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Autore: Herm735    11/11/2015    7 recensioni
Raccolta di One-Shot per provare a dimostrare che, in qualsiasi modo, in qualsiasi mondo, Callie e Arizona si sarebbero trovate. L'ambientazione cambia di capitolo in capitolo, in epoche diverse, luoghi diversi, con una sola costante: il loro amore. Almeno, è così che mi piace pensarla...
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Non so come scusarmi per l'imperdonabile assenza. Spero che questa storia vi piaccia, anche se non penso che basterà a farmi perdonare. Ben presto inizierò a postare una nuova storia a capitoli, ma non riguardo Callie Arizona purtroppo, quindi l'assenza è dovuta anche al fatto che ho dedicato del tempo a questa storia, soprattutto ultimamente, anche se so che non è una giustificazione.
Questa vuole essere soltanto una shot leggera e carina per alleggerire questa coppia che ormai nel telefilm è spezzata in mille modi...
Buona lettura!





La nostra prima crisi di mezza età



Arriva un momento, nella vita di tutti, in cui per la prima volta di colpo ci sconvolge la consapevolezza di qualcosa che fino a quel preciso istante non era stata altro che una piccola, minuscola ombra, nascosta nell'angolo più lontano della nostra mente.
Una donna trova un capello biondo sulla giacca del marito, scopre una chiamata o un messaggio sul cellulare, si imbatte per sbaglio nel compagno quando lui aveva detto di essere fuori città. Ed ecco che improvvisamente vengono scoperte amanti ventenni, tresche amorose, relazioni torbide.
Lei ride troppo ad una battuta, lui la guarda un secondo più del dovuto, i loro baci sono dati con qualcosa che va oltre l'affetto e all'improvviso capiscono di essersi innamorati.
Due genitori che trovano preservativi in camera del figlio o un test di gravidanza in camera della figlia e si rendono conto che non sono più bambini. Oppure vedono che lo sfondo del cellulare del loro figlio è una foto di lui che bacia un altro ragazzo. E lo capiscono.
Così.
Di colpo.
Un fulmine a ciel sereno.
Ma è davvero così? Qualche nuvola doveva pur esserci all'orizzonte.
Il fatto è che gli indizi sono tutti lì, sono sempre stati lì fin dal primo momento. Sono proprio quello che vediamo tutti i giorni con la coda dell'occhio e a cui non facciamo mai caso.
Finché un giorno, senza preavviso, la realtà che fino a quel momento si era celata alla nostra consapevolezza nascondendosi nel nostro subconscio ci si rivela più chiara che mai.
“Non è una cosa così assurda, ormai lo fanno tutti.”
“Oh, quindi se tutti saltassero giù da un...”
“Ti prego mamma, non finire quella frase. È così cliché!”
Continuai a sistemare i piatti sulla tavola mentre lei si occupava delle posate.
“Beh, lo è anche farsi un tatuaggio perché lo fanno tutti e ritrovarsi un paio d'anni dopo con una cicatrice ripiena di inchiostro su una chiappa con su scritto Pedro.”
“Santo Cielo, mica mi voglio tatuare il nome di un tizio. È solo una piccola, minuscola rosa sulla caviglia!”
“Beh, lo farai quando non vivrai più sotto il mio tetto, Sofia.”
Lei sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
“Prima era finché non diventi maggiorenne, adesso che sto per compiere diciotto anni è diventato finché sei sotto il mio tetto, poi sarà finché ti mantengo io” mi rinfacciò. “La verità è che io sono un'adulta ormai e tu dovresti accettarlo, mamma. Ormai queste cose non puoi più capirle. Sei vecchia.”
E fu in quel preciso istante che il mondo si fermò.
Che ogni immagine che fino a quel momento avevo visto solo con la coda dell'occhio approdò finalmente sulla riva della mia coscienza, portandomi a quella sconvolgente epifania.
Tutto aveva improvvisamente senso.
I primi capelli bianchi, i dolori muscolari dopo operazioni che duravano una mezza giornata ma che fino a qualche anno prima non mi avevano mai dato problemi, i figli che stavano ormai crescendo. Era tutto lì. Avevo solamente scelto di non vederlo fino a quel momento.
Rimasi immobile, con gli ultimi due piatti in mano, a guardare mia figlia ridere della sua stessa battuta, ma sapere che stava solo scherzando non mi consolò. In fondo, in ogni battuta c'è sempre un fondo di verità.
Forse non ero vecchia. Ma, di sicuro, stavo invecchiando.
Fu così che per la prima volta, alla tenera età, per così dire, di quarantasei anni, mi sentii come se avessi già un piede nella fossa.

Più tardi, quella stessa sera, stesa a letto e con gli occhi completamente spalancati a fissare il buio, riflettei su ciò che mi aspettava il giorno successivo.
Avevo la sveglia alla stessa ora a cui era stata impostata negli ultimi quindici o forse anche vent'anni, poi mi sarei alzata, avrei svegliato i miei figli, avrei fatto colazione con la mia famiglia. Noi sei, seduti a tavola, negli stessi posti di sempre. Io a capotavola, mia moglie alla mia sinistra, Sofia alla mia destra, accanto a loro rispettivamente Sara e Jessica, le gemelle, e a capotavola, proprio davanti a me, il piccolo Jamie.
Dopo la colazione avremmo accompagnato i ragazzi a piedi alla fermata del bus e poi saremmo andate a lavoro, dove personalmente avrei passato tutto il giorno a fare sempre gli stessi interventi. Bacini fratturati, ossa rotte, costole frantumate. Poi mi sarei fatta due ore in pronto soccorso dove per lo più stavo seduta a rimettere in sede spalle slogate. Poi sarei tornata a casa ed avrei preparato la cena mentre mia moglie metteva a posto il casino che i nostri figli seminavano per tutta la casa. Avremmo visto un film tutti insieme oppure se uno di loro doveva prepararsi per un test li avremmo ascoltati ripetere.
Alle undici a letto.
Alle sette sveglia e di nuovo in piedi.
Alle undici a letto.
Io alle undici di sera andavo a letto. Io. Callie Torres. Io che ero una superstar con un bisturi. Che non avevo mai preso in considerazione di andare a letto prima dell'una di notte o di andare a letto sobria di sabato sera, andavo a dormire alle undici.
Capivo che i miei figli dovessero farlo perché il giorno dopo avevano scuola e dovevano dormire otto ore e tutte quelle cavolate. Ma perché lo facevo anch'io? Avevo preso l'abitudine ad andare a dormire alla stessa ora dei miei ragazzi adolescenti, nonostante non dormissi mai otto ore a notte ma spesso e volentieri ci mettessi una vita per prendere sonno o, al contrario, fossi in piedi con largo anticipo rispetto alla sveglia.
