X
Tierra desolada
“Nero
latte dell’alba lo beviamo la sera
lo
beviamo a mezzogiorno e al mattino lo beviamo di notte
beviamo
e beviamo scaviamo una tomba nell’aria là non si giace stretti”
{P. Celan – Latte nero}
È nel momento in cui la vita appare
per fragile e insulsa per quale è, che vi si è più attaccati – è
il crudele sentimentalismo dell'istinto di sopravvivenza.
Oltre la finestra, la città cominciava
a bruciare.
Si disse che quella notte, guardando la
devastazione, Thanatos avesse cantato il Troiae Halosis, come
Nerone su Roma in fiamme.*
Ma
il falò di Rodorio di superbo non aveva nulla. Quattro pareti
lasciate ad annerire, ecco il teatro, ecco l'infima scenografia su
cui si elevò la Morte.
Una
pila di uomini che non sapevano cosa aspettarsi: ecco i fieri
guerrieri di questa guerra.
Morituri
te salutant.
Io
ricordo.
La
tettoia bruciava in fretta, l'odore del fumo calava dalle assi del
soffitto come la bruma alla sera. Mi bruciavano gli occhi.
Dopo
aver scambiato un lungo sguardo con lo Specters, nel tentativo
spasmodico di rizzarmi in piedi urtai la candela. Prese fuoco anche
la tenda.
Il
nemico mi osservò con una pietà e un sarcasmo che ancora mi
insultano.
Ricordo
che lanciai una bestemmia vana, e che cercai di spegnere la candela
con lo spegni moccolo. Mossa insensata.
Quando
me ne accorsi, tirai lo stupido oggetto verso l'uomo. Non so che fine
fece.
Una tragedia è sempre un affare così ridicolo, che riderne è un dovere.
Una
cortina di fuoco si stava diffondendo alle sue spalle, tra noi e il
letto di Blanca.
Ormai
le febbri l'avevano ridotta ad una larva, sapevo che rimaneva viva
solo perché udivo l'instancabile tosse. Le vidi cercare di alzare il
piccolo capo scuro dalle lenzuola.
Lo
ributtò contro il cuscino subito dopo.
Tentai
di superare l'uomo per prendere Blanca e portarla fuori da
quell'inferno; ma, quando corsi in avanti, lo Specter si abbassò
piegando le ginocchia e tese le mani davanti a sé, bloccandomi con
il suo corpo ed impedendomi di passare. Non mi toccò, non ce n'era
bisogno.
Era
il suo corpo a farmi paura, l'armatura scura che aveva addosso.
Sembrava uscita da un incubo.
L'idea
della lotta doveva eccitarlo parecchio, gli vidi nascere sul viso un
sorriso malato.
Tentai
di spingerlo nel fuoco, ma appena toccai la superficie della Surplice
provai un insostenibile senso di nausea che mi costrinse ad
abbandonare subito la presa.
Il
muro di fuoco era sempre più alto, Blanca non si svegliava,
tramortita dal fumo.
In
quegli ultimi momenti la ricordo come un fagotto di coperte troppo
distante.
Forse
piangeva. Sono quasi sicuro di aver sentito un pianto straziante
mentre mi allontanavo.
Ma
forse era il mio, o quello di chiunque altro in quella città.
*
La
grande rabbia che mi porto dietro da quella notte è però solo una:
per quanto avessi cercato di ridestare in me la forza atavica e
disperata che avevo scoperto di possedere, essa non giunse in mio
soccorso.
Cancer
mi aveva abbandonato.*
Che
fosse lo scotto da pagare per tutti i miei delitti fino ad allora?
Ora
lo so: Blanca doveva morire.
Le
mie stelle lo hanno deciso: la sua vita per la mia. È la crudele
legge dell'ordine cosmico.
Avevo
commesso mille colpe e dovevo espiare, ma io, ai cieli, servivo
ancora.
Dovevo
pagare ma restare vivo; dovevo ricordare che cosa significasse
tornare dalla parte degli sconfitti per poi ricominciare a camminare
con quel macigno.
Si
doveva formare attorno a me la dura scorza del granchio, conoscere il
dolore dell'esilio come Efesto. Dovevo avere un buon motivo per
cambiare del tutto la mia vita.
Blanca
doveva morire.
La
sua vita per la mia. L'innocenza per redimere un peccatore.
*”La presa di Troia”, poemetto che Petronio inserisce nel Satyricon,
riprendendo uno scritto di Lucano.
*Volevo un nesso tra Death Mask e Manigoldo.
Entrambi sono stati traditi da Cancer nel momento cruciale,
per permettere la loro redenzione.
In tal senso, vorrei che si capisse, anche per DM, che la Cloth del Cancro
e le sue stelle
sono sempre funzionali al suo Cavaliere.
Non lo abbandonano, ma lo correggono.
*
Le
travi del soffitto cominciarono a scricchiolare pericolosamente, la
temperatura divenne insostenibile. Lo Specter era avvolto dalle
fiamme, ma non sembrava soffrirne, anzi, quel calore lo avvolgeva
come acqua calda dopo una giornata tra pioggia e fango.
