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Autore: WhiteEskimo_    15/11/2015    0 recensioni
“Mi sono ritrovata a pensare a come certe cose vadano, a come due persone si incontrino, a come due rette si incrocino in un punto senza incontrarsi mai più, ma si sono incontrate in quel punto, capisci? E quel punto vorrà dire qualcosa nell’infinità dei punti che compone la vita, no? Oppure non significa niente appunto perché è solo uno dei tanti?”
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E poi Zayn mi guarda, e vedo la rabbia sparire, gli occhi marroni diventare liquidi e le mani aprirsi. Si avvicina piano a me e poi sospira e scuote la testa. Tengo la testa bassa, incapace di sopportare il suo sguardo penetrante, e sento le sue mani posarsi delicatamente sulle mie spalle.
Poi scivolano giù e mi afferra con dolcezza le dita.
“Marie, guardami” mi intima, e i miei occhi blu incontrano i suoi. “Non crederci, nemmeno per un momento, ok?” Mormora, e il suo tono è deciso, fermo.
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Scorgo le mani farsi a pugno, e il mio cuore inizia a battere furiosamente, mentre il sangue mi si gela nelle vene.
“Avevi detto che le donne non le picchiavate “ tento di dire, mentre Scott si avvicina di nuovo a Zayn, che è definitivamente svenuto. O almeno spero.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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 “Ehi Marie, aspetta!” sento richiamarmi, la voce che mi arriva forte e chiara attraverso il vento. Mi giro e vedo David, che corre per raggiungermi e poi si ferma di fronte a me, col fiatone. 
Piego la testa, guardandolo curiosa.
“Hai corso per starmi dietro? Come mai?” gli chiedo sorpresa. Lui fa cenno di aspettare un attimo, mentre riprende fiato. 
“Beh ecco, Niall mi ha detto che abitiamo vicino e ho pensato di accompagnarti almeno fino al parco. In fondo una ragazza non dovrebbe mai camminare da sola a quest’ora, no?” mi chiede con un occhiolino. Rido, e poi alzo le spalle, ricominciando a camminare con lui a fianco. 
“Credo di non aver scelta giusto?” gli chiedo divertita, e lui annuisce. 
“No, mi spiace, non ce l’hai.” 
Camminiamo in silenzio per qualche minuto, mentre il sole brucia nel cielo. L’ultimo grande spettacolo prima dell’addio, prima che la notte arrivi e porti la serenità del buio, le ombre lascive e i lampioni accesi ai lati delle strade.
Mi giro verso David e lo trovo intento a fissarmi e per uno strano momento ricordo la stessa scena in macchina con Zayn. Ma mi ritrovo a pensare che gli occhi di Zayn siano sicuramente più belli dei suoi: scintillanti, profondi e misteriosi. Niente a che fare col nero dolce e gentile di David, che promette serenità e gentilezza. 
“Che c’è da fissare?” chiedo, con un sorriso. Lui scuote la testa, poi posa il suo sguardo sul tramonto.
“Stavo solo pensando. Ti piace il tramonto, Marie?” mi domanda con espressione assorta, fermandosi e sfiorandomi una mano, facendomi arrestare del tutto. La sua mano è grande e calda, un grosso contrasto con la mia piccola mano costantemente fredda.  
Penso al tramonto, al sole che, stanco, si ritira dietro l’orizzonte, la divisione flebile tra giorno e notte. Osservo i colori del tramonto, il cielo che si tinge di miliardi di lievissime sfumature di arancione, rosso, giallo, rosa, blu… come una tavolozza di un pittore impazzito, che mischia e rimischia, e al termine di quel caos ne esce delicatezza. Ma, devo ragionare, niente di tutto questo è minimamente paragonabile con lo spettacolo di un alba, con la vita che riinizia ancora, ed ancora, ed ancora.
“Si, ma mi piace più l’alba” mi ritrovo quindi a rispondere, mettendomi di fianco a lui. 
“Come mai?” chiede, senza nemmeno guardarmi ma sorridendo. 
Scrollo le spalle, cercando le parole giuste nella mia mente. Aggrotto le sopracciglia.
“L’alba è un nuovo inizio, per me è un traguardo; è la vita che non si arrende e che ogni giorno, nonostante tutto, continua ad andare avanti. C’è sempre speranza finchè vi è la certezza che un nuovo giorno arriverà. E mi piace pensare che, se la vedo, sono ancora viva e ho passato un altro giorno” concludo, dopo qualche istante, e so che tutto quello che ho detto è vero. 