Quindi il giorno successivo sarebbe stato esattamente come tutti i giorni prima di quello, nella media.
E il giorno dopo ancora?
Stessa cosa.
E quello dopo?
Uguale.
E così all'infinito, la mia vita poteva essere considerata ormai una rimanenza di giorni fatti tutti allo stesso modo.
Certo, Sofia l'anno successivo sarebbe partita per il college, i ragazzi sarebbero cresciuti, magari avremmo comprato un nuovo frullatore. Ma si sa, più le cose cambiano, più rimangono esattamente le stesse.
Quindi rimasi lì, gli occhi aperti, le braccia tese lungo i fianchi sopra le lenzuola. Immobile. Come se stessi già svanendo.

Aspettai che la sveglia suonasse già seduta e con le pantofole addosso. La spensi immediatamente e mi diressi verso il bagno. Entrai nella doccia, svegliai i ragazzi e preparai la colazione, riuscendo a dire in totale una manciata scarsa di parole.
“Stai bene? Sei stata silenziosa tutto il giorno” chiese mia moglie quando ci sedemmo nell'auditorium dell'ospedale per quello che doveva essere un convegno sulla fiducia in se stessi e nei propri colleghi e cavolate simili. Qualche strano discorso motivazionale di sicuro. Ma almeno non dovevo concludere la giornata con due ore di pronto soccorso.
“Ma sì, sto bene” risposi, accennando un sorriso debole.
Il discorso iniziò, ma io avevo la testa da un'altra parte.
Quando lei se ne accorse mi sfiorò la mano, replicando la domanda. Io mi limitai ad annuire, cercando di concentrarmi su quello di cui il tizio stava parlando ormai da quaranta minuti.
“In definitiva, non lasciate mai che le redini della vostra vita vi sfuggano di mano e non dimenticate che l'unica persona in controllo di voi, siete voi stessi. C'è qualcosa che non vi piace nella vostra vita?”
“Sì” mormorai con una risatina ironica.
Cambiatela.”
Quello mi colse di sorpresa. Le persone non cambiavano radicalmente la propria vita dall'oggi al domani.
Però la mia era cambiata, anche se era stato un processo graduale. Quindi forse bastava solo che invertissi il processo per poter riportare la scintilla che ormai mancava nelle mie giornate.
“Vi sentite inutili, insicuri o trascurati?”
Tutto il tempo. Di continuo.
“Fate la differenza. Fate qualcosa che vi faccia sentire utili. Passate più tempo con le persone che vi fanno sentire amati.”
Io passavo tutto il tempo con le persone che amavo. Il problema forse era che quel tempo era speso in modi come guardare la televisione o parlare del tempo. Non era speso nel modo giusto.
“Quando vi trovate a dover scegliere tra due cose da fare, ovviamente tenendo sempre presenti leggi e moralità, ma se siete davanti a due scelte equivalenti nella vostra vita quotidiana, la discriminante da usare è semplice.”
Mi protesi in avanti, rapita dalle sue parole. Pendevo dalle sue labbra.
“Fate ciò che vi rende felici.”
Ed eccola lì. L'epifania numero due.
La cosa che avevo sempre saputo, la regola che avevo sempre seguito ma che in chissà come con il tempo avevo dimenticato.
In qualche modo, per qualche motivo, inspiegabilmente, lungo il cammino mi ero distratta e avevo smesso di fare ciò che mi rendeva felice.
Come era potuto succedere? Ma soprattutto, come potevo rimediare?
Uscimmo dalla sala, mia moglie stava parlando con Cristina Yang e Meredith Grey di quello che avevamo appena ascoltato.
“Tutto quel discorso era una cavolata epocale” fu il commento di Cristina.
“Due ore buttate al vento. Vite potevano essere salvate in queste due ore” disse invece Meredith.
Loro rimasero sulla soglia mentre io prosegui, come in trans.
“Che diavolo è preso oggi a Callie?” domandò Cristina.
“Non ne ho idea, è stata strana tutta la mattina.”
Alzai di colpo lo sguardo in avanti, non curandomi delle donne alle mie spalle che stavano parlando di me.
“So cosa devo fare.”
Iniziai a camminare di nuovo, sentendo ancora per qualche istante la voce di mia moglie che diceva che il mio, probabilmente, era soltanto stress.
Entrai nel mio ufficio, sedendomi e appoggiando le mani sulla scrivania.
Era il tempo di cambiare qualcosa. Ma cosa? E da dove iniziare?
La risposta riecheggiò nella mia mente.
Me stessa. Ecco la prima cosa da cambiare.
“Sei pronta?” mia moglie entrò nel mio ufficio, con la giacca addosso e un meraviglioso sorriso in volto.
“Sono pronta. Più che mai” risposi, alzandomi e togliendomi il camice.
Mi misi in fretta la giacca, facendole segno di precedermi all'esterno.
“Pensavo” le dissi “di tagliarmi i capelli.”
Oh, era una frase apparentemente così casuale e innocente. Così random da parte mia.
Come poteva lei sospettare che quelle cinque parole stavano in realtà dando inizio a quella che, a tutti gli effetti, fu la mia crisi di mezz'età?
“Mi sembra un'idea carina.”
L'inizio della fine.

“Questa macchina mi ha stancato.”
Due occhi curiosi si voltarono immediatamente nella mia direzione.
“Che cosa c'è che non va nella nostra macchina?” domandò la donna al mio fianco.
Era sabato e stavamo accompagnando Sofia da una sua amica.
“Per cominciare, è vecchia. È molto sicura, questo è vero, ma ci sono macchine nuove più sicure e molto più belle. Propongo di cambiare macchina.”
“Quindi, fammi capire bene, vuoi vendere la monovolume per comprare...quale macchina esattamente?” chiese Sofia.
“Non lo so ancora. Un BMW?”
“Che cosa, un...sei impazzita?” domandò la mia dolce metà.
“Non dobbiamo venderlo. Sofia ha bisogno di una macchina. Il prossimo anno sarà al College dall'altra parte del paese, giusto? Come si sposterà?”
“Sai, mamma, a New York esistono gli autobus.”
“Ok, allora vendiamola. È vecchia, consuma un sacco. Se vi fa sentire meglio con la coscienza la prendiamo ibrida e facciamo un favore all'ambiente.”
“Una BMW ibrida? Ma almeno esistono?”
“Non ne ho idea. Ma forse è ora di scoprirlo.”
Fu così che, quella stessa mattina, dopo aver lasciato Sofia a casa della sua amica, guidai fino al concessionario.
