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Autore: Akemichan    13/12/2015    2 recensioni
«C'è un'ultima cosa che dovete sapere.» Il ghigno scomparve com'era venuto e Dragon tornò a parlare di lavoro. «Mentre Serse è un regno sotto il Governo Mondiale, Baharat non lo è. Fa parte dell'Impero di uno dei quattro Imperatori Pirata.» Una piccola pausa, per fissare i suoi occhi neri penetranti su Sabo. «Si tratta di Barbabianca.»
[...]
Incredibilmente, Sabo aveva avuto la reazione più composta, a parte gli occhi che si erano spalancati in un attimo: poi aveva abbassato lo sguardo, per nascondere il sorriso che gli si stava formando sul volto. Ace era entrato nella Rotta Maggiore già da due anni, ma era la prima volta che poteva avere concretamente una possibilità di incontrarlo. Improvvisamente Serse e la sua crudeltà erano diventati obiettivi di poco conto.
[Partecipante al Contest "Mahjong Contest" indetto da My Pride]
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Koala, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Sabo
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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La rivolta
 

La miniera si rivelò il posto terribile che Sabo aveva immaginato. Era un luogo angusto, scuro, pericoloso, che non teneva conto nemmeno delle normali norme igieniche e di sicurezza sul lavoro. Gli schiavi erano praticamente nudi se non per un paio di corti pantaloni, lisi per il troppo uso. Erano scalzi e le mani, rese dure dall'uso del piccone senza guanti, coperte di calli e di piaghe. La polvere d'oro e di pietra che alzavano li soffocava, ma potevano permettersi di tossire appena, prima che una delle guardie venisse a protestare. Le mani e i piedi erano tenuti assieme da delle catene, quel tanto che bastava per farli muovere e lavorare, ma non scappare. Facevano il bagno solo per assicurarsi che non fosse rimasta loro addosso nemmeno un grammo di polvere d'oro, il che non contribuiva a migliorare la puzza dei corridoi.
L'età media era variabile, ma Sabo aveva il sospetto che molti di loro sembrassero più anziani di quello che erano in realtà. La schiavitù poteva effettivamente cambiare le persone e distruggerle. La maggior parte aveva gli occhi spenti, sempre abbassati verso il basso, e si muovevano come degli automi. Nemmeno le urla delle guardie riuscivano più a scuoterli. Erano diventati degli animali. Al contrario c'era ancora qualcuno, forse arrivato da poco, che tentava di conservare parte della propria umanità. Erano piccoli gesti, come tentare di pettinarsi i capelli o rimboccarsi l'orlo dei pantaloni per non strapparlo.
Sabo aveva bisogno di persone del genere perché non aveva tempo di indagare per contro proprio su come funzionassero le cose in miniera e voleva uscire il prima possibile. Ovviamente le guardie non  avevano certo perso tempo a spiegargli le cose. Si guardò intorno attentamente per individuare la persona giusta e pensò di averla trovata in un ragazzo che, quando poteva, dava una mano a quelli più anziani senza farsi notare dalle guardie. Sembrava di poche parole e, anche se Sabo necessitava di spiegazioni, un uomo d'azione serviva comunque.
Non poteva capire bene la sua età, di certo era sotto i trenta, anche se non li dimostrava: i capelli riuscivano ad essere abbastanza ordinati perché erano lisci, ma gli si spargevano comunque attorno alla testa come l'aureola di un frate. Gli occhi erano grigi, intelligenti, le labbra carnose. Forse avrebbe potuto essere un bel ragazzo, ma aveva il volto completamente scavato per le privazioni e il naso vagamente storto, probabilmente per una vecchia ferita.
«Come ti chiami?» gli sussurrò, quando finalmente gli capitò l'occasione di parlare con lui da solo: stavano trasportando un carrello pieno di terra, che poi altri avrebbero dovuto setacciare alla ricerca di polvere d'oro.
Lui lo guardò rassegnato: evidentemente i nuovi arrivati avevano sempre più allegria degli altri. «Ciro» rispose tuttavia.
«Io sono Sabo e voglio andarmene di qui.» Sorrise. «Puoi darmi una mano?»
Ciro gli riservò un'espressione di commiserazione. «Questa l'ho già sentita.»
«Sì, ma non da persone che avevano la forza di farlo» replicò Sabo. «Scommetto che hai sentito anche questo, ma la differenza è che nel mio caso è vero.» Dato che non aveva ricevuto una risposta, proseguì: «Come funzionano le cose qui?».
«Facciamo due pasti al giorno, alla mezza e quando ci svegliamo, quindi tu che sei arrivato dopo te li sei saltati. Dormiamo tre ore chiusi ammassati in una stanza, per il resto del tempo lavoriamo, mentre le guardie cambiano turno ogni due ore» spiegò Ciro. «Nel tempo che ci metterai ad elaborare un piano sarai così distrutto da non essere in grado di metterlo in pratica.»
