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Autore: Trick    06/11/2015    4 recensioni
"È inutile cercare di cambiare la natura delle cose. Ci sono regole che sono nate semplicemente per sopravvivere all'umanità. Tu sei una di quelle regole. Tu, lei e una storia d'amore proibita che vuole sfidare la natura delle cose. Vuoi sapere la verità? È una storia noiosa: si sa già chi morirà alla fine".
RemusxTonks | HBP |
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Un po' tutti | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Ehilà, creature.

Ho avuto l'illuminazione. Ero coricata a letto con un fighissimo fumetto di Star Wars in una mano e con una tazza degli Avengers piena di caffelatte nell'altro, quando, d'un tratto, ho capito.

È giunto il momento di porre fine a quell'infinita, adolescenziale e oggettivamente brutta long-fic nata quasi otto anni fa. Otto anni sono un sacco di anni, ho pensato dall'alto di un'immagine veramente figa di Ian Solo. Ma no, io e la ragazzina che sono stata non saremmo andate poi così tanto d'accordo e ciò che ha scritto lei otto anni fa, pur con impegno e dedizione, non è niente di ciò che potrei cercare di scrivere oggi.

Ed ecco la svolta. L'idea. La follia. Ma crediamoci.

Quella che vi apprestate a leggere altro non è che la solita, nonfinita, adolescenziale e oggettivamente brutta Diario di un Lupo in un Branco di Lupi.

Sempre lei, solo... beh, un po' più grande e un po' più vecchia, proprio come la sua scompigliata autrice.



°°°



°°°

 

Ci stava impiegando decisamente più tempo del previsto. E dire che lui, di oggetti preziosi da conservare con cura non ne aveva mai avuti.

Possedeva solo i malridotti romanzi Babbani di sua madre e un acquario ormai opaco nel quale suo padre studiava le Creature Magiche. Niente di antico, insomma.

Erano solo cose vecchie e rovinate, robaccia da due Zellini che avrebbe potuto semplicemente scagliare di nuovo nel fondo del baule ingrandito con l'Incantisimo di Estensione Irriconoscibile. Dopotutto, quando l'Ordine della Fenice era stato costretto ad abbandonare in fretta Grimmauld Place, a Remus erano bastati cinquantaquattro secondi per disfarsi di qualunque cosa fosse conservata nella sua stanza.

Cinquantaquattro secondi.

Eccolo lì, il reale peso della sua vita. Cinquantaquattro secondi. In trentacinque anni di età non era riuscito ad accumulare nemmeno un minuto di ricordi che valessero la pena di essere conservati con cura.

Remus era abbastanza sicuro che Sirius avesse impiegato sette secondi per morire. La sua mente aveva ripercorso quel momento fino a quando non aveva realizzato che il tempo non si era affatto fermato. Aveva rivissuto ancora e ancora, Sirius sprezzante – Sirius vivo – Sirius che duella – Sirius che vive – e no, dopo il suo centesimo tentativo e un pugno di Kingsley alla bocca dello stomaco aveva decisamente realizzato che Sirius non ci aveva impiegato un'eternità.

Sette secondi.

Negli ultimi sette secondi Remus era semplicemente rimasto in piedi al centro del misero salottino della vecchia casa dei suoi genitori nello Yorkshire con una copia sciupata di Ivanhoe in mano.

Sette secondi.

Si avvicinò alla libreria piena solo per la metà e infilò Ivanhoe fra Cime tempestose e Otello, senza alcuna logica e senz'alcun senso dell'ordine. Fino a qualche tempo prima avrebbe scelto di catalogarli per genere, per anno, per autore... di tanto in tanto aveva bisogno di fermare la testa e svuotava l'intero contenuto della libreria solo per il gusto di trovare un ordine diverso, qualcosa che all'apparenza potesse funzionare meglio. Strinse qualche avventura di Sherlock Holmes sopra alla rigida copertina di Anna Karenina e, per buona misura, infilò una cartina della metropolitana di Londra fra le pagine de I Miserabili.

Sette secondi per morire. Mentre lui aveva raccolto le sue cose in cinquantaquattro secondi e le stava sistemando con risultati deludenti da cinque ore, tredici minuti e ventisei secondi.

Non era nemmeno del tutto certo del perché stesse contando.