Con mia sorpresa, lui annuisce serio, e mi stringe la mano. 
“Capisco” sussurra, e io sono grata e sorpresa dell’attenzione che ha prestato alle mie parole. E in silenzio, poi, si avvicina a me e mi abbraccia, proteggendomi dal freddo.
È strano essere abbracciati da qualcuno che non sia tua sorella, o Harry. I loro abbracci sanno di casa, di affetto, questo sa di… di calore. Sa di sorpresa, sa di novità. È come aprire il cuore ad un'altra persona, ma non mi fa paura, anzi lo trovo confortevole. Sento un moto di affetto verso questo gentile ragazzo che, pur non conoscendomi quasi per niente, è riuscito a comprendermi molto più di altri, e lo stringo anche io.
“Per un momento ho pensato che mi avresti menato” scherza David quando vede che non ho fatto niente per liberarmi dall’abbraccio. Rido, e poi gli rifilo una piccola gomitata. 
“Ehi, ho anche io un cuore. E poi ho freddo” ribatto, quando lui si stacca da me. Scuote la testa. 
“Non pensavo che non avessi un cuore. Solo… ti piace stare sulle tue, no?” ribatte, la domanda retorica che pronuncia con molta semplicità e che mi fa sorridere. 
“Sì, si può dire così.” 
Alzo le spalle e sorrido. Sorride anche lui, poi scuote la testa. “Dai su, continuiamo a camminare, sennò non arriveremo mai a casa” conclude trascinandomi verso il parco.
Il resto del tragitto trascorre tranquillo, parliamo del più e del meno. David è un ragazzo molto tranquillo, simpatico e gentile. Lavora in una panetteria, e passiamo dieci minuti buoni a ridere per tutte le figuracce che fa con le signore del suo quartiere. 
Quando arriviamo al parco, mi spiace lasciarlo. Ma d’altra parte ho bisogno di stare sola, di pensare un po’ a me stessa, un bisogno che ho sempre e oggi particolarmente, dato che sono sempre stata in compagnia di qualcuno.
Quando arriviamo vicino alle altalene decidiamo di separarci: lui continuerà diritto e io mi fermerò un po’ in questo parco, anche se lui non lo sa.
“Magari dopo chiamo Harry” penso distrattamente, mentre saluto con un bacio sulla guancia David. 
“Fatti sentire eh, Marie” esclama con un sorriso. Annuisco e ricambio il sorriso, poi lui mi saluta e se ne va. 
Sospiro, prendo una sigaretta dalla borsa e mi incammino con passo lento verso casa mia. Sono le 7 di sera, e c’è ancora un po’ di luce per le strade. I primi lampioni si accendono, i bambini se ne vanno con le loro famiglie e il parco si svuota. Resto un po’ a guardare il cielo, con le mie fedeli sigarette, sentendo un sentimento di pace interna. 
Ripenso a oggi, e alla promessa che avevo fatto a Niall. 
“Se stai male, mi chiami subito ok? Prometti.” 
E gliel’ho promesso, in fondo penso di potermi fidare di lui. Mio padre me lo diceva sempre, che dovevo aprire il cuore alla gente. 
Mio padre si fidava delle persone, perché pensava ci fosse del buono in ognuno. Era convinto che ognuno meritasse una possibilità di essere compreso e amato, e che il mondo andasse bene così, nonostante tutto.  Ma il suo consiglio ha perso un po’ di significato da quando mia madre, la persona di cui ti fidi di più al mondo, che dovrebbe essere la tua ancora quando il resto affonda, ha abbandonato me e Penelope, due ragazze –una appena maggiorenne- al loro destino. 
Per quanto mi riguarda, posso dire che io non ho mai seguito fino in fondo la filosofia di mio padre: perfino quando era ancora in vita ed io avevo dodici anni circa, quelle parole mi stridevano nelle orecchie, facendomi sentire a disagio. Col passare degli anni la mia certezza si è acuita, la certezza che nella vita ci si possa fidare solo di poche, poche persone. Il tempo mi ha solo fatto scoprire quanto poche queste persone in effetti siano.
Mi siedo su una panchina e mando un messaggio al riccio, chiedendogli se stasera abbia voglia di passare a casa mia. 
“Niente ospedale stasera, ok?” aggiungo alla fine. Di solito nel mio giorno libero ci andiamo insieme, e ci sosteniamo a vicenda. Ma quella scena, dopo una giornata così serena… non so, per una volta voglio pensare a me.
