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Autore: tixit    10/12/2015    9 recensioni
Brevissima storia su una scelta e tutto quello che è venuto prima.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Hans Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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3. Un Cognac Borderies

Innervosita si ritrovò a percorrere con passi lunghi il suo salottino – il tacco degli stivali affondava nel tappeto e lei si sentiva come un felino che cammina senza far rumore, ma dove era la sua preda? E, soprattutto, chi avrebbe dovuto attaccare?

“Acqua di fonte in bicchieri di cristallo” mormorò indispettita, ma come si permetteva? Un uomo dai capelli lunghi che le dava consigli di vita? A lei? Proprio a lei? Il suo capo?
Quello era chi avrebbe voluto attaccare: un uomo dai capelli troppo lunghi per essere preso sul serio.

Con un gesto brusco aprì uno stipetto e ne trasse una bottiglia di cognac – veniva dalle Borderies, non era quel tipo di bere che servono nelle guinguette fuori porta, dove il vino costa troppo poco perché valga la pena di pagare il dazio e portarlo dentro Parigi: quello era cognac da meditazione.

Tolse il tappo con un gesto deciso ed annusò rapita: burro, gelsomino e incenso. Altro che acqua di fonte. Acqua gelida come un uomo che non alzava mai la voce, il suo eterno secondo. L’acqua andava bene per lui, come il cristallo, per lui che era ghiaccio. Per lei, che era di fuoco, ci voleva ben altro.

Si versò un bicchiere e sedette su una poltrona accanto al camino.

Annusò agitandolo piano il bicchiere, scaldato dalla sua stessa mano... aroma rustico come una cucina normanna dove il burro non mancava mai: il gusto delle sue estati di ragazza – sempre accanto ad André, il suo migliore amico. Si rabbuiò e bevve il primo bicchiere d’un fiato. Le parve salato come le lacrime che aveva versato. Rabbiosa non volle ricordare.

Cosa ne poteva sapere Girodelle dell’agnello cotto nel burro sfrigolante, del pane immerso nel sugo unto, del sapore delle erbe selvatiche, mentre il vino scorre e le risate rotolano su un tavolo? Lui che di sicuro aveva un cuoco e cenava impettito in qualche salone del suo palazzo, solo come un boia?

Solo come lei, pensò irritata stringendo il bicchiere tra le dita.

Si versò ancora da bere, e ripeté il rito... eccola la nota carnale come il fiore del gelsomino.

Carnale come lei era stata solo una volta, malata d’amore per un uomo che non la voleva – e avrebbe potuto averla, ah se avrebbe potuto... - eppure la assaggiava, mani pronte a saggiare la sua reazione come lei avrebbe fatto con un cavallo o con una pistola, giusto per capire come reagiva, che ci si poteva fare con una come lei, che piacere gli avrebbe dato in cambio sotto le sue mani, che trucchi le avrebbe potuto insegnare, per cosa era portata.

Lui le aveva letteralmente buttato giù il sorriso a colpi di pistola, mentre inseguiva, ridendo, la scia della sua pelle d’oca con la punta delle dita, un dolore peggio che il ramo nel braccio quando non aveva ancora venti anni. Non una parola d’amore da quelle labbra. Nemmeno una rassicurazione su quello che stavano facendo, su cosa faceva lei... solo il pentimento, dopo, di lui verso Lei, la donna che davvero amava, quella che se non ci fosse stata allora lui forse con lei...

Ma per lei, mentre la sfiorava, solo una risata gorgogliante “Non siete una dea dunque, siete una donna” come se essere donna fosse solo essere una scia di desiderio sotto le dita di lui e null’altro – forse era vero, le donne, lei, le aveva sempre disprezzate (tranne le sue sorelle, anche se poi, quel tranne, non era stato poi nemmeno per tutte e nemmeno tutte le volte, e, a dire il vero, nemmeno proprio tutto il tempo).


Le frasi di Girodelle allora le avevano bruciato i pensieri,  più che la pelle sotto le dita di quell’altro – l’aveva paragonata ad un giocatore, di quelli che si rovinavano alla luce delle candele, incapaci di dire basta sia quando vincevano sia quando perdevano. Gente sciocca, debole e malata che riempie i vuoti complicandosi la vita.

Non lo aveva capito nella stanza, quando s’era voltato a dire la sua, saggio come il corvo di una favola e altrettanto indisponente. Sgradevole consigliere che non gracchiava, ma sussurrava frasi sibilline che al momento giusto prendevano un significato che faceva male.


Non lo aveva capito subito, ma dopo,  la volta dopo, da Fersen, lo aveva capito che ogni pezzetto della sua pelle che lei concedeva era una puntata disperata, sempre un po’ più alta, per cercare di recuperare quello che aveva già perduto. Candele anche lì. Anche lì qualcuno che vinceva e qualcuno che perdeva.
Il silenzio? lo stesso delle puntate pesanti.

Come si era vergognata che lui, Girodelle, il corvo, Maitre Corbeau, sapesse quello che lei faceva, lui che avrebbe dovuto solo fare quello che lei gli ordinava e starsene in silenzio, ma cosa ne poteva sapere lui del sentirsi vivi sotto le mani di qualcuno? Cosa ne poteva sapere del desiderio un damerino di Versailles che ballava con più grazia di lei?

