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Autore: Trick    22/11/2015    5 recensioni
"È inutile cercare di cambiare la natura delle cose. Ci sono regole che sono nate semplicemente per sopravvivere all'umanità. Tu sei una di quelle regole. Tu, lei e una storia d'amore proibita che vuole sfidare la natura delle cose. Vuoi sapere la verità? È una storia noiosa: si sa già chi morirà alla fine".
RemusxTonks | HBP |
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Un po' tutti | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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°°°

 

Remus si fermò davanti alla grata di ferro arrugginito. Nemmeno i segni del tempo sembravano aver toccato l'entrata della Fossa. Umida, misera, buia... così londinese. C'erano solo due particolari che la contraddistinguevano da una qualsiasi delle vecchie grate che ancora si affacciavano lungo il tunnel della linea 42: la prima era un Incantesimo Imperturbabile che la rendeva invisibile a qualunque Babbano. Non che i Babbani a spasso per i sotterranei di Londra fossero molti, ma di tanto in tanto c'era il rischio di imbattersi in qualche addetto alla sicurezza. La seconda era un Incantesimo di Pietrificazione che veniva lanciato sulla grata ad ogni plenilunio. I Lupi Mannari erano famosi per avere la testa dura – ma non al punto da sfondare un muro di pietra largo almeno un metro con il muso.

«Quindi cosa ci stava di così interessante da tenerti lassù dieci anni, eh, Lupin?» gli domandò con curiosità Gordon, mentre colpiva una delle barre di ferro più basse con la punta dello stivale. «Non è che ti hanno preso i Loschi? Aye, ci avevo scommesso! Ti hanno messo il guinzaglio?».

«Preso?» pigolò confusa Cleo, ancora saldamente attaccata al cappotto di Remus.

«No, non mi hanno preso» tagliò corto.

«Cosa vuol dire?».

«Vuol dire che i Loschi ti pigliano mentre te ne stai a fare gli affari tuoi e ti tagliano la carne per distinguerti da loro» spiegò con tranquillità Gordon. Dall'oscurità del tunnel al di là della grata rimbombò un rumore di passi. «Aye, così sanno sempre che sei un Lupo Mannaro».

«Non è assolutamente vero» la tranquillizzò in fretta Remus, a cui non era sfuggito lo sguardo della bambina farsi più spaventato di quanto già non fosse. «Gordon non è mai uscito da qui sotto, non sa di cosa sta parlando».

«Al diavolo, Lupin! Lo sanno tutti».

«Chi dei due ha passato l'ultimo decennio nascosto venti metri sotto terra?».

«Chi è losco?» continuò a domandare Cleo.

Gordon stava per rispondergli, quando una luce ballerina fece la sua comparsa poco distante da loro. Lieve e barcollante, la videro farsi sempre più vicina, mentre le pareti umidicce del tunnel si facevano sempre più chiare. La donna che era giunta a prenderli non era alta nemmeno un metro e cinquanta e aveva un intrigo di rughe che rendevano il suo viso simile a carte impecorita. I suoi occhi gialli brillavano svegli al di là delle fiamme.

«Razza di sciocco piscialetto, sei di nuovo in ritardo».

«Aye, mica per colpa mia» replicò stizzito Gordon, alzando la visiera del cappellino con aria indignata. «Guarda un po' chi ti ho ripescato dal mondo di sopra».

Remus abbassò la testa per entrare nel cono di luce e rivolse all'anziana donna un largo sorriso un po' scanzonato.

«Ciao, vecchia Mabel».

Mabel assottigliò gli occhi e lo scrutò a lungo con espressione maligna. Parlò solo dopo diversi secondi.

«Damerino» sbottò infine con voce aspra. «Maledetto irlandese addomesticato, ma allora non ti hanno ancora fatto secco, eh?».

«Non potevo andarmene senza aver rivisto il viso della donna più bella del mondo, vecchia Mabel».

«Ah! Ti venissero cent'anni di zecche!» esclamò all'improvviso la donna, facendo sobbalzare Cleo. Si aprì in un sorriso sdentato e la sua risata un po' folle rimbombò nel tunnel come un tuono.

