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Autore: Beatrix Bonnie    31/10/2015    1 recensioni
-Seguito de L'orologio d'oro-
I tempi spensierati sono finiti: con il ritorno di Colui-che-non-deve-essere-nominato, Mairead, Edmund e Laughlin, insieme ai loro amici del FIE, dovranno affrontare il crescente clima di razzismo dell'Irlanda magica, tra ansie per gli esami finali, nuovi caos a scuola e un Presidente della Magia che conquista sempre più potere. Per Edmund non sarà un'impresa facile, soprattutto visto che il ragazzo sarà anche impegnato nella ricerca di un leggendario manufatto magico di grande potenza, che potrà salvarlo dalla maledizione impostagli da Sigmund McFarren. Ma dove lo porterà la sua ricerca? E questo oggetto esiste davvero o sono solo farneticazioni di un vecchio?
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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CAPITOLO 21
Il segreto dei Conti






Edmund rimase in silenzio, ad osservare il cardinal Ravase come se lo vedesse per la prima volta. Ora capiva il motivo per cui l'uomo conosceva tutta la storia in modo addirittura più dettagliato degli stessi libri sull'argomento. Ma ancora una domanda restava senza risposta. Forse la più importante di tutte. «Qual era il segreto dei Conti?» si azzardò a sussurrare Edmund.
Il cardinal Ravase rimase ad osservare pensieroso fuori dalla finestra, ma alla fine tornò a voltarsi verso il ragazzo. «Quella che tu chiami Mela d'Oro, in realtà è la Fons artis magicae» gli annunciò serio. «Ma, più che tante parole... seguimi.» Accennò ad un sorriso e si portò nuovamente dietro la scrivania. Estrasse la bacchetta da una piega della lunga veste nera, trafficò in qualche modo coi libri alle sue spalle, sussurrò delle parole in latino e infine si allontanò d'un passo dagli scaffali. Per una frazione di secondo non successe nulla, poi la parete di fronte a loro cominciò a muoversi e la libreria si aprì, rivelando una scalinata che scendeva nel buio. «Vieni, seguimi» disse il cardinale, inoltrandosi giù dalle scale alla luce della sua bacchetta.
Edmund esitò solo per una manciata di secondi, poi si affrettò a seguire l'uomo: se si era fidato fino a quel punto, tanto valeva andare fino in fondo. La discesa terminò abbastanza alla svelta (dovevano essere al massimo un paio di piani), rivelando un cunicolo stretto e umido. Ravase lo percorse fino in fondo, dove aprì una porta dall'aria consunta con una grossa chiave arrugginita. In realtà questa si aprì senza un solo cigolio su una stanzetta circolare, nella quale si accesero due grossi bracieri non appena vi misero piede. Al centro si trovava un basamento di pietra, sul quale era appoggiato uno scrigno che pareva completamente di metallo. Il cardinal Ravase armeggiò per qualche altro istante con una chiave che doveva avere qualcosa di magico, finché il piccolo cofanetto non si aprì.
Sul momento Edmund non vide nulla, poi individuò una specie di roccia scura, lucida, che sembrava pulsare come un cuore umano, ribollire come nero petrolio; si librava nell'aria a qualche centimetro dal fondo dello scrigno e... aveva un qualcosa di incredibilmente attrattivo. Edmund allungò la mano, voleva toccarla.
Il cofanetto si chiuse di scatto. Edmund si bloccò, di novo lucido, la mano ancora tesa verso la pietra.
Il cardinal Ravase gli sorrideva tranquillo, ma il gesto con cui aveva chiuso lo scrigno era stato netto e severo. «È meglio non toccarla» lo informò.
«Che cos'era?» sussurrò Edmund, come se non volesse rovinare la sacralità del luogo.
«È la fonte della magia» spiegò Ravase. «Ciò per cui esistono i maghi nel mondo.» Gli sorrise sereno, come se non stesse rivelando un segreto incredibilmente potente. «Meglio se torniamo nello studio.»
Ripercorsero il tragitto al contrario, fino a trovarsi nuovamente nella biblioteca. Edmund aveva la testa che vorticava per mille domande, idee e sensazioni che la vista di quella piccola pietra aveva suscitato.
