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Autore: bellomia    10/12/2015    2 recensioni
Matilde e Luca sono destinati a stare l'uno con l'altra, questo il destino lo sa, eppure sembra che pur di unirli scelga il metodo peggiore. La prima sera che si incontrano festeggiano la fine degli esami, la seconda Matilde bussa alla porta di Luca con le lacrime agli occhi ed un test di gravidanza in mano. Ecco che quindi il destino ha avuto ciò che voleva, legarli per tutta la vita, ma ai due quella fine sembra tutt'altro che lieta.
Essere genitori a 27 anni è difficile di per se, in più se ci aggiungiamo dei genitori ficcanaso, amici altrettanto impiccioni e una figlia che si autoproclama il loro cupido, la cosa potrebbe diventare piuttosto difficile.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Dicembre 2009
Il rosso scattò all’improvviso costringendolo a spostare il piede con forza nel freno. La berlina tedesca inchiodò ubbidiente e docile. In realtà Luca non avrebbe nemmeno dovuto guidare, aveva perso una lente a contatto e aveva bevuto abbondantemente, eppure era talmente su di giri da sentirsi capace persino di correre su una pista di formula1. Gli occhi caddero come calamitati sulla ragazza di fianco a lui e d’istinto aumentò la stretta delle sue mani sul volante.
Guardò la  nuca scoperta di Matilde,  lei guardava fuori e ogni tanto beveva dalla bottiglia di vodka che era riuscita a sgraffignare dal locale. Il contrasto tra capelli neri e pelle diafana, il collo magro ed elegante, la leggera gobba sul naso, la piccola sbavatura di mascara nell’angolo e il pizzo leggero del vestito sulle spalle magre. Persino i dettagli di quella quasi sconosciuta lo facevano eccitare, era incredibile come lo avesse colpito all’improvviso; forse era stato il fascino da Biancaneve in nero, forse il fatto che a differenza di altre non aveva fatto l’alcolizzata cubista in discoteca… L’aveva notata guardarsi attorno all’inizio della serata e non aveva potuto non rimanerne affascinato. Si sentiva un po’ idiota a descrivere la cosa in quel modo, insomma sembrava di sentire sua cugina di quindici anni parlare al telefono con la sua migliore amica, diede di nuovo la colpa all’alcol.  Dopo averci pensato su arrivò alla conclusione che il motivo di quell’attrazione non era poi così importante, non era sua abitudine porsi tutte quelle domande, l’importante era che in quel momento Matilde era seduta sul sedile del passeggero, e lui avrebbe tirato fuori tutti gli assi nella manica per poter riaccompagnarla fino a casa sua.
-Ne vuoi?- Quasi sobbalzò nel sentire la sua voce bassa dopo tutto quel silenzio.
-No... o finiremo davvero contro un palo.- Lei sorrise e guardò la strada di fronte a sé. Si chiese se forse si fosse persa in qualche pensiero o semplicemente le piacesse guardare la strada, le luci o chissà cosa.
-Guidi sempre così?- Ruppe di nuovo il silenzio con quella domanda divertita e lui si chiese cosa intendesse, aveva sempre guidato in quel modo. Forse trovava la sua guida era un po’ troppo sportiva.
-Si, perché vado troppo veloce?-
-Diciamo che sto bevendo anche per quello.- Lui alzò il piede dall’acceleratore,  scalò la marcia e sentì il motore della Bmw acquietarsi docilmente.
-Io rallento e tu smetti di bere?- Luca sentì gli occhi scuri della ragazza puntati su di sé, si girò e vide nel suo sguardo una sfida e una scintilla che sembrava cozzare con la sua apparenza tranquilla. Non ci volle tanto prima che lei poggiasse di nuovo la bocca sulla bottiglia e  facesse un piccolo sorso di alcol. Luca scosse sconsolato la testa, probabilmente se non le avesse detto nulla Matilde non avrebbe bevuto un'altra volta, invece con quella domanda aveva fatto nascere in lei la scintilla della ribellione.
La cosa si faceva interessante.
-Sei cocciuta.- La vide ridacchiare.
-Non così tanto… a volte mi diverte però.- Rimase un attimo in silenzio, poi a voce più bassa riprese.
-Diverte anche te.- A quel punto Luca davvero dovette sforzarsi di non bloccare la macchina e placare almeno in parte quel bisogno che aveva di sentirla più vicina. Le mani formicolavano fastidiosamente e sembrava che la strada non finisse mai. Diamine erano passati cinque minuti e gli sembrava  di aver percorso mezza città.
Guardò con intensità la luce verde del semaforo sperando diventasse rossa e gli permettesse di fermarsi almeno tre minuti, il tempo di slacciare la cintura e baciarla come si deve, era certo che poi quella strana tensione sarebbe diminuita.