Harry mi risponde dopo qualche minuto, facendomi sapere che sarebbe venuto da me verso le 9.
Continuo a perdermi tra i miei pensieri, fumando tranquillamente. Il tempo mi scorre davanti, mi riempie le orecchie col suo ticchettio dolce e cadenzato, e il vento lieve racconta di vite lontane, risate, speranze, baci e dolori.
Quando all’improvviso scorgo l’ombra di qualcuno che sta per girare l’angolo i miei muscoli si irrigidiscono e mi volto, attenta. L’ombra scopro poi essere di un ragazzo che cammina col borsone sulla spalla destra.
Lo guardo meglio e vedo gli occhi da gatto, il ciuffo moro curato e un giubbotto di pelle. 
“Zayn” sussurro, inconsciamente. 
Mi alzo, senza sapere bene il motivo e getto il mozzicone di sigaretta a terra, spegnendola. Lui mi vede e si ferma, incuriosito. 
“Adesso devo trovare un motivo per parlargli altrimenti se ne andrà.” È l’unico pensiero che riesco a formulare, prima di ricordarmi del diario.
“Zayn! ’ esclamo, avvicinandomi a lui. Lui resta fermo lì, con la stessa espressione di prima. 
“Ehi ehm… Ciao” esordisco, non sapendo bene come iniziare la conversazione. Le sue labbra si piegano in un piccolo sorriso malizioso, come consapevole del mio imbarazzo. 
“Ciao” risponde, tenendo lo sguardo fisso su di me. 
Non sempre te ne accorgi, ma è quando una persona ti guarda sempre negli occhi mentre gli sei davanti che ti rendi conto di quanto poco la gente lo faccia. Adesso mi accorgo che anche l’altra volta Zayn mi guardava sempre negli occhi. 
“Senti, tu hai lasciato una cosa nella mia macchina l’altra volta e…” inizio, ma vengo interrotta da lui. 
“Il diario?” Annuisco leggermente, e vedo il sollievo nella sua espressione. 
“Oddio, quel fottutissimo diario ce l’avevi tu allora! Pensavo di averlo perso, grazie a Dio. Mrs. Payne si sarebbe arrabbiata a morte!” esclama, e poi sospira sollevato. Non è esattamente la reazione che ci si aspetta quando si ritrova il diario di qualcun altro, e questo non fa che avvalorare l’idea che mi ero fatta nel momento del ritrovamento: a Zayn non importa molto di quelle pagine scritte con fretta.
“Chi è Mrs. Payne?” chiedo, curiosa. Lui si stringe nelle spalle. 
“Nessuno che ti possa interessare” taglia corto, il tono liquidatorio e freddo. 
“Allora, dov’è?” chiede, prima che io possa ribattere. Aggrotto le sopracciglia per la sua sgarbatezza ma decido di lasciar perdere: non ho proprio voglia di discutere con lui.
“Oggi l’ho dimenticato a casa” rispondo.
“Oggi?” mi chiede, accigliandosi. 
“Sì, non sapevo bene dove poterti trovare e allora me lo portavo sempre dietro. Ma oggi...”
“L’hai letto?” mi interrompe ancora, brusco, mentre la sua espressione si incupisce. La sua domanda mi fa infuriare facendomi scordare della serenità che volevo osteggiare solo qualche attimo fa.
“Cosa? No!” esclamo indignata. “Perché avrei dovuto? A malapena so il tuo nome. “
Lui mi guarda poco convinto, facendomi sbuffare. Alzo gli occhi al cielo, infastidita. 
“Pensa quello che vuoi, io non l’ho letto. Non lo farei mai” sputo, incrociando le braccia al petto, offesa. Odio quando le persone, che a malapena mi conoscono, si fanno un certo pensiero di me del tutto errato.
Lentamente, vedo la sua espressione da cupa diventare divertita. 
“Non capisco cosa ci sia da ridere” dichiaro, fredda. Lui scuote la testa. 
“Te la stai prendendo Marie? Incredibile” esclama, ancora più divertito. 
Alzo gli occhi al cielo. “Non mi piace chi mi giudica ancora prima di conoscermi” borbotto.
Ridacchia, poi si avvicina e si china sul mio orecchio. 
“Scusa, non volevo offenderti” mormora, e un brivido mi percorre la spina dorsale, però scrollo le spalle indifferente. Mi allontano leggermente, mentre lui continua a fissarmi. 