«Prego, siediti» lo invitò il cardinale. «Vai a chiamare Graziano.»
«Come?» farfugliò Edmund, quando si accorse che Ravase stava parlando al ritratto di un uomo vestito alla maniera seicentesca. Il mago annuì e scomparve dalla sua cornice. Tornò il silenzio nella piccola biblioteca, finché Edmund non si decise a romperlo: «Come può quella... pietra essere la fonte della magia?»
Il cardinal Ravase si sedette alla scrivania di fronte a lui. «Ipotizziamo sia un meteorite» gli spiegò. «E pare che sia stato trovato in Africa, dai primi ominidi, che rimasero a contatto con la Fons tanto a lungo da subire una sorta di mutazione genetica. È quasi come se la Fons emanasse radiazioni: questi uomini primitivi divennero capaci di far entrare in reazione la propria Forza interiore con le Forze della Natura, attraverso dei catalizzatori. In sostanza, sapevano fare magie.»
Edmund ascoltava affascinato. Quella scoperta rivoluzionava l'idea stessa di magia.
«L'umanità, come forse sai, si sviluppò a partire da questi primi ominidi africani» continuò Ravase. «Le capacità magiche si sparsero per il mondo mano a mano che coloro che erano stati a contatto con la Fons si riproducevano. Ed essa rimase per molto tempo in Africa, dimenticata. Ma intorno al III millennio, alcune comunità magiche della zona della Mesopotamia cominciarono ad interessarsi all'origine della magia. Giravano voci, strane leggende antiche a proposito di un potente manufatto magico in grado di dare poteri straordinari a chi lo trovasse.»
«Gilgamesh» commentò Edmund, con un'illuminazione improvvisa.
Ravase annuì e sorrise. «Esattamente. È ovvio che si tratta di leggenda, ma evidentemente qualcuno, o forse un'intera comunità, riuscì a trovare la Fons in Africa e alimentò le diceria a proposito di un manufatto in grado di donare l'immortalità. Si decise allora di nascondere la Fons, per evitare che anche la gente non magica, i cosiddetti Babbani, potessero acquisire capacità magiche, di cui gli stregoni erano tanto gelosi. Ma le voci di un oggetto miracoloso, un frutto, che sapeva donare di volta in volta saggezza, vita o immortalità affascinò a tal punto i popoli vicini che esso ricompare in diverse saghe. Non ultimo, nel racconto della Genesi.» Il cardinale fece una pausa, osservò per un attimo alcuni libri sui suoi scaffali, poi tornò a guardare Edmund. «Ovviamente le nostre sono solo supposizioni, ma possiamo stabilire con ragionevole certezza, che la Fons traghettò dalla Mesopotamia alla Grecia intorno al XIII secolo a.C., forse proprio con la guerra di Troia. Essa infatti compare nella saga di Eracle, che deve rubare il frutto proibito dal giardino delle Esperidi. Non è molto chiaro come sia poi giunta presso i Normanni, ma sicuramente è sempre la Fons che sta alla base dei frutti miracolosi che donano immortalità, in possesso della dea Idunn. Con il secolo XI e la prima invasione normanna dell'Irlanda, la Fons approdò sull'isola smeralda; essa infatti appare nella sistemazione delle saghe mitologiche dei figli di Tuirenn, avvenuta proprio nel secolo XI: alle prove imposte dal dio Lug, si aggiunge la ricerca delle mele magiche. In qualche modo, poi, forse con le battaglie del secolo successivo, la Fons cadde nelle mani delle famiglie irlandesi degli O'Donnell e O'Neill.» Ravase si interruppe e gli fece l'occhiolino. «E da qui la storia la conosci.»
Edmund rimase a fissarsi le dita delle mani per parecchi minuti, rimuginando sul racconto che aveva appena ascoltato. Era qualcosa di straordinario, una scoperta che dava senso a tantissimi aspetti della magia... improvvisamente fu colpito da un'idea: i Nati Babbani non esistevano! In realtà, chiunque fosse in grado di fare magie doveva avere alle spalle, vicino o lontanissimo, un antenato mago. E una domanda fondamentale gli sorse spontanea. «Perché tenere segreta la Fons?» chiese accorato. «Potrebbe dare il via ad una serie di studi e ricerche importantissimi per il mondo magico. E poi dimostrerebbe l'assurdità delle pretese dei Purosangue, perché tutti discendiamo da quegli ominidi africani che restarono a contatto con la Fons!»