Diavolo diventa rossa, dai… diventi sempre rossa possibile che ora mi lasci via libera così.  
-Gira a sinistra.- Svoltò all’improvviso senza nemmeno mettere la freccia e Matilde rischio di finirgli addosso a causa della forza della manovra.
-Scusa.- Lei si sistemò una ciocca di capelli e lo guardò con un’espressione divertita e preoccupata insieme.
-Ricordami di non accettare più tuoi passaggi. O almeno di fare prima il testamento.- Mentre parlava gli indicò un palazzo bordeaux dall’elegante porta d’ingresso nera. Parcheggiò di fretta e male dietro un’utilitaria grigia e appena spense il motore la tensione sembrò colpire anche Matilde.
-Eccoci…- Le sorrise cercando di interpretare la sua espressione. Era bastato girare la chiave della macchina per farla ammutolire.
- Eccoci… grazie del passaggio Luca.- Lui alzò le spalle, minimizzò la cosa, che in effetti non era nulla. Lo avrebbe fatto anche senza quel doppio fine che aveva in mente.
-Di nulla.- Sospirò e le fece la domanda da un milione di euro. Quando le chiese se poteva salire su con lei la vide arrossire e distogliere lo sguardo.
Non era la reazione che si era aspettato, di solito riceveva un si, un bacio o almeno una conferma (oddio ad essere del tutto sinceri era successo anche che lo rifiutassero malamente, nessuno era perfetto). Eppure era certo di interessare a Matilde, lo aveva visto nel suo modo di arrossire, di abbassare lo sguardo e di osservarlo a lungo.
-Sapevo che me lo avresti chiesto, stavo pensando a questo prima.- Lui annuì impaziente.
-Ma per quanto tu mi piaccia la risposa è no. Anzi assolutamente no.- Una cosa che aveva sempre notato era che le donne adoravano fare dei discorsi di quel genere, mettere insieme cose e concetti che insieme stonavano terribilmente e auto contraddirsi. Per quanto tu mi piaccia significava una cosa, ma quel rifiuto aveva tutto un altro significato… o almeno quello era ciò che la logica dettava.
Annuì sconfitto, preferì non insistere.
“Ho perso la battaglia, non ho ancora perso la guerra”
Era meglio non fare troppo il disperato, anzi in certe occasioni era persino consigliabile una buona e sana dose di orgoglio. Perciò annuì e le chiese di poterla almeno accompagnare al palazzo.
Lei gli sorrise e annuì.
Alla fine la seguì fino all’ascensore, lei si bloccò a cercare le chiavi mentre Luca alle sue spalle si allungò per schiacciare il tasto.
Le porte scorrevoli si aprirono all’improvviso sorprendendoli e lo specchiò dell’ascensore li immortalò in quel momento di vicinanza e quasi intimità. Lui era ancora chinato, il viso pericolosamente vicino al suo collo cosi invitante, l’espressione del suo viso poi era talmente desiderosa che quando Matilde lo vide attraverso il riflesso perse di nuovo le chiavi nella pochette. Sarebbe stato normale vedere quella scena di una coppia, perché sembravano così belli e veri, fatti quasi l’una per l’altro. In realtà non si conoscevano nemmeno, nemmeno sapevano i rispettivi cognomi. Così quel riflesso così strano, raro e inaspettato li bloccò sul posto, Luca trattenne il respiro mentre uno strano bisogno gli attraversò il petto fino ai lombi.  
Appoggiò le mani sulla sua vita e la spinse leggermente indietro facendola aderire contro di se e lasciando che le porte si chiudessero di fronte. Matilde si girò velocemente e guardò gli occhi scuri di quel ragazzo così silenzioso, poi il suo sguardò non potè non scendere fino alle sue labbra dischiuse e una voce chiara nel suo cervello si chiese quanto tempo ancora avrebbe voluto aspettare e farla impazzire
-All’inizio ho avuto paura che fossi tu la famosa Carla di cui parlava sempre Jo, quando poi ho scoperto che non eri lei non sono riuscito a staccarti gli occhi di dosso.- Lei sospirò e distolse lo sguardo, doveva averla imbarazzata parecchio con quella frase, ma era meglio sfruttare quell’onda di coraggio (un po’ alcolico) e fare breccia dentro di lei in quel momento. D’altronde si diceva sempre che il cuore delle donne fosse mutevole, farla emozionare così gli avrebbe permesso di non essere dimenticato così in fretta.
-A quante lo hai già detto?- Lui ridacchiò, nonostante fosse così imbarazzata non perdeva occasione di punzecchiarlo. Sempre più eccitante.
Le prese il mento tra le dita e la costrinse a guardarlo di nuovo.