Estrasse dal mantello una corta bacchetta di legno chiaro e colpì un paio di volte la grata, poi arretrò di qualche passo per farli entrare.

«E che abbiamo qui?» s'informò, allungando il piccolo collo tozzo per osservare Cleo. «Aye, ma guarda un po' che bella signorina. Come ti chiami?».

La bambina si strinse al pupazzo a forma di tigre, ma non distolse gli occhi dall'anziana. Sembrò ragionare molto rapidamente su quanto avesse davvero da temere da lei.

«Cleo» disse infine.

«Beh, ho sentito nomi peggiori».

Seguirono Mabel lungo il tunnel, camminando con cautela negli acquitrini a causa della mancanza di luce. L'odore di pietre bagnate e di umido entrava ferocemente nelle narici. Un dettaglio piuttosto nauseante che Remus aveva dimenticato.

«E così alla fine i Loschi ti hanno preso, eh, Damerino?».

Remus sospirò.

«No, non mi hanno preso».

«Davvero? Strano, c'hai la faccia di uno che è stato appena mollato da un Losco».

«Aye, è quello che ci ho detto anche io».

«Chiudi la bocca, piscialetto».

A Cleo scappò una risatina divertita.

«Ti piacciono le parolacce, eh?».

«Un po'...» ammise la bambina. «Sono buffe».

Anche Remus scoppiò in una leggera risatina.

«Buon per te» continuò Mabel con aria vivace. «Abbiamo la migliore scuola di parole buffe di tutto il paese. Abbiamo convertito pure questo Damerino, qua... ma spero che quella che ho visto prima non fosse una cravatta».

«Una cravatta molto elegante, vorrei aggiungere» la punzecchiò divertito Remus. «L'ho scelta appositamente per compiacerti».

«Bontà del cielo, tu non sei un uomo... sei una pustola di zucchero».

Pochi secondi più tardi la fine del tunnel iniziò a rischiararsi di una luce tiepida e rossastra. Si ritrovarono affacciati a un largo balcone di pietra viva, al quale si accedeva con una scala ripida e tortuosa che conduceva a un piazzale largo almeno venticinque metri di diametro, circondato da un porticato. Il pavimento era costituito da un gigantesco mosaico composto da centinaia di tasselli blu che riproducevano la volta celesta. Da quell'altezza era quasi possibile riconoscere l'Orsa Minore.

“Il Cielo”, ricordò con amarezza Remus. “Ciò che quaggiù c'è di più simile alle stelle”.

Nonostante l'aria della Fossa fosse decisamente più piacevole e secca del tunnel appena percorso, Remus non si sentiva affatto più sereno. Imponenti volte a sesto acuto dominavano sulle loro teste, sostenute da robuste colonne di pietra sanguigna. Il lieve brulicare dei primi commercianti intenti ad aprire le botteghe sembrava rimbombare fino a loro.

«Benvenuta al Mercato» spiegò Gordon a Cleo con aria complice. «E questa qua era l'unica strada per arrivare. Laggiù ci sta il barbiere, Kurt, e lì accanto c'è Mastro Hallec, il conciatore... oh, e quella con i capelli scuri è Rina, sua figlia... oh, lei sì, che me la concerei volen--».

«Gordon!» lo riprese Remus.

«Scusa, amico».

«Piantatela, tutti e due» sbottò Mabel. «E tu, Damerino, metti giù la signorina. Non ha mica i piedi di cristallo».

Con suo stupore, Cleo non si lamentò né piagnucolò quando Remus la appoggiò a terra. Si sistemò il piccolo zainetto azzurro sulle spalle, abbracciò stretto Lionel e tirò un po' in su con il naso. Con quei riccioli ingarbugliati sembrava quasi essere scivolata giù dal tunnel. Mentre scendevano tutti e quattro le scale, Cleo si affiancò a Remus e gli afferrò la mano.

«Non avere paura» cercò di confortarla. «Non ti succederà niente di male, te lo prometto».

«Io non ho paura».

«...laggiù c'è Fiona. Lei e suo marito Abraham fanno i vasi...» continuava a spiegare Gordon.