Il cardinal Ravase sorrise bonario. «I tuoi intenti sono nobili, Edmund, ma non pensi che, una volta rivelato al mondo il segreto della Fons, qualcuno potrebbe volerla utilizzare per scopi malvagi?»
Edmund pensò immediatamente a McPride, con quel suo sorriso da squalo, o allo stesso Voldemort.
«Purtroppo è per noi un campo ancora pieno di misteri» confessò il cardinale. «Non sappiamo quali effetti potrebbe avere se usata nel modo sbagliato. Già solo un'eccessiva esposizione potrebbe provocare seri danni alla capacità di far magie.»
Edmund annuì, rendendosi conto di essersi lasciato prendere dall'entusiasmo, senza considerare le conseguenze. Passò un'altra manciata di secondi, poi Edmund espresse ad alta voce un altro dubbio che lo assillava. «La Fons... non potrà spezzare la mia maledizione, vero?»
Questa volta il volto sempre bonario del cardinale fu attraversato da un velo di tristezza. «Temo di no, Edmund.»
Il ragazzo chiuse gli occhi un istante. Lo sapeva, lo sapeva fin dal principio che la speranza di trovare la Mela d'Oro sarebbe stata flebile, ma la cruda certezza che nulla potesse spezzare la sua maledizione gli riversò addosso un peso insopportabile. Se Voldemort l'avesse trovato, sarebbe stata la fine. Di ogni cosa.
«Perché mi ha rivelato il segreto della Fons?» chiese d'un tratto, colpito da un altro pensiero. Se non serviva a spezzare la sua maledizione, per quale motivo il cardinale gliela aveva mostrata?
Ravase accennò ad un sorriso divertito. «Come potrai immaginare, io non ho eredi» spiegò. «E nemmeno l'ultimo discendente di Hugh O'Neill, Graziano Bellarmini, ha figli. È un vecchio scapolo brontolone, ma un buon amico.» Il cardinale ridacchiò tra sé, poi guardò Edmund con intensità, nuovamente serio. «Prima che sia troppo tardi, io e Graziano dobbiamo scegliere un erede, o meglio, due, che custodiscano il segreto della Fons.»
Edmund finalmente realizzò: il cardinale voleva affidargli la protezione di quell'incredibile pietra magica. Gli stava offrendo di divenire il nuovo custode, un'opportunità incredibile e insieme di altissima responsabilità. «E perché proprio io?» sussurrò incredulo. Dopotutto, si conoscevano sì e no da un'ora.
«Non lo so.» Il cardinale si strinse nelle spalle. «Mi ha guidato fino a te una sensazione. Era da tempo che cercavo il candidato migliore a cui rivelare il segreto della Fons e sei comparso tu con le tue ricerche, irlandese come i miei antenati...» l'uomo lasciò la frase in sospeso, pensieroso. «Vedi, Edmund, io non credo che esista il caso» annunciò dopo un attimo. «C'è un preciso disegno che ha fatto incontrare me e te, oggi, tu con le tue domande e io con le risposte alle tue domande. Bisogna affidarsi alle mani della Provvidenza.» Poi il cardinale sfoderò un sorriso furbo ed eloquente. «Inoltre, credo che tu abbia qualche buon amico davvero fedele con cui condividere questa missione.»
Anche Edmund ridacchiò, pensando a Laughlin che faceva mamma chioccia nei suoi riguardi. Dai, tutta quella preoccupazione era davvero eccessiva: in fondo aveva dimostrato di sapersela cavare da solo in più di una situazione. Il suo amico stava sfiorando il ridicolo. Però, in fondo, quel suo atteggiamento protettivo gli faceva piacere: significava che era davvero preoccupato per lui e che avrebbe affrontato tutti i demoni dell'inferno per venirlo a salvare. Come, dopotutto, aveva dimostrato in più di una situazione.
«Allora, Edmund» lo incitò il cardinale. «Te la senti di accogliere questo compito?»
Il ragazzo prese un profondo respiro. «E se non me la sentissi?» chiese titubante, cercando di capire quale strada fosse meglio prendere.