“Bel modo di passare l'unico giorno libero da due settimane, Calliope.”
“Non è che tu avessi in mente chissà quale folle divertimento. Volevi fare la spesa.”
“Ehi! La spesa può essere divertente.”
“Sì, e lo sarà ancora di più se andremo a farla con una nuova macchina.”
E fu scendendo dalla macchina, proprio in quel concessionario, che mi innamorai. No, non del tizio sudaticcio e tarchiato che voleva venderci una stupida macchina che amava definire “per signore”, ma di una Mercedes Coupé Classe-S.
“Voglio fare un giro di prova su quella.”
Due ore e mezza dopo, uscii da quel concessionario con in mano le chiavi di quella meraviglia.
“Ora, amore mio, possiamo andare a fare spesa.”
“Se ci sono rimasti dei soldi con cui fare spesa, visto quanto hai appena speso per una macchina che, tra le altre cose, non è neanche un'ibrida!”
Mi voltai verso di lei, guardando la sua aria imbronciata. Con calma, le sorrisi.
Accostai la macchina.
“Provala.”
“Cosa?”
“Prova a guidarla e poi dimmi che è stata una scelta sbagliata.”
“Posso tranquillamente dirtelo senza neanche...”
“Scendi, fai il giro, siediti e guida. Ne varrà la pena. Promesso.”
“Ok, se ti fa sentire meglio lo farò. Ma non cambierò mai e poi mai idea, neanche tra un milione di anni. È stata una spesa eccessiva e inutile.”
“Amore. Siamo due primari, possiamo permetterci una macchina sportiva. Cavolo, possiamo permetterci una villa con piscina. O un castello in Europa, usando i soldi di mio padre. Ora vieni qui e guida.”
Quando, qualche ora dopo, mi ritrovai ad aprire la porta di casa con tre buste in mano mentre mia moglie ne portava una soltanto perché lei era troppo impegnata a parlare di quanto fosse fantastica la nostra nuova macchina, ebbi la conferma di aver fatto la scelta giusta.
Sistemata la spesa, lei mi annunciò che voleva farsi un bel bagno caldo. Io le dissi che nel frattempo sarei andata a farmi quel taglio di capelli di cui avevamo discusso il giorno prima.
Lei annuì, sorridendo, mentre andava nell'altra stanza.
Allargai le braccia, lasciandole ricadere pesantemente contro i fianchi con un pesante sospiro.
“Neanche io vedo l'ora di vederti di nuovo, amore della mia vita” mormorai a me stessa nell'ingresso ormai vuoto.
Presi le chiavi, uscendo di nuovo.
Quando tornai, due ore dopo, non solo avevo tagliato i capelli, comprato un nuovo paio di occhiali da sole e delle scarpe, ma avevo anche trovato la soluzione al problema che mi ero posta su come cambiare me stessa.
Sport.
Dicono che avere una forma fisica giovane ti aiuta a rimanere giovane. Ed io mi svegliavo sempre prima della sveglia in ogni caso. A quel punto potevo alzarmi ed andare a correre.
Quella sera, a cena, appena tutti furono seduti e Sofia si fu, come al solito, impossessata del telecomando, io staccai la spina del televisore e mi sedetti. Tutti mi guardarono, ancora una volta, del tutto sconvolti dal mio comportamento.
“Ora faremo conversazione.”
Iniziai a mangiare, mentre tutti ancora mi fissavano.
“Allora, Sofia, com'è andata la tua giornata?”
Sara sghignazzò, mentre sua sorella deglutiva.
“Non ridere, ragazzina. Tu sei la prossima.”
Improvvisamente anche lei si fece seria. Calò di nuovo il silenzio.
“Niente da dire? Non c'è niente che volete condividere con le vostre madri? Nessuno di voi oggi ha fatto qualcosa degno di nota?”
Silenzio, ancora una volta, interrotto solo dal rumore della mia forchetta contro il piatto, mentre tutti gli altri erano immobili.
“Io ho dipinto uno scoiattolo.”
Jamie aveva otto anni, ma era molto in gamba per la sua età ed aveva un talento particolare nel disegnare.
“Perché proprio uno scoiattolo?”
Lui scrollò le spalle, iniziando a mangiare a sua volta.
“Gli scoiattoli vivono sugli alberi e sono liberi e non hanno preoccupazioni. Anch'io voglio vivere su un albero, dentro una casetta di legno. In più, mi piacciono le noci.”
“Mi sembra giusto, Jamie. Ti va di farmi vedere il disegno dopo cena?”
Lui annuì, entusiasta.
“Che altro hai fatto a scuola?”
“Ho mangiato del pollo.”
“Bene, è buono il pollo, no?”
“Molto, però quello che fai tu mi piace di più.”
“Beh, nessuno batte il pollo alla Torres.”
Lui rise.
“Allora, Sofia” continuai. “Sicura che non vuoi raccontarci niente?”
Lei rimase interdetta un istante ancora, poi iniziò a mangiare, seguita dalle sue sorelle.
“Beh, in realtà delle cose sono successe” iniziò a raccontare, andando avanti poi per più di mezz'ora e rendendoci finalmente partecipi di quello che le passava per la testa.
Chi avrebbe mai detto che bastava chiedere?
Jamie, appena finito di cenare, mi portò il disegno.
“Ma è bellissimo, mijo. Uno dei tuoi migliori.”
“Piace anche a me” disse, mentre si sedeva accanto a me sul divano.
“Sai che ti dico? Voglio appenderlo. Domani comprerò una cornice. Che ne dici?”
“Come un quadro?”
“Come un quadro.”
“Fantastico.”
Sorrisi, scompigliandogli i capelli.
“Vai a lavarti i denti adesso” gli dissi, alzandomi ed andando in cucina per aiutare mia moglie a lavare i piatti.
O almeno, quello era il mio intento. Ma appena arrivai sulla soglia mi paralizzai.
Ecco, un'altra cosa che mi ero dimenticata di guardare.
Una cosa che era sempre stata nella coda del mio occhio e forse l'avevo data per scontata.
Era come se avessi ricominciato a vedere.
E quella cosa in particolare, mi appariva chiara più che mai.
“Arizona?”
Lei si voltò nella mia direzione, appoggiando il piatto che aveva in mano dentro il lavandino.
“Sì?”
Avrei voluto dire un milione di cose.
Che mi dispiaceva, per esempio.
Che non ero mai riuscita a capire a che punto le cose avevano iniziato ad essere così banali proprio tra noi, che eravamo sempre state straordinarie.