Un
terribile odore di carne bruciata, un lamento debole e già morente.
“Salamander”,
disse l'uomo, beandosi di quella sensazione.
Non
capii, avevo la nausea, stavo soffocando.
Ricordai
il viso di mia madre, ricordai il momento dell'assalto della mia
infanzia.
Ma
esso era già terminato, la mia vita era di nuovo innanzi ad una
nuova desolazione.
Ad
un tratto un boato dalla città, una folgore, un'esplosione: erano
arrivati.
Salamander
- giudico che si fosse presentato e quello fosse il significato delle
sue parole - mi guardò con malinconia prima di balzare tra le fiamme
troppo alte e correre via, incontro alle sua battaglia.
Si
era accontentato della mia espressione.
Nell'ultimo
dei suoi atti, non aveva avuto il coraggio di farsi odiare
completamente.
Anche
Salamander andò a morire.
Morituri te
salutant.
*
Quando
si fu allontanato, - allora - fu veramente la fine.
Caddi
in ginocchio.
Finché
lui era stato lì, la rabbia mi aveva tenuto in piedi. Restai così
tra il fumo e la puzza di carne bruciata e devastazione, fino a che
quell'odore non cominciò a provenire anche da me.
Il
calore mi stava piagando la parte destra del corpo. Alle mie spalle,
l'unico punto della casa che non bruciava: la finestra da scavalcare,
la sopravvivenza.
Volete
la verità?
Nemmeno
per un momento ho pensato che sarei rimasto lì in quella casa a
morire.
Non
mi avrebbe avuto, si era già presa troppe cose.
Non mi
convincerà a mangiare il suo pasticcio di carne umana putrefatta.*
Con
le ultime forza mi buttai sulla finestra e la scavalcai; man mano che
mi allontanavo dall'inferno, sentivo l'aria della notte sempre più
fredda e viva sulla mia faccia.
Sentivo
la terra sotto i miei piedi, il dolore delle ustioni.
*Questa citazione è la mia passione.
Hugo Ball, sulla Prima Guerra Mondiale
*
Ero
ancora vivo, vivo, vivo.
Maledettamente
vivo. Ero sempre l'ultimo superstite di quella grande tragedia che
era la mia vita.
Le
fronde ciondolavano gioiose sotto il vento, la città era un falò:
la natura, di certo, non piangeva.
*
Mi
accasciai contro un albero e guardai da lontano la casa in cui avevo
lasciato Blanca bruciare.
Rodorio
fu il luogo in cui terminava la mia guerra, in cui ne iniziava
un'altra che sarebbe stata altrettanto mia – ma io, questo, ancora
non lo sapevo né potevo immaginarlo.
Ho
guardato quello spettacolo fino all'alba, quando l'incendio ha
cominciato a spegnersi e anche gli Specter hanno cessato di
combattere.
Thanatos
fagocitava il suo stesso esercito cantando la Caduta di Troia.
Ad
averlo saputo, avrei intonato l'Ira di Achille.
Mi
addormentai al sorgere del sole, per non vedere sotto la luce tutta
quella devastazione.
*
Quando
mi svegliai era tardo pomeriggio, le ceneri si erano raffreddate e
sparse ovunque.
Camminai
lentamente sulle macerie della nostra casa, la cenere mi copriva i
piedi fino alle caviglie, era ancora tiepida.
Fu
come camminare sulla sabbia rovente alla riva del mare in un
mezzogiorno di piena estate, e tuttavia era un'alba d'inverno.
Camminavo su case e uomini – polvere.
Mi
inginocchiai.
Se
avessi conosciuto una preghiera, avrei pregato. Non ne conoscevo
nessuna e non lo feci.
Ricordavo
però che nella mia infanzia c'era un prete che diceva “Polvere
sei e polvere ritornerai”.
Presi
una manciata di cenere, la soffiai via
L'anima
di Blanca doveva già essere scomparsa. Era tardi anche per quello.
È
sempre stato tardi.
Altri
lumicini tremolavano lì intorno: ne presi un paio tra le mani,
appoggiando le spalle contro il muro di un edificio sventrato dalle
fiamme.
“Chi
sei tu?”, chiesi.
Era
mia madre e mio padre, Bucefalo, Blanca, era cicala e falco, era quel
triste uomo che mi aveva fatto visita quella notte, ero io un pugno
di anni dopo.
Alle mie
spalle
un muro abbattuto, come una lapide senza scritte.
Sage aveva letto
in quel cielo una veglia funebre all'intera umanità.
Un
giorno mi disse: “Ogni
morte d'uomo mi diminusce, perchè io partecipo all'Umanità.
E
così non mandare mai a chiedere per chi suona la Campana: essa suona
per te.”*
Ed
aveva ragione.
L'Eterno
ritorno dell'Identico – ecco la chiave di lettura di tutta la mia
vita: ero di nuovo in mezzo alle macerie.
Il
Tutto che torna al Tutto – ecco la verità del mondo.
Le
anime girellano su se stesse come l'Uroboro.**
Fu in quel momento che, davvero, desiderai morire. Non mi era stata concessa nemmeno quella grazia.
