2.
La
quiete della casa era quasi ultraterrena, quando Andrea riaprì gli occhi.
Era
circa mezzogiorno; si fece una doccia e si vestì, poi scese in cucina per
preparare... il pranzo o la colazione? Mah, avrebbe arrangiato qualcosa.
Passando dal salotto, si ricordò di River e si sedette di fronte a lui, sul
tavolino basso davanti al divano. Osservò il suo viso addormentato e notò il
taglio orientale degli occhi, molto più evidente ora che erano chiusi, e il
nitido nero corvino dei capelli.
Di
colpo, la porta d’ingresso sbatté con violenza, e una ragazza dai capelli rossi
entrò in casa trascinando una valigia. Taryn era andata a Los Angeles per un
servizio fotografico, e pareva proprio che fosse tornata.
“Ciao
tesoro, come stai? Ti sono mancata? Ops!” esclamò muovendosi in fretta fra le
pareti di casa sua, sobbalzando non appena vide Andrea e River, il quale si
stava svegliando con tutta tranquillità.
“Bentornata!
Non preoccuparti, è il batterista del mio gruppo. River, questa è Taryn Temple,
la mia coinquilina nonché migliore amica.”
Possibile
che Taryn non conoscesse i compagni di gruppo di Andrea? Considerato che passava
quattro giorni su sette fuori casa per lavoro, ed i restanti li occupava
dormendo, stando con la sua migliore amica ed andando alle feste… sì, è
possibile.
“Direi
piacere di conoscerti, ma purtroppo distinguo a malapena la tua sagoma.”
articolò River, schermandosi il viso dalla luce troppo violenta.
“Rimedieremo
dopo!” sorrise ( di sollievo ) Andrea, poi continuò, sempre rivolgendosi al
ragazzo che si stropicciava gli occhi, insonnolito: “Se vuoi farti una doccia,
vai pure. Sali le scale, ultima porta a sinistra.”
River
si alzò a fatica e arrancò in direzione dei gradini. Raggiunto il bagno, un
profumo di vaniglia colpì il suo olfatto. La cabina della doccia era appena
stata usata. Si spogliò, ringraziando la sua abitudine di non usare biancheria
intima, aprì l’acqua e lasciò che la fragranza lo
avvolgesse.
Intanto,
in cucina, Taryn stava sottoponendo Andrea ad un terzo grado dal quale perfino i
servizi segreti avrebbero potuto trarre insegnamento. Andrea le assicurò più volte che non
aveva interrotto niente, ma Taryn era piuttosto sospettosa.
“In
ogni caso, Andrea cara, non sarebbe per niente una cattiva scelta!” sogghignò
entusiasta e poco persuasa.
“Vai
a farti un bagno o non rispondo più di me.”
“Con
lui? Sarebbe promiscuo...” ribatté ammiccando.
“Intendevo
nel tuo bagno!”
“Ah,
ma allora sei gelosa!”
Il
cellulare di Andrea squillò, troncando una conversazione che per lei si
prospettava una tortura. Norman, l’agente dell’agenzia di modelle a cui
apparteneva Taryn, e dove Andrea lavorava come booker, la chiamava per avvisarle
entrambe di presentarsi in agenzia al più presto, al massimo entro mezzora.
Andrea
salì le scale e avvertì la sua coinquilina, poi le preparò vestiti e ciò che
poteva servire. Scrisse un biglietto per River, posandovi sopra la chiave di
riserva. Infine, lei ed un’infuriata Taryn uscirono in fretta dirette verso una
non ben identificata emergenza lavorativa.
River
attraversò lo stretto corridoio che portava alle scale a piedi nudi.
Gli
piaceva il contatto con il legno. L’atmosfera della casa sembrava molto
silenziosa, ma pensò che fosse per non disturbare la ragazza che era appena
tornata.