Sabo pensava che gli allenamenti che aveva fatto con Dragon quando era appena entrato nei rivoluzionari fossero stati più distruttivi, ma in ogni caso non aveva intenzione di ripetere l'esperienza. «Allora dovrò uscire entro oggi» affermò con sicurezza. «Dimmi, sai darmi un'idea della mappa della zona?»
«Certo, aspetta che prendo carta e penna, ci sediamo un attimo e ti spiego tutto.»
«Troviamo un metodo.» Sabo non si fece certo scoraggiare dal suo sarcasmo.
Ciro pareva decisamente seccato, ma decise di accontentarlo anche solo per farlo stare zitto, sicuro che fosse uno dei tanti presuntuosi che erano passati in quella miniera e che ora erano ridotti ad amebe. Quando portarono il carrello nella destinazione prevista, alzò timidamente il braccio alla guardia che li stava controllando. «Dobbiamo pisciare» disse solo.
La guardia sbuffò seccata, ma poi gli fece cenno di andare. I bisogni corporali erano l'unica forma di igiene presente, in quanto nessuno voleva rischiare di sporcare la polvere d'oro con l'urina o gli escrementi. I minatori avevano una pozza ricavata in un angolo a loro disposizione, che di tanto in tanto veniva svuotata. Le guardie non si avvicinavano più dello stretto necessario a causa della puzza nauseabonda che vi proveniva. Ma Sabo era cresciuto nel Grey Terminal e quell'odore non era decisamente così intenso, per quanto fosse più concentrato.
Il fatto che non avesse emesso nemmeno una smorfia di disgusto sorprese Ciro in positivo. Questi si abbassò i pantaloni e prese il suo pene, puntandolo non in direzione della pozza ma per terra. «Prendila così come viene, non è che io mi sia mai esercitato nel dipingere con l'uccello.»
«Va benissimo» disse Sabo, che ne aveva imitato il gesto per non insospettire le guardie. Guardò intensamente il disegno dei cunicoli che le linee di urina formavano. Ciro aveva anche fatto due piccole pozze che indicavano il dormitorio dei minatori e la sala grande dove l'oro veniva finito di sistemare e impacchettato per il trasporto. «Questa cos'è?» domandò, indicando una linea di urina che, a differenza di tutte le altre, andava in una direzione opposta.
«La strada che va in città» rispose Ciro asciutto.
Sabo rimase senza parole. «La miniera e la città sono collegate?»
«Certo, anche se la strada è utilizzata di rado rispetto a quella sul mare» precisò Ciro. «Non te ne sei accorto quando ti hanno portato qui?»
«No, ero bendato ed ero sicuro che fossimo passati per le montagne.» La scoperta lo rese incredibilmente eccitato: voleva dire che potevano fare ancora prima e arrivare in città direttamente in tempo per unirsi alla rivolta. Perché Sabo era certo che ci sarebbe stata una rivolta, dato che aveva lasciato due delle persone di cui si fidava di più al mondo a fare il lavoro: Ace e Hack.
«Non illuderti» gli disse Ciro, al quale non era sfuggito il luccichio nei suoi occhi. «Quando siamo fuori è sorvegliatissima. Entraci e sarai un topo in gabbia.»
Sabo non li lasciò scoraggiare. «Entro stasera avrai cambiato idea su di me.»
Per il resto della giornata di lavoro, non diede più fastidio a Ciro, ma cercò di comportarsi in maniera impeccabile per non destare sospetti nelle guardie, mentre elaborava il suo piano. Ad alcuni aveva raccontato che era sicuro che Serse avrebbe mantenuto la parola e l'avrebbe tirato fuori in breve tempo, cosa che diede alle guardie l'impressione che fosse un illuso e un ingenuo. In ogni caso, non gli prestavano troppa attenzione, ma lui invece stava attentissimo a controllare i loro movimenti, per sapere quando scadevano i loro turni e dove esattamente si aprisse il cunicolo che l'avrebbe riportato in libertà.
Quando vennero tutti chiusi nel loro dormitorio, che era una stanza nemmeno tanto ampia, ricavata all'interno della roccia già completamente liberata dai filoni d'oro, il piano di Sabo era completo. Gattonò verso Ciro, operazione che richiese diversi minuti dato che i minatori erano sdraiati praticamente l'uno sull'altro. Ciro lo vide arrivare e lo guardò con un'espressione a metà fra il seccato e il rassegnato: aveva già visto passare persone convinte di riuscire a scappare.
«Dato che a parole non riesco a convincerti, non mi resta che darti una dimostrazione» fu il modo di salutarlo di Sabo. E aveva già pensato ad un metodo: piegò le dita ad artigli e afferrò la catena che teneva collegati i due polsi. Un crack netto e il ferro si spezzò sotto la forza del suo Haki.
