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Autore: TheDoctor1002    16/11/2015    3 recensioni
Artemis conosce il mare. Lo ha solcato in lungo e in largo quando era in marina, vi ha disseminato terrore una volta cacciata e ancora oggi, dietro l'ombra del suo capitano, continua a conoscerlo.
Il suo nome è andato perduto molti anni fa: ora è solo la Senza-Faccia. Senza identità e senza peccati, per gli altri pirati è incomprensibile come sia diventata il secondo in comando degli Heart Pirates o cosa la spinga a viaggiare con loro. Solo Law conosce le sue ragioni, lui e quella ciurma che affettuosamente la chiama Mama Rose.
Ma nemmeno la luce del presente più sereno può cancellare le ombre di ciò che è stato.
Il Tempo torna sempre, inesorabile, a presentare il conto.
"Raccoglierete tutto il sangue che avete seminato."
//
Nota: trasponendola avevo dimenticato un capitolo, quindi ho riportato la storia al capitolo 10 per integrarlo. Scusate per il disguido çuç
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corazòn, Donquijote Doflamingo, Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Pirati Heart
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 6: Fino alla fine dei giorni

Lentamente, Artemis cercò di connettere ogni parte del suo corpo, ma con scarso successo.
Si sentiva spaccata, come se i suoi arti fossero scollegati, lontani chilometri l'uno dall'altro.
La gamba sinistra le faceva ancora male, ma quasi certamente era guarita, sebbene le sarebbe servito qualche giorno per riprendere a camminare come si deve.
Anche la mano destra si era ricostruita, riusciva a muovere tutte le dita e percepiva sotto i polpastrelli una stoffa spessa e morbida. 
Sentiva un leggero rumorio intorno a sé, come un tintinnare di boccette che ad un certo punto cessò, spegnendosi nel cigolio di una sedia e in uno sbuffo. 
"Beh, prima o poi ti sveglierai, no?" Sospirò con voce esausta la figura seduta accanto al letto, passandosi una mano tra gli spessi capelli azzurri.
Le rivolse uno sguardo sconsolato e chiuse gli occhi, reclinando la testa. 
La porta dell'infermeria gracchiò quasi nello stesso istante, annunciando l'ingresso di qualcuno seguito da una folata di aria gelida. 
"Novità?" Chiese Kidd a mezza voce, avvicinandosi a Heat e storcendo il naso appena iniziò a respirare l'aria satura e carica di un certo senso di malattia. 
"Niente di niente" affermò l'altro mestamente "è stabile: se è vero che non peggiora è altrettanto vero che non migliora. Si ricostruisce lentamente e...Dio, Capitano, è inquietante. É come vedere un cadavere che si decompone al contrario." 
"Allora non c'è che da aspettare che torni a vivere, no?"
Una pausa carica di incertezza piombò come un macigno su quella conversazione: Heat non ne aveva alcuna idea.
Niente suggeriva che potesse svegliarsi in tempi brevi o che potesse farlo affatto.
"Aspettare e sperare." Concluse dubbioso "Ho appena finito di somministrarle gli antibiotici. Va' pure a dormire, Capitano: ti manderò a chiamare se ci saranno novità." 
Quelle parole avrebbero dovuto rassicurare Kidd, ma il medico era certo che quella notte non sarebbe stata diversa dalle tre precedenti: Eustass avrebbe continuato a camminare con fare nervoso lungo il ponte, fingendo di tanto in tanto di controllare la rotta, mentre lei avrebbe continuato a starsene lì immobile, come cristallizzata. 
Kidd scosse impercettibilmente la testa.
"Lascia stare, Heat: hai già fatto abbastanza per lei." 
Lui fece per ribattere, ma realizzò presto che cercare di smuovere il Capitano sarebbe stato inutile. 
"Cerca di riposare: perderci il sonno non l'aiuterà a riprendersi più in fretta." Si raccomandò l'altro, lasciandogli una pacca sulla spalla e avviandosi verso l'uscita.
Eustass fu sul punto di ruggirgli contro che non gli importava se lei ce l'avrebbe fatta o meno.