-Solo alla peggiore.- Passò un dito sul suo labbro inferiore, poi la mano si spostò nella nuca e l’attirò verso di se.
Quando sentì la morbidezza di quel bacio dovette davvero trattenersi dallo stringerla come le sue braccia avrebbero voluto. La sentì gemere piano e con la lingua prese a carezzare quella della ragazza. Poi avvicinò il corpo di Matilde al suo, abbastanza da sentirla contro ma così tanto da farla fuggire via in quell’ascensore.
Si staccarono dopo alcuni secondi, lei aveva il respiro talmente affannato da farlo sorridere. Decise di dare una tregua alle sue labbra e dopo averle fatto un sorriso divertito prese a baciarle dolcemente la pelle del collo, spostando la sciarpa mano a mano che scendeva. 
Era evidente che la cosa le piacesse particolarmente, e anche il fanciullo nei piani bassi sembrava apprezzare la morbidezza della sua pelle, ma appena tentò di riappropriarsi di quelle labbra una voce li fece sobbalzare e voltare.
Un uomo di mezza età li guardava scocciato e con le braccia incrociate.
Nessuno dei due si era accorto della sua presenza, anche se sicuramente doveva essere entrato dalla porta d’ingresso. La divisa che aveva addosso lasciava poco spazio all’immaginazione, il portiere del palazzo era appena tornato a lavoro.
-Ragazzi vedete di calmare i bollenti spiriti, sono le sette e l’ingresso non è una camera da letto!- Se si fosse trovato a casa sua avrebbe probabilmente riso a crepapelle, ma vedendo l’espressione imbarazzata di Matilde decise di evitare altre figure di merda.
-Io… ecco, devo proprio andare.- la guardò sistemarsi meglio la sciarpa e cercare di nuovo le chiavi nella borsa.
-Ci sentiamo presto Matilde.- Lei lo guardò con una strana espressione ironica, come se in realtà non credesse alle sue parole. Le avrebbe voluto dire che ancora non sapeva in cosa si era cacciata affascinandolo in quel modo. In realtà nemmeno lui sapeva davvero in che cosa si era cacciato… e col senno di poi avrebbe ricordato quegli istanti per tutta la vita.
Le rubò un ultimo bacio a stampo e poi corse via da là prima che il portiere lo linciasse.
Appena entrò in macchina la prima cosa che fece fu prendere il telefono e chiedere il  numero di Matilde a Jo.
 

 
 
 
 
 
La campanella della scuola lo fece sobbalzare leggermente, aveva la testa immersa in vecchi ricordi e l’incontro del giorno prima con Matilde ne era probabilmente la causa. Sapeva benissimo che dopo ogni loro incontro i problemi irrisolti sembravano non solo accumularsi ma tornare anche pericolosamente a galla. Se tempo prima erano quasi tutti problemi di sopravvivenza (come dividere l’affidamento della bambina, poi era sopraggiunto il fatto che lei non volesse il suo denaro, per non parlare poi delle pressioni delle loro famiglie) ora invece che le cose erano più organizzate vecchi attriti sembravano tornare in superficie.
Quel sabato, come quasi tutte le settimane, era il  suo turno con Eva. La tabella di marcia era sempre la stessa da ormai più di un anno: Matilde accompagnava la bambina a scuola, lui poi andava a prendere nell’appartamento (di cui aveva le chiavi) il piccolo trolley con i vestiti e alle due andava a prenderla all’asilo, per poi riportarla a casa sua la domenica sera.
Uscì dall’abitacolo della macchina e camminò verso il cancello rosso dell’asilo, dove un importante numero di mamme, nonne e zie entravano in fila disordinata. C’era anche qualche altro uomo, ma loro erano perennemente in minoranza e la cosa lo metteva sempre alquanto a disagio. Non che qualcuna di loro fosse mai maleducata nei suoi confronti, ma le donne tendevano a guardarlo in modo un po’ troppo curioso, a spettegolare poco delicatamente di fronte a lui e a fare domande trabocchetto. In realtà sapeva già quali risposte dare alle ripetitive domande, la più gettonata era sempre dove fosse la bella Matilde… come se lui dovesse sempre essere al corrente dei suoi spostamenti. Lui rispondeva con un sorriso tirato  e qualche monosillabo, per tutto il tempo non faceva altro che sperare che Eva uscisse in fretta dalla classe. Di solito poi ci si metteva anche la maestra che lo salutava, anche lei lo riempiva di domande e lo invitava sempre a qualche incontro, colloquio, e chi più ne ha più ne metta. Era quasi certo che sua madre lo avesse cresciuto decentemente anche senza andare ogni settimana a qualche colloquio. La cosa che lo faceva sempre sorridere era che la sua insegnante dell’asilo per due anni aveva pensato che sua madre fosse Carmela, la loro governante argentina.