Uno, due, tre...

Dante Alighieri accanto a Nabokov.

Quattro, cinque, sei...

E Nabokov vicino alla Bibbia.

Sette.

Si domandò per l'ennesima volta quanto potessero essere inutili setti secondi e stava per rispondersi per l'ennesima volta che non era importante, quando riconobbe il fischio acuto del campanello nell'ingresso. Concesse allo sconosciuto visitatore di fare altri due tentativi e gli lasciò qualche minuti per andarsene.

Poi il campanello suonò ancora e con più insistenza, e non fu l'unico suono a turbare il suo silenzio.

«So che sei lì dentro, pezzo di cretino!».

Remus sospirò, appoggiò Macbeth sulla libreria e si diresse con passo lento fino al piccolo ingresso polveroso. Tolse il chiavistello e abbassò la maniglia senza chiedere chi fosse. Non ne aveva bisogno, non con quella voce acuta e irritata. Non con lei.

Quella mattina i capelli di Tonks erano del suo colore naturale, neri e brillanti.

Non era un bel segno. Negli ultimi mesi Remus aveva imparato a riconoscere certi tratti distintivi del suo carattere prima dei membri dell'Ordine. Tonks sapeva riprodurre qualunque tonalità con incredibile maestria, ma di tanto in tanto ne perdeva il controllo: il verde pistacchio era una conseguenza di una situazione imbarazzante; giallo canarino quando rideva troppo, lilla quando beveva troppo. Una volta l'aveva vista con tutti e tre i colori contemporaneamente.

Il nero, ad ogni modo, restava un brutto segno.

“Scusa, ho la testa altrove...” le aveva confidato parecchi mesi prima, quando le aveva domandato per quale motivo quel giorno la sua testa non fosse psichedelica. “...quando sono concentrata su qualcosa mi scordo i capelli. E comunque fottiti, Lupin, io non sono psichedelica: sono semplicemente meravigliosa”.

«Oh, grazie mille» sbottò lei con un nota di limpido sarcasmo nella voce, mentre gli sgusciava accanto per oltrepassare la soglia con aria marziale. «È un onore essere ricevuta da Sua Maestà Pezzo-Di-Cretino! Sono desolata di essere arrivata senza preavviso, Vostra Altezza Baciami-Le-Chiappe, ma ho supposto che dopo un mese di suo totale esilio, qualcuno dovesse accertarsi che il vostro regale cadavere non stesse puzzando troppo». Si fermò sulla porta della cucina e si voltò per rivolgergli un'occhiata astiosa. «Stronzo».

Remus sospirò di nuovo e la seguì in silenzio. Sapeva di essere nel torto, ma sapeva anche che le sarebbe passata molto in fretta. Tonks si era già impadronita di una tazza e aveva acceso la vecchia macchina da caffè di sua madre. Non gliel'aveva mai confessato apertamente, ma negli ultimi mesi si era affezionato alla naturalezza con cui lei si muoveva per la casa, fra le sue cose vecchie e la sua vita vecchia.

Prese dalla mensola una seconda tazza e la appoggiò accanto a quella di Tonks, che roteò gli occhi al cielo e protestò:

«Sul serio, Remus? Non mi dici una parola e ora vuoi il mio caffè?».

«Tecnicamente è il mio caffè».

«Tecnicamente lo faccio meglio di te».

«È il motivo per cui ne voglio una tazza anche io».

Lei emise uno sbuffo rassegnato, ma sembrava essersi calmata.

«Remus, io--».

«Lo so. Non sentirti obbligata a scusarti per avermi chiamato pezzo di cretino».

Le labbra piene di Tonks si piegarono in una smorfia divertita. Aveva un rossetto di un viola intenso che le faceva sembrare ancora più soffici e carnose.

«Pezzo d'imbecille ti fa sentire più tranquillo?».

«Sì, molto» rispose Remus, mentre afferrava la tazza calda che lei gli porgeva.

Nel versare il caffè aveva rovesciato un paio di gocce scure sul tavolo e lui l'aveva ripulito distrattamente con uno strofinaccio un po' logoro. Non c'era bisogno di dire altro. Se all'inizio lei si scusava per dieci minuti e lui rispondeva che non era nulla di cui preoccuparsi per altri venti, ora entrambi godevano il silenzio dell'abitudine.