Stava per gridargli che se Artemis si trovava lì era solo per togliere alla Marina la soddisfazione di averla presa.
L'aveva promesso, no?
Lui e nessun altro avrebbe messo fine alla vita della Senza-faccia.
Avrebbe mostrato al mondo intero che nessuno si prende gioco di Eustass Kidd, né lei, né i Marines. 
Ma non fece nessuna di queste cose.
Si limitò ad un sommesso "Chiudi il becco" e prese il posto di Heat, incrociando le braccia sul petto e rivolgendo ad Artemis un'occhiata di traverso mentre il suo compagno lasciava la stanza. 
Era pallida come uno spettro, notò, e il suo viso era rilassato.
Non c'era traccia del dolore delle ferite o segni troppo evidenti del sarcasmo che velava il suo volto ogni volta che voleva che le sue parole arrivassero dritte a segno.
Sembrava quasi indifesa.
Quasi innocente.
Nulla che fosse anche solo vagamente riconducibile a quel che era stata a Marineford. 
All'improvviso, gli parve di vedere le labbra di lei tremare appena.
Si passò una mano sul volto e ebbe l'impressione di sentirla ridere, quasi a prendersi gioco di lui con quel suo fare malizioso, come aveva fatto all'arcipelago Sabaody tempo prima. Quando rivolse di nuovo il suo sguardo verso di lei, Artemis era ancora terribilmente immobile, impassibile, con le garze di Heat a tenere saldati i pezzi nei quali aveva finito per sgretolarsi. 
"Ci rivediamo nel Nuovo Mondo" borbottò lui "L'avevi promesso, no?"
Nessuna risposta. Che si aspettava, dopotutto? 
Si tastò il petto: quel fastidio aveva ripreso a tormentarlo.
Era una sensazione disgustosa che aveva iniziato ad attanagliarlo da poco tempo a quella parte e con cui non aveva ancora familiarizzato.
Heat diceva che la sua salute era ottima, ma lui faticava a credergli.
Era come un minuscolo cancro, gli si era aggrappato addosso dal nulla e lo sentiva crescere giorno dopo giorno, portandogli sensazioni che non gli piacevano, come un malessere che rendeva tutto schifosamente orribile, banale, privo di senso.
Aveva iniziato a cambiare, perfino i suoi compagni l'avevano notato. 
"Ohi, capitano! Non ti sarai mica innamorato, eh?"
"Doveva essere davvero uno schianto, quella Senza-faccia. Beh, non che quel che si vede non lo lasci immaginare..."
"Finitela, idioti: vi pare che perché una mi fa gli occhi dolci mi rammollisco così?" 

Le discussioni, prima o poi, finivano per vertere sempre su quell'episodio: il grande Eustass Kidd, la più promettente e spietata tra le nuove leve, messo al tappeto dal primo ufficiale di una ciurma avversaria.
La notizia non aveva circolato troppo, ma non tutti i suoi uomini avevano assistito al combattimento e tutto ciò che sapevano era stato riferito loro da Shachi e Penguin, vanitosi e orgogliosi oltre ogni misura del loro primo ufficiale, nonché abilissimi a tessere un merletto di dettagli e particolari reali, fittizi o veri solo in parte.
Quella breve zuffa era stata ingigantita al punto da sembrare la guerra dei Vertici. 
Prenderò la tua testa, Senza-faccia, dovessi inseguirti fino alla fine dei giorni. 
Dall'arcipelago dove si stavano ancora leccando le ferite di Kizaru, aveva deciso di prendere tutto e andare a Marineford. 
Per cosa poi? Quando erano arrivati era già tutto finito. 
C'era solo lei, gettata tra le macerie come una bambola rotta.
Avrebbe potuto ignorarla o finirla, sarebbe stata la cosa più logica da fare.
Uno dei suoi avversari più diretti avrebbe perso un elemento importante della sua ciurma e questo significava essere un passo più vicino al One Piece.
L'aveva osservata per qualche secondo, prima di realizzare che non aveva quasi il coraggio di puntarle contro una pistola.
Lui, Eustass Kidd, aveva paura di uccidere.
