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Autore: kateausten    25/11/2015    3 recensioni
A Dean non ci era voluto nulla per aggiungere Castiel Novak fra gli amici per scrivergli privatamente e insultarlo ancora meglio. E a Castiel ci era voluto ancora meno per rimetterlo al suo posto, con quelle risposte contenute, le virgole al loro posto e il lessico perfetto.
“Maledetto figlio di puttana ingessato” aveva mormorato Dean leggendo le risposte che quella sottospecie di diciassettenne californiano gli scriveva.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Famiglia Winchester, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Le cose più importanti sono le più difficili da dire, perché le parole le rimpiccioliscono.
(Stand by me)


Maggio era quasi finito. Dean non si era neanche reso conto del passare del tempo: studiare, andare alle partite di football della scuola con Benny, guardare Game of Thrones con Charlie, stare più tempo con Sam (ancora un altro minuto con lui, per favore, implorava Dean silenziosamente dentro di se, mentre Sam lo guardava serio da sopra i suoi compiti), parlare con Cas.
Tutto era stato intenso, tutto era stato troppo veloce e l’adolescenza gli stava scivolando via dalle dita senza che lui potesse fare nulla, come quando vedeva le foglie dell’albero davanti casa sua tramutarsi da verdi a gialle così velocemente da non rendersi conto che l’estate era finita e stava arrivando l’autunno.
“L’autunno dell’innocenza”, disse Castiel quando Dean lo chiamò quel pomeriggio. “Certe volte faccio fatica a seguire i tuoi processi mentali, Cas”, replicò lui.
Castiel fece una breve risata e Dean si beò di quel suono.
Ormai non si faceva più domande sul perché il cuore accelerava quando Castiel chiamava o mandava un messaggio; farsi domande, aveva deciso, era deleterio.
“E’ un racconto di Stephen King, Dean. In realtà si chiama “Il corpo”.
“Che nome allegro”, commentò lui.
“L’adattamento cinematografico l’ha ammorbidito”, ribadì Castiel, con leggera disapprovazione. “Lo ha intitolato 'Stand by me'”.
A Dean si accese una lampadina.
“Si”, disse. “Credo di averlo visto. Parla di quel gruppo di ragazzini alla ricerca di un cadavere”.
“Esatto”.
“E quei due ragazzini che sono più amici degli altri due ragazzini”.
“La tua capacità di sintesi è sbalorditiva”.
Dean ridacchiò.
“Accidenti, sarcasmo Cas”, disse. “Dove hai imparato?”.
“Ho avuto un ottimo maestro”.
“Ah, grazie”, rispose Dean compiaciuto.
Sentì Castiel sospirare.
“Ancora nulla?”, chiese.
“No”. Dean era improvvisamente teso come una corda di violino. “Ancora nessuna fottutissima lettera”.
“Dean..”.
“Mi sa che non ci vedremo mai, Cas”.
Seguì un breve silenzio.
Poi Castiel disse: “Questo non è detto”.
“Leggerò di te sul giornale una mattina a colazione, fra qualche anno. Avrai trovato un antidoto per una malattia rarissima o fatto un trapianto di cuore e cervello mai riuscito e io potrò dire in giro che per qualche mese ci siamo scritti”.
“Dean”.
“Smettila di dire il mio nome”, scattò Dean.
La mano libera andò a scompigliare i capelli, quasi li tirò e non se ne accorse neanche.
“Io.. Da quando ti ho conosciuto è cambiato tutto, Cas”. Deglutì. “Sono cambiato io”.
La mano che teneva il telefono sudava pericolosamente.
"Cosa vorresti dire?”, la voce di Castiel era calma, ma Dean si bloccò. Se avesse detto qualcosa di compromettente, lo avrebbe perso.
“Nulla”.
“Io voglio vederti, Dean”, disse Castiel e la voce gli tremava pericolosamente. “Non desidero che vederti. Da mesi”.
“Cas..”.
“Ti prego, non tirarti indietro. Non farlo. Non adesso”.