Ciro, ma anche gli altri minatori attorno, che si erano svegliati incuriositi dalla situazione, lo fissarono con occhi spalancati. Sabo gli riservò solo un sorriso soddisfatto, prima di chinarsi ed eseguire la stessa operazione anche sulla catena alle caviglie, che cedette nello stesso momento. Ormai Ciro aveva capito che non si trattava solo di parole al vento. Molti minatori si sporsero verso di lui affinché liberasse anche loro. Sabo fece cenno di seguirlo e si spostò lentamente verso il centro della stanza. Pochi schiocchi del ferro che si rompeva dopo, e aveva l'attenzione di tutto il gruppo.
«Ascoltatemi!» gridò allora. Era certo che le sue parole fossero protetti dall'enorme porta di ferro che serviva per tenerli chiusi lì dentro. «Io ho intenzione di andarmene stasera stessa. Chi vuole venire con me allunghi i polsi!»
Gli uomini che aveva già liberato erano felici di poter muovere di nuovo gambe e braccia senza più costrizioni, ma il pensiero di lasciare la miniera li spaventava, lo vedeva dai loro occhi sgranati. Che sapessero, nessuno era mai riuscito a evadere e di fatto non sapevano nemmeno quante guardie avrebbero potuto affrontare una volta fuori, chiusi com'erano in quella stanza sigillata.
Ciro, che invece aveva ancora le sue catene, si avvicinò camminando quasi sui corpi dei suoi compagni. «Qual è il piano?» domandò.
«Prima di tutto sfonderò quella porta.» Sabo la indicò e nessuno ebbe dubbi che avrebbe potuto farcela, data la facilita con cui spezzava le manette con la mano, «Poi terrò le guardie occupate abbastanza a lungo per permettervi di scappare nel cunicolo che porta in città, prima di sigillarlo dietro di voi in maniera che non possano seguirci.»
«Grandioso» commentò Ciro sarcastico. «Non sappiamo nemmeno dove sbuchi quel cunicolo, ma è la strada che usano le guardie. Cosa credi che troveremo alla fine?»
«Una rivolta popolare» rispose Sabo senza esitazione. «Sono sicuro che le guardie saranno abbastanza impegnate.»
«Come fai a saperlo? Come puoi dirlo?»
«Ho le mie fonti» ribatté Sabo. «Davvero credi che sia qui contro la mia volontà?» A quella domanda, Ciro spalancò la bocca sorpreso. Tutti i presenti erano prigionieri che erano stati in qualche modo catturati, ma lui gli stava dicendo, in pratica, che era entrato apposta per imparare ad uscirne. Era una cosa assurda. «Io me ne andrò comunque, perché non ho più tempo da perdere qui» continuò Sabo, rivolto a tutti. «Potete scegliere se venire con me oppure no.»
«Sembra pericoloso» parlò uno dei più giovani del gruppo, già libero dalle catene. Stava assaporando di nuovo la libertà e si vedeva che ne desiderava ancora. «Potremo morire.»
«Alcuni di voi moriranno, sì.» Sabo non gli negò la dura verità. «Avete il cinquanta percento di probabilità di uscire da quella porta e morire. Ma lo stesso di essere liberati. Se restate qui dentro, avrete il cento per cento di probabilità di essere ancora schiavi per sempre. Cosa preferite?»
«Senza contare, immagino» aggiunse Ciro, «che più siamo più probabilità ci sono di riuscita.» Aveva finalmente allungato le braccia verso Sabo, aspettandosi che gli spezzasse le catene. Lui annuì, con un sorriso, e procedette a farlo. Piano piano, anche tutti gli altri minatori si affastellarono attorno a lui e per parecchio tempo l'unico rumore che si sentì nella grotta fu il rumore secco dei suoi artigli di drago che premevano sul ferro.
Non fu tempo sprecato. Poiché non era un esercizio difficile, approfittò anche per attivare l'Haki dell'Osservazione e cercare di capire dove si trovassero le guardie all'esterno e dove fossero posizionate: ce ne erano due all'uscita del cunicolo che portava alla stanza, ma potevano essere facilmente messe fuori combattimento. Le altre stavano nella sala grande, probabilmente a preparare l'oro per il trasporto. Sapeva che si cambiavano ogni due ore, quindi prima di agire doveva aspettare che fosse stato effettuato. Fortunatamente fu il tempo necessario a liberare tutti i minatori dalle loro catene.
«Andiamo.» Fece cenno a Ciro, che si affiancò a lui e lo seguì. «Quando usciremo di qui, io mi dirigerò a destra, per bloccare le guardie prima che si accorgano della nostra fuga. Pensaci tu a guidare il gruppo verso la città. Correte e non fermatevi, va bene?»