Comunque anche quel giorno dovette spiegare a una nonna che lui non era ne il fratello più grande di Eva ne suo zio, e che ancora non aveva sposato la mamma della bambina. Per fortuna prima che lei cominciasse a rimproverarlo per la sua vita sregolata sentì la voce di Eva chiamarlo e in un attimo se la ritrovò allacciata alle ginocchia.
-Ecco la principessa!- Lei sorrise, gli prese la mano e senza smettere un secondo di parlare si avviò con lui in macchina riuscendo a salvarlo dalle grinfie rachitiche della nonnina tutt’altro che gentile. Appena si allontanarono dalla folla lei cominciò a parlare a raffica.
-Poi Ramona ha detto che lei era la fidanzata di Matteo, e che io dovevo cercarmene un altro!- La guardò dubbioso, facendo quasi fatica a seguire le sue elucubrazioni infantili.
-Matteo? Ma non eri fidanzata con Giuseppe?- Lei sollevò gli occhi al cielo per poi guardarlo quasi penosamente.
-Papà sei proprio smemorato! Tanto tempo fa stavo con lui, almeno 10 giorni fa. Non lo volevo più e Matteo ha gli occhi azzurri azzurri. Così è diventato il mio nuovo ragazzo, ma mi ha lasciato.- Lui sospirò affranto. Se a 5 anni doveva sentire parlare di ragazzi non voleva nemmeno immaginare che discorsi avrebbe dovuto affrontare nel giro di 10 anni.
-Amore i bambini sono così. Ricordati sempre che i maschi sono cattivi, e puzzano…- Lei arricciò il naso.
-Sono dei traditori, non ti devi fidare mai di loro. Anzi diciamo che fino ai 25 anni non devi fidarti di nessuno ok?- Lei ci pensò su.
-Ma tutti i maschi sono così?-
-No, io no, e nemmeno nonno è così. Ma perché noi siamo grandi.-
-Alfredo?- Lui si sforzò di non grugnire al sentire il nome di quell’idiota dell’amico di sua madre.
-Alfredo puzza amore, si sente lontano un miglio.- Avrebbe voluto aggiungere qualche altra descrizione, ma se quelle parole fossero arrivate alle orecchie di Matilde poi avrebbe passato dei minuti poco piacevoli. Si sforzò quindi di trattenersi.
Eva invece spalancò la bocca, sembrava le avessero appena mostrato la sacra sindone. Lo ascoltava con un’attenzione assoluta, come se dalla sua bocca potessero uscire solo verità e teorie meritevoli del Nobel, chissà fino a che età avrei avuto tutto quell’ascendente… sperò che durasse il più possibile.
-È vero! Puzzano !- Dovette trattenere a stento le risate per l’esclamazione della bambina. La guardò mentre ridacchiava e osservò le due codette laterali e i dentini da latte che spuntavano dal sorriso. Nonostante fosse ancora cosi piccola a volte ci vedeva talmente tanta Matilde da fargli impressione.
Parcheggiò di fronte al villino dei suoi e aiutò la bambina con la cintura. Come al solito volle suonare lei il citofono e rispondere alla voce di sua nonna Carola.
Luca anche nelle piccole cose vedeva quanto i suoi genitori amassero quello scricciolo di bambina. Quando andava a trovarli lui sua madre ci metteva una vita ad aprire e il benvenuto gli era spesso data da Carmen, la loro governante.  Sospettava invece che per Eva sua madre  restasse appostata alla finestra in attesa di vedere la sua macchina arrivare dall’angolo. Per non parlare di suo padre.
-EVA!!- Si parlava del diavolo… suo padre, il famoso chirurgo Rocciani li salutava dal giardino di destra brandendo con la mano un paio di cesoie e qualche fiore nell’altra.
-Nonno!- Eva si staccò dalla mano del padre e corse verso il secondo uomo che non trovava inutile e puzzolente, il suo adorato nonno, che per lei metteva da parte quel suo fare freddo e autoritario  per che tutti gli ricordavano e temevano. In realtà entrambi i suoi genitori sembravano essere altre persone in compagnia di Eva.
Vide suo padre baciarle la manina e regalarle una margherita, poi la bambina corse verso l’ingresso, senza fare ovviamente attenzione a dove metteva i piedi e raggiunse la nonna negli scalini d’ingresso.
Luca si avvicinò a suo padre  che intanto aveva ripreso a tagliare alcuni fiori e potare distrattamente qualche cespuglio.
I due si assomigliavano abbastanza, anche se suo padre aveva i capelli ingrigiti e una figura un po’ più massiccia di lui. Era comunque un bell’uomo e si portava piuttosto dignitosamente i suoi 60 anni.
