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Autore: IpswichMyrtle    08/12/2015    3 recensioni
[La storia è in revisione ]
Dal primo capitolo:
« Ringraziò il cielo di essersi sistemata il trucco e i capelli prima di uscire dall'ufficio, l'ultima cosa che voleva era che Mycroft Holmes la considerasse sciatta.
Non ci poteva credere, aveva sempre sentito parlare di lui da suo padre e dai suoi colleghi, aveva sempre immaginato quest'uomo affascinante, sulla trentina, con i capelli e una accennata barba rossa, un portamento da fare invidia e il sarcasmo pungente e irriverente; e ora lo aveva lì davanti a lei, nel suo completo scuro di Armani che sembrava essergli stato cucito addosso. »
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Di cannella e Chardonnay.
 

C'era qualcosa nel tono della sua voce, così profonda e scura, che continuava ad attirarla, era come se non riuscisse a smettere di ascoltare ogni suono da lui pronunciato. Pendeva dalle sue labbra, ascoltava estasiata la conversazione che Mycroft Holmes stava avendo con uno dei Lord, quando invece avrebbe dovuto fare più attenzione a quello che Eleonor Ashworth le stava dicendo. Aveva lo sguardo fisso su un punto indefinito del tavolo, tra la bottiglia di Chardonnay e il candelabro laccato in oro, il viso rivolto verso la donna, ma l'attenzione concentrata su quello che stavano dicendo proprio di fronte a lei.
« Mairwen, mi stai ascoltando? »
Fu proprio Eleonor a risvegliarla e a riportarla alla realtà. Aveva ancora il bicchiere di vino a mezz'aria e fortunatamente era riuscita a cogliere qualcosa di quello che le aveva detto negli ultimi quaranta minuti – anche se avrebbe preferito parlare di tutto tranne che di quell' argomento.
« Certo che l'ascolto, mi stava elencando tutti i meravigliosi e quasi infiniti pregi dello scapolo d'oro della City. »
La donna non colse assolutamente il tono ironico e, felice che il suo sproloquio non fosse andato perduto, le prese la mano sinistra – quella non impegnata a reggere il calice di vino. Rimase per qualche secondo in silenzio, guardando la ragazza con sguardo particolarmente serio, la mano morbida e rugosa sempre appoggiata sulla sua e Mairwen ebbe l'impressione di sapere perfettamente che cosa le stesse per chiedere. Quello sguardo, tra il rassegnato e l'indignato era ciò che si meritava per non essersi impegnata seriamente con nessun uomo e per non aver mai messo la sua vita amorosa prima del lavoro e della realizzazione personale. Era ormai un anno che le mogli degli amici di suo padre la costringevano ad appuntamenti al buio con uno qualsiasi dei loro figli o figli di chicchessia, perché non volevano che l'unica erede dei Bloodworth rimanesse, appunto, unica. Cosa avrebbe fruttato loro, questo Mairwen non se lo riusciva ad immaginare, ma sapeva perfettamente che avrebbe continuato a boicottare quegli appuntamenti fino alla fine dei suoi giorni; o almeno fino a quando non avesse incontrato qualcuno che avrebbe saputo dirle chi era il vero mostro in Frankenstein di Mary Shelley, e ci sarebbero voluti anni, anzi forse secoli, o almeno così aveva creduto fino a quella sera.
« Tesoro, ormai hai 24 anni non credi... »
Il dessert.
Fu l'annuncio dell'ultima portata di quella cena, tanto noiosa quanto angosciante, a salvarla da quella che sarebbe altrimenti stata una lunga conversazione su quanto le servisse un uomo perché era in periodo fertile, e una relazione stabile e dei bambini le avrebbero procurato una felicità immensa. L'omicidio le avrebbe procurato una gioia immensa quella sera, un qualsiasi omicidio o tentato suicidio, una rapina, persino un attacco a Buckingham Palace; avrebbe desiderato succedesse qualsiasi cosa pur di allontanarsi dalla signora Ashworth e dall'ingombrante e pedante argomento casa e famiglia.Come se nella vita non potesse esserci altro, come se lei non potesse essere altro che una moglie e una madre.
