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Autore: Titto91    12/12/2015    1 recensioni
Alexander Tarot è un orfano che per sopravvivere legge i tarocchi come ambulante. Complice il suo bell'aspetto è riuscito a racimolare un bel giro di clientela, soprattutto parecchie ragazze che lo interpellano spesso solo per sentirsi dire di avere qualche possibilità con lui. Un giorno però, proprio quando sta per smontare la tenda ed andarsene, arriva una ragazza diversa dalle altre: fiera, orgogliosa, lo tratta con sufficienza mentre gli chiede di leggere le carte per lei, e non aspetta neanche la fine del consulto. Quando gira l'ultima carta infatti Alexander si rende conto che la ragazza illustrata sulla carta si trovava di fronte a lui poco prima. E da quel giorno la sua vita verrà sconvolta per sempre...
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7


 

Era ormai sera quando salutò Matt lasciandosi il Neko Café alle spalle. La sottile striscia di luce di un vivido arancione proiettava la sua lunga ombra di fronte a lui. Si ritrovò a camminare fissandola, senza una meta precisa. Aveva bisogno di schiarire la mente.

Matt gli aveva promesso ulteriori ricerche, poiché era sicuro si trattasse solamente di una coincidenza.

“Sarà soltanto un caso. Ognuno di noi ha almeno 7 sosia nel mondo. Quella ragazza avrà un aspetto molto somigliante alla statua, è vero, ma chissà quante ce ne saranno in giro per il mondo!”

Ma se c'era una cosa che le carte gli avevano insegnato era che il caso non esiste. Sebbene gli uomini rifiutino di ammetterlo, le loro vite erano governate da una legge superiore che ne influenzavano gli eventi. Chi lo riconosceva veniva spesso additato come “credulone”, come capitava alle ragazze fuori dalla sua tenda. Gli altri preferivano far finta di avere il controllo delle loro esistenza.

Era ormai buio quando alzò di nuovo la testa, riprendendosi da quel flusso di pensieri. Si guardò intorno, cercando di cogliere qualche dettaglio che lo aiutasse ad orientarsi, ma sembrava essere arrivato in una zona della città a lui sconosciuta.

Si voltò, deciso a tornare sui propri passi e dirigersi verso casa. Ma avendo camminato con lo sguardo fisso a terra, ben presto si trovò in un vicolo cieco. Fu allora che lo avvertì.

Il vento. Gelido, sferzante. Proprio come quel giorno in cima alla Mole. Sgranò gli occhi mentre l'aria fredda gli muoveva i capelli. Impaurito, ma deciso, lentamente si girò.

La ragazza era lì, all'inizio del vicolo. Chissà da quanto tempo lo stava seguendo, ma troppo preso dai mille pensieri non se n'era accorto. Lo guardava fisso negli occhi, con aria di sfida, ma non disse niente.

Non ne poteva più. Lo stava realmente perseguitando. Tutta l'ansia e l'oppressione di quei giorni eslpose. Decise di chiudere la faccenda una volta per tutte.

“Cosa vuoi da me?! Ho scoperto chi sei, ormai non puoi più nasconderti! Perché la Giustizia mi sta perseguitando?! Cosa ho fatto di male?!!”

Un sorriso beffardo affiorò sul volto della giovane mentre inveiva contro di lei. Rimase deliberatamente in silenzio mentre il ragazzo riprendeva fiato dopo essersi sfogato. Poi, lentamente, cominciò ad avvicinarsi, i tacchi degli stivali che riecheggiavano nella stretta viuzza.

“Stai tranquillo, non sono come tutte le ragazzine che abbindoli, non sono innamorata di te” . Pronunciò le ultime parole con una vocetta infantile, scimmiottando le numerose ammiratrici che aveva e facendolo arrossire. Di nuovo. Si fermò a circa una decina di metri da lui.

“Voglio soltanto una cosa da te. Un oggetto, che dovresti avere con te anche adesso. Voglio il tuo pendente. Dammelo e me ne andrò per sempre”.

Portò la mano sinistra al collo sollevando la catenina d'argento. Strinse le dita intorno al cristallo azzurro.

“Intendi questo ciondolo? E a cosa ti servirebbe?”

“Questioni personali. Un ciarlatano come te non potrebbe capire” gli rispose passandosi una mano tra i capelli con aria di superiorità. Quell'atteggiamento lo fece imbestialire.

“Beh puoi scordartelo! È un ricordo di mia madre e non me ne separerò!”

La ragazza incrociò la braccia e ricominciò ad avvicinarsi. “Beh allora penso proprio che noi due abbiamo un problema. Vedi, io non te lo stavo chiedendo. E se non vuoi darmelo me lo prenderò da sola!”

Si avventò contro di lui alzando le mani verso il suo collo. Fu colto di sorpresa, non si aspettava un attacco così diretto. Riuscì a fermarla appena in tempo, stringendo le mani di lei tra le sue.

“Sei bravo” gli disse sprezzante. I suoi occhi sembravano ardere. “Ma non sei bravo abbastanza!”. Gli sferrò un calcio sullo stomaco. Per qualche secondo il suo respiro si fermò mentre cadeva all'indietro lasciando la presa.

