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Autore: blackings    08/12/2015    1 recensioni
Dal capitolo 8:
«Scorpius, sconvolto dal racconto, non sapeva che fare: non aveva mai visto il padre così apparentemente fragile e impotente, e penava per lui come per le ragazze.
“Cosa possiamo fare?” chiese quando l’uomo si fu ripreso e, rindossata la sua maschera di padre autorevole e imperturbabile Malfoy, si andò a versare il terzo cicchetto di whisky.
“Non possiamo fare nulla, Scorpius”
“Ma ci dev’essere qualcosa che risolva tutto! Padre, dovete aiutarle! Dobbiamo aiutarle!” gridò scattando in piedi e afferrando il braccio del padre. Draco, sconvolto, gli tirò uno schiaffò in pieno viso, facendolo retrocedere. Il ragazzo stava quasi per barcollare e cadere a terra, quando il padre lo afferrò e lo strinse a sé. Che cosa stava facendo? Allontanava persino suo figlio, che gli chiedeva aiuto non per sé, ma per le sue sorelle? L’immagine di una Hermione Granger torturata gli attraversò la mente, e non riuscì a reprimere le lacrime. Reprimeva persino suo figlio, pur sapendo che presto gli sarebbe rimasto solo lui.»
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Luna Potter | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo 19: L’irruenza di Scorpius
 
When I was younger
 I saw my daddy cry
And curse at the wind
He broke his own heart and I watched
As he tried to reassemble it
 
 
Quattro anni prima
 
Scorpius non aveva mai visto suo padre piangere.
Non si era mai ritrovato nella situazione di doverlo osservare dall’uscio di una porta mentre singhiozzava.
Di solito succedeva il contrario: Scorpius veniva amaramente sgridato, cominciava a piagnucolare, veniva punito severamente e abbandonato in una stanza, in lacrime. Draco passava una tantum, fermandosi sulla porta a pugni chiusi per impedirsi di continuare la sua opera di punizione, negli occhi un misto di disprezzo e di disgustosa compassione. Lo osservava per un paio di minuti, poi se ne andava. Astoria era assente.
Scorpius non aveva mai visto suo padre piangere, ma quella notte era diverso.
Stava percorrendo uno dei corridoi bui del Manor, una di quelle parti della casa perennemente immerse nell’oscurità, che lo spaventavano ma allo stesso tempo lo intrigavano: era un Malfoy, amava il mistero e l’occulto. Camminava, quando aveva sentito qualcosa infrangersi. Si era appiattito al muro ed era scivolato fino alla stanza più vicina, lo studio di suo padre. Si era affacciato e aveva visto una scena che non avrebbe mai dimenticato: Draco Lucius Malfoy, inginocchiato per terra con le mani sanguinanti, singhiozzava, i vetri di un bicchiere che aveva scaraventato al muro sparsi intorno a lui. L’uomo muoveva la mano destra sul legno del pavimento nervosamente, raccogliendo talvolta le schegge che si conficcavano nella pelle una volta bianca del suo palmo. Quando Draco alzò un frammento più grosso degli altri e se lo portò alla gola, Scorpius scattò in avanti.