« Il Medioevo del ventunesimo secolo. »
Biascicò scocciata, prendendo l'ennesimo sorso di vino e osservando il meraviglioso dolce alla cannella che Nils le stava porgendo in quell'istante.
Chardonnay e cannella, due dei suoi sapori preferiti.
Ringraziò mentalmente il maggiordomo per il tempismo e si preparò a gustare con tutta la calma del mondo quel meraviglioso pezzetto di paradiso che era stato appositamente preparato per lei, perché l'unica cosa positiva dell'avere un maggiordomo fisso per vent'anni era proprio che ormai aveva imparato a conoscere tutti i suoi piatti preferiti. Forse quella serata avrebbe potuto concludersi bene, forse dopo quel dessert avrebbe potuto usare una qualsiasi scusa per rintanarsi nella sua camera e lavorare nel silenzio più assoluto, senza sentirsi soffocare dalla presenza di tutte quelle persone che così tanto detestava.
Forse, forse in quel momento niente le importava perché aveva appena preso il primo boccone e il mondo le sembrò perfetto così com'era. Ecco, quella era una delle relazioni migliori che avesse mai iniziato, quella con il cibo s'intende. Da quando suo padre le aveva regalato un mese di lezioni di cucina con Alain Ducasse, famosissimo chef francese con addirittura una somma complessiva di 21 stelle Michelin, Mairwen aveva imparato ad amare la cucina in modo spassionato, così tanto che da quando era tornata l'aveva usata come sfogo per praticamente tutto. Ogni volta che non si sentiva bene, ogni mattina in cui si alzava nervosa o triste, quando sentiva di non reggere la pressione che ogni caso le comportava, le bastava accendere le luci soffuse dell'enorme cucina di Villa Bloodworth, mettere su della musica rilassante e cominciare a cucinare. Il rumore delle stoviglie, il coltello che batteva sul tagliere, l'odore del coriandolo, del cumino, dell'anice poggiato nella teglia bollente, lo sfrigolio del burro nella padella, il suono secco e sordo del croccante alle noci pecan spezzato, quello che piaceva tanto a suo padre, il caramello che le si incollava sempre sulle mani, quel moto di orgoglio che l'assaliva quando il soufflé rimaneva gonfio; l'odore pungente dello zucchero sciolto sulla crème brûlée, il successivo rompersi di quello stesso zucchero al tocco del cucchiaio, la costante sensazione di trovarsi a due centimetri da terra quando si muoveva tra il piano cottura e l'isola, il frigo aperto una quarantina di volte al giorno, quel raggio di luce che penetrava tra le tende alle cinque, ogni Domenica pomeriggio, a ricordarle che era arrivata l'ora del tè – e cos'è l'ora del tè senza una carrot cake o i biscotti al burro? Come sarebbe stato se, nelle ore più buie della notte, dopo essere tornata da giornate sfiancanti in centrale e aver usato un po' troppo la pistola, non ci fosse stata nessuna ricetta nuova da provare?
''Orribile.''
Era l'unica risposta che la ragazza riusciva a darsi; ormai aveva trovato in quella passione un effetto terapeutico e in fondo, nonostante molto spesso la compagnia delle persone la asfissiasse, quasi le piacevano quelle rare cene che organizzava con la sua squadra. C'era qualcosa di particolarmente bello nel ritrovarsi tutti e cinque nell'ufficio dell'Ispettore Lestrade, con le solite birre scadenti - a cui si poteva far l'abitudine - e i piatti che lei portava appositamente per loro. Adorava vedere le loro espressioni soddisfatte ad ogni forchettata presa, ma più che altro le piaceva l'idea di condividere un po' più di sé stessa con loro, visto che avrebbero lavorato per molto tempo insieme e in quei primi due anni lei non si era mai esposta più di tanto. Un po' per paura, un po' perché erano poche le persone che non la infastidivano, si potevano contare sulle dita di una mano soltanto.

