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Autore: lyndea    05/03/2009    0 recensioni
Una storia che avevo scritto molto tempo fa. Due ragazzi e due ragazze che suonano e le loro storie, niente di particolarmente geniale.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.

 

La quiete della casa era quasi ultraterrena, quando Andrea riaprì gli occhi.

Era circa mezzogiorno; si fece una doccia e si vestì, poi scese in cucina per preparare... il pranzo o la colazione? Mah, avrebbe arrangiato qualcosa. Passando dal salotto, si ricordò di River e si sedette di fronte a lui, sul tavolino basso davanti al divano. Osservò il suo viso addormentato e notò il taglio orientale degli occhi, molto più evidente ora che erano chiusi, e il nitido nero corvino dei capelli.

Di colpo, la porta d’ingresso sbatté con violenza, e una ragazza dai capelli rossi entrò in casa trascinando una valigia. Taryn era andata a Los Angeles per un servizio fotografico, e pareva proprio che fosse tornata.

“Ciao tesoro, come stai? Ti sono mancata? Ops!” esclamò muovendosi in fretta fra le pareti di casa sua, sobbalzando non appena vide Andrea e River, il quale si stava svegliando con tutta tranquillità.

“Bentornata! Non preoccuparti, è il batterista del mio gruppo. River, questa è Taryn Temple, la mia coinquilina nonché migliore amica.”

Possibile che Taryn non conoscesse i compagni di gruppo di Andrea? Considerato che passava quattro giorni su sette fuori casa per lavoro, ed i restanti li occupava dormendo, stando con la sua migliore amica ed andando alle feste… sì, è possibile.

“Direi piacere di conoscerti, ma purtroppo distinguo a malapena la tua sagoma.” articolò River, schermandosi il viso dalla luce troppo violenta.

“Rimedieremo dopo!” sorrise ( di sollievo ) Andrea, poi continuò, sempre rivolgendosi al ragazzo che si stropicciava gli occhi, insonnolito: “Se vuoi farti una doccia, vai pure. Sali le scale, ultima porta a sinistra.”

River si alzò a fatica e arrancò in direzione dei gradini. Raggiunto il bagno, un profumo di vaniglia colpì il suo olfatto. La cabina della doccia era appena stata usata. Si spogliò, ringraziando la sua abitudine di non usare biancheria intima, aprì l’acqua e lasciò che la fragranza lo avvolgesse.

Intanto, in cucina, Taryn stava sottoponendo Andrea ad un terzo grado dal quale perfino i servizi segreti avrebbero potuto trarre insegnamento.  Andrea le assicurò più volte che non aveva interrotto niente, ma Taryn era piuttosto sospettosa.

“In ogni caso, Andrea cara, non sarebbe per niente una cattiva scelta!” sogghignò entusiasta e poco persuasa.

“Vai a farti un bagno o non rispondo più di me.”

“Con lui? Sarebbe promiscuo...” ribatté ammiccando.

“Intendevo nel tuo bagno!”

“Ah, ma allora sei gelosa!”

Il cellulare di Andrea squillò, troncando una conversazione che per lei si prospettava una tortura. Norman, l’agente dell’agenzia di modelle a cui apparteneva Taryn, e dove Andrea lavorava come booker, la chiamava per avvisarle entrambe di presentarsi in agenzia al più presto, al massimo entro mezzora.

Andrea salì le scale e avvertì la sua coinquilina, poi le preparò vestiti e ciò che poteva servire. Scrisse un biglietto per River, posandovi sopra la chiave di riserva. Infine, lei ed un’infuriata Taryn uscirono in fretta dirette verso una non ben identificata emergenza lavorativa.  

 

River attraversò lo stretto corridoio che portava alle scale a piedi nudi.

Gli piaceva il contatto con il legno. L’atmosfera della casa sembrava molto silenziosa, ma pensò che fosse per non disturbare la ragazza che era appena tornata.