Ciro annuì, ma lo guardò preoccupato. «Ce la farai da solo?»
«Devo farcela» fu la risposta di Sabo. Nessuno degli altri gli sembrava in grado di affrontare uno scontro, figuriamoci con guardie armate e più in forze. Allungò la mano ed infilò gli artigli del drago nella serratura, torcendola dall'interno e sentendola cedere. Aprì la porta lentamente, poi in un attimo balzò fuori e corse verso le due guardie. Le afferrò per il collo e fece sbattere la testa l'unica contro l'altro. I due crani rimbombarono e i due uomini caddero a terra. Sabo passò le armi che portavano a Ciro.
«Andate!»
Non si voltò indietro a vederli scorrere come un fiume in piena, ma prese immediatamente il cunicolo che portava verso la sala grande. Dai movimenti che percepiva non dovevano ancora essersi accorti della loro fuga, ma era certo che fosse solo una questione di tempo. Si fermò un attimo prima della sala, nascosto oltre la parete e pronto ad attaccare una volta che le guardie avessero deciso di fare un controllo di ronda. Aveva i muscoli tesi e i sensi all'erta, per cui quando avvertì qualcuno venire dalla direzione opposta a quella prevista, scattò immediatamente, con il risultato di quasi spezzare il collo a Ciro.
«Che ci fai qua?»
«Ho pensato di recuperare qualche strumento che poteva esserci utile» disse lui, mostrando il suo piccone, che decisamente sapeva usare meglio di un fucile o una pistola. «E poi c'è un problema: la strada per la città è sigillata da una porta. Stiamo provando a picconarla, ma...»
Ecco cos'erano quei tonfi sordi che aveva iniziato a sentire. Di sicuro, anche le guardie si stavano insospettendo, le sentiva muoversi. «Corri» ordinò a Ciro, e i due ragazzi si precipitarono all'indietro sulla strada che avevano appena fatto. «Spostatevi!» gridò quando arrivarono nella galleria selezionata, ma lo spazio era talmente misero che anche volendo non sarebbero riusciti  a farcela, per cui Sabo usò le teste di qualcuno come scalino per arrivare fino alla porta e contemporaneamente darsi la spinta necessaria per il suo colpo. Entrambe le mani strette a pugno si infransero contro il centro di quell'enorme porta che gli occupava la via, facendola di fato esplodere e scagliarsi ai due lati del cunicolo.
«Andate! Correte!» Sentiva le guardie sempre più vicine e non era sicuro che ce l'avrebbero fatta in fretta. Molti non avevano la forza di correre ed era più una camminata veloce, altri ci provavano ma cadevano e quelli che non venivano aiutati in tempo rischiavano di far inciampare gli altri. Sabo era rimasto fermo davanti alla porta, mentre le persone gli passavano a fianco e non si mosse finché tutti non l'ebbero superata. Solo allora si guardò indietro e vide le guardie che stavano arrivando. C'erano meno di un centinaio di metri che le dividevano dal gruppo dei minatori fuggitivi.
Sabo non aveva il tempo di cercare il “cuore” della miniera, doveva agire subito, quindi spinse le mani contro la parete più vicina ed eseguì il Respiro del Drago, cercando di indirizzare la sua distruzione indietro e non in direzione della città. Poi fece un balzò via, prima di essere lui stesso travolto dalla pioggia di pietre che provenne dall'alto, dove il suo colpo aveva aperto delle crepe. La montagna stessa tremò sotto i suoi piedi, ma il cunicolo rimase intatto. Dietro di loro, però, non c'era più via d'uscita, il che significava che anche le guardie non potevano più raggiungerli.
I minatori si erano fermati spaventati da quella improvvisa scossa di terremoto, quindi Sabo tornò in mezzo a loro e prese la testa della compagnia, per rassicurarli. «Adesso potete stare tranquilli» disse. «Non credo che riusciranno a togliere quelle pietre in fretta. Andiamo a vedere dove conduce questo tunnel.»
Ciro gli si affiancò, con l'intenzione di studiarlo a fondo. «Che cosa caspita sei?» gli domandò. Aveva una conoscenza limitata della Rotta Maggiore, altrimenti avrebbe saputo che c'erano persone in grado di provocare danni ben più gravi di quello che Sabo otteneva con il solo uso dell'Haki.
In ogni caso, Sabo non gli diede granché soddisfazione, ma si limitò a sorridergli e a rispondergli enigmatico: «Un drago».
 
Koala non sapeva che cosa fare. Una parte di lei avrebbe voluto spaccare la finestra e unirsi alla lotta, l'altra, quella che al momento stava vincendo, le diceva di rimanere al suo posto e proteggere le altre ragazze che l'avevano presa in simpatia.