Bevve d’un fiato anche il secondo bicchiere. E pure il terzo.

Le era costato alzarsi da quel tappeto quella sera e dire no, mi fermo qui, volevo solo vedere come era, altro non mi interessa – e non era vero, non era vero, se lui le avesse detto che c’era anche solo una minuscola briciola di affetto, lei si sarebbe voltata sulla porta, non sarebbe scivolata via libera come una piuma che se la porta il vento e non decide lei dove diavolo andare.
Si versò di nuovo da bere e aspettò, mentre il calore la invadeva piano, aspettò la nota di incenso, sacro come l’interno di una chiesa, dove si va per meditare sulle cose serie come la vita e la morte – pure per i matrimoni, sogghignò. Di quello Girodelle qualcosa sapeva pensò tra sé ridendo e bevve d’un fiato.

Il quarto. Il quinto. Il sesto.

Faceva caldo e piano si slacciò la camicia, allungando le gambe.

Lei c’era stata al fidanzamento della sposa di Girodelle, c’era pure suo padre – elegante come suo solito e freddo, freddo come sempre -  e c’era Girodelle appoggiato ad uno stipite di una porta – color avorio, coi fregi verdi, molto elegante, la porta s'intende: lui, invece, era vestito di blu scuro, coi ricami argentati sulle maniche. Abito sobrio adatto a un funerale.

Girodelle osservava quella ragazza, imperturbabile, come avrebbe guardato un bicchiere di cristallo, o un quadro molto bello, ma che non gli apparteneva.

Non era lui il fidanzato.
Non ci si aspettava che facesse nulla, se non decorare la stanza e questo lo faceva con un certo impegno.

Lei non aveva capito. Nessuno aveva capito.

La ragazza li aveva ringraziati tutti – cortese – che la perdonassero, ma cambiava fidanzato, le piaceva un altro, avrebbe pure potuto funzionare come amante – un tipo elegante, il marito avrebbe di certo gradito - ma non sarebbe stato serio: le piaceva troppo quell’altro ed era giusto che si prendessero cura, lui di lei e lei di lui, fino alla morte. Se lui voleva. E sennò nulla – non sarebbe morta per quello.

Imperturbabile lei, imperturbabile il fidanzato – l’aveva presa per un polso, ma poi, incerto l’aveva lasciata andare.
C’erano tanti pesci nel mare, aveva detto la ragazza, ben più appetitosi di lei, non era il caso di farne una tragedia: non si stava certo parlando d’amore in quella stanza, non se ne era mai parlato (solo di soldi) – quanto ai regali lei si sposava lo stesso. Solo con un altro. Se lui voleva. E sennò nulla.

Nel silenzio gelido della vergogna – di tutti loro - la ragazza era scivolata via dalla stanza, libera come un uccello, che non se lo porta il vento e che sa bene dove se ne vuole andare. S’era bruciata i ponti, s’era arresa, s’era fatta radere al suolo le mura difensive, aveva abbassato il ponte levatoio – forse era stato quello il solo modo per farsi ascoltare. Non glielo chiese mai – e avrebbe tanto voluto.


Girodelle, le braccia conserte, appoggiato pigro allo stipite non aveva detto nulla, l’aveva lasciata passare, sogghignando divertito. Imperturbabile ed elegante – l’ospite perfetto che non si scandalizza di nulla e non bisbiglia.

Lei non aveva capito. Nessuno aveva capito.

Tre giorni dopo Girodelle se l’era sposata - il tempo per le pubblicazioni e per renderla economicamente indipendente (sposa bizzarra, acquistata direttamente dal marito, invece che il contrario, come era uso). Cerimonia discreta, lei non era andata (forse avrebbe dovuto, ripensandoci, in ogni caso era un suo uomo, lavorava per lei, lo vedeva ogni giorno), quasi nessuno della famiglia della ragazza, gelati dalla disapprovazione, quasi nessuno della famiglia di lui. Non che a quei due importasse, le era chiaro. A lei come a tutti.
Quei due facevano come gli pareva.

Si chinò a fissare il bicchiere. L’ottavo. La bottiglia era finita, altrimenti c'era spazio pure per un nono e pure per un decimo, per quanto la riguardava.

A Girodelle non importava quello che gli altri pensavano dei suoi capelli. Se ne sbatteva proprio.

E si, Girodelle, coi suoi capelli lunghi e le sue frasi oblique, qualcosa del desiderio la sapeva, pure sul giocare d’azzardo e sulle mura abbattute, e sul veder giocare una posta alta (davvero alta) senza sperare in nulla. Sapeva tutto sui colpi di fortuna, quelli spettacolari.

Pure sull’incenso, le chiese e i matrimoni – e per tanto tempo non aveva cenato solo come un boia. Le sfuggì una lacrima e la lasciò andare.

E il cognac da meditazione è una gradevole abitudine di cui non abusare, altrimenti è come l’acqua vicino al ponte dei tintori, che lentamente t’avvelena e basta. Un altro modo di giocare d’azzardo sapendo di perdere e basta. Riempire un vuoto.

Con rabbia gettò il bicchiere nel camino – schegge nel fuoco, qualcuno avrebbe pulito, non certo lei, lei non si curava mai dei disastri che si lasciava dietro.

Si gettò stanca sul letto e s’addormentò di colpo.
   
 
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