Ravase alzò una spalla a mo' di scusa. «Dovrei cancellarti dalla memoria questo nostro incontro» rivelò. «Ma, visto che sei arrivato fin qui, è possibile che tu scopra da solo il segreto Fons, quindi dovrei eliminare dalla tua testa qualsiasi informazione al riguardo.»
Edmund annuì. «L'avevo immaginato» confessò, ben consapevole che informazioni del genere non sarebbero potute andare in giro come se nulla fosse. Ma ciò che lo preoccupava davvero non era tanto l'onere di tenere al sicuro la Fons una volta che fosse rimasto solo lui come custode, quanto la possibilità che Voldermort ne venisse a conoscenza attraverso di lui. Se non c'era modo di spezzare la sua maledizione, qualora il mago oscuro avesse messo le mani su di lui, avrebbe avuto accesso diretto a tutte le informazioni di cui aveva bisogno. E non voleva nemmeno sapere cosa sarebbe successo se Voldemort fosse venuto a conoscenza della Fons. La sua più grande protezione era data dal fatto che nessuno sapeva che esistesse: il segreto doveva rimanere tale.
«Un Voto infrangibile» esclamò d'un tratto. «Un Voto infrangibile che mi impedisca di rivelare in qualsiasi modo il segreto, volontariamente o involontariamente, pena la mia morte.»
Il cardinal Ravase si lasciò sfuggire un sorriso. «Sono contento che tu prenda seriamente il tuo compito» commentò divertito. «Graziano sta venendo qui: volevo proprio proporti di stringere un Voto infrangibile, che ti impedirà di rivelare il segreto della Fons fin tanto che non sarà giunto il momento di nominare un secondo custode.»
Edmund annuì serio. «È più che necessario. Per la sicurezza dell'intero mondo magico.»

«È più di un'ora che son lì dentro» protestò Laughlin, accennando col capo alla porta. Quella storia puzzava più della cacca di troll.
«Laugh, te l'ho già detto, il cardinale è un tipo a posto» lo tranquillizzò Dominique.
Laughlin si alzò in piedi. «Aver letto i suoi libri non significa conoscerlo davvero» lo ammonì, ben sapendo che Dominique era il tipo di persona che si nutriva di noiosi scritti teologici. «E poi potrebbe non essere lui... magari è un impostore che ha bevuto della Polisucco!»
Mairead scosse la testa con un mezzo sorriso. «Nessuno si aspettava il nostro arrivo a Roma, Laugh» intervenne. «Chi mai avrebbe potuto tenderci una trappola?» Anche lei era preoccupata per Edmund, ma Laughlin rasentava davvero il paranoico.
Il ragazzo alzò un dito in segno di ammonimento. «Questa cosa puzza, date retta a me.»
E come a sottolineare le sue parole, la porta d'ingresso si spalancò sul salotto. Comparve sull'uscio un uomo anziano, col volto scavato e i capelli bianchi, eppur molto alto per la sua età; indossava una toga bianca sopra le vesti da mago e teneva in mano un bastone da passeggio. Li scrutò uno ad uno con aria corrucciata e sorpresa, infine domandò loro qualcosa in italiano.
Dominique rispose nella stessa lingua, cercando di apparire tranquillo, ma la comparsa dell'uomo l'aveva turbato. Chi poteva essere per avere le chiavi di casa del cardinal Ravase?
Il mago brontolò qualcosa e si avviò a grandi passi verso la porta dietro la quale erano spariti Edmund e il cardinale.
Laughlin, che non aveva capito nulla di quello che si erano detti in italiano, pensò di parlare una lingua universale: si piazzò davanti alla porta ed estrasse la bacchetta. «Traducigli che di qui non si passa, se non l'avesse capito» disse a Dominique, ma senza smettere di fissare lo straniero.
Il mago sgranò gli occhi sorpreso ed esclamò qualcosa con veemenza.
«Dice che questa è casa sua» tradusse piano Dominique, incerto sul da farsi.
«Casa sua?» gli fece eco Laughlin, perplesso. «Ma qui non ci vive Ravase?»
«È anche casa mia, se non le dispiace» borbottò l'uomo anziano, in un inglese un po' incerto. «Ora vorrei parlare con Francesco.» E indicò col capo la porta alle spalle di Laughlin.
