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Autore: Jailer    02/12/2015    3 recensioni
Il passato di Manigoldo, dalla prima volta in cui vide un'anima al suo incontro con Sage, da Messina ad Atene, passando per la solitudine, i sogni, il fato, la morte, l'amore.
La giovinezza del discolo destinato a diventare l'uomo che incatenò Thanatos è un valzer tra piccoli e grandi drammi, vissuti sempre con la leggerezza e l'ironia che lo contraddistinguono.
E anche l'incredulità per ciò che il fato scelse di riservargli.
"Ancora non ho capito quale concatenazione di fatti mi abbia portato alle soglie della Quarta Casa, né che cosa ci faccia io qui.
Come per ogni cosa, però, ne prendo atto.
A volte prendo in giro la mia armatura: mi ci siedo davanti a gambe incrociate, e le chiedo: “Ma a te, chi ti ha voluta?”
Penso che lei mi sorrida in qualche modo, ma non so che espressione sia, se di benevolenza o di beffa.
Le sorrido anche io, di gratitudine o imbarazzo. Ma non posso fare a meno di pensare quanto cara mi sia costata."
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer Manigoldo, Cancer Sage, Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Tierra desolada


Nero latte dell’alba lo beviamo la sera
lo beviamo a mezzogiorno e al mattino lo beviamo di notte
beviamo e beviamo scaviamo una tomba nell’aria là non si giace stretti”

{P. Celan – Latte nero}



È nel momento in cui la vita appare per fragile e insulsa per quale è, che vi si è più attaccati – è il crudele sentimentalismo dell'istinto di sopravvivenza.
Oltre la finestra, la città cominciava a bruciare.
Si disse che quella notte, guardando la devastazione, Thanatos avesse cantato il Troiae Halosis, come Nerone su Roma in fiamme.*
Ma il falò di Rodorio di superbo non aveva nulla. Quattro pareti lasciate ad annerire, ecco il teatro, ecco l'infima scenografia su cui si elevò la Morte.
Una pila di uomini che non sapevano cosa aspettarsi: ecco i fieri guerrieri di questa guerra.

Morituri te salutant.


Io ricordo.
La tettoia bruciava in fretta, l'odore del fumo calava dalle assi del soffitto come la bruma alla sera. Mi bruciavano gli occhi.
Dopo aver scambiato un lungo sguardo con lo Specters, nel tentativo spasmodico di rizzarmi in piedi urtai la candela. Prese fuoco anche la tenda.
Il nemico mi osservò con una pietà e un sarcasmo che ancora mi insultano.
Ricordo che lanciai una bestemmia vana, e che cercai di spegnere la candela con lo spegni moccolo. Mossa insensata.
Quando me ne accorsi, tirai lo stupido oggetto verso l'uomo. Non so che fine fece.

Una tragedia è sempre un affare così ridicolo, che riderne è un dovere.

Una cortina di fuoco si stava diffondendo alle sue spalle, tra noi e il letto di Blanca.
Ormai le febbri l'avevano ridotta ad una larva, sapevo che rimaneva viva solo perché udivo l'instancabile tosse. Le vidi cercare di alzare il piccolo capo scuro dalle lenzuola.
Lo ributtò contro il cuscino subito dopo.

Tentai di superare l'uomo per prendere Blanca e portarla fuori da quell'inferno; ma, quando corsi in avanti, lo Specter si abbassò piegando le ginocchia e tese le mani davanti a sé, bloccandomi con il suo corpo ed impedendomi di passare. Non mi toccò, non ce n'era bisogno.
Era il suo corpo a farmi paura, l'armatura scura che aveva addosso. Sembrava uscita da un incubo.
L'idea della lotta doveva eccitarlo parecchio, gli vidi nascere sul viso un sorriso malato.

Tentai di spingerlo nel fuoco, ma appena toccai la superficie della Surplice provai un insostenibile senso di nausea che mi costrinse ad abbandonare subito la presa.
Il muro di fuoco era sempre più alto, Blanca non si svegliava, tramortita dal fumo.