Avrei voluto dirle che era colpa mia, anche se non avevo idea di chi fosse, solo per non incolpare lei.
Ma ogni parola mi morì in gola, incapace di raggiungere le labbra.
“Sei bellissima. Tutto qui.”
La sua espressione spiazzata mi mortificò.
Era davvero così raro che le ricordassi quanto era bella? O speciale? Come avevo reso tutto ciò che un tempo era un'abitudine un evento così raro, mentre ciò che prima era inconcepibile era diventata un'abitudine?
Senza aggiungere altro, andai verso la camera da letto.

Dalla mattina seguente iniziai ad andare a correre. Ammetto che la prima volta fu dura e riuscii a malapena a fare un paio di chilometri prima di tornare indietro esausta.
“Dove sei stata?”
Mi guardò perplessa, notando il mio fiatone. La sveglia non era ancora suonata.
“Ah, sai stavo” inspirai ed espirai, cercando di riprendere fiato. “Stavo correndo.”
“Correndo? Che vuol dire che stavi correndo?”
Si tirò a sedere, guardandomi.
“Beh, sai, è tipo camminare solo che lo fai più velocemente.”
“So cosa significa, quello che non capisco è perché lo stavi facendo alle sei di mattina.”
Scrollai le spalle.
“Non riuscivo a dormire e non avevo nient'altro da fare. Mi faccio una doccia, ok? Torna a dormire.”
Circa un'ora più tardi mi ritrovai a percorrere il tragitto dalla cucina alla mia camera da letto tenendo una vassoio con così tante cose in bilico sopra che fu un miracolo che non rovesciai tutto a terra dopo due passi.
Quando la sveglia di Arizona suonò e lei si alzò, mi vide davanti a lei. Sorrisi del suo sguardo stupito.
“Ti ho portato la colazione a letto.”
“Lo vedo. Come mai? Mi sono dimenticata qualcosa?”
“No. È solo un giorno qualunque in una settimana qualunque e questa è la tua colazione. C'è il caffellatte, ho già messo la marmellata di ciliegie dentro la tua brioche come piace a te, ho messo sia una pera che un'arancia perché sei sempre indecisa su quale mangiare e non sapevo quale avresti voluto” appoggiai il vassoio sulle sue gambe con il suo aiuto. “Il cioccolatino è extra rispetto alla colazione standard” scherzai.
Guardò stupita verso il basso e poi di nuovo me.
“Ti ringrazio. Non ho parole, davvero.”
“Non è niente di che. Sveglio i ragazzi e gli faccio fare colazione, ho già preparato anche per loro. Tu per una mattina rilassati e goditi la colazione in tranquillità.”
Mi voltai, andando verso il corridoio, quando la sua voce mi fermò.
“Calliope?”
Mi voltai. “Sì?”
“Che ne dici di...” si schiarì la voce, spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. “Potresti tornare dopo che hai svegliato i ragazzi e fare colazione insieme a me” propose. “Dividerò la brioche a metà. Ma il cioccolatino è mio.”
Annuii ridendo.
“Ne sarei molto felice. Torno tra poco.”
Il suo sorriso fu abbastanza da ripagarmi abbondantemente per averle portato quella colazione a letto.

Stavo uscendo dalla sala operatoria quando sentii qualcuno entrare. Continuai a lavarmi le mani, alzando lo sguardo.
“Ho trovato un mazzo di fiori sulla mia scrivania. Gigli rosa.”
“I tuoi preferiti” notai.
“Già. C'era un biglietto. A quanto pare sono da parte della mia ammiratrice segreta.”
“Oh, hai un'ammiratrice segreta? Devo iniziare ad essere gelosa?”
“Calliope, siamo state sposate per ventidue anni. Penso di saper riconoscere la tua calligrafia quando la vedo.”
Alzò la mano in cui teneva il bigliettino.
Io feci una piccola smorfia.
“Ops. Mi hai beccato.”
“Qualche giorno fa la colazione a letto, ora questo. Per cosa sono i fiori?”
Scollai le spalle.
“Perché sei la donna più bella del mondo e visto che ti piacciono i gigli rosa ho pensato che fosse un pensiero carino.”
Lei esitò un momento, riflettendo sulla mia risposta.
“No, sul serio. Per cosa sono i fiori?”
Accennai una risata, avvicinandomi a lei e appoggiandole le mani sui fianchi.
Prima che potesse chiedere di nuovo la baciai sulle labbra, stringendola contro di me.
“Ti amo” le dissi dopo essermi allontanata. “I fiori sono lì per ricordartelo.”
Il sorriso che si formò sulle sue labbra in quel momento, valeva milioni e milioni di gigli rosa e altri fiori di ogni tipo.
“I gigli sono un bel promemoria. Ti amo anch'io.”

Stavamo seduti sul divano. Non guardavamo più la televisione, di sera si parlava. Volevo sapere cosa provavano i miei figli, se le loro vite andavano bene e tutto ciò che li riguardava. Beh, almeno la parte che loro volevano raccontarmi, diciamo.
“Questo divano è diventato incredibilmente scomodo. Non trovate?”
“Ci risiamo” mormorò Sofia alzando lo sguardo al cielo.
“Dovremmo cambiarlo.”
“Appunto.”
“Cosa c'è Sofia?” le domandai, irritata dal suo mormorare a bassa voce.
“Prima hai voluto cambiare la macchina” mi fece notare. “Poi i capelli. Poi improvvisamente non potevamo più vedere la televisione a cena o dopo cena perché dovevamo parlare, ma hai comprato un televisore piatto a dir poco enorme.”
“Potete vederla di pomeriggio o nel weekend. Hai visto quanto è bella la nuova televisione? Ce ne serviva una così. Quella di prima non aveva senso.”
“Questa frase non aveva senso” mi fece notare Sara.
“Poi hai cambiato il tuo materasso” continuò Sofia.
“Ragazzina, quel materasso era in questa casa da più di te. La sua vita era chiaramente giunta al termine.”
“Poi hai cambiato il tappeto in soggiorno, ti sei fatta fare dei preventivi per mettere il parquet in salotto.”
“Cosa che non faremo mai e poi mai” precisò Arizona.
“Adesso vuoi cambiare il divano. Stai attraversando questa strana crisi di mezza età in cui compri cose inutili solo perché puoi.”
Crisi di mezza età.
Mi alzai dal divano lentamente, guardandola negli occhi.
Pensai a lungo a cosa dire. Ma non è facile riuscire a spiegare ad un'adolescente quanto le parole riescano a ferire.
Invecchiare, certo, non è altro che un processo biologico. Ma per la psiche è molto più complicato di così. Ed io non riuscivo ancora ad accettarlo del tutto, nonostante ci stessi provando.