“Padre, fermatevi, padre!”
Draco si voltò di botto, guardando il figlio spaventato.
“Scorpius, sparisci, non voglio essere costretto a punirti anche stasera: non ti è bastata la dose di ieri?”
“Potete punirmi, padre, non mi importa, ma avete bisogno di aiuto. Alzatevi, chiamo mia madre.” A quelle parole gli occhi di Draco, prima pervasi da un muto stupore, mutarono la propria espressione in acceso terrore, e la sua mano insanguinata bloccò quella candida del figlio, che si voltò a guardarlo: era la prima volta che il padre lo teneva per mano, e quel gesto, seppur assurdo in una situazione così estrema, gli infuse una calda fiducia. Strinse la mano insanguinata del padre e lo fece alzare, poi Draco ritrasse la sua e si avvicinò al tavolino degli alcolici. Aprì una bottiglia di idromene barricato e se ne versò una generosa dose. Tremava come una foglia. Si accasciò sul divano di pelle nera, sprofondando nel cuscino morbido, e bevve lentamente il contenuto del bicchiere, fissando il figlio che, dopo la scarica d’adrenalina iniziale, adesso aveva puntato lo sguardo al pavimento maledicendo il momento in cui aveva avuto lo slancio di entrare nello studio paterno.
“Siediti qui di fronte a me Scorpius” gli disse Draco con tono imperturbabile e autoritario quando ebbe riacquistato il controllo di sé. Il dodicenne scivolò ubbidiente sulla sedia davanti al divano su cui era seduto il padre, guardandolo in viso ma fuggendo il suo sguardo penetrante. Aveva smesso di tremare, ma le mani giunte gli sudavano copiosamente.
“Perdonatemi, padre” soffiò dopo dieci minuti abbassando lo sguardo, contrito.
“Non devi chiedere il mio perdono, Scorpius” gli disse Draco “Devi solo promettermi che non dirai nulla di ciò che hai visto a tua madre, né a tua sorella. Tutto ciò che è successo non è mai accaduto”
Scorpius annuì.
“Puoi andare adesso” lo congedò Draco con freddezza osservandolo mentre si alzava.
Scorpius fece per uscire quando il sangue sul pavimento attirò la sua attenzione: il padre, muovendo velocemente la mano sul parquet, aveva vergato delle lettere tremolanti quasi indecifrabili, ma leggibili a un Malfoy.
“Padre, che significa?” chiese il ragazzo voltandosi un secondo prima che Draco lo atterrasse con un schiaffo in pieno viso: inebriato dai fumi dell’alcol, l’uomo si era infatti alzato e aveva agito di impulso.
“Non indagare oltre, Scorpius, e fila via se non vuoi passare la notte nella torre” gli intimò Draco.
Il ragazzo sgusciò fuori dalla stanza e prima di chiudersi la porta alle spalle gettò un ultimo sguardo alla scritta vergata col sangue sul pavimento dello studio di suo padre: a lettere scarlatte, il parquet era insanguinato dal nome HERMIONE.
 