In quegli ultimi momenti la ricordo come un fagotto di coperte troppo distante.
Forse piangeva. Sono quasi sicuro di aver sentito un pianto straziante mentre mi allontanavo.
Ma forse era il mio, o quello di chiunque altro in quella città.


*

La grande rabbia che mi porto dietro da quella notte è però solo una: per quanto avessi cercato di ridestare in me la forza atavica e disperata che avevo scoperto di possedere, essa non giunse in mio soccorso.
Cancer mi aveva abbandonato.*
Che fosse lo scotto da pagare per tutti i miei delitti fino ad allora?

Ora lo so: Blanca doveva morire.
Le mie stelle lo hanno deciso: la sua vita per la mia. È la crudele legge dell'ordine cosmico.
Avevo commesso mille colpe e dovevo espiare, ma io, ai cieli, servivo ancora.
Dovevo pagare ma restare vivo; dovevo ricordare che cosa significasse tornare dalla parte degli sconfitti per poi ricominciare a camminare con quel macigno.
Si doveva formare attorno a me la dura scorza del granchio, conoscere il dolore dell'esilio come Efesto. Dovevo avere un buon motivo per cambiare del tutto la mia vita.
Blanca doveva morire.
La sua vita per la mia. L'innocenza per redimere un peccatore.



*”La presa di Troia”, poemetto che Petronio inserisce nel Satyricon,

riprendendo uno scritto di Lucano.

*Volevo un nesso tra Death Mask e Manigoldo.

Entrambi sono stati traditi da Cancer nel momento cruciale,

per permettere la loro redenzione.

In tal senso, vorrei che si capisse, anche per DM, che la Cloth del Cancro

e le sue stelle

sono sempre funzionali al suo Cavaliere.

Non lo abbandonano, ma lo correggono.


*

Le travi del soffitto cominciarono a scricchiolare pericolosamente, la temperatura divenne insostenibile. Lo Specter era avvolto dalle fiamme, ma non sembrava soffrirne, anzi, quel calore lo avvolgeva come acqua calda dopo una giornata tra pioggia e fango.
Un terribile odore di carne bruciata, un lamento debole e già morente.
“Salamander”, disse l'uomo, beandosi di quella sensazione.
Non capii, avevo la nausea, stavo soffocando.
Ricordai il viso di mia madre, ricordai il momento dell'assalto della mia infanzia.
Ma esso era già terminato, la mia vita era di nuovo innanzi ad una nuova desolazione.

Ad un tratto un boato dalla città, una folgore, un'esplosione: erano arrivati.
Salamander - giudico che si fosse presentato e quello fosse il significato delle sue parole - mi guardò con malinconia prima di balzare tra le fiamme troppo alte e correre via, incontro alle sua battaglia.
Si era accontentato della mia espressione.
Nell'ultimo dei suoi atti, non aveva avuto il coraggio di farsi odiare completamente.
Anche Salamander andò a morire.
Morituri te salutant.


*

Quando si fu allontanato, - allora - fu veramente la fine.
Caddi in ginocchio.
Finché lui era stato lì, la rabbia mi aveva tenuto in piedi. Restai così tra il fumo e la puzza di carne bruciata e devastazione, fino a che quell'odore non cominciò a provenire anche da me.
Il calore mi stava piagando la parte destra del corpo. Alle mie spalle, l'unico punto della casa che non bruciava: la finestra da scavalcare, la sopravvivenza.

Volete la verità?
Nemmeno per un momento ho pensato che sarei rimasto lì in quella casa a morire.
Non mi avrebbe avuto, si era già presa troppe cose.
Non mi convincerà a mangiare il suo pasticcio di carne umana putrefatta.*
Con le ultime forza mi buttai sulla finestra e la scavalcai; man mano che mi allontanavo dall'inferno, sentivo l'aria della notte sempre più fredda e viva sulla mia faccia.
Sentivo la terra sotto i miei piedi, il dolore delle ustioni.