Così
scese in cucina per ringraziare Andrea e salutarla, ma un rettangolo bianco sul
tavolo del salotto dove fino a poco prima era seduta la ragazza attrasse la sua
attenzione. Andrea scriveva che lei e Taryn erano dovute uscire per un impegno
improvviso; gli lasciava la chiave di casa, raccomandando di chiudere a chiave
con tutte le mandate, e lo invitava a servirsi pure del frigo e della cucina, in
caso fosse affamato.
River
decise di approfittare dell’ospitalità, ma si contenne: un’insalata e del caffé
furono più che sufficienti. Si sfamò, lavò le stoviglie e uscì di casa. Mentre
raggiungeva il vecchio pulmino Volkswagen, il suo interesse fu attirato dalla
vetrina di un negozio di pegni.
Tra
un carillon antico e un orologio d’oro, riluceva una chiave antica. Lucida e
dorata, rispendeva come avrebbe potuto fare una collana preziosa. L’impugnatura
era lavorata ad arabeschi; una vera e propria opera d’arte, grande all’incirca
quanto il palmo della sua mano.
Entrò
nel negozio e chiese informazioni. Il prezzo? ... oh, una bazzecola. In omaggio,
un sacchettino di velluto blu, che in realtà era la custodia con la quale il
negoziante ne era venuto in possesso.
River
pagò, e poi tornò dentro casa. Salì le scale ed entrò nella penultima stanza, la
più vicina al bagno che ancora profumava di vaniglia. Era una stanza grande,
luminosa, con le pareti azzurre ed il soffitto bianco. Il letto, in candido
ferro battuto, era ancora sfatto, e su una sedia River notò i jeans che Andrea
indossava la sera precedente. Appoggiata ad una poltroncina, la chitarra celeste
di Andrea, su cui un’arpa gettava riflessi dorati.
Scrisse
due righe su un cartoncino color panna, che lasciò vicino al suo regalo, e firmò
con le sue iniziali. Poi se ne andò e raggiunse il vecchio Volkswagen, con un
mezzo sorriso sulle labbra e un discreto numero di banconote in meno nel
portafogli.
Quella
sera, Andrea rientrò a casa stanca ma felice. Sentiva il bisogno di andare a
letto presto per recuperare dalla nottata precedente. Invece trovò Taryn che
attaccava con piglio guerriero una vaschetta di gelato al cioccolato.
“L’ultima
volta che ti avevo visto mangiarne così tanto, avevi litigato con Theo.”
commentò, riferendosi al famigerato ex di Taryn.
“Lui
era un vero principiante rispetto a Norman. Ho perso il servizio per lo stilista
finlandese.”
“E
perché?”
“Perché
durante il servizio a Los Angeles ho preso il sole. Concorderai anche tu che non
mi ha detto niente riguardo alla pelle per Hirtanen, e che se fossi stata
avvertita avrei cercato di evitare l’abbronzatura.”
La
chiamata improvvisa era dovuta all’inaspettata defezione di una delle modelle
che quel pomeriggio avrebbero dovuto sfilare per una giovane stilista emergente.
Taryn serviva in quanto modella, ed Andrea in quanto tuttofare. Consolatrice di
modelle afflitte, preparatrice di panini, collaudatrice di
scarpe.
Dopo
una mezzora passata a consolare e a far sfogare Taryn, finalmente Andrea era in
camera sua. Sul comodino c’era qualcosa di estraneo: una bustina di velluto blu,
e un biglietto.
Grazie
per l’ospitalità notturna e per la tisana. Mi piace il tuo profumo di
vaniglia.
R.
Andrea
sciolse la cordicella che teneva chiusa la bustina, e una chiave di lucido
metallo dorato scivolò sul palmo della sua mano.
*
Più o
meno nello stesso istante in cui Andrea apriva gli occhi, David metteva piede in
cucina, dove Lucas stava già ruminando i cornflakes. Se la stava prendendo
comoda: era il proprietario del Black Rum Bar, e quindi il suo lavoro si
svolgeva soprattutto di notte.
“Ma
che faccia allegra! Ho visto vitelli più ilari prima del
macello.”