In ogni caso, teneva d'occhio la situazione dalla finestra, pronta ad intervenire se fosse stato necessario. Era l'unica che non temeva il disastro che era avvenuto al di fuori. Dato che l'harem si affacciava da un solo lato della città, non erano al corrente di ciò che era successo esattamente all'arsenale, sapevano solo che era stato qualcosa di grave perché Serse non era sceso da loro e perché avevano sentito una gran confusione correre per il palazzo. Koala, conoscendo la missione di Hack, sospettava che fossero riusciti a trovare il deposito delle armi e a rubarle o distruggerle. Se così fosse stato, presto avrebbe potuto scatenarsi la rivolta.
Era stata tutta la notte sveglia alla finestra a controllare, finché, finalmente, alle prime luci dell'alba non aveva sentito il movimento. I colpi di fucile avevano iniziato ad esplodere da diverse direzioni e poi erano arrivate esplosioni più grandi e fili di fumo si erano innalzati da varie parti. Le porte del palazzo erano rimaste chiuse, lasciando fuori il grosso dell'esercito che proveniva dall'arsenale. Le mura le impedivano di capire per bene l'andamento della battaglia, ma i ribelli si stavano avvicinando in fretta perché i rumori dei colpi si facevano sempre più vicini, finché non fu chiaro che avevano posto il castello sotto assedio. Le guardie rimaste all'interno si erano asserragliate nelle mura, ricambiando i colpi e impedendo agli avversari di avvicinarsi troppo per essere in grado di sfondare la porta.
Koala aveva preso la decisione di scendere ad aprire personalmente almeno una delle porte, prima che l'assedio durasse abbastanza a lungo da permettere ai soldati di riprendersi, quando qualcosa cambiò nuovamente le carte in tavola. Un gruppo di persone aveva appena fatto il suo ingresso nel cortile. Potevano essere usciti solo dal palazzo, ma Koala dubitava che Serse permettesse a certe persone di vivere sotto il suo stesso tetto, dato che anche a distanza erano essere sporchi e maleodoranti.
Lei ne riconosceva le fattezze come schiavi e non ebbe difficoltà a capire che doveva trattarsi dei minatori tenuti prigionieri da Serse. La conferma le venne quando notò che molti di loro avevano in mano un piccone e con quello aggredivano le guardie che cercavano di fermarli. Era chiaro che non avevano né la forza né i mezzi di opporsi all'esercito, ma il loro arrivo aveva causato lo sdoppiamento del fronte, per cui le guardie si trovavano attaccate dall'interno e dall'esterno. Era chiaro che uno dei due avrebbe ceduto.
Koala ebbe grande rispetto per quegli uomini emancipati che con la forza di un leone si gettavano anche a mani nude contro i propri aggressori pur di rivendicare finalmente la loro libertà. Le ricordavano un certo uomo pesce che aveva scalato la Red Line a mani nude. Per questo motivo non poteva più restare a guardare, doveva agire ed unirsi ala battaglia.
«Io me ne vado» annunciò, diretta soprattutto alle ragazze che stava cercando di proteggere. «Venite con me.»
Loro parvero preoccupate. «Ma... Ma fuori...»
«Appunto» annuì Koala. «Cosa credete che succederà quando quegli uomini entreranno nel palazzo? Ai loro occhi siete le puttane del re, non dimenticatelo.» Aveva usato una parola volutamente offensiva, benché sapesse che nessuna di loro aveva mai avuto rapporti con Serse, perché sapeva bene come andava il mondo e aveva già visto cose simili accadere. Strappò una delle tende che decoravano l'harem e la passò loro, affinché potessero coprirsi prima di uscire, e lasciò loro il tempo di riflettere.
«Karate degli uomini pesce...» Prese un profondo respiro. «Colpo delle cento tegole.» Il suo palmo aperto sfiorò appena la porta chiusa, che praticamente esplose scagliando attorno scaglie di legno colorato. Le donne si bloccarono per il rumore e distolsero per la prima volta gli occhi dalla battaglia che si stava svolgendo oltre le mura. Erano esterrefatte.
Koala prestò attenzione solo alle ragazze e fece cenno di avvicinarsi, che andava tutto bene. Loro erano ancora titubanti, ma annuirono e si predisposero per seguirla.
«Traditrici! Il Supremo Serse è figlio degli dei e non può perdere!» A gridare era stata una delle favorite, quella che pareva essere in comando. Erano in ansia da quando era iniziata la battaglia, ma adesso erano completamente fuori di testa. «Vi farò punire tutte!»
«Zitta, maledetta!» Un attimo dopo un'altra donna, una di quelle che da loro venivano sfruttate, fu su di lei e l'afferrò al collo, cercando di soffocarla. La situazione degenerò in fretta in un vero e proprio scontro tra favorite e sottomesse, le quali, forse spinte dalla battaglia e dal fatto che si vedessero già morte a prescindere dal vincitore, avevano tirato fuori il loro aspetto più ferino e avevano deciso di vendicarsi di tutti i torti subiti prima di crepare.