*Questa citazione è la mia passione.

Hugo Ball, sulla Prima Guerra Mondiale


*

Ero ancora vivo, vivo, vivo.
Maledettamente vivo. Ero sempre l'ultimo superstite di quella grande tragedia che era la mia vita.
Le fronde ciondolavano gioiose sotto il vento, la città era un falò: la natura, di certo, non piangeva.



*

Mi accasciai contro un albero e guardai da lontano la casa in cui avevo lasciato Blanca bruciare.
Rodorio fu il luogo in cui terminava la mia guerra, in cui ne iniziava un'altra che sarebbe stata altrettanto mia – ma io, questo, ancora non lo sapevo né potevo immaginarlo.
Ho guardato quello spettacolo fino all'alba, quando l'incendio ha cominciato a spegnersi e anche gli Specter hanno cessato di combattere.
Thanatos fagocitava il suo stesso esercito cantando la Caduta di Troia.
Ad averlo saputo, avrei intonato l'Ira di Achille.
Mi addormentai al sorgere del sole, per non vedere sotto la luce tutta quella devastazione.


*

Quando mi svegliai era tardo pomeriggio, le ceneri si erano raffreddate e sparse ovunque.
Camminai lentamente sulle macerie della nostra casa, la cenere mi copriva i piedi fino alle caviglie, era ancora tiepida.
Fu come camminare sulla sabbia rovente alla riva del mare in un mezzogiorno di piena estate, e tuttavia era un'alba d'inverno. Camminavo su case e uomini – polvere.
Mi inginocchiai.

Se avessi conosciuto una preghiera, avrei pregato. Non ne conoscevo nessuna e non lo feci.
Ricordavo però che nella mia infanzia c'era un prete che diceva “Polvere sei e polvere ritornerai”.
Presi una manciata di cenere, la soffiai via
L'anima di Blanca doveva già essere scomparsa. Era tardi anche per quello.
È sempre stato tardi.

Altri lumicini tremolavano lì intorno: ne presi un paio tra le mani, appoggiando le spalle contro il muro di un edificio sventrato dalle fiamme.
“Chi sei tu?”, chiesi.
Era mia madre e mio padre, Bucefalo, Blanca, era cicala e falco, era quel triste uomo che mi aveva fatto visita quella notte, ero io un pugno di anni dopo.

Alle mie spalle un muro abbattuto, come una lapide senza scritte.
Sage aveva letto in quel cielo una veglia funebre all'intera umanità.
Un giorno mi disse: “Ogni morte d'uomo mi diminusce, perchè io partecipo all'Umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la Campana: essa suona per te.
”*
Ed aveva ragione.
L'Eterno ritorno dell'Identico – ecco la chiave di lettura di tutta la mia vita: ero di nuovo in mezzo alle macerie.
Il Tutto che torna al Tutto – ecco la verità del mondo.
Le anime girellano su se stesse come l'Uroboro.**


Fu in quel momento che, davvero, desiderai morire. Non mi era stata concessa nemmeno quella grazia.


Vicino a me sentii dei mugolii.
Due uomini stavano agonizzando vicini, uno portava l'armatura.

“State zitti!”, ruggii, ma chiaramente non cessarono di lamentarsi. Quello con l'armatura continuava ad eruttare sangue dalla bocca.
Avevo la nausea. Guardai un corvo che si posava su un muricciolo sventrato; se fosse stato un'altra creatura, sarei stato certo di vederlo passarsi la lingua sulle labbra.
“State zitti, maledizione!”
La mia voce nell'alba. Una preghiera urlata, un'accusa, una sentenza di morte.
Decisi che non avrebbero smesso, estrassi il mio coltello e glielo piantai nella schiena e nel petto, a seconda di come fossero girati.

Ora c'era silenzio.
Raccolsi le loro anime sulle mie mani, e le lasciai girarmi intorno assieme alle altre.
Pensai che almeno uno dei due avrebbe potuto salvarsi, ma non mi importava.