E da quando? 
Più passavano i secondi e più una singola idea si faceva nitida nella sua mente: lei sarebbe dovuta essere insieme a quel capitano che tanto le stava a cuore, ma Law non c'era. Dov'era? Era sparito con Cappello di Paglia, lasciando indietro un suo compagno morente, ecco dov'era. 
Che razza di pirata farebbe una cosa del genere?
"Parla." Le ordinò esasperato per l'ennesima volta da quando era arrivata, stringendole appena la mano fragile nella sua. 
"Mi senti, maledetta? Dì qualcosa! Qualsiasi fottuta cosa, dannazione, fammi capire che ci sei. Non puoi tirarti indietro adesso. Ci sono idioti ben più deboli di te che sono arrivati al Nuovo Mondo, non puoi non farcela." 
Ma lei non rispose, come non aveva risposto le notti precedenti.
Restava immobile, fredda come il marmo e altrettanto impenetrabile mentre quella strana sensazione continuava a farsi sempre più gravosa nel cuore di Kidd ad ogni sua supplica rimasta inascoltata. 

Il miracolo era avvenuto dopo quattro notti e quattro giorni: la Senza-faccia era sopravvissuta.
Artemis notò che si respirava un'aria particolare sulla nave, come se tutti avessero tirato un gran sospiro di sollievo, anche se dubitava fossero preoccupati per lei.
Da quando era riuscita a rialzarsi, era sempre stata sul ponte, in attesa di un giornale o qualsiasi cosa potesse metterla in contatto con l'esterno: si sentiva cieca e vulnerabile, tanto lontana dalla ragnatela di fili rossi che intarsiava il suo studio, senza alcuna notizia riguardo alle posizioni dei Poteri, ignara delle ripercussioni politiche della Guerra dei Vertici.
Si aggrappava a supposizioni e previsioni, era tutto ciò che le restava. 
"Qui si gela" borbottò Kidd una sera, stringendosi nella sua pelliccia e rivolgendole la parola per la prima volta da quando avevano lasciato Marineford "Heat ha lavorato sodo per rimetterti in sesto, finirai per avere una ricaduta."
Quelle parole le entrarono da un orecchio e uscirono dall'altro, impegnata com'era a ripensare a come era rimasta paralizzata nel caos della battaglia.
Si era ritrovata spesso a pensarci, in quegli ultimi giorni: se non fosse stato per Ivankov, lei sarebbe morta e lo sapeva bene.
Era migliorata dall'ultimo incontro che aveva avuto con la ragione del suo shock, sapeva usare il frutto e anche la sua resistenza era aumentata, ma non era possibile che non avesse ancora superato quell'ultima barriera. 
"Sono tutti sintomi da stress post-traumatico, Artemis: accettalo. Se mi darai ascolto posso trovare un modo di fartelo superare."
Law era stato categorico: quell'ultimo incontro l'aveva resa pazza.
Aveva popolato la sua testa di mostri e incubi che le stavano lentamente distruggendo il cervello, ma lei non l'avrebbe mai ammesso. 
"Heat mi ha anche detto che ha trovato delle ferite più vecchie e che si erano riaperte." Riprese Kidd distrattamente "Stavano per ucciderti come rischiavano di farti morire quando ti sono state fatte. Chi è stato?"
Lei non rispose, continuò a fissare lontano, scuotendo la testa.
Le stelle che guidavano la nave lungo la sua rotta si riflettevano nei suoi occhi assenti, quasi si trovasse davvero in mezzo a quei soli, lontana miliardi di chilometri da Kidd. 
"Lascia stare, Eustass." 
"Dovrei?" Chiese lui scettico "Dovrei ignorare che qualcuno ti ha trapassata da parte a parte in quel modo? Dovrei ignorare che qualcuno è quasi riuscito ucciderti?" 
"È troppo in alto" spiegò "Anche se ti dicessi chi è, non potresti fargli nulla."
"Non mi interessa di quanto in alto possa essere, voglio il suo nome. Voglio sapere chi è il bastardo che ti ha lasciato quelle cicatrici."