“Grazie,
adesso sparami nei coglioni e poi sono veramente a posto.”
“Si
può sapere cosa c’è che non va? Ti ho portato a casa una come Christy e tu sei
in queste condizioni.”
David
non replicò, e si sedette di fronte al suo amico. Lo guardò negli occhi, e Lucas
ne fu quasi spaventato.
“Ascolta,
io non so cosa diavolo hai, ma devi aprirti con qualcuno. Fidati, è salutare. Se
non vuoi parlarne con me, va bene, però lo sai che io ci
sono.”
David
annuì.
Lucas,
che lo conosceva, sapeva che era il massimo che si poteva aspettare.
*
Matthew
si sdraiò vicino Heidi, la quale borbottò:
“Ancora
cinque minuti, dai.”
“Svegliati,
pigrona. Il sole è già alto.”
Heidi
si svegliò del tutto, e si ritrovò nella stanza da letto. Matthew la abbracciava
alle spalle, e lei aderì al suo corpo con la schiena.
“Ho
il potere del teletrasporto o cosa?”
“No,
cara la mia dormigliona. Alle otto del mattino, io mi sono alzato e sul terrazzo
ho trovato te, ancora vestita e con una sciarpa al collo. Ho dedotto che avevi
affaticato la voce, e che eri così stanca da non riuscire più a muoverti, anche
perché ronfavi come una locomotiva. Così ti presa in braccio, ti ho spogliato e
ti ho infilato nel letto. Sono o non sono...”
La
frase fu troncata da un bacio di Heidi, che si sentiva di nuovo piena di
energie, cosa di cui gli diede dimostrazione poco dopo. Poi si alzarono, e,
mentre lei era in bagno, Matthew le preparò una tazza di latte e miele.
Heidi
ingurgitò tutto di un fiato.
“Ecco
ventidue anni buttati via.”
“Tu
mi ami anche per questo.” disse lei, avvicinandosi e passandogli le mani sulle
spalle.
“Sì,
ma ogni tanto i dubbi mi assalgono e io tentenno... ah, mi stavo dimenticando!
Ha chiamato Andrea, la tua amica. Dice che domani mattina avete un incontro,
dovete discutere di non so cosa con i tizi della casa discografica. Ti ricordo
che non devi parlare, né usare la voce in altro modo ( e mi sa che ora, e anche
poco fa in camera me l’ero scordato ). Oggi dovrai usare un notes, una
lavagnetta o qualcosa di simile.”
Heidi
alzò gli occhi al cielo. Matt, Matt… se solo avesse saputo, non le avrebbe
parlato così.
Heidi
avvertì una stretta allo stomaco.
«
Calma, calma. » pensò « Non sei ancora sicura. »
*
Notte
di sonno agitato e strani sogni, molto diversa dalla
precendente.
« Che
cosa faccio? » si chiese Andrea non appena fu cosciente.
Non
aveva neppure aperto gli occhi, eppure era già dentro i suoi problemi.
O
meglio il problema.
River
ed il suo regalo.
Senza
dubbio c’era dell’interesse fra loro, rifletté, ma non era il momento adatto a
storie d’amore fra i membri di un gruppo che avevano appena firmato un
contratto.
Lo
chiamò e gli chiese se si potessero vedere. River era anche troppo entusiasta;
si accordarono per vedersi quella sera al Tumble Pub, vicino alla casa di River.
Poi,
mentre consolava Annabelle ( una delle sue modelle isteriche che non era stata
scelta per la nuova campagna di Abercrombie&Fitch ), lui le lasciò un
messaggio in segreteria, dicendole di andare direttamente a casa sua.
Andrea
smanettò con il cellulare per tutto il pomeriggio, ma il telefono di River
rimaneva staccato, dunque si rassegnò.
Alle
nove precise suonò il campanello della casa di River. Lui venne subito ad aprire
e per la prima volta Andrea vide dove viveva.
