Curt ha ventisei anni ed è la copia
perfetta di Buster Keaton, come una reincarnazione
moderna. Anche se lui stesso ha dovuto ammettere di assomigliargli non ha mai
indagato ulteriormente il personaggio. Appassionato di computer e cibernetica
per lui il cinema muto è superato e senza interesse e Buster
Keaton solo un divo dei tempi andati.
Per Shannon, invece, non è assolutamente
così, lei che nel 2015 ancora si perde nello sguardo di Keaton.
Sarà suo compito convincere Curt a
“dare” una possibilità a Buster, così che lui possa
finalmente accorgersi della magia custodita dal cinema in bianco e nero e da
quell’uomo, da cui Curt sembra essere stato riprodotto.
–
Keaton –
I
rumori erano quelli delle posate che si toccano, che colpiscono la porcellana,
che vengono abbandonate sul tavolo. Seduti uno di fronte all’altra, quasi al
centro della piccola tavola calda, Shannon e Curt stavano conversando, come il
resto dei presenti. Lei rigirava distrattamente le verdure grigliate, uniche
superstiti del suo filetto di pollo; lui continuava a piluccare, una foglia
alla volta, l’insalatone che ancora gli riempiva il
piatto per metà. Curt ingoiò il boccone che stava masticando, senza smettere di
scuotere la testa: «Non capisco perché ti ostini a insistere tanto» disse,
abbandonando la forchetta che vibrò di quel suono che si sentiva spesso nella
stanza in cui erano.
La
ragazza non si scompose; il suo sorriso si allargò di un altro po’ prima di
rispondere: «Potrei dirti la stessa cosa»
«No.
Questo no» la corresse. «Sei sempre tu a tirare fuori l’argomento ogni volta
che puoi»
«Perché
voglio provare a capire per quale motivo ti rifiuti di vedere almeno uno di
quei film»
Curt
riprese in mano la forchetta, ricominciando a punzecchiare le foglie di
lattuga: «Te l’ho detto, non fa per me. Non è il mio genere e non mi appassiona. Anzi, non mi incuriosisce
nemmeno»
«Ecco,
è questo che non capisco»
«Oh,
andiamo, Shannon. Viviamo nell’era digitale, gli anni dei computer. Ora sono in
grado di girare film come Avatar,
Jurassic World, o Interstellar. Per
quale motivo dovrei andare a guardare un film in cui la tecnologia massima era
la pellicola al nitrato?»
Lei
non replicò subito, si lasciò semplicemente sfuggire un nuovo sorriso. Ancora
una volta lei e Curt erano uno di fronte all’altra, a esporre reciprocamente le
proprie perplessità su ciò che rendeva il mondo dell’altro unico. Da una parte
Shannon che passava ore a sognare a occhi aperti, che continuamente
fantasticava su cose che sapeva irrealizzabili; così tanto con la testa fra le
nuvole che aveva imparato a tenere i piedi saldamente a terra per evitare di
soffrire delle illusioni che lei stessa si creava. Dall’altra Curt, per cui ieri non esisteva e tutto era solo
davanti, nel domani. Lui che era
consapevole che il mondo andava vissuto razionalmente e che se una cosa non si
poteva spiegare era solo dovuto al fatto che non era stata ancora studiata
nella maniera migliore. Due figure esattamente
opposte l’una all’atra, ma proprio per questo tanto interessati a chi avevano
di fronte. Lui era profondamente affascinato da lei, dalla sua visione del
mondo, dalla capacità di trovare la bellezza anche nelle cose più
insignificanti. Lei, invece, si era sempre trovata a suo agio con Curt, a tal
punto da arrivare a invidiare la sua logica razionale, lui che non aveva
bisogno di sognare a occhi aperti per essere felice, che non aveva bisogno di
aggrapparsi alla fantasia per poter apprezzare le cose.
Shannon
rimase a guardarlo per un lungo momento, come a cercare l’esitazione, anche
minima, negli occhi di lui. Ma non riuscì a trovarla, perché Curt era
totalmente sicuro di quello che aveva detto, dannatamente certo delle sue
convinzioni. Eppure per Shannon sembrava impossibile che il ragazzo che aveva
davanti non potesse essere interessato, neanche in piccola parte, a tutta
quella produzione cinematografica che aveva fatto la storia. Lui che agli occhi
di chiunque – e anche per sua stessa ammissione, una volta – era la copia
perfetta di Buster Keaton, come un gemello separato
alla nascita, ma dal tempo. Davvero non si capacitava di come fosse possibile
che, in simili circostanze, lui non avesse mai desiderato andare a indagare una
figura a cui sembrava misteriosamente legato, di andare a scoprire quel suo
“gemello” attraverso i film che lo avevano reso celebre. Ma per Curt non aveva
mai avuto importanza, aveva sempre liquidato la faccenda dicendo che la loro
era “solo una somiglianza” e che poteva benissimo succedere. Ma era una
somiglianza che aveva dell’incredibile e Shannon sapeva perfettamente che erano
stati gli occhi di Curt – così uguali a quelli di Keaton, in cui lei si perdeva
ancora e ancora ogni volta che guardava i suoi film – ad attirarla da lui la
prima volta che si sono incontrati, anche se poi, con il passare dei giorni,
lei era rimasta affascinata dalla personalità del ragazzo che aveva davanti,
così reale da sposarsi perfettamente alle sue fantasie.