Così scese in cucina per ringraziare Andrea e salutarla, ma un rettangolo bianco sul tavolo del salotto dove fino a poco prima era seduta la ragazza attrasse la sua attenzione. Andrea scriveva che lei e Taryn erano dovute uscire per un impegno improvviso; gli lasciava la chiave di casa, raccomandando di chiudere a chiave con tutte le mandate, e lo invitava a servirsi pure del frigo e della cucina, in caso fosse affamato.

River decise di approfittare dell’ospitalità, ma si contenne: un’insalata e del caffé furono più che sufficienti. Si sfamò, lavò le stoviglie e uscì di casa. Mentre raggiungeva il vecchio pulmino Volkswagen, il suo interesse fu attirato dalla vetrina di un negozio di pegni.

Tra un carillon antico e un orologio d’oro, riluceva una chiave antica. Lucida e dorata, rispendeva come avrebbe potuto fare una collana preziosa. L’impugnatura era lavorata ad arabeschi; una vera e propria opera d’arte, grande all’incirca quanto il palmo della sua mano.

Entrò nel negozio e chiese informazioni. Il prezzo? ... oh, una bazzecola. In omaggio, un sacchettino di velluto blu, che in realtà era la custodia con la quale il negoziante ne era venuto in possesso.

River pagò, e poi tornò dentro casa. Salì le scale ed entrò nella penultima stanza, la più vicina al bagno che ancora profumava di vaniglia. Era una stanza grande, luminosa, con le pareti azzurre ed il soffitto bianco. Il letto, in candido ferro battuto, era ancora sfatto, e su una sedia River notò i jeans che Andrea indossava la sera precedente. Appoggiata ad una poltroncina, la chitarra celeste di Andrea, su cui un’arpa gettava riflessi dorati.    

Scrisse due righe su un cartoncino color panna, che lasciò vicino al suo regalo, e firmò con le sue iniziali. Poi se ne andò e raggiunse il vecchio Volkswagen, con un mezzo sorriso sulle labbra e un discreto numero di banconote in meno nel portafogli.

 

Quella sera, Andrea rientrò a casa stanca ma felice. Sentiva il bisogno di andare a letto presto per recuperare dalla nottata precedente. Invece trovò Taryn che attaccava con piglio guerriero una vaschetta di gelato al cioccolato.

“L’ultima volta che ti avevo visto mangiarne così tanto, avevi litigato con Theo.” commentò, riferendosi al famigerato ex di Taryn.

“Lui era un vero principiante rispetto a Norman. Ho perso il servizio per lo stilista finlandese.”

“E perché?”

“Perché durante il servizio a Los Angeles ho preso il sole. Concorderai anche tu che non mi ha detto niente riguardo alla pelle per Hirtanen, e che se fossi stata avvertita avrei cercato di evitare l’abbronzatura.”

La chiamata improvvisa era dovuta all’inaspettata defezione di una delle modelle che quel pomeriggio avrebbero dovuto sfilare per una giovane stilista emergente. Taryn serviva in quanto modella, ed Andrea in quanto tuttofare. Consolatrice di modelle afflitte, preparatrice di panini, collaudatrice di scarpe.

Dopo una mezzora passata a consolare e a far sfogare Taryn, finalmente Andrea era in camera sua. Sul comodino c’era qualcosa di estraneo: una bustina di velluto blu, e un biglietto.

 

Grazie per l’ospitalità notturna e per la tisana. Mi piace il tuo profumo di vaniglia.

R.

Andrea sciolse la cordicella che teneva chiusa la bustina, e una chiave di lucido metallo dorato scivolò sul palmo della sua mano.

 

*

 

Più o meno nello stesso istante in cui Andrea apriva gli occhi, David metteva piede in cucina, dove Lucas stava già ruminando i cornflakes. Se la stava prendendo comoda: era il proprietario del Black Rum Bar, e quindi il suo lavoro si svolgeva soprattutto di notte.