Koala non aveva il tempo di pensare a loro, né alle loro piccole ripicche da harem, quindi si voltò senza nemmeno guardare la fine di quella discussione. Le ragazze la seguirono come i pulcini con la propria chioccia. Allora lei attivò l'Haki dell'Osservazione, perché voleva cercare di portarle in un posto sicuro. Fu grazie a quello che individuò un discreto gruppo di persone che si stavano muovendo per il castello, seguendo una direzione precisa. In un flash comprese che doveva trattarsi di Serse. Era uno stupido, ma persino lui avrebbe dovuto avere un piano di fuga prestabilito, come ogni re che si rispettava. Doveva impedirlo, o tutto quello che aveva fatto sarebbe stato vano.
«Procuratevi un'arma» ordinò alle ragazze. «Qualsiasi cosa vi possa essere utile per difendervi e poi scendete al piano terra. Dovrete dimostrare di essere state delle combattenti anche voi.»
«Tu dove vai?»
«A uccidere il re» fu la risposa secca di Koala, data in lontananza perché era già corsa via, seguendo la traccia che sentiva. Era comunque ad un piano inferiore rispetto a dove si trovava lei, ma non aveva il tempo di cercare le scale, quindi, quando fu certa di trovarsi esattamente sopra di loro, infranse il pavimento per balzare di sotto.
Il rumore delle pietre che si spaccavano e precipitavano a terra fece fermare il gruppo. Koala atterrò elegantemente e sorrise. Come aveva previsto, Serse stava fuggendo accompagnato da un gruppo di suoi fedelissimi. Non fu sicura che l'avesse riconosciuta, probabilmente sì dal modo in cui la guardava, ma la sua priorità al momento erano le guardie, che non si erano lasciate distrarre dal suo essere donna o dai suoi seni scoperti, perché avevano puntato le armi di fronte alla distruzione che era riuscita a creare.
Non erano comunque alla sua altezza. Erano lenti e scoordinati e quando cercavano di spararle addosso finivano per colpirsi a vicenda perché lei era troppo rapida e sgusciava facilmente fra di loro. Per di più facevano gruppo compatto, per cui lei non doveva nemmeno faticare per colpirli: si abbassava e li colpiva alle caviglie per far perdere loro l'equilibrio, quindi mentre li metteva fuori gioco con un colpo di calcagno era già a colpire un altro uomo con una ginocchiata, poi era saltata per evitare i colpi e spingeva due teste a cozzare l'una contro l'altro prima di atterrare con delicatezza.
Vedere i suoi uomini migliori completamente annichiliti da una sola persona distrusse definitivamente la psicologia di Serse. Era immobile davanti a lei, in piedi attorniata dai soldati che aveva sconfitto, e la fissava con gli occhi e la bocca spalancata. Gli anelli d'oro che portava ovunque e che non si era tolto nemmeno in quell'occasione tintinnavano tra di loro a causa del suo tremore, formando una sinistra melodia.
«La mia lingua» mormorò Koala, «non è l'unica cosa di cui ti devi preoccupare.»
Forse avrebbe pregato per la sua vita, ma lei non gliene diede il tempo, perché lo colpì in pieno petto con uno dei suoi colpi migliori. Avvertì chiaramente il rumore delle costole che si spaccavano mentre spingeva il suo palmo aperto e poi la spina dorsale che impattava  contro la parte in cui lo stava spingendo così profondamente da bucarla. E quella fu la fine del Supremo Re Serse, schiacciato contro un ortostato che raffigurava un suo antenato vittorioso. Ed era la fine, pensò Koala, che avrebbero dovuto fare tutti quelli che pensavano  di sapere cosa significasse conquistare il mondo.
Poiché aveva ancora i sensi allertati, sentì delle presenze arrivare dal corridoio opposto rispetto alla direzione che aveva preso lei. Per un attimo, pensò potesse trattarsi delle ragazze, invece erano Sabo, Ace e Hack. Appena la videro si immobilizzarono.
«Siete arrivati tardi» commentò, indicando il corpo di Serse praticamente incastonato dentro la parete. Poi si accorse che non era quello il motivo per cui erano rimasti stupefatti e sorrise divertita. «Che c'è, non avete mai visto delle tette?»
Nessuno rispose, tutti e tre continuarono a cercare di guardare per terra. Hack si tolse la maglia e si avvicinò a lei per passargliela, sempre evitando accuratamente di fissarla.
«Grazie.» Koala la prese e se la infilò: le stava larghissima, ma almeno la copriva rispetto a com'era conciata prima. Non si lamentò del fatto che fosse sudata e puzzolente, sapeva che Hack aveva probabilmente combattuto fino a poco prima. «Da dove arrivate?»
