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Autore: malpensandoti    08/11/2015    3 recensioni
Jodie le sorride di tanto in tanto, le scosta i capelli dal volto e le dice che Louis non ha idea di cosa si stia perdendo a non volere una sorella del genere.
Georgia la ringrazia e tace, alla fine non ci crede più di tanto.
Aspetta piano gli uomini – le persone – della sua vita prendersi qualcosa e sparire, perché è così che funziona, è così che semplicemente vanno le cose.
Vanno via.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Words As Weapons
Hello

Hello, it’s me
I was wondering if after all these years
you’d like to meet
To go over everything
They say that time’s supposed to heal ya,
but I ain’t done much healing

 



 
La Jeep grigio metallizzato di Louis ha i sedili posteriori pieni di disegni di bambini e vestiti piegati male.
Georgia respira a bocca aperta, in modo frettoloso, cercando di scacciare le lacrime mentre continua a sbattere gli occhi. La sua vista è confusa, le palpebre sembrano più pesanti che mai e il dolore allo stomaco pare essersi dilatato in tutto il suo corpo tremante.
Tra i finestrini appannati dal freddo di quella macchina, lei percepisce solo il suo respiro forte e il ronzio del motore. Non riesce nemmeno a ricordare come effettivamente sia finita in quella macchina, l'unico ricordo pressoché dettagliato della serata è quello in cui Liam ha imprecato per la prima volta durante la prima partita di poker. Dio, sembra essere passata un'eternità.
Louis guida silenzioso, con gli occhi vigili puntati contro la strada buia e l'espressione indecifrabile, come priva di emozioni. Georgia sbatte le palpebre per l'ennesima volta e respira, emettendo un singhiozzo.
“Mi...mi dispiace” gli dice, quasi obbligata dai sensi di colpa.
È spaventata, spaventata dalla situazione, dal dolore lancinante allo stomaco e i pensieri sconnessi.
Ha già provato questa sensazione: a sette anni era talmente timida da non essere riuscita a rifiutare un pezzo di torta di compleanno alla festa di Claire Tylor. La signora Tylor aveva chiamato l'ambulanza nel momento esatto in cui l'aveva vista cadere per terra, con le guance arrossate e il respiro pieno di panico. L'avevano tenuta in osservazione per l'intero week-end, i suoi genitori si erano preoccupati da morire e Georgia non era più riuscita a mangiare niente per quasi una settimana intera.
Adesso però è diverso, adesso oltre al dolore e all'impotenza, lei si sente in imbarazzo e in colpa, soprattutto agli occhi duri di Louis.
Si chiede a cosa stia pensando, a cosa sia dovuta la fronte aggrottata in modo così serioso e soprattutto perché siano lì, a quel punto di un rapporto che lei non sapeva avessero instaurato.
Si chiede: dovrà pur significare qualcosa, no? Deve. Come quella sera al pub, come quando si è sentita – in qualche modo – importante, importante per lui.
“Non è colpa tua” ribatte Louis, il tono incolore.
Ha ragione, non è colpa di Georgia. Lei non beve alcool e non assume glutine, fino a due ore prima nemmeno sapeva che sapore avesse la birra. Eppure nella sua testa confusa non può che rimanere il pensiero di essere un che di fastidioso e inutile, per Louis. È la convinzione con cui è cresciuta.
Tossisce e chiude gli occhi, stringendo le dita a pugno per evitare che continuino a tremare.
“Ti ricordi dove abiti?” lo sente chiederle, qualche minuto più tardi.
Georgia riflette: non è difficile ricordare casa sua. Nella sua mente ci sono i colori, la sistemazione delle finestre e dei mobili, l'odore di cera e fiori. Ci sono le scale ripide, i muri vuoti e le lenzuola chiare, eppure qualcosa manca.
Non ricorda più il colore del pavimento, l'ampiezza del salotto, i sorrisi dentro alle cornici e il rumore sottile della via residenziale fuori dai vetri.
“Io... - mormora, con gli occhi che si riempiono di lacrime un'altra volta per via della frustrazione – Io...Harry”
Non ne distingue i lineamenti, il volto spigoloso, le mani grandi. Gli vede gli occhi però, la postura marmorea.
“Harry?” Louis non capisce, ma non ne è sorpresa.
Nessuno capisce, nessuno può capire. È una cosa solo sua e di Harry.
“Io abito...Harry. Abito davanti ad Harry. Il...il soldato” il guerriero caduto in battaglia.
Sente la bocca impastata e le labbra pesanti, come se perfino mormorare iniziasse a stancarla. Si preme le mani contro lo stomaco serrato dal dolore e respira.
“Styles? Harry...Harry Styles?” ripete Louis, la voce improvvisamente piccola, timorosa.