Il punto non era che stavo invecchiando.
Ma che volevo invecchiare felicemente. Senza rimpianti o desideri mai realizzati.
“Benissimo” decretai in tono neutro. “In tal caso non cambieremo il divano.”
Senza aggiungere neanche un'altra parola, andai in camera mia dove mi stesi a letto, riflettendo sulle parole di mia figlia.
Forse aveva ragione. Forse quella fase poteva essere solo come una crisi di mezza età che poi sarebbe passata. Forse sarei presto tornata a vivere in modo apatico la mediocrità della routine quotidiana.
Forse.
O forse, volevo semplicemente un divano nuovo.
Arizona mi raggiunge a letto solo qualche minuto più tardi.
Si sdraiò al mio fianco, sotto le coperte e spense la luce.
Ormai da tantissimo tempo non facevamo più l'amore. Già era raro che ci scambiassimo dei baci più significativi di un piccolo bacio a stampo. Eravamo sdraiate nello stesso letto, così vicine. Eppure eravamo così dannatamente lontane.
Da quanto tempo eravamo così fredde? Che cosa era successo? Forse niente di particolarmente degno di nota. Semplicemente l'intimità si era diradata sempre di più fino a diventare un evento di estrema rarità.
“Se ti va domenica possiamo andare a scegliere un nuovo divano” la sua voce spezzò i miei pensieri.
Esitai per qualche istante.
“Non abbiamo bisogno di un nuovo divano” ammisi.
“Ma un divano più comodo sarebbe carino, che dici? Magari di un colore caldo.”
Voltai la testa nella sua direzione.
“Tu hai scelto la macchina” aggiunse poi. “Il divano lo scelgo io.”

Continuai con le corse mattutine per tutto il mese successivo. I dolori alla schiena dopo le operazioni lunghe sparirono, non avevo il fiatone dopo aver fatto di corsa le scale, avevo perfino perso diversi chili.
Mi sentivo bene. Anzi, mi sentivo alla grande.
Quando tornai a casa, quel pomeriggio, sapevo che ci sarebbe stata solo lei visto che i ragazzi erano ancora a scuola.
“Amore, dove sei?” urlai, appoggiando le chiavi e la borsa e togliendomi il giacchetto.
“Arrivo” mi informò dall'altra stanza.
Io sorrisi a me stessa, prendendo tra le mani una scatolina e andandole incontro.
“Ti ho preso una cosa” le dissi baciandola sulle labbra e poi porgendole la scatola.
“Mi hai fatto un regalo?”
“Sì. Aprilo.”
“Per cos'è?”
“Nessuna occasione in particolare.”
Lei aprì la scatola, vedendo una collana con un pendente argentato a forma di farfalla.
“L'ho vista e mi ha fatto subito pensare a te, così l'ho presa. Spero che ti piaccia.”
“Oh mio Dio” mormorò, incredula, con un filo di voce. Per qualche istante continuò a guardarla senza parlare. “Oh. Mio. Dio” ripeté a voce più alta, richiudendo la scatoletta e andando a sedersi sul divano mentre si passava una mano sulla fronte. “Hai un amante” esclamò alzando lo sguardo su di me.
Quella non era la reazione che mi aspettavo.
“Io ho” inclinai la testa di lato, cercando di capire cosa l'aveva portata a quella conclusione, ma senza risultati. “Cosa?”
“Hai un amante. Non è così? Come si chiama lui?”
“Lui?” chiesi, spiazzata. “Per prima cosa, chi dice che sia un lui?”
Io scossi la testa, vedendola agitarsi.
Alcune lacrime iniziarono a formarsi nei suoi occhi.
“Ok, non intendevo dire...”
Si alzò in piedi, iniziando a percorrere la stanza a grandi passi.
“La stessa cosa è successa a Jenny.”
“Chi?”
“Jenny” ripeté con enfasi. “Gestisce il bar in fondo all'isolato. Il marito ha iniziato a farle regali, darle attenzioni. Proprio come te! La colazione a letto, i fiori, i gioielli.”
Trattenni a stento una risata.
“Arizona, andiamo. Sai che non lo farei mai.”
“Lo diceva anche Nathan” mi rinfacciò.
“Chi?” ripetei io.
“L'ex marito di Jenny” puntualizzò. “Chi è lei?” il pronome uscì come veleno dalle sue labbra.
Un paio di lacrime sfuggirono alla sua ferrea presa, rigandole le guance.
“Oh, no. Ti prego non piangere. Sai che non sono brava a gestire le lacrime.”
“Dovevi pensarci prima di tradirmi” mi accusò.
“Ma io non ti ho affatto tradito” la guardai come se fosse pazza.
“Provamelo!”
“Come sarebbe a dire” mormorai. “Che fine ha fatto 'innocente fino a prova contraria'?”
“E allora perché?”
“Ma perché cosa?” chiesi incredula.
“I gioielli!” sventolò in aria la scatoletta che teneva in mano, come a voler sottolineare le proprie parole. “I fiori, la colazione a letto, i complimenti, i sorrisi, il fatto che ti alzi alle sei di mattina ed esci di casa, per iniziare” continuò imperterrita.
“Vado solo a correre.”
“Già, sei in forma smagliante, Calliope. Per chi lo stai facendo?” mi guardò, pretendendo di avere un'aria minacciosa nonostante le lacrime.
Scoppiai in una risata ironica, alzando le braccia e poi rifacendole cadere pesantemente lungo i fianchi.
“Per te. Chi altro altrimenti? Beh, e per me stessa” aggiunsi in un secondo momento.
Quello la colse totalmente di sorpresa.
“Per me?”
“Sì. Ovviamente, per te. È sempre stato tutto per te.”
“Ma” protestò debolmente. “Ma io sono sempre stata qui.”
Distolsi lo sguardo, appoggiandomi le mani sui fianchi e sospirando.
“Solo perché sei qui non significa che vorresti essere qui. Non voglio che tu sia qui. Voglio che tu sia mia.”
Le lacrime si asciugarono mentre pensava alle parole che avevo appena pronunciato.
“Che ci è successo?”
“Non lo so” scossi la testa, guardando in basso.
“Tu” iniziò, ma la voce la tradì. “Non mi guardavi più come prima.”
“Certo che ti guardavo come prima. Solo che ho iniziato a farlo solamente quando non potevi accorgertene.”
“Perché mai?”
“Perché non sembrava che tu volessi più che ti guardassi come prima” spiegai come se fosse la cosa più scontata del mondo.
Il silenzio che seguì le mie parole fu come un pugno allo stomaco. Come la silenziosa conferma di tutte le mie paure.