Le parole di Eustass risuonarono per qualche istante nella sua mente, martellanti, disturbanti come un tarlo o un incubo ricorrente. 
"Donquixote Doflamingo." 
Sputò quel nome con uno sforzo che parve quasi disumano.
La voce di lei faticò ad uscire dalla sua gola, mentre con lo sguardo continuava a perdersi lungo la rotta che l'avrebbe portata chissà dove, lontano da Marineford.
Scuotendo la testa, cercò di allontanare dalla sua mente tutti i ricordi legati a quel nome che stavano lentamente invadendo il suo cervello e prese ad accarezzare inconsciamente i segni sull'addome che l'avrebbero deturpata per sempre, ripercorrendo i contorni di quelle cicatrici con le dita. 
Kidd sembrò improvvisamente a disagio.
Uno strano sguardo comparve sul suo volto, simile a quello di qualcuno che si trovi di fronte a qualcosa di misterioso: affascinato e allo stesso tempo spaventato da quello che gli occhi grigi di Artemis potevano aver visto. 
"Non è colpa tua." Lo rassicurò Artemis, quasi leggendogli nella mente "È una storia un po' lunga, dubito ti piacerebbe." spiegò lei quasi con scetticismo, come a voler minimizzare.
"Dev'essere stato qualcosa di davvero singolare, per far tremare un cuore come il tuo."
"Non sono sempre stata quella che hai visto all'Arcipelago Sabaody, Eustass." sorrise lei "Sono stata molto più fragile. E anche di gran lunga peggiore." 
"Se è l'unico modo per capirti, Senza-faccia, raccontami della vecchia te" 
"Vuoi davvero sentire la mia storia?" 
Lui scosse le spalle, sedendosi sul ponte accanto a lei "Perchè no? Abbiamo parecchie altre ore di navigazione, in qualche modo dovranno pur passare." 
"E la ascolteresti anche se ti dicessi che non è una storia bella?" 
"Nessuno che sia giunto fin qui ha una storia bella" constatò "Casomai posso sempre fermarti, no?" 
Un mezzo sorriso attraversò il volto di lei, prima che i suoi occhi tornassero a perdersi lungo la sottilissima linea che separava il cielo e il mare neri come ossidiana. 
"Andata"

-//-

Marineford.
Distese e distese di rovine, pile di cadaveri. 
Barbabianca, i capitani di divisione, le flotte alleate.

Quanto caos, quanta distruzione, quante vite che si dibattevano in quell'oscurità cercando di sopravvivere o inseguendo la chimera della gloria eterna degli eroi.
Uno spettacolo irripetibile ed impagabile al quale aveva potuto assistere dalla prima fila e senza dover nemmeno pagare il biglietto.
Continuava a rivedere quelle scene ancora e ancora nei suoi sogni ed erano quelli che più lo appagavano, lasciandogli allo stesso tempo la sensazione amara del rimpianto.
Era passata quasi una settimana e già da qualche giorno, all'improvviso, le acque si erano calmate, facendo ripiombare la sua vita nella schiacciasassi della routine. 
I sogni tornavano ad essere l'unica cosa che desse un brivido vero alla sua esistenza.
Talvolta rivedeva i suoi genitori, la sua vecchia casa a Marijoa, Corazon.
Quei sogni lo facevano svegliare di soprassalto e con una sensazione orribile a chiudergli lo stomaco, facendogli rimpiangere di essersi addormentato. 
A volte, invece, sognava lei. 
Tutto iniziava con un paesaggio idilliaco, spesso una spiaggia.
Lei amava il mare, era lì che si rifugiava appena i suoi impegni glielo concedevano.
Nella scena deserta, era la sola minuscola, esile figura che si muovesse.
Le corte ciocche argentee e ricce le coprivano gli occhi, mentre ballava con le onde ad infrangersi contro i suoi polpacci.
Canticchiava tra i denti una canzone da pirati riguardo il liquore di un certo Binks. 
Sarebbe potuto restare lì a guardarla per sempre.
La preferita del re.
Sua, sua soltanto e di nessun altro.
Era bella, innocente, pura.