Una
stanza grande e luminosa grazie ad una vetrata che occupava le due pareti alla
sua destra ed alla sua sinistra. Sul pavimento un enorme tappeto indiano, sul
quale c’erano un divano e due poltroncine. Più indietro la parete con tutti gli
utensili ed i macchinari della cucina, con un tavolo e quattro sedie. Sopra di
essa, un soppalco, collegato all’ambiente principale da una scala di legno, di
cui Andrea vedeva scorci di un letto, di una lampada e di una scrivania. River
la invitò ad accomodarsi sul divano.
Andrea
notò che le pareti vicino alla porta erano letteralmente piene di libri stipati
su mensole che sembravano prossime all’esplosione. Non c’era televisione, mentre
su un tavolino si spartivano lo spazio un giradischi, un lettore mp3, uno stereo
e un PC. River, ricordò Andrea, gestiva un giornale on line, e poteva lavorare
anche da casa.
“Hai
già cenato?”
“Mh...
ho mangiato un panino al volo a metà pomeriggio, e poi più niente. Anzi, adesso
che ci penso ho una gran fame.” rispose lei, mentre River apriva cassetti
vari.
“Perfetto,
allora ti invito a cena.”
“Dove?”
“Qui,
a casa mia.”
Andrea
si maledisse in silenzio, e poi chiese se poteva usare il bagno.
“Certo!
Sali la scala, è l’unica porta che vedi.”
Una
volta raggiunta un po’ di privacy, Andrea si lavò il viso con l’acqua gelida un
paio di volte. A mente fredda si ripeté più volte quello che doveva dire. Poi
uscì, non sapendo di avere un’espressione corrucciata.
Bam!
River
seduto sul letto leggeva un libricino consunto. Tanto per mandare un messaggio
chiaro.
“Mi
stavi aspettando al varco?”
“In
parte. Senti, cosa c’è che non va? Sei tesa come un animale in trappola. Se non
ti fidi della mia arte culinaria possiamo sempre uscire.”
“River
non può succedere.”
“Che
noi usciamo al ristorante?”
“Non
può succedere il noi.”
“Ah.”
Andrea
scese in fretta le scale ed estrasse il regalo dalla tasca del cappotto, per poi
appoggiarlo sul tavolo. Si voltò a guardarlo.
“Scusami.”
“Non
preoccuparti” fece lui, con tono amaro, in cima alla scaletta “Ma immagino che
se il mio cognome fosse Rockefeller le cose sarebbero diverse,
giusto?”
Andrea
lo fissò per un attimo, ed aveva un dolore di fuoco negli
occhi.
E poi
se ne andò.
“E
poi?”
“E
poi basta. Mi ha incenerito con uno sguardo ed è andata
via.”
River
e David, quella stessa sera, erano seduti su una panchina, ed ognuno attingeva
lunghi sorsi da una bottiglia di birra.
“Anche
tu però, con quella frase.”
“Scusa,
cosa avresti fatto tu al mio posto?”
“Magari
non le piaci.”
“Ma
se mi ha chiamato lei.”
David
era dotato di una sensibilità più profonda di River, almeno in quella
situazione, dove il suo amico si fermava agli aspetti più evidenti della
questione.
“Probabilmente
…” e usò l’avverbio per non ferire la vanità dell’amico, nonostante la cosa gli
sembrasse certa “Probabilmente voleva solo restituirti il tuo
regalo.”
“L’ha
fatto, credici.”
“Vorrei
proprio sapere cosa ti è venuto in mente di comprarlo per
lei.”
“Ho
pensato a lei, quando l’ho visto.”
David
lanciò la sua bottiglia ormai vuota nel bidone,
centrandolo.
“La
prossima volta che ti viene una botta di romanticismo, vedi di informarti meglio
sulla ragazza. E cerca di non sceglierla fra quelle con cui suoni. E poi,
cavolo, un minimo di intelligenza! Hai presente il simbolismo di una chiave?
”
River
inghiottì a vuoto.
“Merda.”
mormorò, coprendosi il viso con le mani.