Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts – 21 Ottobre 1972
Il ripostiglio delle scope del settimo piano era freddo ed odorava di polvere e pelle d’oca.
Regulus era accucciato accanto ad una piccola vetrata che dava sul prato anteriore del Castello e cercava di capire se stesse piovendo o meno poiché non si vedeva con precisione da tutti quei piani d’altezza.
Era sera e di lì a poco sarebbe dovuto scendere in Sala Grande per la cena, indossava ancora la divisa e teneva sottobraccio il tomo di Trasfigurazione dell’ultima lezione pomeridiana. Non appena avevano terminato la lezione e la professoressa si era allontanata, Serpeverde e Grifondoro avevano iniziato una disputa volutamente accesa, e lui si era allontanato in fretta senza che nessuno se ne accorgesse. Non gli piacevano i Grifondoro, non gli piacevano i Serpeverde; si somigliavano eccessivamente ed in modo parallelo, erano gli uni il riflesso distorto degli altri. Non gli piaceva nessuno in verità, non si piaceva nemmeno lui. Preferiva stare da solo, in disparte dagli altri e da se stesso. Non gli piaceva alcuna compagnia, nemmeno quella che era in grado di offrirsi da solo.
Era questa la vera solitudine: non avere nessuno per obbligo e per scelta, e non avere nemmeno se stessi. Era ritirarsi in un piccolo spazio nel proprio Io, avere un frammento della propria persona come unica arma contro il mondo, quello esterno e quello interno. Era biasimare il proprio esilio, incolparlo, mentre lo si costruisce attentamente.
Contrariamente a ciò che si credeva, Regulus si era sacrificato molti anni prima della propria morte, si era sacrificato rinunciando alla vita stessa.
«Tu!»
Un ragazzino magrolino avanzò tra il buio e le ragnatele del ripostiglio puntandogli la bacchetta contro.
«Pagherai tu per il tuo amico!» Sbraitò, avvicinandosi affannosamente. «Levicor-»
Balzò a sedere, facendo cadere il Primo Manuale di Trasfigurazione che si aprì ed attirò l’attenzione dell’altro. Regulus recuperò precipitosamente il libro, tenendo ugualmente gli occhi puntati sul ragazzo che si era intrufolato nella sua solitudine, in silenzio e senza chiedergli il permesso.
«Oh.» Disse solo quello, il cui tono si era ristretto in una vocina acuta, ansimante e stridula. «Credevo fossi… Mi sembravi… Scusami.» Mise velocemente via la bacchetta, con uno scatto schizzante.
Regulus lo guardò, limitandosi ad un cenno. Il ragazzo portava anch’egli la divisa – sulla quale era ricamato lo stemma Serpeverde, come nella propria –, tuttavia questa era stropicciata e sgualcita in alcuni punti; dedusse che fosse reduce della precedente disputa tra le due Case. Cercò di adattare la propria vista, ancora pennellata dalla pioggia che cercava oltre la vetrata, all’effettivo buio in cui era fermo l’altro, giusto in tempo di distinguere il pallore della sua pelle.
Il Serpeverde, che Regulus identificò poco dopo come uno studente del secondo anno, annuì. «Posso stare anche io qui?» Chiese gettando occhiate attente alle sue spalle.
Lo guardò senza replicare, creando un silenzio durante il quale non prese nemmeno in considerazione la possibilità di rispondergli. Strinse il Manuale sotto braccio e tornò a sedersi dov’era esattamente qualche minuto prima e questa volta non faticò a notare le gocce di pioggia che picchiettavano contro la vetrata.
Il ragazzo si sedette nella parte opposta.«Black, non è vero?»
«Regulus Arcturus.» Precisò prontamente, sull’attenti.
«Lo so.» Sbuffò l’altro, annuendo. «Severus Piton.» Aggiunse con un cenno, prima di incominciare anche lui a guardare oltre la vetrata.
Regulus annuì e sospirò, senza voltarsi.