Forse era questo che gli piaceva tanto della sua Artemis: il fatto che, lontana dalla folla, fosse così diversa da tutti quelli che l'avevano sempre circondato. 
La sua risata era leggera, talvolta scuoteva appena gli angoli delle sue labbra quando meno se lo potesse aspettare. 
Sua, sua, sua, con quegli occhi luminosi ed emotivi, specchi limpidi dei complicati processi che si alternavano nel suo cuore.
Lei compariva sull'uscio della sua stanza ogni notte, avvolta nella seta delle sue vestaglie.
Tra le mani di lui, sembrava ancora più piccola di quanto non fosse.
Brividi leggeri increspavano la sua pelle morbida ad ogni tocco, ogni volta che il suo respiro si infrangeva contro il suo corpo. 
Ma infondo, non c'era niente di vero, in quelle notti.
Non era il suo, il nome che lei voleva sussurrare, non erano quelle le braccia in cui voleva addormentarsi, non c'era pace nel suo sonno e, quando solo Rocinante la vedeva, calde lacrime arrugginivano le sue belle guance. 
Quello smidollato di suo fratello, come era possibile?
Era stata lei ad addestrarlo, quando il figliol prodigo era tornato a casa.
Era la prima a sapere quanto distratto ed incapace fosse.
Riusciva ad immaginarlo, mentre allungava le sue dannate mani su di lei, mentre le baciava la linea morbida del collo, mentre stringeva la sua donna, la sua Artemis. 
Corazon non la meritava.
Non aveva ambizione nè carattere, proprio come suo padre.
A lei non spettava niente meno che un re e suo fratello non lo sarebbe mai stato.
Si era ripetuto tante volte che doveva averla ingannata in qualche modo, quando erano salpati senza dare notizie e portando con loro il piccolo Law.
Sicuramente stava cercando di tornare indietro, a Spider Miles, a casa, dalla sua famiglia, da lui.
Continuò a raccontarsi la stessa bugia per sei mesi, finchè non li ritrovò a Minion Island e tutta la messinscena di Rocinante venne rivelata. 
All'improvviso, la figura controluce sulla spiaggia smise di ballare e si accasciò sulle ginocchia.
Quando corse da lei, rivide la stessa identica espressione dipinta sul suo viso a Minion Island, lo stesso sangue a macchiarle le mani e i vestiti, tingendo l'acqua intorno a lei di porpora. Quella era l'ultima Artemis che aveva conosciuto, il suo ultimo ricordo di lei.
Il viso sciolto dal pianto per la perdita di un altro uomo.
"Come puoi chiedermi di tornare dopo tutto questo?" Sussurrò lei con voce tremante. 
Non di nuovo. Non ancora, per pietà. 
La spiaggia tropicale si infranse contro le lenti dei suoi occhiali e la neve ed il ghiaccio presero il suo posto con prepotenza. 
Davanti a lui c'era un Doflamingo più giovane, colmo di una rabbia cieca e incontrollabile. 
Non farlo, fermati, idiota!
"Io non sono tua. Non voglio esserlo, nè voglio il tuo perdono. Io rivoglio indietro il padre di mio figlio." 
Continuava a sentire la voce di lei, così fragile e così forte.
Quelle erano state le ultime parole che le aveva sentito pronunciare.
Aveva minacciato di strapparle tutto, Law compreso.
Aveva minacciato di toglierle il sonno per il resto dei suoi giorni.
L'aveva minacciata.
Come era arrivato a tanto?
Quanto stupido ed impulsivo era stato undici anni prima?
Si vide usare l'Ito Ito No Mi per attraversare il ventre di lei con una serie di fili, distruggendo il frutto di quell'amore che tanto gli faceva male.
Il viso di Artemis si fece sempre più pallido, di un candore talmente intenso da far sfigurare la neve appena caduta.
Quando si accasciò al suolo, aveva ancora il nome di suo fratello scritto sulle sue labbra.

Aprì gli occhi e la luce violenta del mattino inoltrato quasi l'accecò.
Dalla stanza affianco sentiva l'acqua scrosciare e una voce di donna che canticchiava le note della canzone di Binks. 