Sabo pareva avere ancora difficoltà a parlarle, mentre Ace si era già ripreso e si era reso conto che trovava molto irritante il fatto di non essere riuscito nemmeno ad assestare un buon pugno a Serse, che aveva osato mettere in pericolo suo fratello. Quindi fu lui a risponderle: «Io e Hack stavamo aiutando la rivolta, ma quando ci siamo accorti che la porta delle mura non avrebbe ceduto in fretta, abbiamo cercato di entrare dall'interno. Io avrei usato uno dei miei pugni di fuoco, ma qualcuno non ha voluto.» L'occhiata lanciata ad Hack fu più che eloquente.
«Quella è la tua mossa caratteristica, non potevi farti riconoscere» si giustificò lui.
«In ogni caso, siamo entrati dal palazzo utilizzando il passaggio sotterraneo che partiva dall'arsenale» proseguì Ace ignorando le sue scuse. «L'avevamo utilizzata per rubare le armi, inizialmente, ignorando il pezzo che portava al palazzo, ma alla fine è stato utile anche quello. E abbiamo beccato Sabo che era entrato dall'altra parte e ci siamo uniti a lui nella caccia al re.»
«Io venivo dalla miniera.» Sabo parve finalmente aver ritrovato la parola. «Ho liberato tutti gli schiavi e siamo scappati. Per nostra fortuna anche la strada che avevamo preso portava al palazzo, probabilmente Serse la usava per farsi portare l'oro direttamente.»
«Ho visto» disse Koala. «Stavano tutti combattendo con le guardie del cortile, per cercare di aprire la porta dall'interno.»
Sabo annuì. «Quando si sono resi conto della situazione si sono gettati nella mischia e non sono riuscito a fermarli.» Lo disse con un velo di tristezza, perché anche se immaginava che l'adrenalina e il senso di libertà avesse dato loro la forza, non avevano né il fisico né le energie per sostenere una battaglia di quel genere e la cosa rischiava di essere un massacro non previsto. Anche nel caso fossero riusciti ad aprire il cancello. Per questo era subito corso a cercare Serse: sconfitto lui, la battaglia sarebbe finita.
«Stai bene?» domandò a Koala. Non l'aveva consultata quando aveva preso la decisione di lasciare che Serse li catturasse: sapeva che se la situazione si fosse fatta troppo grave avrebbe avuto la forza per cavarsela, come i corpi che giacevano a terra nel corridoio dimostravano. Ciò nonostante non dimenticava mai che era stata una schiava e odiava che potesse rivivere quei momenti. Quando l'aveva vista praticamente nuda e con le catene ai polsi e alle caviglie, si era sentito profondamente in colpa. Lei, però, non sembrava farci caso.
«Adesso sì» affermò, dopo aver scoccato un'occhiata al corpo nella parete. «Tu, piuttosto, mi sembri uno straccio.»
Adesso che lo guardava bene, anche Ace si rendeva conto che suo fratello non era in buone condizioni: era sporco e impolverato, tanto che i suoi capelli biondo oro avevano assunto una colorazione marrone. E poi aveva le occhiaie e le labbra secche. «Già, sei uno straccio» confermò. «Vi riducete sempre così in missione?» Non che ai pirati non capitassero mai degli scontri difficili, anzi, di fatto nessuno di loro era rimasto ferito in alcun modo, ma erano le modalità che lo disturbavano. Era come se si trattasse di una stanchezza mentale.
«Sto bene» assicurò loro Sabo. Era effettivamente stanco perché non dormiva né mangiava da un giorno intero, oltre al fato che aveva picconato e trasportato terra per diverse ore di seguito e poi aveva attraversato una montagna a piedi, ma non l'avrebbe rinfacciato a nessuno. «E comunque anche tu mi sembri parecchio stanco» protestò in direzione del fratello, in tono di sfida.
Vero. Non aveva il dolore ai muscoli che gli capitava durante un combattimento impegnativo, ma la concentrazione che era stata necessaria per mantenere le fiamme sotto controllo gli avevano lasciato la testa che doleva in modo tremendo. «Sto bene» disse, ripetendo le stesse parole del fratello. «Che si fa ora che Koala ci ha tolto tutto il divertimento?»
«Dobbiamo solo far sapere che il re è morto, questo ci farà vincere la guerra» rispose Hack. «Per il resto, risistemare il governo sarà compito degli abitanti.»
«Cosa stiamo aspettando, allora?» fece Ace tutto allegro, con l'intenzione di afferrare il corpo di Serse per un braccio e trascinarlo via malamente.