-Ciao pà.- suo padre fece una pausa per rispondergli con un gesto della mano e un sorriso,  poi riprese il suo lavoro. Ormai sapeva che i suoi saluti silenziosi erano la normalità. Ultimamente sembrava essere al risparmio di parole.
-Sto pensando di piantare un salice qui. Mi sono stufato di questi merda di fiori.- Luca si sforzò di non ridacchiare. Era quasi convinto che suo padre non avrebbe mai rinunciato a quelle aiuole rigogliose, nonostante volesse fare il duro era più che orgoglioso delle sue doti, in più erano anni che sbandierava a tutti i venti quanto le sue rose fossero nettamente superiori di quelle del notaio Moscherini, suo vicino di casa ed eterno rivale. Decise però di dargli come al solito corda.
-Si, se ti sei stufato credo sia una buona idea. Il salice renderebbe in giardino più accogliente.- Il padre annuì convinto.
-Magari ci facciamo un’altalena per Eva. Tu intanto reggimi i fiori, li porto dentro da tua madre così non si lamenta.-  Guardò il punto del giardino che aveva indicato per il salice, ci pensò su, poi parve scacciare l’idea.
-Come va il lavoro allo studio, si tira avanti?- Si alzò velocemente in piedi e si pulì i pantaloni dall’erba incastrata nel tessuto.
-Si, alla grande. Anche troppo per uno solo.- Suo padre annuì. Anche lui ai suoi tempi aveva fatto troppi straordinari e sapeva quanto all’inizio fosse dura gestire il tutto, soprattutto all’inizio quando ci si prefiggono degli obbiettivi che fisicamente sono praticamente irraggiungibili.
-Non esagerare te l’ho detto, sai quanto giovi poco voler fare tutto da soli. Se hai bisogno di una mano non farti problemi e cercala.- Anche in questo caso parlava per esperienza.
-Si, sai che già ci stavo pensando, credo che già dalla prossima settimana comincerò a guardare qualche curriculum.- Suo padre annuì d’accordo. Si girò di nuovo verso l’aiuola e osservò il risultato del suo lavoro.  A giudicare dalla sua espressione corrucciata non era molto contento… guardava scettico la piccola siepe che era talmente quadrata da risultare troppo innaturale, o almeno così pensava Luca, ma lo sguardo insoddisfatto di suo padre gli fece capire che in fatto di botanica, come in mille altre cose, la pensavano in modo molto diverso.
- Questa pianta se non si riassesta la faccio fuori!- Ecco…
-Papà lascia stare la povera fauna del giardino. Entriamo, ho una fame che divorerei un vitello.- il vecchio dottore annuì e gli prese i fiori dalle mani.
-Tua madre ha preparato di tutto oggi, non credo patirai la fame.-
 
E in effetti sua madre si era davvero superata: in primo luogo aveva cucinato lei, e non aveva lasciato tutto alla loro governante, in più aveva cucinato i piatti preferiti della nipote.
Eva divorò quanto più potè, finendo per aver  difficoltà ad alzarsi dalla sedia. Ovviamente di addormentò subito dopo pranzo sul divano dell’altro salotto con addosso il loro vecchio gatto Bengala.
Carmen sparecchiò velocemente mentre sua madre portò il caffè.
-Ci mancava Eva, era quasi due settimane che non la vedevamo.- Una nota di rimprovero nella voce della padrona di casa gli fece quasi sollevare gli occhi al cielo, fu abbastanza forte da riuscire a trattenersi e spiegare che la settimana prima era dovuto andare al congresso, cosa che tra l’altro le aveva detto e ricordato mille volte.
-Eh lo so del congresso, ma sarebbe potuta venire insieme a Matilde a pranzo la domenica, o il sabato…- E in quel momento nonostante ci avesse davvero provato gli occhi andarono a finire nel soffitto, perché aveva già capito dove sua madre sarebbe arrivata.
-Insomma lo sai che a me Matilde  piace moltissimo. È sempre bello averla in casa… è così fine, educata, ha una cultura artistica veramente incredibile!- La donna ormai aveva gli occhi che brillavano, era talmente immersa nella sua lode che aveva persino unito le mani in preghiera. Chi stesse poi pregando era un mistero, forse lui, o forse una statuina dalle sembianze di Matilde messa come nuovo soprammobile, in fondo non si sarebbe sorpreso nemmeno di quello.
C’era da dire che quando era riuscito a confessare ai suoi genitori che nel giro di sei mesi sarebbe diventato padre gli insulti erano stati equamente divisi a entrambi. Matilde era stata definita da sua madre: arrivista, donnaccia, arrampicatrice sociale, puttana, donna di facili costumi e ricordava qualcosa come “sarà la vergogna della nostra famiglia” (o forse quello era stato dedicato a lui). Poi l’incantesimo era avvenuto quando l’aveva incontrata. Per sua madre era stata come la figlia che non aveva mai avuto, anzi meglio… non l’aveva dovuta partorire e allevare, era arrivata già perfetta con una nipotina al seguito.