***

« Dixon, glielo ripeto per l'ennesima volta: quei documenti devono essere al sicuro. Sa meglio di me che è di importanza nazionale. Non possiamo permettere che qualcuno distrugga l'equilibrio che cerchiamo di mantenere da anni. »
Il signor Holmes si accomodò meglio sulla poltrona in pelle nera e prese l'ultimo sorso del suo whiskey irlandese, intanto Mr. Bloodworth non poté non accorgersi degli sguardi minacciosi che gli stava dedicando.
« Mycroft, l'ultima cosa di cui deve preoccuparsi sono quei documenti. Sono così ben nascosti che neanche io so dove si trovino. »
Il rosso cercò di rispondere, leggermente più irritato di prima, ma venne immediatamente bloccato.
«... sono nelle mani più sicure di Londra.»
« Ti avevo espressamente chiesto di non parlarne con nessuno. Sono segreti di stato e devono rimanere tra di noi. »
Nulla di buono succedeva quando Mycroft Holmes si rivolgeva a qualcuno usando la seconda persona singolare, infatti gli sembrò quasi infuriato; dopotutto era anche comprensibile: la sicurezza nazionale era stata completamente affidata a lui dalla Regina stessa e persone come Dixon Bloodworth non potevano fare altro che aiutarlo di nascosto con l'aiuto costante dei Servizi Segreti Inglesi.
« Sono segreti che una persona come lei terrebbe al sicuro a costo della sua stessa vita. »
Cercò di rassicurarlo utilizzando il tono più convincente che aveva.
Ed era vero, se a questo mondo c'era qualcuno di cui si fidasse, quella persona era sicuramente lei. Non c'entravano le scelte di vita, il brutto carattere che si ritrovava, la troppa introversione – forse difetto genetico – ma Dixon sapeva che al sangue e alla famiglia, ma soprattutto all'Inghilterra, lei non avrebbe mai voltato le spalle.
Aveva cercato in tutti i modi di farla crescere lontano da quell'ambiente, ma era venuta su proprio come lui. Così dannatamente testarda e patriottica. Così affascinata da quel mondo di potere e violenza.
« Bloodworth, sei un ex agente dell'Intelligence, sai meglio di me che non ci si può fidare di nessuno in questo mondo. Sarebbero tutti pronti a venderti al primo offerente. »
Il signor Holmes si alzò e si avvicinò al tavolino dei liquori, dove si versò dell'altro whiskey, dopodiché, sorseggiandone un po', cominciò a camminare lentamente per lo studio. Si era rifugiato nel suo mind palace, succedeva sempre quando qualcosa non andava secondo i piani o quando qualcuno non obbediva ai suoi ordini, proprio come in quel caso. Eppure Dixon era sempre stato cauto e diligente, aveva sempre accettato ogni suo ordine, ogni sua imposizione, non aveva mai causato problemi, ed era per questi e tanti altri motivi che si era sempre fidato di lui.
Sospirò. Non era nuovo ai cambiamenti di piano, né agli incidenti di percorso, avrebbe sicuramente trovato un modo per risolvere la situazione.
« Devo almeno sapere chi è,  e dove sono i documenti. »
Sentì il signor Bloodworth ridacchiare.
« Per la sicurezza di quei documenti, quella stessa persona mi ha fatto firmare un contratto di silenzio. Non posso dire a nessuno chi sia, ma la conosci e sono sicuro al centouno per cento che nel tuo mind palace hai la risposta. »
A Mycroft parve per un attimo che l'ex agente si stesse prendendo gioco di lui, e con Mycroft Holmes non si poteva assolutamente giocare in questo modo, ci si sarebbe fatti male e anche molto. Respirò a fondo, avvicinandosi all'enorme finestra vetrata dello studio e perdendo lo sguardo nell'oscurità che da molte ore aveva circondato la città.
« Dixon. Il nome. »
Era serio e stava davvero cominciando ad innervosirsi, non poteva non sapere, odiava non essere a conoscenza delle cose, sopratutto quando riguardavano la sua nazione e la sicurezza di milioni di persone.