“Allora lo vuoi o no questo diario?” gli chiedo, distogliendo lo sguardo dal suo. I suoi occhi sembrano bruciarmi l’anima, è una sensazione davvero... irritante. Lui annuisce e poi mi sfiora il mento, per attirare la mia attenzione. Lo guardo e lui sorride. 
“Fammi strada” dice solo. Annuisco, e mi incammino verso casa, con lui dietro di me. 
Mentre cammino, si mette a piovere e inizia a tirare vento. “Perfetto” sbotto, accorgendomi di essere vestita leggera. Io odio il freddo.
Ad un certo punto, sento afferrarmi delicatamente la mano. Mi giro sorpresa, e vedo Zayn camminare e superarmi, trascinandomi. La sua mano è ruvida, piena di cicatrici e calli, ma allo stesso tempo delicata. Una strana combinazione. Dopo qualche istante vedo un bar di fronte a noi e capisco dove Zayn mi stia portando. Lo seguo in silenzio.
“Perché mi hai portata qui?” chiedo, mentre il calore del locale mi riscalda. Lui scrolla le spalle. “Stavi tremando, Marie. E credimi quest’acquazzone non finirà presto.”
Annuisco, mentre nascondo la mia leggera sorpresa sotto un silenzio.
“Marie.” mi richiama Zayn. Afferra un tovagliolo e me lo passa sotto gli occhi, levandomi il mascara colato. È un gesto affettuoso, piuttosto strano compiuto da Zayn.
“Nemmeno lo conosco. “ 
Mi devo ricordare che non lo conosco, che non è da me avere un pregiudizio su qualcuno, ma lui, a pelle, mi sembra nascondere qualcosa. E chi nasconde qualcosa, chi è bravo a mentire, fa parte della categoria più pericolosa delle persone: quelle che possono illuderti. Nonostante ciò, finora non ha fatto niente che mi faccia credere che voglia in qualche modo prendersi gioco di me, quindi dovrei rasserenarmi.
Poi mi ricordo che anche mia madre ha fatto così con mio padre: probabilmente lei si è mostrata dolce, attenta e appena mio padre gli ha aperto il cuore, l’ha pugnalato. 
Mi scosto con un sorriso gentile e mi asciugo da sola. 
“Non mordo, giuro” mi dice lui, facendo un mezzo sorriso ricordando quando io gliel’avevo detto. 
“Oh, ne sono sicura. Solo… niente sono problemi miei” taglio corto.
“Cos’è, non ti piace essere toccata?” tenta Zayn, dopo qualche attimo e mi guarda attento.
“Diciamo di no” mi limito a dirgli.  Lui sospira. 
“Ma io non ti voglio fare del male” mormora, avvicinandosi impercettibilmente. Sorrido, inconsciamente. Tutto del suo aspetto ispira mistero e pericolosità, ma le parole lo contraddicono. A volte.
“Non penso che tu mi voglia fare del male, tranquillo Zayn” lo rassicuro e a lui sembra bastare perché sorride soddisfatto, poi si alza e va a cercare un asciugamano. Non ne capisco l’utilità -dopo dovremo uscire di nuovo- gli dico, finché non mi annuncia che un suo amico può darci uno strappo.
Sospiro sollevata e ringrazio l’amico, che scopro essere il proprietario del bar. 
Dobbiamo aspettare una mezzoretta, il tempo che Dan, si chiama così l’amico, finisca il suo turno, ma siccome il bar è quasi vuoto possiamo parlare tranquillamente con lui.  È un uomo sulla quarantina, con dei corti capelli biondi e occhi piccoli azzurri. La faccia rossa e paonazza: il tipico irlandese, tutto birra e grosse risate. Chissà come fa Zayn a conoscerlo…
“Allora Marie, da quant’è che tu e Zayn vi conoscete?” mi chiede lui. Sorrido imbarazzata e mi gratto la nuca. 
“Ehm veramente… è la seconda volta che lo vedo in tutta la mia vita e ancora non so nemmeno il suo cognome.” Zayn sorride divertito e mi porge la mano. 
“Zayn Malik, piacere. E lei, signorina?” 
Scoppio a ridere, ma gli stringo la mano, stando al gioco. “Marie Dereen, il piacere è mio.”
Dan ci guarda, perplesso, e Zayn si affretta a raccontargli brevemente come ci siamo conosciuti. Non che sia una storia di per sé lunga, in fondo l’ho semplicemente accompagnato a casa.
“E devo dire di essermi comportato in modo piuttosto maleducato” conclude alla fine, guardandomi imbarazzato. 