E da allora in quella casa il nome Matilde era secondo solo a quello di Eva. Poi in ordine arrivavano Benagala e lui.
-Ma se la adori così tanto perché non la inviti? Hai tanto di telefono…- Lei fece una smorfia buffa che probabilmente in un'altra occasione l’avrebbe fatto ridere.
-Ho paura di sembrare indiscreta…o insistente.- Girò il caffè pensierosa,  poi d’improvviso lo guardò in cerca di aiuto. Preso dalla pena decise di tranquillizzarla.
-Mamma ma figurati… non è la tipa da pensare queste cose.- vide la donna sorridere e annuire d’accordo con lui.  Erano bastate tre mezze parole a convincerla.
-Hai ragione… le scriverò subito su Whatsapp! Ho visto che ha cambiato anche immagine di profilo, è proprio bella!- Si costrinse a non annuire o darle corda. Perché anche solo il farle pensare che trovasse Matilde bella o annuire innocentemente  sarebbe stata la sua fine. Che poi probabilmente quella ormai era già molto vicina a giudicare dalla foga con sui cua madre spiaccicava le dita sul touch del telefono.
Suo padre, più furbo e fortunato di lui poggiò la tazzina sul vassoio, prese il giornale e si avviò nella veranda, mentre Luca si trovò letteralmente in balia di sua madre (con uno smartphone in mano oltre tutto).
-Ecco… l’ho invitata a cena il prossimo sabato, e se non può anche a pranzo la domenica!- Luca si sforzò di non farle notare quanto l’invito sembrasse disperato, infondo ormai ci aveva fatto il callo.
-Vedrai che verrà.-
-Oh si, è così educata che non rifiuterebbe mai! Lei ci tiene così tanto a questa famiglia…hai visto che ha rammendato il ricamo sul grembiule di Eva?- Come al solito sua madre si attaccò ai soliti dettagli insignificanti, e forse persino inesistenti. Matilde odiava quelle piccole cose che sua madre invece insisteva ad avere, anzi ottenere. Come i nomi ricamati, le scuole private, le vacanze  alle Maldive sempre uguali a cui lui era stato abituato… insomma per quanto amasse le cose belle non sopportava l’ostentazione.
-No, ma poi chi cavolo se ne frega del ricamo. Secondo te a lei davvero importano queste cose?- Non riuscì, ne tentò, di nascondere il tono sarcastico e probabilmente quell’errore fu la goccia che fece letteralmente traboccare sua madre, tanto che sbattè la tazzina sul tavolo e lo fulminò con un’occhiata al vetriolo.
-È inutile che fai il sarcastico bello mio.- Il cambiamento da donna posata a banshee era stato talmente improvviso da farlo persino allontanare.
- Lo sappiamo entrambi che ti sei fatto sfuggire la donna della tua vita! Sai quante se ne trovano come lei? ZERO! Le vedo le figlie delle mie amiche cosa combinano a trent’anni, sono a casa a bere della mattina alla sera, cambiano uomo come i fazzoletti e hanno figli a quarant’anni!- LA guardò agitarsi sempre di più sulla sedia e sforzarsi di non urlare per non svegliare Eva.  L’unico a guardare la scena era Bengala che li osservava attento, doveva essere stato attirato là dalla voce della padrona.
-Mamma vuoi calmarti?-
-No Luca, non mi calmo! Non ci hai nemmeno provato con lei… e non è giusto che Eva cresca con due genitori separati.-
- Le ho persino chiesto di sposarmi, le ho pure comprato l’anello… Dio che dovevo fare di più: rapirla e chiuderla nello scantinato sperando che cambiasse idea?-Stavolta fu sua madre ad alzare gli occhi al cielo.
-Ovvio che non intendevo questo… ma conoscendoti chissà come le hai fatto la proposta. Come minimo le avrai fatto persino capire che non era totalmente una tua idea.- Quello fu troppo, con uno scatto si alzò, il gatto scappò e sua madre finalmente si zittì. La guardò con lo stesso sguardo che lei gli aveva dedicato poco prima e finalmente riuscì ad ottenere il silenzio. Evidentemente qualcosa da lei aveva ereditato.
-Ma mamma devo ricordarti che non è stata una mia idea? Ti ricordi che tu mi hai letteralmente ricattato?!- Lei boccheggiò in difficoltà. In quella casa vi erano alcuni discorsi tabù, e quello della proposta di matrimonio di Luca era il primo della lista nera.
-Se tu non avessi rotto così tanto i coglioni adesso Matilde non scapperebbe ogni volta che cerco di avvicinarmi.