Che deja-vû. 
Aspettò che lei uscisse, pregando di riconoscere Artemis, ma la figura che comparve poco dopo aveva dei tratti molto più aspri ed era decisamente più alta di lei.  
Non ricordava il suo nome nè quando si fossero conosciuti e, quando lei si dileguò fuori dalla stanza, la salutò appena con un cenno distratto. 
Sentiva la testa pulsare, ma dubitava fosse colpa degli alcolici della sera prima.
Non importava di quante donne si circondasse, era come se lei fosse sempre lì.
Continuava a sentire la sua presenza fin nelle ossa e, dopo tanti anni, ancora rifiutava l'idea che la mano macchiata del suo sangue fosse la sua.
Odiava come quella donna potesse ancora essere nel suo cuore. 
"Se ancora fa male, vuol dire che ancora esiste."

"Avanzate! Usate Oars per superare la muraglia, riversatevi nella piazza!" 
Tra tutti i combattenti della guerra dei Vertici, la Senza-faccia era colei che gli era rimasta più impressa.
Aveva sentito parlare di lei, ma non aveva mai avuto ragione di cercare informazioni a riguardo.
Sapeva che era nella ciurma di Trafalgar e che aveva ottenuto i poteri del Time Time No Mi dopo che Artemis li aveva persi, ma non gli era mai importato di scoprire di più.
Tuttavia, dopo l'ultima battaglia, non riusciva a togliersela dalla testa.
Forse perchè si trovava lì senza il suo capitano, forse per la sicurezza con cui dirigeva i coloro che si rivolgevano a lei, non avrebbe saputo dirlo.
Certo, non che il vederla rubare ed usare la falce di un gigante fosse cosa da poco.
Aveva mietuto un gran numero di vittime, doveva essere per quello che le era rimasta così impressa.
Senza dubbio era un elemento parecchio forte, per aver sopportato il frutto e averlo usato in battaglia per tanto tempo.
Il suo pupillo si stava circondando di compagni formidabili, dopotutto. 
Law. 
Una donna capace di controllare il tempo al fianco di Law. 

Collegò tutto in quel momento, come se all'improvviso quella maschera gialla con la quale si era guadagnata il suo epiteto si fosse sciolta, mostrando il viso di Artemis, limpido e chiaro come l'acqua. 
"Signorino, ci sono problemi?" Chiese Monet, vedendo il volto di Doflamingo sbiancare e un'espressione grave prendere il posto del suo perenne sorriso
"Chiama immediatamente Vergo." Ordinò lui freddo, cercando la copia del quotidiano che aveva lasciato sul tavolino accanto alla sua poltrona.
Eccola, la Senza-faccia.
Il suo avviso di taglia era stato rivisto, facendo salire la ricompensa a 280 milioni.
Anche la foto era stata cambiata: era stata scattata sicuramente a Marineford e la maschera era spaccata sul lato inferiore, mostrando le labbra e lasciando intravedere un cerotto sulla guancia, dove Artemis si era fatta tatuare un cuore nero quando era entrata a far parte della Family.
"Non mi importa dove sia o cosa stia facendo, lo voglio qui subito." 
"E cosa gli dirò se vorrà sapere di cosa si tratta?" 
Il sorriso di Doflamingo tornò ad allargarsi sul suo volto, mentre spingeva gli occhiali sul naso. 
"Riferiscigli solo che la colombina tornerà presto al nido. Non gli servirà sapere di più."
Monet chinò appena la testa sorridendo e lasciò la stanza, diretta verso la sala comunicazioni poco distante dove avrebbe trovato la linea di collegamento diretto con Vergo. 
"Tornerai, non è vero, colombina mia?" Pensò lui, di nuovo solo in quella stanza tanto grande, analizzando ancora e ancora la minuscola foto sul volantino e riconoscendola in ogni tratto della Senza-faccia. "Ti ho aspettata così tanto. Ma adesso è finita: io sarò di nuovo tuo e tu sarai mia. Sarà come ai vecchi tempi: fino alla fine dei giorni."
   
 
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