Lasciai lì i loro cadaveri, e per due giorni rimasi vicino ad essi e alla loro puzza nauseabonda. Ricordo le mosche sopra ai miei occhi e sopra ai loro: spalancati, vuoti e rivolti al cielo. Che cosa vedevano adesso?
Ancora non lo so, perché tanto dovevano morire e dobbiamo morire tutti, non contano né vendetta né giustizia. Basta aspettare il nostro turno.
Blanca sarebbe morta lo stesso, che fosse stata la tosse, il fuoco o il tempo.
Perché siamo spazzatura,
era la risposta che mi diedi quei giorni.
Perché siamo uomini,
dico ora.
A volte mi chiedo ancora quanto siano sinonime le due parole.


*John Donne, frase ripresa da Hemingway

**Il serpente che si morde la cosa, il simbolo dell'Eterno ritorno dell'Identico


*


Sage mi trovò in mezzo a quei due cadaveri e alle loro anime.

Delle parole che mi disse non ne ricordo nessuna. Con la mano sulla mia testa, mi indicò un cielo tanto bello quanto infame e disse che anche io ne ero parte.
Se piansi, non fu perché gli credetti. Al contrario, era tutto troppo crudele e reale perché se ne potesse parlare così.
Piansi perché davvero le stelle sono come le anime, e sentivo il loro sguardo impietoso addosso.

Seguii Sage per farne a pezzi tutte le certezze.
Poi, un giorno, sulla bocca dell'Inferno mi scoprii un convertito.
Il resto lo sapete.
Se anche non lo sapeste, non ha nessuna importanza: il finale è il medesimo per tutti, e la fantasia va usata solo per immaginare il modo in cui ci sia arrivato.

Un balzo qua e uno là: la tragedia è solo un'ipotesi, la crudeltà una posa, la vita una finzione.
Penso che sia così, ma non ne sono sicuro, perché ogni concetto è mobile.
Abbiamo solo una costante, ed è la Morte.
E per questo ho deciso di andarle a fare una sorpresa: perché a me le costanti non piacciono, perché non possono essere ignorate.
Doveva stare ancora a sentire la mia versione dell'Ira di Achille.
E gliel'ho cantata.
Fu come ricambiarle lo sgambetto.





Quanto è difficile concludere una storia così. Questo capitolo è stato riscritto tre volte e corretto per mesi, ma ancora non mi soddisfa.
Comunque, volevo mettere la parola fine a tutto questo. È la storia più importante che abbia mai scritto – un'esperienza quasi catartica.Ringrazio chi c'è sempre stato, con una fedeltà che mi ha davvero commosso: GioTanner e Chocolat95.
E anche chi l'ha aggiunta tra preferite, seguite o ricordate.
Se qualcuno volesse adesso darmi un parere in conclusione, è davvero bene accetto. Questo scritto non lo so proprio valutare oggettivamente, e mi piacerebbero dei riscontri.

Volevo chiarire il perché della scelta di Messina per Manigoldo.
Intanto perché è una città di snodo, tutta proiettata, oserei dire lanciata, verso l'esterno. E già solo questo per Manigoldo andava bene.
In più, come ci insegna Tucidide nel libro VI delle Storie, essa fu fondata da alcuni pirati di Cuma con il nome di “Zancle”, che in siculo significa “falce”. Il nome le fu cambiato dal re Iblone in Messene.
Come Manigoldo, anche questa città cambia il proprio nome.
Non mi sembrava necessario far passare il nostro giovane presso le pendici dell'Etna. La sua armatura, dopotutto, risiedeva ad Atene con Sage.
A tal proposito, prevedo un seguito a questa storia, sull'addestramento vero e proprio, sul rapporto tra maestro e allievo. Non so quando vedrà la luce, ho buttato giù solo qualche bozzetto. Ditemi se vi va l'idea.
L'estate è la stagione in cui mi vedrete di più. Per ora, Jailer prevede di comparire solo saltuariamente.
Grazie ancora,
un abbraccio,
Jailer.

   
 
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