-Non vorrai farmene una colpa spero?!-
-E di chi sarebbe la colpa?  Hai sfruttato il momento per manipolarmi come al solito.- Lei digrignò i denti e parve sul punto di alzarsi. Poi con un sospiro decise di arrendersi. La vide abbassare le spalle e guardare a terra sconfitta e forse anche un po’ in colpa.
-Pensala come vuoi. Ho fatto ciò che credevo giusto.-
-Oh su questo non ho dubbi. Comunque non venire a ricordarmi ogni tre minuti cosa ho perso, perché già lo so da solo. Ricordati solo che a volte chi si fa i cazzi propri campa cent’anni.-
 
 
Tornare dai suoi il fine settimana era un vero toccasana. Le bastava riempire una borsa di vestiti e guidare fino al loro appartamento per tornare letteralmente indietro nel tempo.
Di solito si rifugiava là quando Eva era da Luca o dai nonni. In quei due giorni poteva permettersi finalmente di smetterla di pensare a tutto. Cucinare non era un suo problema, la sveglia non esisteva e l’unico fastidio era quella spina nel fianco di sua sorella Monia, ma anche quest’ultima il fine settimana sembrava più che propensa a stare in versione ghiro.
Così anche quel sabato mattina aveva suonato a casa sua e il primo che aveva abbracciato era stato proprio il suo mitico e immutabile letto.
Sua madre era rimasta a bocca aperta dalla sua velocità nell’infilarsi il pigiama, i pit stop della Ferrari in confronto erano fatti con calma…Aveva afferrato un vecchio romanzo e si era poi gettata a capofitto sotto il piumone.  L’aveva sentita borbottare qualcosa a proposito di crescere o di aiutarla in cucina, ma come al solito tirò fuori la scusa di essere un’ospite e riuscì a evitarsi le faccende. Passò nella lettura almeno due ore prima che qualcuno interrompesse quell’idillio.
-Hei.- La voce di sua sorella la fece letteralmente sobbalzare, era talmente intenta a guardare una del libro da non essersi accorta della sua presenza.
-Ciao Monnie.- chiamava così Monia  da quando era piccola, era sempre stata fissata con il personaggio di Minnie, così le aveva affibbiato una fusione tra i due nomi e il soprannome era stato così azzeccato da essere rimasto utilizzato in famiglia anche dopo 18 anni. Di fronte a lei però la ragazza che la osservava appoggiata alla porta era molto differente dalla Monnie che aveva lasciato prima di andare a vivere con Carla e iniziare l’università.
-Come stai?- La ragazza sollevò le spalle. Aveva ancora addosso il pigiama in pail ma nonostante il look casalingo sembrava comunque uscita da una rivista. A guardarla attentamente notò però le occhiaie scure sotto gli occhi chiari e il colorito troppo pallido
-Il solito. Stanca di studiare…-
-La facoltà deve essere dura… non hai mai avuto difficoltà con lo studio.-
-È pur sempre medicina… in più Microbiologia mi distrugge letteralmente. Tu come te la passi?- Si sedette sul bordo del letto e le sorrise leggermente. Finalmente sotto quell’apparente strato di stress e tristezza riapparì la vecchia Monia insieme alle sue simpatiche fossette.
-Bene, questa settimana è volata.- Si stiracchiò e mise da parte il libro. Per una volta che sua sorella voleva intavolare una conversazione era meglio concentrarsi su quello. Non parlavano da tempo, di lei sapeva solo le cose che le raccontava sua madre, notizie che comunque erano strettamente legate all’università. Era sempre stata molto più riservata di lei, perciò sospettava che in casa nessuno sapesse realmente nulla di più.
-Si anche la mia. Sono stata alla galleria qualche giorno fa, non ti ho trovata.-
-Davvero? Come mai sei passata?-
-Volevo vedere un quadro di Carrendè, quel vecchio francese che aveva fatto parlare di sé per la storia con la Bardot.- Matilde annuì, avevano portato una sua tela all’inizio della settimana, era in assoluto il dipinto più costoso di tutta la Galleria, e quello che avrebbe attirato la maggior parte del pubblico. Era un meraviglioso dipinto dai toni rosso cupo, ma più che per la bellezza era conosciuto per l’autore.
-Bellissimo vero?-
-Meraviglioso. Scusa se non ti ho aspettato.- Lei fece un gesto veloce con la mano e le sorrise.