Il ragazzo si voltò perplesso, come se si aspettasse di veder comparire il Francesco in questione. E qualcuno effettivamente apparve, ma era Edmund, seguito da Ravase. Entrambi guardarono straniti prima lui poi il mago anziano.
«Graziano?» lo interpellò stupito il cardinal Ravase.
Quello scrollò le spalle e brontolò qualcosa in italiano che, anche senza saper la lingua, suonava molto come un “chi diavolo hai invitato a casa?”.
Laughlin abbassò la bacchetta, ma il suo volto accigliato mostrava ancora diffidenza.
«Non ti preoccupare, è tutto a posto» lo rassicurò Edmund, mettendogli una mano sulla spalla.
Laughlin lo osservò con occhio critico. «Non ti ha stregato?»
«No, non mi ha stregato.» Edmund sorrise incoraggiante. «Devo fare un'ultima cosa poi sarò da voi.»
Laughlin strinse la presa sulla bacchetta, ma rimase in silenzio. Edmund fece una maggior pressione sulla sua spalla, a mo' di ringraziamento. «Quando verrà il momento ti racconterò tutto» gli disse.
Laughlin lo guardò con intensità, per controllare che stesse bene. «Lo giuri?»
L'amico annuì. «Lo giuro.» E scomparve nuovamente oltre la porta insieme ai due maghi italiani.
Laughlin prese a passeggiare avanti e indietro lungo la stanza per far passare il tempo, la bacchetta sempre in mano e l'orecchio attento ai rumori che provenivano dall'altra sala.
«Laugh, mi snervi» protestò Mairead.
Il ragazzo si lasciò cadere su una poltrona, sconsolato. «Odio non sapere cosa stia succedendo» borbottò risentito. E avrebbe aggiunto altro, senonché in quel preciso momento una campana cominciò i suoi potenti rintocchi. Erano martellanti, sordi, e parevano voler far crollare tutte le case del Gaianum con la sola forza del suono. Trasmettevano un angoscioso sentimento della fine.
Laughlin scattò nuovamente in piedi. «Che diavolo è?»
Dominique scosse la testa, mentre Mairead si alzò per guardare fuori dalla finestra e capire cosa stesse accadendo.
«Sono campane a morto» annunciò il cardinal Ravase, comparendo sull'uscio. Era seguito da Edmund e dall'altro mago in toga.
«Chi è morto?» indagò Laughlin, sospettoso.
Il cardinale prese un profondo respiro. «Il Patriarca Iohannes VII.»
Scese il silenzio sulla stanza, come se tutti si rendessero conto di essere partecipi di una svolta epocale della storia: il vecchio Patriarca era morto e presto tutti i cardinali si sarebbero riuniti per eleggere il successore.
«È stato un piacere avervi conosciuti» disse Ravase, con un sorriso sincero. «Ma ora il mio dovere mi chiama.»
I ragazzi annuirono e capirono che presto il Gaianum sarebbe stato in fermento: era giunto il momento di tornare in Irlanda.










Carissimi,
scusate il ritardo, ho avuto dei contrattempi al lavoro.
Comunque, ecco svelato il segreto che i Conti hanno tenuto segreto per tanto tempo! Lo sapete che mi affascinano queste cose di studio della magia e visto che la Rowling non ha mai detto nulla al riguardo, mi sono sbizzarrita.
Ah, QUESTA è l'immagine di un meteorite che assomiglia a come mi immagino la Fons artis magicae.
Quanto al cardinal Ravase, sceglie di rivelare il segreto a Edmund perché ha una fede cieca nella provvidenza: è da anni che cerca il candidato migliore per succedegli ed ecco che ad un certo punto gli compare un giovanotto irlandese (come i suoi antenati!) che conosce un sacco di cose sulla Fons... ci deve essere per forza sotto un disegno divino! Oltretutto, credo che in anni di confessioni, sia un prete in grado di leggere nell'animo delle persone e ha visto che in Edmund non c'è malizia.

Detto questo, vi prometto un po' di azione nel prossimo capitolo... se non stiamo qui a farci menate filosofiche e basta! ;)
Ci vediamo domenica 29 novembre. A presto!
Beatrix B.

   
 
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