Sembrava che Cleo iniziasse a provare una infantile curiosità per quel luogo nuovo, tanto che presto abbandonò la mano di Remus e prese a trotterellare al fianco di Gordon.

Remus sorrise.

«Perché ti sei rimesso quella robaccia sulla faccia?» gli domandò Mabel alla sprovvista, bloccandosi a metà della scala per fronteggiarlo.

«È così importante?».

«Aye, con quei ridicoli occhietti scuri sembri un Losco».

Remus inarcò un sopracciglio.

«Qual è la vera domanda, Mabel?».

Lei grugnì.

«Se sei tornato, o sei più disperato del solito o lassù sta di nuovo scoppiando un gran casino».

Lui la fissò negli occhi. Nonostante l'età, Mabel dava ancora l'impressione di una donna che avrebbe potuto prenderti a pugni in qualsiasi istante. Non aveva bisogno di chiederle di cosa stesse parlando.

«È un gran casino».

Mabel non disse altro. Riprese a scendere, con Remus che la seguiva in un rigido silenzio. Era ovvio che le voci fossero già arrivate fino a laggiù. Il ritorno di Lord Voldemort non era certo un avvenimento che si potesse contenere solo alla luce del sole. Non era tuttavia sicuro di quali reazioni potesse aver suscitato ala notizia: durante la prima guerra magica erano stati molti i ragazzi che si erano lasciati convincere ed erano saliti in superficie con la vana speranza di conquistare il mondo dei maghi... non tutti erano riusciti a tornare indietro a guerra finita. Qualcuno di loro marciva ad Azkaban per crimini contro i Babbani, altri non erano mai stati ritrovati.

«Come sta Noah, Mabel?».

«Rigido come uno stoccafisso e fastidioso come una zanzara».

Passarono accanto a un ragazzo intento a spostare un pesante tendaggio di canapa che celava l'ingresso alla buia bottega di Wallace, il fabbro della Fossa. Il giovane non poteva essere molto più grande di Harry, nonostante fosse decisamente più alto: aveva lunghi capelli scuri aggrovigliati in un dritto codino all'altezza della nuca e un viso lungo e olivastro. Remus lo scrutò con più attenzione. Quando il ragazzo voltò la testa, vide una lunga cicatrice attraversargli la parte sinistra della mandibola e risalire fino all'orecchio.

Si passò una mano nei capelli con aria sconcertata.

«Richard» lo chiamò. «Accidenti, quasi non ti riconoscevo».

Il ragazzo si voltò e inarcò un sopracciglio. Poi il suo volto si illuminò di feroce sorpresa.

«Mastro Lupin! Non posso crederci! Ehi, Wallace!» gridò all'interno della bottega. «Vieni a vedere chi c'è!». Si avvicinò a lui e gli strinse energicamente la mano. «Accidenti, Mastro Lupin, sono passati nove anni. Come hai fatto a scappare dai Loschi?».

Remus sospirò per l'ennesima volta.

«Non mi hanno preso. Si può sapere chi ha messo in giro questa--?».

«Lupin! Razza di maledetto finto irlandese!».

Wallace O'Leary era uno degli uomini dalla stazza più imponente che Remus avesse mai conosciuto. Sebbene un'incipiente calvizia gli stesse lasciando il capo sempre più scoperto, la lunga barba grigia sembrava ancora avvolgerlo come la criniera di un leone. Remus se la ricordava decisamente più castana – ed era piuttosto sicuro che Wallace stesse pensando la stessa cosa delle sue basette, che continuavano a ingrigire senza pietà anno dopo anno.

«Non sei invecchiato di un solo giorno, Wallace».

«Te invece sembri appena ritornato dall'inferno» replicò col suo vocione grosso e l'accento dell'Irlanda del sud calcato su ogni parola. Lo strinse in un grosso abbraccio che lo fece sentire un bambino ossuto avvolto da una montagna. «Come sta tuo padre?».

«In piena salute».

«Peccato».

«Puoi ben dirlo».

Improvvisamente qualcosa gli urtò il polpaccio con una tale forza da fargli quasi perdere l'equilibro. Cleo si era aggrappata con disperazione alla sua gamba.