«Sono solo due settimane, non un mese» notò infine lui, soffiando via un po' di vapore caldo.

«Remus, sto cercando di sbollire per non prenderti a calci: collabora».

«Hai ragione».

«Puoi scommetterci le pa-- oh, è caldo forte!». Aveva scostato la bocca dalla tazza con un sibilo di dolore. Parlò solo dopo qualche secondo. «Remus, so che sei ancora fuori di te. Non mi sono ripresa io, quindi figurati tu... però hai bisogno di muoverti, di staccarti da te stesso. Credevo che la situazione sarebbe migliorata ora che il Ministero ha capito di essere pieno di imbecilli e ha accettato il ritorno di Voldemort, ma... Cristo, Remus, è ancora tutto un casino. Abbiamo bisogno di te ora più che mai».

Lui non disse niente. Continuò a rimirare le onde nere del proprio caffè attorcigliarsi nella tazza. Tonks inspirò profondamente.

«Dimmi che hai smesso di contare...» gli chiese con una nota di preoccupazione nella voce. «Ti prego, dimmi che non stai sistemando di nuovo i libri. Sarebbe la trentesima volta in meno di un mese».

«Trentaduesima, in realtà. Lo so, è una cosa folle...» aggiunse in fretta. «Lo pensa anche Silente, sebbene abbia avuto il garbo di non dirmelo apertamente».

«Silente è stato qui?».

«Sì, qualche giorno fa...».

Tonks lo invitò a proseguire con un cenno eloquente del capo.

«...e nient'altro. È solo venuto a... vedere come stavo sistemando la libreria, credo».

Mentirle lo faceva sentire un mostro. Aveva trascorso tutta la vita nelle menzogne ed era diventato un bugiardo realmente impareggiabile – non che lo reputasse un vanto – ma mentire a lei, a Tonks... non era del tutto sicuro che lei gli credesse tutto le volte, ma i suoi occhi vibravano di fiducia, e lui sapeva, bugia dopo bugia, che lei avrebbe sempre mantenuto vivo il desiderio di credergli. Questo sì, che lo faceva sentire un mostro. Tonks era leale, era sincera, era diretta. Era tutto ciò che lui non aveva mai potuto essere, ma c'erano cose che non poteva dirle... non poteva e basta, non riusciva.

«Immagino sia preoccupato quanto noi».

La risposta di Tonks giunse più in ritardo di quanto non avrebbe desiderato. Per qualche motivo che Remus ignorava, sembrava intenzionata a superare quell'ennesima menzogna.

«È per quello che ho detto, vero?» disse lei dopo diversi secondi di silenzio. Nella sua voce suonava una pavida esitazione, molto differente dall'usuale esuberanza di cui si era innamorato mesi prima. «Sai che non intendevo farlo».

«No, io--».

«Lo intendevo» lo interruppe con più decisione. «Dico davvero, Remus. Intendevo davvero ogni singola e fottuta sillaba che ti ho detto... ma non era il momento giusto».

Remus aprì la bocca ma la richiuse senza dire altro. Non era del tutto certo di cosa rispondere.

Aveva un'infinità di cose da dirle, un'infinità di domande da porle e un'infinità di obiezioni da avanzare... ma non sapeva da quali fosse meglio iniziare.

«Dopotutto ero in shock post-traumatico» continuò lei con finta allegria. «E se di norma sono capace di dire la cosa sbagliata al momento sbagliato, figurati cosa posso combinare in shock post-traumatico, giusto?».

Avrebbe voluto dirle che non era né il momento né il luogo a essere sbagliato. Erano le parole. Era tutto ciò che quelle parole significano.

“Mi sto innamorando di te”. Era stato il pigolio di una donna moribonda, con il volto pallido e una grossa benda ancora sanguinolenta attorno alla testa. “So che non vuoi sentirlo, Remus, ma io sono quasi morta, Sirius è morto e io ho una paura fottuta, quindi dovevo dirtelo... dovevo dirtelo adesso”.