Sorrido, leggermente sorpresa. “Queste sarebbero delle scuse?” gli chiedo, furba. Lui sbuffa e poi mi guarda divertito.
“Come se non te le avessi già fatte” borbotta. A braccia conserte, aspetto divertita che continui la frase.
“E scuse siano” termina poi, fingendo indifferenza. Gli faccio l’occhiolino, soddisfatta di me stessa e Dan scoppia a ridere. 
“Ne hai trovata una che ti tiene testa eh Zayn?”
Vedo Zayn aprirsi in un piccolo sorriso, guardandomi, e mi sento stranamente in imbarazzo di fronte a quello sguardo. “Già” si limita a dire e io abbasso la testa.

Più tardi Dan ci accompagna vicino casa mia. 
“Giusto in tempo” penso, guardando l’orologio e constatando che manca mezz’ora all’arrivo di Harry. Salutiamo Dan, che ci abbraccia calorosamente e mi raccomanda di venirlo a trovare.  Annuisco e gli sorrido, poi risale in macchina e se ne va.
“Allora, come conosci Dan?” chiedo a Zayn, mentre cominciamo a camminare. Lui scrolla le spalle. “Dopo gli incontri di boxe vado sempre lì a bermi qualcosa” risponde e io annuisco. 
“Ti dà da bere anche se sei minorenne?” chiedo, sorpresa e lui sorride. “Ho 22 anni, Marie” precisa lui e io mi do della stupida da sola. 
“Scusa, che sciocca. Ero convinta che tu avessi la mia stessa età” mi giustifico, scuotendo la testa, ma lui alza le spalle.
“Tranquilla. E comunque Dan da bere anche ai minorenni, solo se gli stanno simpatici però” ribatte, strizzandomi l’occhio, ed io sorrido. 
Camminiamo in silenzio per qualche istante, quando poi mi ricordo cos’ha detto. Lo guardo di sottecchi: sembra magro, non troppo muscoloso, le mani in tasca mentre cammina affianco a me, lo sguardo corrucciato. 
“Hai detto che fai boxe” mi assicuro.
Lui annuisce e mi guarda, aspettandosi una qualche reazione da parte mia. Mi guarda quasi apprensivo, come se avesse paura di un mio giudizio. Ma sicuramente non lo giudico semplicemente perché fa boxe, così mi limito ad alzare le spalle. “Non ti ci vedo. Sembri un po’ smilzo per fare boxe” dico semplicemente e lui mi guarda divertito.
“Smilzo?” ripete, e io mi limito ad annuire, ma sorrido. “Sì, non so… Sei magro, non sembri essere particolarmente muscoloso… sei sicuro che sia lo sport giusto per te?” continuo, prendendolo in giro e lui scoppia a ridere e scuote la testa. Mi dà una leggera spallata. “Magari un giorno verrai a vedermi e giudicherai tu stessa” ribatte lui ed io alzo un sopracciglio. “Perché dovrei venirti a vedere?” chiedo, sospettosa.
Lui sorride, malizioso. “Così potrai vedere quanto sono bravo, ovviamente” risponde, ed io alzo gli occhi al cielo. 
“Vanitoso” borbotto. Ma sorrido.
Il silenzio cade su me e Zayn, mentre lo conduco a casa mia. Tiro fuori le chiavi di casa, ma mi cadono. Mi affretto a raccoglierle, ma lo stesso fa Zayn, così le nostre mani si sfiorano e mi blocco. 
Provo una strana sensazione. Come se con lui diventassi una corda e ogni volta che anche solo mi sfiora, io tremassi e rabbrividissi. 
Ritraggo di scatto la mano come scottata e lui mi guarda leggermente confuso. Mi rialzo senza guardarlo negli occhi e poi infilo la chiave nella toppa, aprendo la porta. 
Accendo la luce e la mia casa si rileva, in tutto il suo disordine. 
“Scusa, è… un disastro. Di solito mia sorella si occupa dell’ordine ma…” mi blocco. Ho detto troppo, decisamente. “Niente. Non sono famosa per il mio ordine” mi affretto a concludere, facendolo entrare. L’espressione perplessa non ha lasciato il suo viso, ma quando vede la casa stranamente sorride. 
“No, è carina, davvero. C’è solo qualche… foglio per terra” osserva, ridendo alla vista dei miei appunti dell’università che ho buttato all’aria in ore di pura follia. Sorrido, sollevata del fatto che non abbia approfondito su mia sorella. “L’università ha brutti effetti su di me” affermo, e alzo le spalle. Poi inizio a cercare il diario, lasciandolo lì a curiosare tra le mie cose. 