Era l’arte di stare soli, in compagnia.
Regulus era accucciato accanto ad una piccola vetrata che dava sul prato anteriore del Castello e cercava di capire se stesse piovendo o meno poiché non si vedeva con precisione da tutti quei piani d’altezza.
Era sera e di lì a poco sarebbe dovuto scendere in Sala Grande per la cena, indossava ancora la divisa e teneva sottobraccio il tomo di Trasfigurazione dell’ultima lezione pomeridiana. Non appena avevano terminato la lezione e la professoressa si era allontanata, Serpeverde e Grifondoro avevano iniziato una disputa volutamente accesa, e lui si era allontanato in fretta senza che nessuno se ne accorgesse. Non gli piacevano i Grifondoro, non gli piacevano i Serpeverde; si somigliavano eccessivamente ed in modo parallelo, erano gli uni il riflesso distorto degli altri. Non gli piaceva nessuno in verità, non si piaceva nemmeno lui. Preferiva stare da solo, in disparte dagli altri e da se stesso. Non gli piaceva alcuna compagnia, nemmeno quella che era in grado di offrirsi da solo.
Era questa la vera solitudine: non avere nessuno per obbligo e per scelta, e non avere nemmeno se stessi. Era ritirarsi in un piccolo spazio nel proprio Io, avere un frammento della propria persona come unica arma contro il mondo, quello esterno e quello interno. Era biasimare il proprio esilio, incolparlo, mentre lo si costruisce attentamente.
Contrariamente a ciò che si credeva, Regulus si era sacrificato molti anni prima della propria morte, si era sacrificato rinunciando alla vita stessa.
«Tu!»
Un ragazzino magrolino avanzò tra il buio e le ragnatele del ripostiglio puntandogli la bacchetta contro.
«Pagherai tu per il tuo amico!» Sbraitò, avvicinandosi affannosamente. «Levicor-»
Balzò a sedere, facendo cadere il Primo Manuale di Trasfigurazione che si aprì ed attirò l’attenzione dell’altro. Regulus recuperò precipitosamente il libro, tenendo ugualmente gli occhi puntati sul ragazzo che si era intrufolato nella sua solitudine, in silenzio e senza chiedergli il permesso.
«Oh.» Disse solo quello, il cui tono si era ristretto in una vocina acuta, ansimante e stridula. «Credevo fossi… Mi sembravi… Scusami.» Mise velocemente via la bacchetta, con uno scatto schizzante.
Regulus lo guardò, limitandosi ad un cenno. Il ragazzo portava anch’egli la divisa – sulla quale era ricamato lo stemma Serpeverde, come nella propria –, tuttavia questa era stropicciata e sgualcita in alcuni punti; dedusse che fosse reduce della precedente disputa tra le due Case. Cercò di adattare la propria vista, ancora pennellata dalla pioggia che cercava oltre la vetrata, all’effettivo buio in cui era fermo l’altro, giusto in tempo di distinguere il pallore della sua pelle.
Il Serpeverde, che Regulus identificò poco dopo come uno studente del secondo anno, annuì. «Posso stare anche io qui?» Chiese gettando occhiate attente alle sue spalle.
Lo guardò senza replicare, creando un silenzio durante il quale non prese nemmeno in considerazione la possibilità di rispondergli. Strinse il Manuale sotto braccio e tornò a sedersi dov’era esattamente qualche minuto prima e questa volta non faticò a notare le gocce di pioggia che picchiettavano contro la vetrata.
Il ragazzo si sedette nella parte opposta.«Black, non è vero?»
«Regulus Arcturus.» Precisò prontamente, sull’attenti.
«Lo so.» Sbuffò l’altro, annuendo. «Severus Piton.» Aggiunse con un cenno, prima di incominciare anche lui a guardare oltre la vetrata.
Regulus annuì e sospirò, senza voltarsi.
Era l’arte di stare soli, in compagnia.