“Ma che faccia allegra! Ho visto vitelli più ilari prima del macello.”

“Grazie, adesso sparami nei coglioni e poi sono veramente a posto.”

“Si può sapere cosa c’è che non va? Ti ho portato a casa una come Christy e tu sei in queste condizioni.”

David non replicò, e si sedette di fronte al suo amico. Lo guardò negli occhi, e Lucas ne fu quasi spaventato.

“Ascolta, io non so cosa diavolo hai, ma devi aprirti con qualcuno. Fidati, è salutare. Se non vuoi parlarne con me, va bene, però lo sai che io ci sono.”

David annuì.

Lucas, che lo conosceva, sapeva che era il massimo che si poteva aspettare.

 

*

 

Matthew si sdraiò vicino Heidi, la quale borbottò:

“Ancora cinque minuti, dai.”

“Svegliati, pigrona. Il sole è già alto.”

Heidi si svegliò del tutto, e si ritrovò nella stanza da letto. Matthew la abbracciava alle spalle, e lei aderì al suo corpo con la schiena. 

“Ho il potere del teletrasporto o cosa?”

“No, cara la mia dormigliona. Alle otto del mattino, io mi sono alzato e sul terrazzo ho trovato te, ancora vestita e con una sciarpa al collo. Ho dedotto che avevi affaticato la voce, e che eri così stanca da non riuscire più a muoverti, anche perché ronfavi come una locomotiva. Così ti presa in braccio, ti ho spogliato e ti ho infilato nel letto. Sono o non sono...”

La frase fu troncata da un bacio di Heidi, che si sentiva di nuovo piena di energie, cosa di cui gli diede dimostrazione poco dopo. Poi si alzarono, e, mentre lei era in bagno, Matthew le preparò una tazza di latte e miele.

Heidi ingurgitò tutto di un fiato.

“Ecco ventidue anni buttati via.”

“Tu mi ami anche per questo.” disse lei, avvicinandosi e passandogli le mani sulle spalle.

“Sì, ma ogni tanto i dubbi mi assalgono e io tentenno... ah, mi stavo dimenticando! Ha chiamato Andrea, la tua amica. Dice che domani mattina avete un incontro, dovete discutere di non so cosa con i tizi della casa discografica. Ti ricordo che non devi parlare, né usare la voce in altro modo ( e mi sa che ora, e anche poco fa in camera me l’ero scordato ). Oggi dovrai usare un notes, una lavagnetta o qualcosa di simile.”

Heidi alzò gli occhi al cielo. Matt, Matt… se solo avesse saputo, non le avrebbe parlato così.

Heidi avvertì una stretta allo stomaco.

« Calma, calma. » pensò « Non sei ancora sicura. »

 

*

 

Notte di sonno agitato e strani sogni, molto diversa dalla precendente.

« Che cosa faccio? » si chiese Andrea non appena fu cosciente.

Non aveva neppure aperto gli occhi, eppure era già dentro i suoi problemi.

O meglio il problema.

River ed il suo regalo.

Senza dubbio c’era dell’interesse fra loro, rifletté, ma non era il momento adatto a storie d’amore fra i membri di un gruppo che avevano appena firmato un contratto. 

Lo chiamò e gli chiese se si potessero vedere. River era anche troppo entusiasta; si accordarono per vedersi quella sera al Tumble Pub, vicino alla casa di River.

Poi, mentre consolava Annabelle ( una delle sue modelle isteriche che non era stata scelta per la nuova campagna di Abercrombie&Fitch ), lui le lasciò un messaggio in segreteria, dicendole di andare direttamente a casa sua.

Andrea smanettò con il cellulare per tutto il pomeriggio, ma il telefono di River rimaneva staccato, dunque si rassegnò.

 

Alle nove precise suonò il campanello della casa di River. Lui venne subito ad aprire e per la prima volta Andrea vide dove viveva.