-Non fa nulla. Quando vuoi passare non farti problemi. Puoi anche rubare qualche tela tanto paga Alfredo.- Lei ridacchio e si sistemò una ciocca scura e liscia dietro l’orecchio. Le due si somigliavano molto, anche se Monia era più alta e ultimamente aveva quel fascino da ragazza triste che Matilde aveva spesso visto in alcune tele. Doveva essere popolare fra i ragazzi, una ventenne come lei non passava certo inosservata, le sarebbe piaciuto chiederglielo  come tutte le normali sorelle avrebbero fatto, ma aveva paura di spezzare quello strano equilibrio creatosi.
-A proposito, ho finito quel libro che mi hai prestato.- Andò fino alla stanza e tornò con una borsa grigia. Frugò per un po’ dentro.
-Non lo trovi?- Monnie sbuffò e si alzò  di nuovo.
-No, deve essere in quella vecchia… questa ce l’ho da poco.- Ritornò nella sua stanza, la sentì frugare e buttare qualcosa a terra. Era sempre stata disordinata, almeno un difetto lo aveva.
Poi un lampo passò nella mente di Matilde e lo sguardò cadde come attirato da una calamita sulla borsa grigia poggiata sulla sua coperta. L’odore di pelle nuova le stava inondando le narici ma solo in quel momento si ricordò dove aveva già visto una borsa identica a quella.
La girò per guardarla meglio e proprio in quel momento entrò Monnie.
-L’ho trovato, lo poggio nella scrivania.- Matilde la guardò sedersi di nuovo nel letto dopo aver messo via il piccolo libro.
-Questa borsa è molto bella… stavo pensando di prenderne una anche io.- Monnie annuì  e accarezzò distrattamente la pelle dura dei manici..
-Ma quando ho visto il prezzo ho deciso di aspettare. Magari per Natale.- Vide Monia sorridere.
-Fai bene, io ho aspettato per i saldi, altrimenti non me la sarei mai potuta permettere.- Era ovvio che non se la potesse permettere, quella borsa costava più di seicento euro e i suoi genitori non erano mai stata i tipi che avrebbero dato tutto quel denaro alle loro figlie per una borsa.
-Però mi sono pentita di aver speso così tanto. L’ho vista su troppe persone.- Matilde avrebbe voluto avere tra le mani il veritaserum in quel momento, o anche una bacchetta magica non avrebbe fatto male. Il solo sospetto che tra Alfredo e Monia ci fosse qualcosa le faceva ribollire di rabbia il sangue. Alfredo non era raccomandabile per nessuna donna avesse un cervello funzionante e un po di amor proprio, figuriamoci per una ragazza di vent’anni. Per quanto ne sapeva l’ultimo ragazzo serio di sua sorella risaliva al liceo, non era proprio il caso di rovinarsi gli anni migliori dietro uno come lui.
-È costata così tanto?- Negli occhi della sorella non vide nemmeno un lampo di incertezza mentre le diceva il prezzo esatto della borsa. Decise di tranquillizzarsi, le coincidenze esistevano e in fondo quella era semplicemente una bella borsa, chissà quante altre donne in quella città l’avevano identica, mica tutte potevano avere a che fare con Alfredo...
 
 
Allora… prima di tutto mi dispiace tantissimo per il ritardo, ma questa università mi distrugge e anche se davvero può sembrare una semplice scusa sappiate che per colpa sua non sono riuscita in tutto questo tempo ad aggiungere l’ultima parte del flashback, tutto il resto lo avevo già scritto da un po’. Perciò care lettrici vogliate perdonare una povera studentessa stressata e dalle occhiaie infinite!!!
Bando alle ciance, parliamo di cose serie. Questo flashback è stato un parto… all’inizio nella mia testa lei lo avrebbe dovuto far salire a casa, ma non so… alla fine nello scriverlo mi è sembrato più carino aspettare. Qui conosciamo un po’ meglio Luca, la sua famiglia, il suo modo di essere e grazie a lui anche Matilde. I genitori di Luca mi fanno morire, questo capitolo è stato un po’ drammatico per la loro famiglia (soprattutto con sua madre, ma ne vedrete delle comiche). Monnie (o Monia, è uguale) la adoro, è un personaggio molto introverso, io l’adoro.
I sospetti di Matilde saranno fondati?
Perché nessuno mi regala mai borse costose, e nemmeno poco costose?
Riuscirò a scrivere del pranzo domenicale del prossimo capitolo senza morire nel tentativo o farvi diventare vecchia prima?
La risposta è ovviamente top secret… ringrazio tutti per le recensioni, chi ha inserito la storia nelle preferite, da ricordare ecc… grazie ragazze, vi mando un bacio virtuale, anzi ve lo manda quel bono di Luca che è meglio! O se preferite vi faccio mandare una borsa Gucci da Alfredo… basta chiedere eh!!!!
Alla prossima, che arriverà quando meno ve lo aspettate…
 
 
 
P.S: capperi che super commentone, dovrei limitarmi a scrivere quelli e non capitoli di ff
   
 
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