Dato il mio disordine infernale, ci metto un po’, ma poi riesco a scorgerlo sotto una maglietta sul divano. Lo afferro e vado di là da Zayn. Quando entro, lo vedo in piedi, intento a guardare una foto che tiene in mano. Mi avvicino leggermente, ma appena vedo di che foto si tratta, il mio cervello sembra andare in tilt e smettere di ragionare: gliela strappo di mano e la lancio il più lontano possibile. Nemmeno mi accorgo di averlo fatto, finchè non vedo che è realmente la mia mano a essere tesa in avanti e la foto per terra, lontana da me. Zayn salta impaurito.
“Ma che cazzo fai?” urla, ma la sua voce mi arriva ovattata, come se ci fosse un muro tra me e lui. 
Sento il vetro rompersi in un angolo della cucina, ma è come se lo sentissi a rallentatore, e mi porto velocemente una mano alla testa che gira. Non quella foto, no. Tutto ma non quella foto. Mi porto le mani al petto, istintivamente, cercando di calmarmi e mi allontano da Zayn, in modo che non veda la mia espressione. 
Mi continuo a ripetere che devo stare calma, che una foto non può di certo farmi del male, ma non sono così sicura che sia vero, mentre sento tutto il mio corpo tremare.
Le gambe mi cedono, ma invece di cadere a terra due mani forti mi afferrano e mi stringono a sé. Mi appoggio sul suo petto, mentre la foto mi lampeggia davanti. Avevo eliminato tutte le sue foto, le avevo buttate. E questa da dove viene?
“Ehi Marie… Marie” sussurra Zayn, accarezzandomi leggermente. Prendo un grosso respiro e poi annuisco, staccandomi da lui. “Sto… sto bene tranquillo. Solo un problema con…” La gola mi diventa secca, mentre cerco una via d’uscita per non farmi prendere per matta. Ma c’è poco da fare, io matta lo sono davvero. Come posso sfuggire a questo? 
Non volevo che qualcuno vedesse questo lato di me, figuriamoci Zayn che nemmeno conosco. Ma purtroppo io e questo ragazzo sembra che non possiamo stare insieme in condizioni normali.
“Solo un problema con… sai sono venuta davvero male in quella foto…” mormoro, ridendo un po’ troppo istericamente per i miei gusti. Evito accuratamente il suo sguardo e scappo da lui, in cucina. Prendo la scopa poggiata al muro e guardo la foto per terra e provo disgusto ma anche uno strano terrore, quasi reverenziale, come se fossi intimidita da essa. Più di tutto, adesso che mi sento leggermente più calma, provo una violenta rabbia per essermi comportata in quel modo: mi sono detta e ridetta che non avrei dovuto più reagire in modo così esagerato, e invece ogni volta che vedo qualcosa che le appartiene mi sembra di reagire esattamente come nei primi mesi. Non riesco a formulare un pensiero preciso mentre mi impegno a spazzare i cocci di vetro, lasciando la foto lì, cercando una risposta alle future domande di Zayn. 
Lo sento avvicinarsi piano, fino ad averlo vicino. Mi leva delicatamente la scopa dalle mani e la posa a fianco a me. Non so cosa ci trovi così interessante nel pavimento, ma mi ostino a guardarlo come se questo mi possa salvare dal giudizio del moro. 
Zayn si accovaccia a terra, nel punto in cui sto guardando. 
“Marie, guardami. So di non essere bello come il pavimento” scherza, sorridendo leggermente. 
Faccio una piccola risata e poi scuoto la testa. Continua a sorridere e poi mi fa cenno di sedermi vicino a lui, e lo faccio. Mi scruta per alcuni attimi, poi prende un respiro e parla: “Sai Marie, quando avevo 8 anni mio padre mi disse che era ora che diventassi un uomo. Mi disse che lui non stava lì di certo a tenere a bada i capricci di me e le mie sorelle. Mia madre era sempre fuori, col lavoro, ma non sarebbe cambiato molto: i miei litigavano da tempo e si odiavano. ’’ Si ferma un attimo, mentre io cerco di assimilare quella confessione, quelle orribili frasi. 
Di colpo le parole lasciano il mio corpo, e non mi viene in mente niente da dire; allora poggio una mano su quella di Zayn, ma lui non sembra farci caso. Solleva la testa e guarda il vetro per terra davanti a me, poi alza lo sguardo e mi guarda negli occhi. 