La mente di Rose
 
“Ah, bene, allora anche Draco Lucius Malfoy ha un cuore!” sghignazzò Bellatrix Lestrange saltellando davanti al pronipote, che, svegliatosi, era stato legato e immobilizzato.
“Pagherai per questo, Bellatrix, la pagheremo tutti!”
“Tu la pagherai di sicuro, Scorpius, perché nella remota possibilità in cui dovessi uscire vivo da qui, tuo padre ti frusterebbe fino a ucciderti” ridacchiò la donna torcendosi le mani dall’impazienza.
Scorpius abbassò lo sguardo. Bellatrix aveva ragione. Draco gli aveva manifestato la sua fiducia una sola volta in tutta la sua vita, e lui non poteva onorarla. Se mai fosse uscito vivo da quella situazione, probabilmente si sarebbe tolto la vita per la vergogna.
 
Fuori dai cancelli di Hogwarts
 
“Hai escogitato un piano, Potter?” chiese Draco tornando alla tenda dopo una lunga passeggiata con Hermione intorno al perimetro della cinta muraria del castello.
“Magari se la smetteste di girovagare e vi applicaste riusciremmo a venire a capo di questo mistero!” li rimbeccò Harry scherzoso, assumendo il modo di fare saccente che aveva la stessa Hermione durante i loro anni a Hogwarts, ricordando quando la ragazza invitava pedantemente lui e Ron a stare in biblioteca invece di fare la spola tra il castello e la casa di Hagrid.
“Abbiamo detto che dovevamo aspettare la notte, ed è quello che abbiamo fatto: adesso siamo al tramonto e possiamo comodamente sederci qui ad ascoltare le tue filippiche” disse Hermione sedendosi accanto a Harry ridendo. Sembra rinata pensò il Potter, ma non disse nulla.
Draco si sedette di fronte ai due e, dopo aver frugato nella tasca dei pantaloni uscì un portasigarette di argento. Ne offrì una a Harry, che accettò volentieri, e fece quasi per richiudere la custodia quando Hermione, inaspettatamente, gliene chiese una.
“Non pensavo fumassi” gli rispose Draco come per scusarsi, accendendo la sigaretta che la ragazza aveva portato alla bocca con il suo accendino argentato recante lo stemma dei Malfoy, che era stato di suo padre e di suo nonno prima di lui.
“Non fumo infatti. Non fumo da…”
“…da quel pomeriggio sul lago” completò la frase Draco, e davanti ai suoi occhi si materializzò l’immagine di un’Hermione sedicenne, con nessuna dimestichezza col fumo, che gli chiedeva di provare una delle sue sigarette. Quant’era bella, immersa nella nuvola grigia che la sua tosse inesperta aveva creato, quant’era perfetta mentre rideva e restituendo la sigaretta a Draco decretava “Sono una frana, non fumerò mai”, quanto era candida mentre lui riprendeva l’arma di distruzione e decretava “Meno male amore, almeno la parte importante di noi due si salverà”. Quant’era bella adesso, anni dopo, mentre aspirava e gli occhi le si riempivano di lacrime causate forse dal fumo che le entrava in gola, forse per il fatto di aver quasi perso una figlia, chissà. Quant’era perfetta adesso, anni dopo, mentre orgogliosa continuava a fumare guardando Draco con sguardo di sfida, come a dire “Ce la faccio, sai?”, quant’era candida nel ricevere in risposta un altro sguardo, che le diceva “Lo so, ma voglio essere qui ad aiutarti a riuscirci”.
Harry si intromise involontariamente tra i due, aspirando con avidità dalla sigaretta e buttando il fumo mentre cominciava ad esporre il piano. I due amanti si fecero subito attenti e cominciarono a guardare la Mappa del Malandrino.
“Allora, mancano dieci minuti al buio totale, e quando l’oscurità sarà calata invocheremo il radius loci. Lo farai tu, Hermione, sei la migliore in incantesimi, te la senti?” la riccia annuì convinta e Potter continuò: “Bene, tu invocherai l’incantesimo e cominceremo a muoverci in direzione della luce. Draco, a te il compito di coprire Hermione da qualsiasi pericolo, starai alla sua destra, io alla sua sinistra. Tenteremo di individuare il luogo segnato dal raggio, ma se non ci riusciremo dovremo seguirlo fino alla fine. Non posso escludere che sarà necessario materializzarci nel castello. In quel caso, Hermione, non voglio che tu perda il contatto con il radius. Vi aggrapperete entrambi a me e io e Draco ci smaterializzeremo portando anche te. Qualsiasi cosa accada, non perdere il contatto. Pensa solo a quello, per il resto ci saremo noi. Una volta giunti sul luogo, beh… ci inventeremo qualcosa. Non so che forma possa aver preso Bellatrix, se sia ancora inconsistente come un fantasma o corporea come un umano. Non so dove il raggio ci porterà, quindi l’esperienza mi dice che non bisogna fasciarsi la testa prima di rompersela: arrivati lì, vedremo. Avete capito?”
“Cazzo, Potter: sei un Auror con gli attributi e non lo metto in dubbio, ma non perdi la tua disorganizzazione adolescenziale!”
“Lo prendo come un complimento, Malfoy” ghignò Harry, e un lampo di rinnovata gioventù gli attraversò i vispi occhi verdi.
 