«Voglio tornare a casa, voglio tornare a casa mia...».

«Miseria ladra, è la terza dall'ultimo plenilunio» commentò serio Wallace. «Di questo passo avremmo problemi con il cibo prima di Natale».

«Credevo fossi con Gordon». Remus le scompigliò i riccioli chiari mentre cercava il profilo allampanato dell'altro uomo fra i banchi del Mercato. Lo scorse dall'altro capo della piazza, intento a parlottare con l'avvenente figlia di Mastro Hallec. «E dov'è andata Mabel?».

«Non lo so... mi sono girata e non c'era più nessuno».

Remus sospirò.

«Portala da Gerwulf» gli consigliò Wallace. «Gli altri bambini si staranno svegliando, falle fare colazione insieme a loro».

«Aye, io berrei volentieri una pinta di birra per sgranchirmi i muscoli».

«Gli sguatteri non hanno muscoli, Ric». Wallace gli lanciò una scopa e gli indicò l'interno della forgia con un cenno severo del capo. Attese che fosse rientrato prima di guardare con espressione torva Remus. La fronte era talmente aggrottata che le folte sopracciglia scure sembravano quasi sfiorarsi.

«Dimmi la verità: è tornato davvero?».

Remus annuì brevemente. Wallace emise un suono molto simile a un ringhio.

«Avevi detto che era morto».

«Wallace, possiamo parlarne in un altro momento?» gli domandò calmo Remus. Non voleva che Cleo fosse costretta ad ascoltare discorsi che l'avrebbero spaventata ancora di più.

«Aye, hai ragione».

Staccò con delicatezza Cleo dalla sua gamba e la prese nuovamente in braccio.

«Chiedi a Gerwulf se puoi restare» lo avvisò Wallace prima di rientrare nella bottega. «Non so se lui e i Figli abbiano ancora voglia di mettere a rischio tutta la Fossa».

«Di che stai parlando?».

«Se lui è tornato, la tua sarà la prima testa che verrà a reclamare».

Un'ondata di freddo scivolò d'un tratto lungo la sua spina dorsale. Aveva creduto stesse parlando di Lord Voldemort... che sciocco. Era evidente che aveva trascorso troppo tempo lontano dai suoi simili e dalle loro priorità.

Remus lo salutò con un rapido gesto della testa e attraversò la piazza con le magre braccia di Cleo attorno al collo e il pupazzo di Lionel che gli ondeggiava accanto all'orecchio destro. Se le voci del ritorno di Greyback erano arrivate fino alla Fossa, probabilmente la fonte di Severus non aveva mentito. Prima Mabel, poi Wallace... tutti i Clandestini più anziani sembrano esserne preoccupati, ma non era certo che la loro paura avrebbe giocato a suo favore.

“Non so se lui e i Figli abbiano ancora voglia di mettere a rischio tutta la Fossa”.

Gerwulf era l'unico membro dei Figli ad aver mostrato simpatia per Remus durante la prima guerra magica, ma quasi tutti i Figli avevano continuato a tirarsi fuori dal conflitto fino alla caduta di Voldemort. Non che questo avesse in qualche modo tenuto la guerra fuori dalla Fossa: presto i proclami di Greyback finirono con l'aizzare i più giovani, che commisero l'errore di farsi incantare dalle sue favole di gloria e libertà.

Se Remus non ricordava male, dei trenta giovani che avevano seguito Greyback fuori dalla Fossa erano tornati indietro solo due.

Dal Mercato si diramavano tre larghe strade principali che si estendevano per diversi chilometri. Scavate nelle roccia, le abitazioni delle diverse centinaia di abitanti della Fossa sembravano scrutare i passanti in strade come dall'alto di un ciarlante formicaio. Remus oltrepassò l'arco che sovrastava l'ingresso alla Zona Nord e avanzò lungo la strada che si affollava sempre più mano a mano che i Lupi Mannari si svegliavano.

«Remus?».

«Dimmi».

«Chi è morto? Di chi parlavate tu e il signore grosso?».

La curiosità innocente di Cleo lo fece rabbrividire.