Una stanza grande e luminosa grazie ad una vetrata che occupava le due pareti alla sua destra ed alla sua sinistra. Sul pavimento un enorme tappeto indiano, sul quale c’erano un divano e due poltroncine. Più indietro la parete con tutti gli utensili ed i macchinari della cucina, con un tavolo e quattro sedie. Sopra di essa, un soppalco, collegato all’ambiente principale da una scala di legno, di cui Andrea vedeva scorci di un letto, di una lampada e di una scrivania. River la invitò ad accomodarsi sul divano.

Andrea notò che le pareti vicino alla porta erano letteralmente piene di libri stipati su mensole che sembravano prossime all’esplosione. Non c’era televisione, mentre su un tavolino si spartivano lo spazio un giradischi, un lettore mp3, uno stereo e un PC. River, ricordò Andrea, gestiva un giornale on line, e poteva lavorare anche da casa.

“Hai già cenato?”

“Mh... ho mangiato un panino al volo a metà pomeriggio, e poi più niente. Anzi, adesso che ci penso ho una gran fame.” rispose lei, mentre River apriva cassetti vari.

“Perfetto, allora ti invito a cena.”

“Dove?”

“Qui, a casa mia.”

Andrea si maledisse in silenzio, e poi chiese se poteva usare il bagno.

“Certo! Sali la scala, è l’unica porta che vedi.”

Una volta raggiunta un po’ di privacy, Andrea si lavò il viso con l’acqua gelida un paio di volte. A mente fredda si ripeté più volte quello che doveva dire. Poi uscì, non sapendo di avere un’espressione corrucciata.

Bam!

River seduto sul letto leggeva un libricino consunto. Tanto per mandare un messaggio chiaro.

“Mi stavi aspettando al varco?”

“In parte. Senti, cosa c’è che non va? Sei tesa come un animale in trappola. Se non ti fidi della mia arte culinaria possiamo sempre uscire.”

“River non può succedere.”

“Che noi usciamo al ristorante?”

“Non può succedere il noi.”

“Ah.”

Andrea scese in fretta le scale ed estrasse il regalo dalla tasca del cappotto, per poi appoggiarlo sul tavolo. Si voltò a guardarlo.

“Scusami.”

“Non preoccuparti” fece lui, con tono amaro, in cima alla scaletta “Ma immagino che se il mio cognome fosse Rockefeller le cose sarebbero diverse, giusto?”

Andrea lo fissò per un attimo, ed aveva un dolore di fuoco negli occhi.

E poi se ne andò.

 

“E poi?”

“E poi basta. Mi ha incenerito con uno sguardo ed è andata via.”

River e David, quella stessa sera, erano seduti su una panchina, ed ognuno attingeva lunghi sorsi da una bottiglia di birra.

“Anche tu però, con quella frase.”

“Scusa, cosa avresti fatto tu al mio posto?”

“Magari non le piaci.”

“Ma se mi ha chiamato lei.”

David era dotato di una sensibilità più profonda di River, almeno in quella situazione, dove il suo amico si fermava agli aspetti più evidenti della questione.

“Probabilmente …” e usò l’avverbio per non ferire la vanità dell’amico, nonostante la cosa gli sembrasse certa “Probabilmente voleva solo restituirti il tuo regalo.”

“L’ha fatto, credici.”

“Vorrei proprio sapere cosa ti è venuto in mente di comprarlo per lei.”

“Ho pensato a lei, quando l’ho visto.”

David lanciò la sua bottiglia ormai vuota nel bidone, centrandolo.

“La prossima volta che ti viene una botta di romanticismo, vedi di informarti meglio sulla ragazza. E cerca di non sceglierla fra quelle con cui suoni. E poi, cavolo, un minimo di intelligenza! Hai presente il simbolismo di una chiave? ”

River inghiottì a vuoto.

“Merda.” mormorò, coprendosi il viso con le mani.

 

  
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