“So cosa vuol dire avere un passato che fa male, anche dopo tanto. So cosa vuol dire cercare di fuggire da qualcosa da cui non si può fuggire” mi dice, lo sguardo intenso. 
“Ora se quella” continua indicando la foto per terra.  “Fosse stata una foto dei miei genitori, probabilmente avrei avuto la stessa ragione” afferma. Rimango stordita da tutte quelle parole, così profonde e così strane se provenienti dalla sua bocca. Sembra che lui mi capisca così dannatamente bene. E sembra che non abbia avuto bisogno di nessuna spiegazione, come se sapesse già tutto di me.
Zayn capisce che non so cosa rispondere e sorride. 
“Marie, voglio solo farti capire che non sei più matta di me. Non sei costretta a far niente, comunque” asserisce, scrollando le spalle. 
“Dirti quelle cose è stata una mia scelta e non ti obbliga a raccontarmi il tuo passato in modo così stupido” conclude, alzandosi poi in piedi. 
Vorrei dirgli che nessun genitore dovrebbe dire quelle parole al proprio figlio, che nessuno dovrebbe costringerti a crescere in quel modo. Vorrei dirgli che so cosa vuol dire non avere dei genitori amorevoli, che so cosa vuol dire dover crescere da soli. E vorrei dirgli che non è stato un modo stupido, ma un modo dannatamente coraggioso, ma non lo faccio. 
Perché? “Perché sono una vigliacca” mi rispondo semplicemente. Mi alzo in piedi e le parole mi scivolano fuori dalla bocca, senza che io possa pensarle prima.
“Mia sorella” inizio con voce arrocchita, e Zayn si blocca dov’è, in ascolto. Mi schiarisco la gola e poi riprendo: “Mia sorella ha scattato quella foto. Siamo io e mia madre, il mio primo giorno di scuola elementare” continuo, posando il mio sguardo sulla foto. Una donna bionda con gli occhi azzurri, alta e dall’aria serena che tiene il suo braccio sulle spalle di una piccola bambina, i capelli lunghi e neri a incorniciare un viso affilato su cui spiccano gli stessi occhi della donna. La piccola me tiene in mano uno zaino blu e indossa un grembiule rosa a scacchi. Sembra impaurita ma sorride, grata della stretta confortevole della madre.
“Odiavo quel grembiule, ero gelosa dei miei amici maschi che avevano un bellissimo grembiule blu mentre io dovevo indossare il rosa” ricordo, facendo un mezzo sorriso. Sento Zayn avvicinarsi di nuovo ma non lo guardo negli occhi, resto con lo sguardo su quella foto, cercando di scegliere le parole giuste per spiegargli. 
Il suo silenzio è un’attesa paziente e confortevole del racconto che sa che io continuerò.
“Abitavamo a Bruxelles allora, mi sembra. Ho sei anni in questa foto, ma ricordo con esattezza tutti i dettagli di quel primo giorno come se fosse ieri, incredibile no? Dicono che il primo giorno di scuola lasci dentro di te un’impronta indelebile.”
Scuoto la testa e poi faccio un sorriso amaro, e rimango in silenzio, senza essere più sicura di voler continuare. Guardo Zayn incerta e lo trovo intento a scrutarmi, serio. Mi fa cenno di continuare.
Gli do le spalle, guardando un punto indefinito della cucina, mentre i ricordi mi investono e l’amarezza pervade tutto, anche il tono con cui parlo.
“Non è stata più la stessa dopo che ha iniziato a bere, anni dopo. Avevo appena 11 anni e dovevo uscire di casa e andarla a riprendere per i vicoli per cui si era buttata.” Scuoto la testa, e una sorta di malinconia mi invade.
“Da quando ha lasciato questa casa, ho eliminato ogni sua foto, promettendo a me stessa che mai sarei diventata così” concludo e poi resto in silenzio. Mi scorrono davanti immagini del corpo di mia madre gettato come uno straccio per terra, incosciente, ed io così piccola ma già così grande. Scorrono come un film muto, senza colori. Il suo corpo, d’un colpo così fragile, che trascinavo fino a casa… Avevo paura di romperla se l’avessi stretta troppo.
Non c’è nessun imbarazzo nel silenzio che si protrae tra me e Zayn, solo l’eco delle mie ultime parole teso nell’aria, come una ragnatela pronta a sfilacciarsi.
Mi giro verso di lui e lo vedo allo stesso posto di prima, mi guarda con la stessa espressione. 