Non fu necessario: una delle ragazze che Koala aveva aiutato comparve nel corridoio. Aveva un candelabro in mano come arma, ma non aveva intenzione di usarla, o comunque non ci sarebbe riuscita, era troppo esaltata. «La principessa! La principessa Atossa è tornata!» gridò loro. Era venuta apposta a cercare Koala per dirglielo.
Non era una cosa che i rivoluzionari si aspettavano – quanto ad Ace, di queste cose di politica non ne sapeva nulla, quindi non capiva se fosse una buona o una cattiva notizia. In ogni caso, si mossero tutti assieme seguendo la ragazza nell'ala del palazzo le cui finestre davano verso la porta dove si stava consumando l'ultima battaglia. Anche le altre concubine si trovavano affacciate, ognuna con in mano un oggetto diverso trasformato in arma improvvisata. Ma se fossero state aggredite non se ne sarebbero nemmeno accorte, data l'attenzione che stavano concentrando sugli avvenimenti esterni.
Sabo si affacciò. La guerra era ormai finita e la porta delle mura era stata aperta. I soldati di Serse avevano deposto le armi e ora stavano in ginocchio di fronte ai vincitori. Sabo cercò di ignorare i numerosi corpi dei minatori che giacevano sparsi per il cortile e sperò che Ciro fosse riuscito a cavarsela. Era stata una loro decisione combattere, ma si sentiva in colpa comunque.
E poi la regina Atossa fece il suo ingresso nel cortile. Era da sola e camminava lentamente, ma nessuno aveva intenzione di fermarla, anzi, al contrario si erano tutti spostati in due ali laterali per crearle una strada immaginaria. Persino le guardie che un tempo erano state di Serse chinarono il capo di fronte a lei. Sabo non la vedeva bene, ma apparentemente emanava un'aura di potere che non ricordava di aver percepito quando le aveva rubato la “Stella Blu”. Probabilmente era la sicurezza che le derivava dall'essere nel suo paese natale.
«Che strano» mormorò Koala. «È venuta da sola?»
Era vero: c'era qualcosa di strano nel suo arrivo così tempestivo. Non poteva essere stata informata della rivolta in tempo, dato che era una cosa improvvisa. Inoltre sapeva che il fratello covava del rancore nei suoi confronti, per cui sarebbe stato imprudente arrivare da sola. E non sembrava nemmeno stupita dalla confusione che aveva trovato, anzi, sapeva come controllare la folla.
«Dovremo informare Dragon» affermò Hack. «In ogni caso, il nostro lavoro è finito. Torniamo a casa.» Poi si voltò a guardare le ragazze, ancora prese a fissare Atossa, che si era fermata sui gradini del palazzo proprio sotto la loro finestra e stava parlando alla folla nel loro dialetto. Qualsiasi cosa stesse loro dicendo, li stava conquistando. «Giusto, manca ancora una cosa.» Frugò nel suo vestito e ne estrasse la “Stella Blu” e la consegnò nelle mani tremanti di una delle ragazze. «Questa appartiene alla Regina Atossa. Dovreste darglielo.»
Lei non sembrò molto convinta a vedersi affidato un oggetto e una missione così importante, ma Koala le sorrise e allora lei si rassicurò e annuì. Una volta che le ragazze furono allontanate, i tre rivoluzionari più Ace presero la direzione opposta, e fecero un giro più lungo per tornare al porto, lasciandosi alle spalle il regno di Persia alle prese con le sue ferite.
Ma li aspettava una brutta sorpresa, perché anche il porto era stato preso nel furore della battaglia. Sabo sospettava che potesse essere in parte colpa sua, perché i soldati a cui aveva tagliato la strada nella miniera probabilmente erano scappati via mare per recuperare gli schiavi ed erano finiti immischiati nella rivolta. Comunque fosse andato, la loro nave era affondata assieme a molte altre.
«Vi succedono spesso queste cose?» domandò Ace. Le navi di Barbabianca erano talmente ben costruite che era rarissimo che affondassero, anche durante un arrembaggio.
«Abbastanza» confermò Koala. «Di solito mandiamo Hack a recuperare una nave.»
Hack annuì: era un compito che non gli piaceva, ma che gli toccava in quanto l'unico che non avrebbe rischiato di affogare rimanendo per così tanto a nuotare nella Rotta Maggiore. «Almeno stavolta il viaggio sarà breve» commentò, dato che avevano lasciato l'altra imbarcazione, quella con cui Ace e Sabo li avevano raggiunti, non troppo distante dall'isola.
«A quanto pare non servirà» affermò Ace, indicando il porto in lontananza. La Little Moby stava navigando a vele spiegate nella loro direzione. Quando fu abbastanza vicina perché potessero salirci a bordo con un salto, notarono che c'era Marco a prua, con una mano poggiata sul parapetto verso di loro.
«Avete bisogno di un passaggio?»

 
   
 
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