“Senti, io non so in quale maledetto istante le cose hanno iniziato ad andare storte” le dissi, sospirando. “Ma mi dispiace. Dico davvero.”
Non sapevo che altro dire.
Avevo un nodo che mi attanagliava la gola e sentii le lacrime salire anche nei miei occhi.
“Vuoi che vada via?”
Non sapevo neanche io cosa significasse quella domanda.
Via da dove, poi? Da quella stanza, da quella casa, dalla sua vita?
E per andare dove? Non avevo mai avuto altra casa oltre lei.
Lei riaprì la scatolina che aveva in mano, fissando un'ultima volta il ciondolo, prima di richiuderla ed appoggiarla sul tavolo alla mia destra, tenendo lo sguardo basso mi si avvicinò senza guardarmi neanche per un istante.
“Arizona, vuoi che vada via?” ripetei in un sussurro.
Lei, continuando la sua intensa contemplazione del pavimento, mi si avvicinò e appoggiò le mani sulle mie spalle con timidezza. Come se fosse la prima volta che lo faceva o che mi stava così vicina.
Chiuse gli occhi e si alzò in punta di piedi, avvicinando il suo viso al mio.
Non riuscii a staccare gli occhi dal suo viso neanche per una frazione di secondo. Rimasi perfettamente immobile, trattenendo addirittura il fiato, nell'attesa di scoprire che cosa avrebbe fatto.
Alzò il mento verso l'alto, arrivò ad un centimetro dalle mie labbra e poi abbassò di nuovo la testa, come se ci avesse ripensato.
Ma fu solo un istante di esitazione.
Alzò di nuovo la testa, fino al punto in cui le sue labbra toccarono le mie.
Fu un bacio morbido, ma veloce.
Fu a quel punto che mi guardò negli occhi.
E lì, proprio lì, la vidi. La mia Arizona. Mia.
La baciai una seconda volta, mettendo in quel bacio tutta la passione che in qualche modo avevo chiuso a chiave dentro me stessa.
Lei rispose con altrettanta veemenza, immergendo una mano tra i miei capelli e stringendo la presa sulla mia maglia con la mano che aveva sulla mia spalla destra.
Un secondo dopo era premuta contro la parete alle sue spalle ed io avevo una mano sul suo fianco sinistro, sotto la maglia.
Fui attraversata da quella familiare sensazione di euforia e vertigini.
Ma, un istante dopo, si allontanò, premendo le mani sulle mie spalle e spingendomi indietro.
Mi bloccai immediatamente, guardandola.
Si staccò dal muro, facendo ruotare entrambe di centottanta gradi ed iniziando a camminare all'indietro verso il corridoio che conduceva alla nostra camera da letto, riprendendo subito a baciarmi.

Bussai ed entrai nell'ufficio senza attendere risposta.
Alzò gli occhi ma non si mosse. Stava seduta alla scrivania con una piccolissima bustina trasparente in mano.
“Che stai facendo?” domandai.
“Entra e chiudi la porta” ordinò un po' nervosamente.
Feci ciò che mi aveva chiesto, aspettandomi spiegazioni subito dopo.
“Ho trovato questa ad un paziente” sollevò la busta che aveva in mano in modo da farmene vedere il contenuto.
“Erba?” chiesi, sbalordita. Lei mi fece cenno di abbassare la voce. “Ok. Erba?” chiesi di nuovo, sussurrando.
Lei annuì.
“Quel ragazzino ha sedici anni. Se lo denuncio potrei rovinargli la vita, quindi per adesso l'ho solo sequestrata, se così si può dire. Sto cercando di decidere se distruggerla o consegnarla.”
“Beh...”
“Cosa?”
“C'è una terza opzione.”
“Che vuoi dire?”
“Puoi dire al ragazzino che l'hai distrutta senza farlo davvero.”
Corrugò la fronte.
“Perché mai dovrei fare una cosa del g-” poi lo capì. “Calliope. Stai per caso suggerendo di commettere un reato?”
Alzai le mani, mostrandole i palmi in segno di resa.
“Ehi, non sto suggerendo niente. Fai pure finta che io non abbia mai parlato.”
Lei mi osservò per diversi istanti.
“L'hai mai provata?” chiese, sventolando di nuovo la bustina con fare inquisitorio.
“No” risposi forse troppo velocemente.
Il suo sguardo scettico mi spinse a distogliere il mio.
“Beh, non quella dentro la bustina che hai in mano.”
Lei rilasciò una risata incredula.
“Hai fumato erba? Come è possibile che io non sapessi questa cosa?”
“Senti non è una tragedia. È successo giusto un paio di volte. Aspetta” realizzai poi. “Mi stai dicendo che tu non l'hai mai fatto? Mai? Come è possibile? Il college in cui sei andata era per caso gestito da suore?”
Lei alzò gli occhi al cielo.
“No, Calliope, la John Hopkins non è gestita da suore, per tua informazione.”
Inclinai la testa di lato.
“Sì ma...mai? Neanche una volta?”
“Neanche una volta. Sono stata cresciuta da un militare, non ho commesso reati e non ho intenzione di iniziare adesso.”
“Andiamo, l'erba non è mica omicidio.”
“È una droga, Calliope.”
“Una droga leggera” la corressi. “Si può a malapena classificare come tale. È quasi più corretto rapportarla al cioccolato o al caffè piuttosto che alle droghe pesanti.”
“Ok, sai benissimo che questo non è corretto.”
“Ci sono studi contrastanti a riguardo.”
Lei rise, scuotendo la testa.
“Sai, dovresti provarla prima o poi. Vuoi davvero morire senza aver mai provato a fumare erba? Al diavolo, vuoi davvero morire senza aver mai commesso neanche il più piccolo reato?” chiesi incredula.
“Beh, sì!” rispose ridendo, come se fosse ovvio.
“In tal caso non conoscerai mai l'ebrezza che si prova ad infrangere la legge per la miglior causa possibile” decretai. “Ed è un peccato. Un vero peccato. Ma è una tua scelta, quindi ti lascio sola con quella roba in modo che tu possa distruggerla per sempre.”
“Ok. Perfetto.”
“Ma se in caso cambiassi idea, comprerò delle cartine mentre torno a casa.”
“Calliope, ti ho detto...”
“Lo so, lo so. Distruggere, bruciare, eliminare, bla bla bla. Ma io le comprerò comunque. Solo per sicurezza.”
Le rivolsi il migliore dei miei sorrisi maliziosi, uscendo dal suo ufficio con aria soddisfatta, sapendo di aver scatenato la sua curiosità.