Sbatté la schiena contro il muro in fondo al vicolo e rimase ansimante faccia a terra. A fatica si rialzò in piedi. Doveva combattere. Per il ricordo di sua madre.

“Non ti facevo una ragazza violenta” gli disse mentre cercava di riprendere fiato. Forse facendola parlare si sarebbe distratta.

“Non sono violenta. Sono solo più brava di te. Ora dammi quel ciondolo o dovrò continuare”. Allungò una mano in attesa.

Alzò le mani al collo, slacciandosi il sottile filo d'argento. Strinse il cristallo nel pugno e le si avvicinò.

“Vedo che sai riconoscere quando è l'ora di arrendersi” gli disse soddisfatta.

“Io si. E tu?”. Mentre lo guardava con aria interrogativa le diede una spallata, facendola finire in un mucchio di scatoloni di cartone ammassati l'uno sull'altro.

Approfittò del momento per scappare. Le costole gli facevano male e non riusciva a correre, ma doveva allontanarsi il più possibile. Non avrebbe mai voluto ferire una donna, ma aveva l'impressione che con quella ragazza non ci sarebbe riuscito neanche se avesse voluto.

Si ritrovò in una piccola piazza circolare da cui si dipanavano numerose vie secondarie. Non sapeva da quale direzione fosse arrivato ma forse sarebbe riuscito a far perdere le sue tracce.

Si affrettò in una delle tante stradine, cercando di muoversi il più in fretta possibile date le sue condizioni. Svoltò a destra, poi a sinistra, insinuandosi sempre più in quel dedalo di vicoli e mura. Poi, però, giunse al termine.

Era finito in un altro vicolo cieco. Si appoggiò al muro, cercando di riprendere fiato per poter ricominciare a muoversi. E in quel momento, lo sentì.

Il ticchettio dei suoi stivali sul selciato. Non stava correndo. Lei stava giocando con lui.

Apparve in cima alla via. Aveva lo sguardo divertito e un ghigno in volto. Teneva in mano qualcosa di lungo e metallico che rifletteva la luce dell'unico lampione. Un brivido gli percorse la schiena quando realizzò cosa fosse.

Teneva in mano una spada. No, non una spada qualsiasi, ma la spada!

La portava svogliatamente, con una mano sola, rivolta verso il basso, di modo che la punta della lama strusciasse per terra emettendo un sibilo acuto.

“Hai voluto metterti contro di me, Cartomante. Ma adesso è finita. Avresti dovuto consegnarmi il cristallo come ti avevo chiesto. Ora dovrò prenderlo da me!”.

Alzò la spada con entrambe le mani e cominciò a correre verso di lui. Chiuse gli occhi preparandosi al peggio. La ragazza menò un fendente verso l'alto, troppo presto per poterlo colpire veramente. In realtà stava cercando di rompere la catena d'argento con la punta della sua spada, ma aveva calcolato male le distanze.

La lama tranciò la stoffa della sua maglietta per tutta la sua lunghezza, esponendo il suo fisico asciutto e tonico. Un sottile rivolo di sangue gli colava dal petto attraversando gli addominali.

Dopo un tempo che parve infinito, riaprì gli occhi. Si guardò l'addome, assicurandosi di non avere ferite gravi, e poi alzò lo sguardo sulla ragazza. E per la prima volta non la riconobbe.

L'espressione arrogante e fiera era scomparsa dal suo volto. Le guance erano imporporate, gli occhi sbarrati, e si copriva la bocca con la mano che non reggeva l'arma con cui l'aveva ferito.

“Io... Io non...”. Era stupito di vederla per una volta senza parole, lei che rispondeva sempre per le rime a tutto.

Abbassò lo sguardo. Poteva forse essere... Imbarazzata?

“Ti chiedo scusa, non volevo spogliarti! Cioè volevo dire... “. Il viso le stava diventando sempre più rosso. “Non volevo tagliare la tua maglietta, sei tu che ti sei spostato!”, sbottò infine.

La guardava con aria confusa. Stava parlando con la stessa ragazza che l'aveva minacciato pochi istanti prima?

La ragazza si girò di scatto, dandogli le spalle. La vide colpirsi più volte la testa e bofonchiare qualcosa tra sé e sé.

“Concentrati, cavolo! Ok, possiamo ammettere che è carino, anzi è decisamente bello, ma hai una missione da compiere! Ricomponiti immediatamente!!” si sussurrò pensando di non essere sentita. La faccia di lui aveva un'espressione sempre più attonita.

Si voltò di nuovo, più carica di prima. Ogni traccia di imbarazzo era svanita dal suo viso. Alzò di nuovo la spada. “Stavolta non sbaglierò!”

Una freccia si piantò proprio vicino al piede di lei. Splendeva, come se fosse fatta di un metallo prezioso, tuttavia il suo colore era indefinito, più chiaro dell'argento, pallido come un raggio di luna. Entrambi alzarono gli occhi nella direzione da cui proveniva il dardo.

“Sei sicura di non aver denudato di proposito il mio ragazzo?”

   
 
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