La presa sul volante si fa più serrata, i suoi occhi più umani, fragili. Georgia lo osserva con confusione e per un attimo si chiede se anche a lei quel nome scateni lo stesso effetto.
Inclina la testa, sbatte gli occhi. “Sì”
Il restante del viaggio lo passano in silenzio, e Georgia non è minimamente sorpresa nel constatare – come già previsto – il fatto che Louis sappia alla perfezione in quale via si trovi la casa di Harry.
Il brusio del motore cessa del tutto, il ragazzo si slaccia la cintura di sicurezza e si schiarisce la voce.
“C'è qualcuno in casa tua? Tua madre o tuo...tuo padre?” sembra in difficoltà, i suoi occhi azzurri fanno di tutto per non incontrare quelli uguali di Georgia.
Lei si sente stanca e triste, lo stomaco ancora brucia e le sue palpebre sembrano ancora più pesanti, le sbatte un paio di volte e scuote appena la testa.
Sua madre è all'addio al nubilato di una sua collega a Liverpool, lei se ne ricorda all'improvviso e quasi ne è sollevata. Slaccia la cintura e sua volta e afferra la maniglia della portiera, guardando verso la piccola villetta buia.
“Grazie, Louis” dice, la voce che trema un po'.
Lo pensa davvero: gli è grata per aver messo da parte il rancore e la rabbia per aiutarla. Forse qualcosa di buono, in fondo, anche Marshall l'ha fatta.
Non lo sente rispondere, scende dalla macchina e cerca di restare in piedi mentre chiude la portiera e cerca le chiavi dentro alla giacca.
Camminare è quasi divertente, sembra di calpestare qualcosa di durissimo con le gambe simili alla gelatina, il freddo è insopportabile e sotto le guance arrossate Georgia riesce a distinguere la sensazione di vertigine.
La toppa del portone è troppo per le sue mani incerte e lei sobbalza in modo spaventoso quando le dita di Louis afferrano le chiavi al suo posto e aprono la porta.
Non si era resa conto che fosse sceso con lei.
È praticamente impossibile vederlo in mezzo alle mura di quella casa, Georgia si domanda quanto ancora potrà reggere quell'apparente preoccupazione che Louis sembra starle dimostrando.
È quasi goffo adesso, mentre accende le luci del corridoio e si guarda intorno come un ladro, eppure è lì e lei ancora non riesce a capire.
Ci penserà domani.
“Stai ancora male?” le chiede, a disagio.
Georgia annuisce flebilmente e si morde il labbro inferiore, colpevole.
Louis accenna con la testa al piano superiore: “Ti aiuto a salire le scale” dice in modo quasi meccanico.
La ragazza non protesta, non lo farebbe mai. Le dispiace che lui sia lì con lei e non altrove, dai suoi amici a divertirsi e stare bene, eppure dentro la sua testa l'egoismo nell'averlo vicino – finalmente, dopo troppo tempo – è anche più forte del senso di colpa.
È suo fratello, e gli vuole così tanto bene da sentire gli occhi bruciare per l'emozione.
Salgono le scale in silenzio, in silenzio Georgia apre la porta della sua stanza e si spoglia, respira, lo sente dietro di lei. In silenzio appoggia la giacca alla sedia e accende le candele sul comodino e sulla scrivania, in silenzio spegne la luce e lo osserva, come un ricordo.
Louis tra le fiamme piccole sembra una persona diversa, più sensibile. I suoi occhi sono scuri e pieni di confusione e il suo corpo è teso, agitato, intrappolato in una tela di sentimenti scomodi.
Sta provando qualcosa, lei nota. È come se stesse cedendo alle sue stesse bugie, a quei silenzi schematici di chi ha sofferto tanto e ha chiuso tutto fuori, di chi non riesce a perdonare e pare indistruttibile.
Georgia non è più imbarazzata alle luci delle candele, l'agitazione è sparita come un soffio, così come l'angoscia, la paura che ciò possa finire.
Louis si guarda intorno, respira in modo rumoroso e sembra stia cercando qualcosa da dire.
“Dovresti cercare di dormire – opta infine – Ti sentirai meglio domani mattina”
Lei si siede sul letto alto, annuisce leggermente e si sente stanca da morire. Lo stomaco si stringe e “Grazie, Louis” mormora.
L'odore di rose selvatiche è fin troppo rilassante, il sovraccarico di emozioni le fa chiudere gli occhi come una bambina. Si raggomitola sul piumone con ancora le scarpe addosso, il sonno così vicino da risultare soffocante.
“Puoi andare, se vuoi – dice, la voce impastata – Ma lui non tornerà, se è questo ciò a cui stai pensando. Lui non torna”
Anche il dolore sembra affievolirsi in modo dolce, la sensazione di casa è così forte da farla quasi sorridere.
“L'avevo immaginato – Louis dice, il tono pieno di tristezza – Si vede dal tuo sguardo. Mia madre aveva i tuoi stessi occhi”
Si addormenta subito dopo.
 