Quella sera, quando la vidi entrare in casa con l'aria colpevole e furtiva di chi aveva appena sepolto un cadavere in mezzo ad un bosco e teneva l'arma del delitto dentro la propria tasca, capii che mi aveva dato ascolto.
Quando i ragazzi furono a letto ci dirigemmo in camera nostra. Io indossai il pigiama con calma, sicura che avrebbe tirato in ballo la questione prima che quella giornata giungesse al termine.
La conoscevo meglio di chiunque altro al mondo.
Quell'aria così tesa, il modo distratto in cui si muoveva o faceva le cose, sempre sovrappensiero, era indice sicuro che un argomento molto serio stava per essere sollevato.
“Sofia dice che adora il divano che hai scelto” le dissi, sedendomi sul letto ed appoggiando la schiena alla spalliera del letto.
Un suono d'assenso arrivò tramite la porta aperta del nostro bagno.
“Meredith vuole che discutiamo di nuovo la procedura da usare per il caso Jones.”
Altro suono di vaga accondiscendenza.
“Stai indossando quella collanina con la farfalla che ti ho regalato l'altro giorno?”
L'ennesimo assenso arrivò puntuale ma distratto.
“Pensavo di rasarmi i capelli a zero e tingere di verde ciò che ne rimane. Pensi che sia una buona idea?”
Di nuovo, tutto ciò che arrivò un risposta fu un monosillabo incomprensibile.
Sospirai, ridendo.
Uscì dal bagno, chiudendo a chiave la porta della camera da letto e rovistando per qualche istante nella sua borsa. Lanciò sul letto la bustina che avevo visto quel pomeriggio con aria nervosa, mettendosi le mani sui fianchi quasi come se stesse per rimproverarmi di averla convinta a quel folle gesto.
“Fallo in fretta, prima che ci ripensi.”
Venti minuti dopo ero sdraiata sul letto a fissare il soffitto, con mia moglie stesa accanto nella mia stessa identica posizione.
“Hai mai notato quanto sia noioso questo soffitto?”
“No, non fino a questo momento” ammisi.
“Dovremmo metterci della carta da parati o farci dipingere qualcosa. Tipo la Cappella Sistina.”
Inclinai la testa di lato, immaginando quello stesso soffitto con un affresco.
“Vuoi che Michelangelo dipinga il nostro soffitto?”
Per qualche motivo quella frase suscitò la sua ilarità.
“No, Calliope! Michelangelo è morto. Voglio che lo dipinga qualcuno ancora vivo.
“Tipo?”
“Non lo so.”
“Ma poi perché? Tutti i soffitti sono noiosi, è tipo una caratteristica imprescindibile di tutti i soffitti del mondo. Tranne per la Cappella Sistina, ovviamente.”
“Non voglio che l'ultima cosa che vedo a questo mondo sia qualcosa di così assolutamente banale come il nostro soffitto, però.”
Scoppiai a ridere.
“Sono seria. La morte più comune è quella nel sonno. Ed io dormo qui. Questo soffitto potrebbe essere l'ultima cosa che vedo prima di morire.”
Messa sotto quella luce tutta la faccenda, in effetti, assumeva toni molto più seri e quasi macabri ai miei occhi.
“Bene. Facciamolo dipingere da qualcuno allora. E cosa vuoi che ci sia?”
“Non lo so.”
“Come sarebbe a dire? Cosa vuoi che sia l'ultima cosa che vedi prima di morire?”
Lei ci pensò per un istante, poi si voltò nella mia direzione.
“Te. Voglio farci dipingere una tua gigantografia. Non esiste al mondo un'immagine migliore da imprimersi negli occhi per sempre.”
“Beh, però mettiamone anche una tua. Io voglio vedere te.”
“D'accordo. Ci faremo fare due ritratti e poi li appenderemo al soffitto.”
“Mi piaceva di più l'idea dell'affresco però.”
“Ma nessuno fa affreschi come quelli di Michelangelo e lui è morto.”
“Nessuno fa ritratti come quelli di Leonardo” ribattei. “Ma anche lui è morto.”
Rimase in silenzio, riflettendo sulle mie parole.
“Possiamo incollarci una fotografia formato gigante. Così il soffitto non sarà più noioso.”
“Niente più cose noiose nelle nostre vite. Mai più.”
Iniziammo di nuovo a ridere senza motivo.
“Non sarà la stessa cosa però” mormorai piano.
“Cosa?”
“Una fotografia. Vorrei che l'ultima cosa che vedo al mondo fossi tu. La vera tu, vorrei che fossero i tuoi occhi. Vorrei che nella mia mente rimanesse impresso per sempre quell'azzurro meraviglioso che amo così tanto.”
Voltai la testa verso di lei.
Mi guardò per un istante, poi si avvicinò e mi baciò.
“Allora guardami per sempre negli occhi e non allontanarti mai” mi sfidò.
Mi spostai su di lei, baciandola di nuovo.
“Sarebbe perfetto.”

“Sai, stavo pensando...”
“Oh-oh.”
Corrugai la fronte alla sua reazione e voltai la testa verso di lei.
“Cosa stavi pensando?” incalzò, rendendosi conto del proprio errore.
“Cosa vorrebbe dire quel suono che hai fatto?” chiesi a mia volta, stringendo gli occhi, con tono inquisitorio.
“Niente” rispose, senza alzare gli occhi dal libro che aveva in mano.
“Beh, deve pur voler dire qualcosa.”
“È solo che ultimamente ogni volta che inizi una frase nel modo in cui hai appena fatto o con il tono che hai appena usato, ci ritroviamo a spendere un sacco di soldi per cose superflue o a fare cose illegali.”
Sbuffai di incredulità, alzando gli occhi al cielo.
“Questo è ridicolo.”
“No, non lo è.”
Ci riflettei per qualche istante e quando iniziai a rendermi conto che aveva probabilmente ragione sbuffai di nuovo.
“Vuoi parlarne?”
“Di cosa?”
“Della tua crisi di mezza età.”
“Crisi di...Io non sto affatto avendo una crisi di mezza età” dissi come se il solo pensiero fosse ridicolo ed offensivo.
Lei rise, scuotendo la testa.
“Ok, Calliope.”
“Non assecondarmi come si fa con i bambini.”
“Allora tu non mentire davanti all'evidenza come fanno i bambini” ritorse, aggiungendo un'ulteriore risatina.
Ci pensai di nuovo per parecchi istanti, mentre lei continuava a leggere il libro che aveva tra le mani.
“Ok, solo perché ho comprato una macchina nuova non significa che io abbia avuto una crisi di mezza età.”
