevi! ^^

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Magi: The Labyrinth of Magic / Vai alla pagina dell'autore: Hirriel