Intanto, al Manor
 
“Notizie da Harry?” chiese Ronald Weasley scendendo le scale, senza voler nominare la sua ingrata moglie.
“Nessuna, Ron” rispose Ginny, che stava versando del the da una teiera di porcellana nera. Ne porse una tazza alla figlia e bevve un paio di sorsi dalla sua, scrutando oltre la tazza le due sedicenni che, sedute sul pregiato sofà del Manor, fissavano come ipnotizzate i due ragazzi distesi di fronte a loro.
Ron si avvicinò alla figlia e si accovacciò accanto a lei, prendendo tra le sue una delle sue mani fredde. Non erano mai stati troppo affiatati, ma si volevano bene, lui era un padre amorevole anche se testardo, lei una ragazza dolce anche se un po’ troppo precisa. Ma non pianse Ron, non quella volta, non davanti alla sua sorellina che lo trattava quasi come una madre tratta il suo figlio impulsivo e indisciplinato. Fissò le palpebre chiuse della figlia, quella figlia che aveva sottratto alle grinfie di McLaggen (contro cui, a proposito, stava già meditando vendetta), quella figlia così giovane che però aveva già vissuto tanto, aveva già fatto tanto. Si alzò prima che le emozioni potessero tradirlo, si sedette accanto a Ginny, traendo dalla tasca della camicia un sigaro e accendendolo con un rapido colpo di bacchetta. Aspirò a lungo, poi soffiò il fumo grigio lasciando che gli coprisse il viso.
 
Agnes Narcissa Malfoy salì in camera sua e chiuse la porta appoggiandosi al legno con tutto il suo peso. Si sedette sul letto e cominciò a guardarsi intorno: erano mesi che non passava una nottata tranquilla in quella camera, anzi, a pensarci bene, non l’aveva mai fatto: amava casa sua, la sua enorme magione buia e fredda, aveva qualcosa di macabramente accogliente, ma non vi viveva tranquillamente. Ogni volta che lei e suo fratello si trovavano al Manor, Scorpius trovava sempre il modo per cacciarsi nei guai al punto da farla vivere in un’ansia costante e malsana. Fissò la parete di fronte al letto, ricordando quando quella stanza la condivideva col fratello, prima che Draco decretasse che riteneva “sconveniente” far convivere i suoi figli in una stessa stanza, “inadatto a dei Malfoy”, “impudico”. Si alzò e si accovacciò, come spesso faceva, là dove una volta era posizionata la testiera del letto di Scorpius: era stato lui a essere spostato, dopo una notte in cui Draco li aveva trovati a dormire nello stesso letto, quello di Agnes, aveva preso il figlio appena decenne e lo aveva trascinato in una delle tante stanze da letto inutilizzate del Manor, lontana una decina di porte da quella di Agnes. Lo aveva frustato dopo averlo fatto appoggiare alla spalliera del letto e lo aveva lasciato lì, decretando che quella sarebbe stata la sua nuova stanza. Agnes aveva atteso fin quando Draco non era sparito in un’altra ala della casa, poi era accorsa a soccorrere il gemello. Appena entrata nella camera, la visione martoriata della schiena di Scorpius la aveva fatta inorridire ma non indietreggiare, e con la fierezza tipica di una Malfoy lo aveva accostato. “Vattene via Agnes” le aveva detto Scorpius prima che lei potesse proferir parola, “Non è conveniente che io e te condividiamo la stessa stanza da letto”.
In quel momento, Agnes Malfoy aveva avuto la certezza che suo fratello era cresciuto: da bambino era, prematuramente e bruscamente, diventato un uomo. Di questo avrebbe avuto la riprova altre dieci, cento, mille volte nel corso della sua vita, ma ancora, a sei anni dall’accaduto, Agnes non riusciva a concepire il fatto che suo fratello fosse cresciuto, stesse cambiando: lui era un uomo, lei una ragazzina. Per questo la reazione di quella mattina l’aveva sconvolta, ma non stupita: l’irruenza di Scorpius non era dovuta a un viziato infantilismo, ma a una graduale affermazione della persona che era diventato.
 
   
 
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