*

Mary Winchester conosceva suo figlio. Aveva visto Dean crescere e sbocciare come una persona alla mano e protettiva, simpatico praticamente a tutti ma solo in pochi potevano essere considerati suoi amici.
Dean era trasparente in un modo che le faceva male al cuore; non avrebbe voluto vederlo soffrire (anche se sembrava assurdo, era molto più fragile di Sam), ma si era accorta, sapeva in un certo senso, che questo era un periodo decisivo per suo figlio. Decisivo per un sacco di cose.
Così, quando quel pomeriggio, due settimane prima della consegna dei diplomi lo trovò sdraiato sul divano, che leggeva un racconto di Stephen King (probabilmente rubato dalla scrivania di Sam) si godette un attimo l’immagine di suo figlio.
Il suo bellissimo, bravissimo figlio così buono.
Casa sarebbe stata diversa senza Dean: non lo avrebbe più visto seduto a tavola a fare scherzi a Sam; non lo avrebbe più trovato in garage con John intenti ad aggiustare Baby ; non lo avrebbe più svegliato la domenica mattina per trascinarlo a tavola ne lo avrebbe più aspettato la sera quando faceva tardi.
“Tesoro”.
Dean le sorrise e si tirò su facendole un po’ di posto. Mary si sedette accanto a lui e tirò fuori una busta che aveva preso cinque minuti prima dalla cassetta delle lettere. Suo figlio sgranò gli occhi e trattenne il fiato, occhieggiando la busta come se non fosse vera.
“Prima di aprirla..”, disse Mary. “Sei veramente sicuro di questa scelta?”.
“Si”, rispose Dean. “C’entra una persona in questa decisione?”.
Dean la guardò a bocca aperta e Mary sorrise.
“Come pensavo. E’ speciale?”.
“Molto”, rispose Dean a voce bassa. “Moltissimo. Così tanto che non sono sicuro di meritarla”.
Mary sentì gli occhi velarsi di lacrime.
Gli tese la busta e Dean la prese.
“Tanto non mi hanno preso”, mormorò mordendosi il labbro inferiore.
“Intanto aprila”, lo esortò con voce tremante.
Era grata di poter vivere quel momento con Dean da sola, se lo sarebbe ricordata per il resto della sua vita.
Dean alzò lo sguardo su di lei.
“Ma a te va bene vero? Che.. Sai, nel caso.. Me ne vada”.
Mary annuì, non fidandosi della voce.
“Se è quello che vuoi anche tu”, disse dopo qualche momento cercando di riprendere il controllo.
“Okay”, sospirò Dean, aprendo la busta. “Okay”.


*


“Avanti Castiel, rispondi”, mormorò Dean con il telefono appiccicato all’orecchio mentre andava su e giù per la camera. “Dove cazzo sei?”.
Doveva dirglielo.
Non si erano sentiti più dopo quella telefonata e ormai erano passati tre giorni. Dean non aveva risposto all’ultima richiesta di Castiel (“Ti prego, non tirarti indietro. Non farlo. Non adesso”) e dopo qualche minuto il suo amico aveva appeso la chiamata, mentre il cuore di Dean si frantumava e le parole per fermarlo e dirgli tutto comunque non uscivano.
“Accidenti a te”, mormorò, scagliando il telefono sul letto.
Poteva scrivergli un messaggio, così glielo avrebbe detto, si.
Gli avrebbe detto: “Sono confuso e spaventato, ma voglio passare ogni singolo giorno ad ascoltare la tua voce, il tuo respiro e se ho preso un granchio non importa, davvero, mi basterà stare a guardarti e sapere che stai bene. Non mi tiro indietro, Cas, non mi tirerò mai indietro”.
Dio, Charlie sarebbe stata così orgogliosa di lui.
Ma, proprio in quel momento, il campanello suonò e suo fratello andò ad aprire. “Dean!”, urlò Sam. “E’ per te”. Sperando che non fosse Benny (il momento era troppo delicato per prestare attenzione al suo amico), scese le scale di corsa decidendo di mandare a spigolare chiunque fosse sulla soglia di casa.
Ma, sulla soglia di casa c’era un ragazzo. Un ragazzo magro dai capelli neri e gli occhi così blu che Dean per un attimo si chiese se fossero veri. Esattamente come la prima volta che li aveva visti attraverso lo schermo del suo computer. Stettero in silenzio, mentre Dean guardava Castiel e Castiel guardava Dean, come se fosse normale che lui fosse nella sua cucina, senza alcun preavviso, dopo tre giorni di assoluto silenzio da parte di entrambi.
Sam tossicchiò e Dean rientrò per un attimo nell’orbita terrestre.
“Io me ne vado in camera mia”, disse lanciando un’occhiata maliziosa al fratello. Il cuore di Dean mancò un battito. Possibile che quell’astuta puttanella di Sam..?
Ma poi il suo sguardo tornò su Castiel e niente aveva più importanza.
“Ti sei fatto 25 ore e 35 minuti di macchina per venire qui?”, chiese Dean non riuscendo a dire altro.
“Ventisette”, rispose Castiel e la sua voce era addirittura meglio dal vivo. “Un’ora e mezzo mi sono dovuto fermare per dormire”. Inclinò la testa da un lato “Anche se non volevo”.
Dean ridacchiò, ma era tutto irreale.
Castiel era li, nella sua cucina e sarebbe potuto svenire dalla gioia se questo non avesse significato perdere minuti preziosi da passare con lui.
“Sei un’idiota”, disse. Castiel scrollò le spalle, per nulla infastidito.
“Sono stato accettato.”, disse poi. "Dall'Univeristà intendo".
Il volto di Castiel si aprì in un sorriso enorme e Dean sentì il suo fare lo stesso. “Questo vuol dire che mi dovrai sopportare ancora per qualche anno. Però, diciamo.. Più vicino. Fisicamente vicino”, spiegò Dean, mentre Castiel faceva qualche passo verso di lui. “Potrebbe essere faticoso”.
Era così vicino adesso. Poteva vedere l’accenno di barba sulle guance di Castiel. Le mani gli prudevano per la forza che stava mettendo nel non toccarlo.
“Beh”, replicò Castiel con un sorriso, ormai a un sospiro da Dean. “Potremmo parlarne”.
  
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