Vicino
a me sentii dei mugolii.
Due
uomini stavano agonizzando vicini, uno portava l'armatura.
“State
zitti!”, ruggii, ma chiaramente non cessarono di lamentarsi. Quello
con l'armatura continuava ad eruttare sangue dalla bocca.
Avevo
la nausea. Guardai un corvo che si posava su un muricciolo sventrato;
se fosse stato un'altra creatura, sarei stato certo di vederlo
passarsi la lingua sulle labbra.
“State
zitti, maledizione!”
La
mia voce nell'alba. Una preghiera urlata, un'accusa, una sentenza di
morte.
Decisi
che non avrebbero smesso, estrassi il mio coltello e glielo piantai
nella schiena e nel petto, a seconda di come fossero girati.
Ora
c'era silenzio.
Raccolsi
le loro anime sulle mie mani, e le lasciai girarmi intorno assieme
alle altre.
Pensai
che almeno uno dei due avrebbe potuto salvarsi, ma non mi importava.
Lasciai
lì i
loro cadaveri, e per due giorni rimasi vicino ad essi e alla loro
puzza nauseabonda. Ricordo le mosche sopra ai miei occhi e sopra ai
loro: spalancati, vuoti e rivolti al cielo. Che cosa vedevano adesso?
Ancora non lo so,
perché tanto dovevano morire e dobbiamo morire tutti, non contano né
vendetta né giustizia. Basta aspettare il nostro turno.
Blanca sarebbe
morta lo stesso, che fosse stata la tosse, il fuoco o il tempo.
Perché siamo
spazzatura, era
la risposta che mi
diedi quei giorni.
Perché siamo
uomini, dico
ora.
A volte mi chiedo
ancora quanto siano sinonime le due parole.
*John Donne, frase ripresa da Hemingway
**Il serpente che si morde la cosa, il simbolo dell'Eterno ritorno dell'Identico
*
Sage mi trovò in mezzo a quei due cadaveri e alle loro anime.
Delle
parole che mi disse non ne ricordo
nessuna. Con la mano sulla mia testa, mi indicò un cielo tanto bello
quanto infame e disse che anche io ne ero parte.
Se piansi, non fu
perché gli credetti. Al contrario, era tutto troppo crudele e reale
perché se ne potesse parlare così.
Piansi perché
davvero le stelle sono come le anime, e sentivo il loro sguardo
impietoso addosso.
Seguii
Sage per
farne a pezzi tutte le certezze.
Poi, un giorno,
sulla bocca dell'Inferno mi scoprii un convertito.
Il resto lo
sapete.
Se anche non lo
sapeste, non ha nessuna importanza: il finale è il medesimo per
tutti, e la fantasia va usata solo per immaginare il modo in cui ci
sia arrivato.
Un balzo qua
e
uno là: la tragedia è solo un'ipotesi, la crudeltà una posa, la
vita una finzione.
Penso che sia
così, ma non ne sono sicuro, perché ogni concetto è mobile.
Abbiamo solo una
costante, ed è la Morte.
E per questo ho
deciso di andarle a fare una sorpresa: perché a me le costanti non
piacciono, perché non possono essere ignorate.
Doveva stare
ancora a sentire la mia versione dell'Ira di Achille.
E
gliel'ho cantata.
Fu
come ricambiarle lo sgambetto.
Quanto
è difficile concludere una storia così. Questo capitolo è stato
riscritto tre volte e corretto per mesi, ma ancora non mi soddisfa.
Comunque,
volevo mettere la parola fine a tutto questo. È la storia più
importante che abbia mai scritto – un'esperienza quasi
catartica.Ringrazio
chi c'è sempre stato, con una fedeltà che mi ha davvero commosso:
GioTanner e
Chocolat95.
E anche chi l'ha aggiunta tra preferite, seguite o ricordate.
Se
qualcuno volesse adesso darmi un parere in conclusione, è davvero
bene accetto. Questo scritto non lo so proprio valutare
oggettivamente, e mi piacerebbero dei riscontri.
Volevo
chiarire il perché della scelta di Messina per Manigoldo.
Intanto
perché è una città di snodo, tutta proiettata, oserei dire
lanciata, verso l'esterno. E già solo questo per Manigoldo andava
bene.
In
più, come ci insegna Tucidide nel libro VI delle Storie, essa fu
fondata da alcuni pirati di Cuma con il nome di “Zancle”, che in
siculo significa “falce”. Il nome le fu cambiato dal re Iblone in
Messene.
Come
Manigoldo, anche questa città cambia il proprio nome.
Non
mi sembrava necessario far passare il nostro giovane presso le
pendici dell'Etna. La sua armatura, dopotutto, risiedeva ad Atene con
Sage.
A
tal proposito, prevedo un seguito a questa storia, sull'addestramento
vero e proprio, sul rapporto tra maestro e allievo. Non so quando
vedrà la luce, ho buttato giù solo qualche bozzetto. Ditemi se vi
va l'idea.
L'estate
è la stagione in cui mi vedrete di più. Per ora, Jailer prevede di
comparire solo saltuariamente.
Grazie
ancora,
un
abbraccio,
Jailer.