“E il divano” aggiunse. “E hai iniziato a correre, hai perso peso, ti sei tagliata i capelli, mi hai comprato fiori e gioielli e portato la colazione a letto, hai voluto fare un secondo viaggio di nozze, hai regalato ai tuoi genitori una televisione al plasma uguale a quello che hai comprato per noi e volevi regalare un idromassaggio come il nostro ai miei.”
“Che c'entra. Abbiamo dei soldi, i soldi sono fatti per essere spesi.”
“E per mandare i nostri figli al college, magari” mi corresse, chiudendo il libro ed appoggiandolo sul comodino al suo fianco, voltandosi finalmente nella mia direzione. “Calliope, abbiamo fumato dell'erba dentro casa nostra, ci siamo ubriacate tre sabati di fila, abbiamo fatto sesso nella macchina nuova, a lavoro, in cucina, dentro la doccia. Sai quanti anni erano che non facevamo sesso dentro la doccia?” chiese retoricamente.
“Se vuoi fare meno sesso basta che lo dici, sai Arizona?”
“Non è questo. Sto solo dicendo che il coraggio di recuperare il nostro rapporto te lo ha dato questa sorta di crisi che stai avendo.”
Scossi la testa, distogliendo lo sguardo, in cerca di un'argomentazione convincente con cui contraddirla, ma non ne trovai.
“E anche se fosse?” chiesi quindi, sospirando. “Forse sto avendo una crisi di mezza età, sì, e allora?”
Lei sollevò entrambe le sopracciglia, guardandomi con curiosità.
Nostra figlia pensa che io sia vecchia” le dissi allora, sottolineando ogni parola di quella frase, come se quelle sette parole bastassero a giustificare il comportamento che avevo avuto negli ultimi mesi.
“No, non è vero.”
“Sì invece” ritorsi. “Lo ha detto lei.”
“Probabilmente stava scherzando” rispose ridendo.
“Penso di essere in grado di riconoscere il tono scherzoso di mia figlia da quello serio.”
“No, invece. Non è la prima volta che non vi capite.”
“Arizona” avevo l'impressione che facesse finta di non capire di proposito quello che intendevo dire.
“Calliope” rispose a tono.
“Sto invecchiando.”
“Adesso sì” mormorò con tono soddisfatto.
“Cosa c'è?”
“Questo è il problema.”
“Quale?”
“Non che tua figlia pensa che tu sia vecchia, ma che tu pensi di stare invecchiando.”
Esitai, insicura sulla risposta che dovevo darle.
“Beh, forse sì.”
“Perché lo pensi?”
“Non lo so” ammisi. “Perché non facciamo più le cose di prima, non abbiamo più la vita che avevamo i primi tempi che stavamo insieme. La nostra vita era diventata una routine. I nostri figli stanno crescendo. Saremo di nuovo sole quando loro saranno tutti al college e non voglio che pensi di avere accanto un'estranea.”
“Non lo penso, amore.”
“Beh, lo stavamo diventando però.”
“Ma tu ci hai salvato.”
Quella frase mi colse alla sprovvista.
“Non faremo di nuovo lo stesso errore” mi disse, prendendomi la mano.
Sospirai, scuotendo la testa.
“Stiamo invecchiando davvero, Arizona.”
Lei annuì, sorridendo.
Guardai la sua espressione tranquilla e rilassata e mi chiesi come mai io ero stata così sconvolta da quella realizzazione mentre lei appariva così tranquilla.
“Perché stai sorridendo?”
Si strinse nelle spalle, guardandosi attorno.
“Perché è questo, Calliope.”
“Che vuoi dire?”
“È questo quello che volevo. È quello che ho sempre voluto.”
Corrugai la fronte, cercando di seguirla in quel ragionamento.
“Perché sembri così sconvolta da questa cosa?” domandò, ancora sorridendo.
Sospirai ancora una volta, scuotendo la testa.
“Non lo so. Credo di non essere ancora pronta, tutto qui.”
Guardai nei suoi occhi e mi resi conto che il suo sorriso aveva raggiunto anche loro.
“Io invece credo di esserlo. È questo che volevamo, Calliope” ripeté di nuovo. “Avere l'opportunità di invecchiare insieme.”
Un sorriso causato dalla tenerezza di quelle sue parole si fece lentamente strada sul mio viso.
“Suppongo di sì.”
“Abbiamo avuto un bel viaggio” continuò. “Anzi, uno straordinario viaggio. Ed è stato il nostro, mio e tuo, che lo rende ancora più bello. Non mi pento di niente, non cambierei niente. È tutto perfetto. Stiamo invecchiando insieme. Questo è quello che abbiamo sempre voluto, ed io non potrei essere più felice” prese la mia mano, sfiorandola lentamente mentre continuava a guardarmi negli occhi.
“Lo so. E anch'io ne sono felice. Vorrei solo che non finisse mai” cercai di spiegarle. “Adesso che ho trovato qualcosa per cui vale la pena vivere non voglio iniziare a pensare a come sarà la vecchiaia.”
Il suono cristallino della sua risata riempì la stanza.
“Abbiamo ancora un sacco ti tempo” mi fece notare. “Tutto il tempo che ci serve” mi si avvicinò, baciandomi sulle labbra con dolcezza.
Ricambiai il bacio, realizzando che Arizona aveva ragione.
Stavamo invecchiando insieme.
Ci eravamo costruite la nostra famiglia, la nostra vita, proprio come avevamo sempre voluto. Ed eravamo riuscite a farlo insieme, io e lei, ad avere tutto quello che avevamo sempre voluto sia come coppia che come persone.
Stavamo vivendo il nostro sogno.
Ed era tutto esattamente come lo avevo immaginato.
Non c'era niente di cui aver paura nell'invecchiare.
Non avevo rimpianti, non avevo rimorsi, era andato tutto alla perfezione.
Come aveva detto Arizona, era solo un'altra tappa di quel meraviglioso viaggio che stavamo facendo insieme.
Le sorrisi, sdraiandomi e trascinandola con me, per poi stringerla tra le mie braccia. Lei si lasciò stringere.
“Detto questo” si schiarì la voce. “Non azzardarti mai più a dirmi che sono vecchia” finse un tono serio, quasi offeso.
Scoppiai a ridere.
“Te lo prometto.”
Tutto era come avevamo sempre sperato. Sapevo di non poter chiedere di meglio dalla vita che essere lì, in quel momento, con lei.
Era davvero tutto perfetto.
Ed invecchiare, dopotutto, non era poi così male.




Fatemi sapere che ne pensate, se volete...vi aspetto domani con il sequel di Redemption!
A presto ragazzi, un abbraccio!





  
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