Sospiro, passandomi una mano sulla faccia, e mi sento stanca tutt’a un tratto.
Mi avvicino a Zayn. Mi pento di ciò che gli ho rivelato? Mi pento per come mi sto comportando? Dovrei, so che dovrei. Ma sinceramente, nel momento in cui ha visto quella foto sapevo che sarebbe accaduto qualcosa del genere.
“Marie.” La sua voce è decisa ma delicata.
Scuoto la testa e sorrido. “Lascia stare, Zayn” ribatto ma lo vedo comunque in procinto di rispondermi, vedo l’espressione sul suo viso sfiorare la pietà, e allora so che non riuscirò a sopportare quello sguardo. Semplicemente lo abbraccio, scuotendo di nuovo la testa.
Rimane interdetto per qualche secondo, come se non sapesse cosa fare, ma sembra desistere perché poi sospira e sento le sue braccia circondarmi e una sensazione di sollievo si propaga per tutto il corpo. Rimango così, e sento le sue braccia calde a contatto col mio corpo, e le sue mani grandi sulla mia schiena. Sento il suo cuore battere contro il mio orecchio e ringrazio Dio che batta così forte. 
Quando lui si stacca, un improvviso freddo mi assale. Fa un piccolo sorriso, poi mi accarezza la guancia e esce velocemente dalla cucina.
È successo tutto così in fretta che ci metto qualche attimo a capire, attimo che Zayn sfrutta per trovare il diario e per mettersi la giacca. Quando torno di là in soggiorno infatti, lo vedo sulla porta col borsone in mano in procinto di aprirla, e mi sento terribilmente confusa: gli ho rivelato qualcosa di così intimo e lui scappa via come un ladro?
“Aspetta!” urlo, sempre più confusa. Mi ero aspettata uno sguardo, qualche parola significativa, magari un altro abbraccio e poi un congedo, sì, ma non in questo modo: sembra scottato da me, sembra che non vedi l’ora di andarsene, mentre un minuto prima nel suo abbraccio avevo cercato consolazione.
 Il moro si blocca sulla porta, con una mano sulla maniglia. “Dove… dove vai?” gli chiedo, avvicinandomi a lui. 
“A casa, Marie. Dove vuoi che vada?” risponde lui, semplicemente. Aggrotto le sopracciglia. “Così? Te ne vai così? Pensavo…” 
“Cosa pensavi?” mi interrompe, con tono indifferente. 
Mi mordo un labbro, per evitare di farmi prendere dall’emozione e tento di ragionare: cosa stavo pensando? Che saremmo rimasti a parlare dei nostri burrascosi passati per ore? Che ci saremmo consolati a vicenda, o magari speravo in un congedo meno freddo?
“Volevi andartene senza nemmeno salutarmi o niente, solo…così?” continuo, indicando lui poi la porta, ed alza le spalle, a disagio. Si guarda intorno, come in cerca di una via di fuga. 
“Ti avrei salutato.”
Sospiro e annuisco, anche se non ci credo. 
“Puoi restare, se vuoi” mormoro, posando una mano sulla sua. 
Lui abbassa lo sguardo sulle nostre mani, e quando lo rialza sorride leggermente. Sospira, poi si avvicina e mi posa un bacio sulla fronte, leggero e delicato come il battito di una farfalla. Chiudo gli occhi per qualche secondo a quel contatto e quando incontro di nuovo i suoi occhi vedo, per la prima volta, una profonda dolcezza illuminargli lo sguardo.
Rimaniamo attimi fermi così, a guardarci, attimi che sembrano infiniti. 
Poi scuote la testa, la magia si spezza, e l’indifferenza si fa di nuovo spazio nel suo sguardo. 
“Non posso” si limita a dire, poi distoglie lo sguardo dal mio e apre la porta, liberandosi della mia mano.
Esce dalla casa e scende rapidamente gli scalini.
Esco anche io di casa, alimentata da un’agitazione che non sapevo di provare. 
“Zayn! Promettimi almeno che non sarà l’ultima volta che ci vedremo!” urlo prima che sia troppo lontano. 
Si gira verso di me e vedo un sorriso farsi strada sulla sua faccia. Annuisce lentamente. 
“Certo Marie Dereen. Due come noi si dovranno incontrare per forza” ribatte, poi si rigira e cammina velocemente fino a svoltare l’angolo. 
Le sue parole mi rimbombano nella testa. 
“Io ci conto” mormoro.


  
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