 
 
Nel sonno, dita sottili come aria le scostano i capelli dalla fronte calda, le accarezzano il volto rosso dall'irritazione.
Quando si sveglia il mattino dopo, Georgia ha la propria giacca a coprirle il corpo ricurvo e le scarpe sul tappeto.
Sulla pelle delle guance magre, c'è ancora il ricordo dei polpastrelli di Louis.
 

 
 
 
Harry ha gli occhi duri quando le apre la porta.
È un pomeriggio più buio del solito e Georgia non ha fatto nulla fino a quel momento, si solo è rintanata in camera ad aspettare che il dolore alle tempie e allo stomaco cessasse del tutto.
Jodie è tornata verso le dieci, si è preoccupata da morire e con i capelli spettinati le si è coricata vicino, raccontandole di una serata esclusivamente contro gli uomini e facendola ridere un poco.
Oscar le ha scritto diversi messaggi, così come numeri sconosciuti che si sono firmati con il nome di Suki e Zayn a cui lei ha risposto con parole gentili, un po' impacciate.
Non ha raccontato a nessuno di quello che è successo con Louis, non se l'è sentita.
L'unica persona che merita di sapere qualcosa di così grande adesso è proprio davanti a lei e sembra non aver assolutamente voglia di ascoltarla.
“Harry” lei esclama, osservandogli il volto più teso del solito.
Il ragazzo non le risponde, si scosta per farla passare e richiude la porta quando Georgia entra in casa e si sfila la giacca, leggermente a disagio.
Ha attraversato la strada con la convinzione di aprirsi e parlare, adesso però sembra tutto un pensiero lontano e stupido. Il comportamento di Harry le ha fatto venire voglia di tornare indietro in meno di trenta secondi.
Con la giacca ancora tra le braccia, si schiarisce la voce e sbatte gli occhi, guardando per terra. “Stai bene?” gli domanda.
Lo sente prendere un respiro profondo, un po' combattuto. Con la coda dell'occhio nota le sue spalle incurvarsi appena come un uomo arreso, le sue mani tra i capelli scuri e sul volto perennemente stanco, di chi non è capace di dormire.
Si dirige verso il salotto senza aprire bocca, sedendosi sul divano vecchio e aspettando che Georgia lo segua.
Dice: “Louis. Louis Tomlinson. Era lui ieri notte, vero?”
La guarda dal basso, la osserva arrossire e tendersi come un colpevole.
Non era così che lei avrebbe voluto iniziare la conversazione, però annuisce e attende che Harry continui.
Lui fa la stessa cosa e storce la bocca un paio di volte, passandovi sopra la lingua per cercare le parole. Le sue mani si stanno torturando a vicenda sulle sue ginocchia e a Georgia viene voglia di stringerle e sopprimere quel tormento.
“Eravamo amici, prima – lo sente mormorare poi – Migliori amici. Lui mi ha...scongiurato di non partire. Credo non mi abbia mai perdonato per non avergli dato retta”
Un altro tassello ad aggiungersi a quella confusione, Georgia respira in modo quasi impercettibile e sente le ginocchia tremare.
Vuole essere forte.

“È mio fratello – esala, per poi schiarirsi la voce – Insomma, mio...noi abbiamo lo stesso padre. Lui mi odia, credo. Intendo Louis, ma forse anche mio padre. Ieri sera sono stata male e lui mi ha accompagnata a casa e credo sia rimasto per un po'. È stato bello. Lui non vuole essere mio fratello, me l'ha detto. Lui ha un altro padre e un'altra famiglia, io sono solo...solo una ragazza come tante. I suoi amici non lo sanno perché lui di me non ha mai parlato, mia madre dice che sia stupido rifiutare una sorella come me. Io non la penso così”
Il volto di Harry si trasforma, i suoi lineamenti si fanno quasi dolci, comprensivi. Anche i suoi occhi sembrano riempirsi di sincera tristezza. Lei rimane in piedi a torturare il tessuto della sua giacca con forza, a chiedersi quanto lui possa capire, se si comporterà come Oscar, come chi pensa di capire e non è nemmeno vicino.
“È rimasto più di un po' – Harry rompe il silenzio con un tono di voce morbido, l'accenno di un sorriso invisibile – Per quasi tre ore. Non riuscivo a dormire, ma quella non era la faccia di chi non vuole avere una sorella”
La vuole far sorridere.
Ci riesce.
Accendono le candele e guardano un film con le braccia che quasi si sfiorano.

 

 

  
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