«Nessuno, Cleo».

Proseguirono per diversi minuti. Remus camminava ai bordi della strada per non farsi notare dai passanti, sfruttando Cleo e il suo pupazzo per nascondersi quanto meglio il viso. Aveva la sensazione che qualcuno potesse piantargli un'ascia in mezzo alla schiena da un momento all'altro.

«Remus?».

«Dimmi».

«Posso cambiare il mio nome?».

Remus aggrottò perplesso le sopracciglia.

«Perché mai dovresti volerlo fare? Cleo è un bel nome». Poi ricordò le parole di Mabel. «Oh, capisco. Non dare retta a quella vecchia strega: a Mabel non piace quasi niente».

Cleo rimase zitta per qualche secondo.

«Non è per quello... posso cambiare il mio nome?».

Avrebbe voluto chiederle cosa l'avesse spinta improvvisamente a nutrire il desiderio di cambiare il proprio nome, ma conosceva già la risposta. Forse chiederglielo l'avrebbe solo messa a disagio e le avrebbe spinto i brutti pensieri ancora più in profondità. Si ripromise di rimandare quell'ostica conversazione a più tardi.

«Certo» acconsentì con naturalezza. «Come vuoi chiamarti?».

«Lionel».

«Non puoi rubare il nome degli altri. Che ne dici di Cécile?».

Lei sollevò la testa dalla sua spalla per rivolgergli un'occhiata disgustata.

«Va bene, va bene... Emily? Melissa? Daphne?».

«Non voglio un nome che sembra un dolce di zucchero».

«Hai gusti difficili».

«No, sei tu che hai gusti brutti».

Remus rise di cuore.

«Theresa? Virginia? Mafalda?».

«Non è un nome vero!».

«Certo che è un nome vero».

«Io con una persona di nome Mafalda non ci parlo...».

Lui ridacchiò ancora. L'espressione di Cleo si fece ancora più nauseata. Sospirando appena, Remus tentò di concentrarsi. Non aveva mai abbracciato l'idea di diventare padre, quindi figurarsi se aveva mai pensato a quale nome avrebbe voluto dare a una bambina... e invece sì, ricordò con un moto di improvvisa tristezza.

«Lydia».

La bambina assottigliò le palpebre e iniziò a ripetere il nome fra i denti come un mantra. Qualche secondo dopo gli rivolse un sorriso raggiante.

«Mi piace!».

«Molto bene» rispose allegramente Remus. «È un piacere conoscerti, signorina Lydia».

«Il piacere è tutto mio, signor Remus» recitò compita lei, prima di scoppiare in una trillante risatina.

Remus si unì a quell'attimo di ilarità inaspettata, mentre il ricordo amaro di Lily che applaudiva entusiasta al suono di Lydia Potter si spegneva nella tiepida nostalgia.

Se fosse femmina, James vorrebbe chiamarla Comet, capisci?” risuonò nella sua testa. “Non gli permetterò di chiamare mia figlia come una ridicola scopa”.

In effetti credo che Pluffa Potter suoni meglio”.

Remus!”.

Perdonami, non volevo sottovalutare il tuo dramma. Visto che i nomi più intelligenti li hanno proposti Prongs e Padfoot – ti hanno già detto che Elvendork è unisex? - dovrò accontentarmi di proporre qualcosa di ordinario... che te ne pare di Lydia?”.

Lydia? Come la Lydia del romanzo?”.

Beh, solo se dovesse assomigliare a James, suppongo”.

«Remus?».

«Dimmi, Lydia».

«C'è una donna che ci guarda dall'altra parte della strada».

Lui ruotò appena il capo e trattenne il respiro nel riconoscerla. Non sembrava cambiata di un solo centimetro. I capelli neri stretti in decine di sottili treccine legate dietro la nuca, il collo alto e magro, gli zigomi alti... e la furia di una belva negli occhi gialli.

«Non la conosco...».

Affrettò il passo per raggiungere il vecchio Teatro in fondo alla Zona Nord, sperando che la sensazione alle proprie spalle fosse solo lo sguardo pungente di Anita e non la sua ascia pronta a conficcarglisi nella schiena.




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