Per un attimo era stato solo fuoco. Caldo, intenso, inaspettato. Per un attimo aveva solo pensato di mandare ogni cosa al diavolo, raccogliere quel suo mucchietto d'ossa e portarla dall'altro capo del mondo, lontano dalla guerra e dalla morte, in un posto in cui avrebbe potuto amarla senza nessun altro pensiero. Avrebbe voluto fare l'amore con lei ogni notte. Avrebbe voluto dirle anche questo, ma era rimasto in silenzio.

Era sbagliato. Tutto era sbagliato.

«Ho bisogno di sapere se intendi smettere, adesso».

La guardò perplesso.

«Smettere di rigirare le carte in tavola» continuò lei con enfasi. «Ho bisogno di sapere se prenderai una decisione, se mi dirai se nella tua vita c'è spazio per me o no. Se smetterai di saltare avanti e indietro, se capirò mai se cercarti al mio fianco o alle mie spalle... qual è la verità? Cosa siamo davvero?».

Avrebbe voluto fare l'amore con lei ogni notte, ogni giorno, perfino in quell'istante. E tremava dalla voglia di dirglielo, di provare la sensazione di essere sincero almeno una volta. Gli occhi scuri di Tonks lo scrutavano brillanti.

«Vorrei fare l'amore con te ogni notte» sputò infine, senza nemmeno guardarla. Scosse la testa come se non riuscisse a credere a ciò che stava dicendo. «Vorrei fare l'amore con te ogni giorno, perfino in questo istante». Scrollò le spalle come se stesse conversando del tempo, troppo confuso per fingersi nuovamente quello con i piedi per terra. «E sarebbe sbagliato. Meriti meglio e voglio che tu lo abbia, quindi... eccola, la verità. Devi andare via».

Tonks appoggiò la tazza al lavabo e inclinò appena il capo. Poi emise uno sbuffo a metà fra un sospiro e una risata soffocata.

«Puoi dirmelo ancora?».

«Devi andare via».

Lei scosse piano la testa. Gli prese la tazza dalle mani e la appoggiò accanto alla propria. Iniziò a giocherellare quasi distrattamente con il colletto della sua camicia, fingendo di sistemarglielo con cura.

«Dimmelo ancora».

«Tonks...».

«Dimmi che vuoi fare l'amore con me».

Era vicina... talmente vicina da permettere a Remus di sentire ognuna delle curve del suo corpo schiacciate contro il suo. Abbassò gli occhi per guardare le sue mani sfilare il primo bottone, ma non si mosse. Qualcosa nella sua testa gli stava gridando di farlo – di fermarla, di salvarla – ma rimase fermo a guardarla con la gola secca e le labbra dischiuse.

Come poteva quella donna avere su di lui un effetto talmente dirompente?

«Dimmi che vuoi fare l'amore con me ogni notte».

Si era alzata in punta di piedi e aveva nascosto il viso nell'incavo nel suo collo. Le sue labbra iniziarono a solleticargli la mandibola... doveva fermarla.

«Tonks....».

La sua mano iniziava a scendere pericolosamente verso il basso, dove il calore iniziava a intensificarsi... avrebbe dovuto fermarla. Lo sapeva bene, c'erano milioni di ottime ragioni per le quale avrebbe dovuto farlo. E invece iniziò a contare.

Uno...

«Dimmi che vuoi fare l'amore con me ogni giorno...».

Due...

«Dimmi che vuoi fare l'amore con me anche in questo istante».

Tre.




°°°



Qualche blanda nota di fine capitolo per non dimenticare i vecchi arbori.

Alla fine ho deciso di ignorare molto di ciò che Pottermore ha rivelato negli ultimi anni per dare spazio alle manie di protagonismo mie e dei miei HeadCanon, primo fra tutti il passato di Lupin. Quindi probabilmente finirete per rileggere cose che avete già letto decine di volte nelle mie sempre-verdi e sempre-uguali fan fiction e mi minaccerete con la padella di Rapunzel... by the way, per ora credo che rispetto alla prima versione adolescenziale di Diario di un Lupo in un Branco di Lupi, cambieranno solo le cose che non mi piacciono, tutte quelle schifezze di cui con gli anni mi sono pentita... non oso dunque quantificarle.

Grazie mille a chi non ha voluto dimenticare la mia prima incompiuta long-fic e che ha avuto la faccia tosta di rinfacciarmi di non averla mai terminata. A causa vostra – e vi dico grazie sul serio – si ricomincia.


   
 
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