« Devo parlarne prima con lei. Se infrangessi il contratto non me la farebbe passare liscia. Il suo modus operandi mi ricorda molto il tuo. » Rispose l'ex agente sogghignando.
« Non sopporto questi giochi, Dixon, ma capisco che c'è un contratto di silenzio già firmato. Hai una settimana. Parla con questa persona, chiunque essa sia, poi dovrai immediatamente dirmi chi è e dove tiene i documenti. »
Il signor Bloodworth si alzò e si avvicinò all'amico, appoggiandogli una mano sulla spalla.
« Sarà fatto, Sir. »
Si limitò a dire, perché a Mycroft Holmes non sarebbe piaciuto un no e nessuno mai si sarebbe permesso di negargli qualcosa. Anche se lo avessero fatto, lui avrebbe trovato sempre un modo per ottenere quello che voleva, dopotutto aveva più potere di chiunque altro sulla Terra.
« Ora mi scuserai ma si è fatto tardi. Grazie per la cena. »
Disse gelido, prendendo il cappotto, il costoso ombrello che portava sempre con sé e uscendo dallo studio senza neanche aspettare una risposta o un saluto ricambiato. Scese le scale di Villa Bloodworth di fretta, ancora infastidito e stupito dal comportamento dell'amico. Odiava non riuscire a tenere tutto sotto controllo e quelle poche volte che succedeva si chiudeva, alzava mura alte quanto fortezze e ci si barricava dietro. All'esterno nulla cambiava, era sempre il politico poco incline al contatto umano, potevi accorgerti del suo cambiamento solo guardandolo negli occhi e quasi nessuno lo faceva: pochi ne erano all'altezza, a molti mettevano soggezione.
C'erano volte in cui potevi sentire quasi freddo se ti avvicinavi troppo a Mycroft Holmes, e quella era una delle tante.
« Sta andando via, Signor Holmes? »
Una voce calda e dolce lo svegliò e lo costrinse a ritornare alla realtà.
« Sì, Miss Bloodworth si è fatto tardi anche per me. » Disse facendo per avvicinarsi alla porta. Aveva già la mano sulla maniglia quando Mairwen parlò di nuovo.
« Qualsiasi cosa le abbia detto mio padre, mi scuso. »
« Lei non c'entra niente con suo padre, non deve scusarsi per i suoi errori. »
Non si guardarono neanche per un attimo. Rimasero a debita distanza l'uno dall'altra, immersi in qualche secondo di silenzio, ma Mycroft poteva sentirsi addosso lo sguardo di lei. Si chiese per un attimo a cosa stesse pensando, che cosa avesse sentito e come aveva fatto a capire. Dopotutto, era rimasta al piano di sotto a lavorare ed era sicuro di avere sempre usato un tono di voce molto basso. Scosse la testa per cacciare tutti quei pensieri, non era il momento giusto per altri problemi, quelli che aveva erano già abbastanza.
Abbassò la maniglia della porta e uscì velocemente, inoltrandosi nel buio di quella fredda notte londinese.
« Arrivederci. »
Riuscì a sentire, ma non si voltò, né rispose. 


 

 
Note dell'autrice. 

Strano ma vero sono riuscita a finire questo capitolo proprio oggi, anche se è più piccolo di quello precedente - ma è già tanto così, passare da scrivere massimo dieci righe a due capitoli in due mesi è... molto più di quanto mi aspettassi. 
Un ringraziamento speciale vorrei farlo a tutti quelli che si son fermati a leggere questa storia così importante per me, grazie a chi ha letto in silenzio, chi l'ha messa tra le preferite e/o seguite e/o ricordate e grazie anche a Marthiachan per averla recensita.
Spero vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto come il primo, e sono ovviamente curiosa di sapere cosa ne pensate,
anyway ci sentiamo al prossimo aggiornatmento.


Un abbraccio, 
Ipswich ~ 

 
   
 
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