«Cosa
posso fare per farti cambiare idea?» chiese infine la ragazza, lasciando cadere
la forchetta nel piatto, disinteressandosi totalmente delle verdure che ancora
le rimanevano da finire.
«Direi
niente. Sai come la penso»
Lei
sbuffò: «Sì, lo so, ma per me non ha senso. Voglio dire, fra ottant’anni
saranno superati anche film come Avatar e Interstellar, allora cosa farai? Non li considererai più dei
capolavori? Li etichetterai come “privi di interesse”?»
«Sì»
Shannon
aprì bocca per parlare, ma non le riuscì di dire nulla. Fu Curt a riprendere
parola: «Fra ottant’anni ci saranno tecnologie nuove e inimmaginabili e quelle
di Avatar saranno superate. Ogni cosa
lascia il tempo che trova. È così da sempre»
La
ragazza non replicò, rimase a guardare lui che masticava vittorioso.
«E,
invece, io cosa posso fare perché tu la smetta di insistere con questa cosa
ogni volta che ne hai la possibilità?» chiese lui, dopo aver deglutito.
Lei
sollevò un sopracciglio: «Davvero lo vuoi sapere?»
«Potrei
pentirmene?»
«Per
me no»
Lui
la guardò, serio, facendo scorrere gli occhi sugli ondulati capelli nocciola
che, come una cascata, scendevano morbidi sulle spalle di Shannon.
«Sentiamo»
disse infine.
«Un
film. Se vuoi che smetta di ammorbarti con il cinema muto dovrai guardare uno
dei film che lo hanno reso celebre» rispose lei, sollevando l’indice.
Curt
si fece sfuggire un lungo sospiro: «Non è uno scambio equo»
«Come
no? Accetti di guardare un film muto e io, in cambio, non insisterò più
affinché tu lo faccia»
«Per
questo non è equo. Sarebbe semplicemente una vittoria per te»
«Perciò
non ci stai?»
Lui
ci pensò: «Cambiamo le condizioni. Io faccio una cosa che non mi va di fare e
tu fai altrettanto»
«Sarebbe?»
«Io
guarderò uno dei tuoi amati film muti, ma tu, in cambio, mi permetti di
mostrarti le potenzialità della cibernetica. Io faccio qualcosa che piace a te
e tu fai qualcosa che piace a me. Alla fine di tutto siamo pari»
Lei
sorrise: «Ma io non ci capisco niente di cibernetica»
«Appunto,
io te la posso spiegare. Ho già tenuto diverse lezioni private a dei ragazzini
delle scuole superiori. Il tuo quoziente intellettivo è almeno dieci volte
superiore, quindi capirai perfettamente»
Shannon
ci pensò un momento, ma non a lungo. Quando incontrò gli occhi di Curt si rese
conto che quella era l’occasione migliore – e l’unica – per far vedere al
ragazzo tutta la magia racchiusa nel cinema in bianco e nero e di farlo attraverso
il lavoro di un uomo che Curt non avrebbe mai potuto ignorare. «Ok, ci sto. Da
cosa vogliamo cominciare? Lezioni di cibernetica o film?»
Lui
non esitò: «Facciamo film. Così almeno mi levo subito il dente»
La ragazza rise: «Perfetto, allora. Mi organizzo
e troviamo un giorno, d’accordo?»
Curt
annuì, facendo semplicemente segno di sì con la testa. Shannon rimase a
guardarlo un momento, mentre lui portava i suoi occhi sul verde del suo piatto.
Alla fine la ragazza afferrò la forchetta e tornò a dedicarsi alle sue verdure.
Era convinta di aver vinto, incredibilmente sicura di essere riuscita nel suo
intento. Dentro di sé sentiva che Curt avrebbe finito con l’apprezzare il
cinema muto e, con esso, tutte le storie che attraverso le pellicole ha sempre narrato.
Per lei era l’occasione perfetta e il modo migliore per mostrare al ragazzo
quel mondo unico, senza il quale lei si sarebbe sentita tremendamente
incompleta. Sapeva già quale titolo sottoporgli, certa che lo avrebbe
affascinato nello stesso modo in cui aveva affascinato lei la prima volta che
lo aveva guardato.
*
Conosceva
la strada a memoria. Sapeva perfettamente che, appena entrata, doveva superare
il bancone dei prestiti a sinistra, proseguire lungo il corridoio che si
trovava davanti e poi infilarsi nuovamente a sinistra. Lì si trovava una
piccola stanza, proprio la piccola stanza in cui si stava dirigendo. Per
l’ennesima volta Shannon raggiunse quel posto dove, ordinati uno accanto
all’altro, stavano libri, saggi e dvd del primo cinema. Ricordava perfettamente
anche lo scaffale e la fila in cui il dvd che stava cercando si trovava. Non
cercò nemmeno la lettera. La sua mano destra scorse sicura sui dorsi delle
custodie dei film e ne estrasse uno senza esitazione. Era quello che cercava.
Il dvd che aveva tra le mani conteneva due dei suoi film preferiti, entrambi
perfetti per mostrare a qualcuno la bellezza di quel cinema di quasi cent’anni
fa, reso celebre e ancora apprezzato da artisti come Charlie Chaplin, Harold
Lloyd e il suo preferito: Buster Keaton. Proprio
quest’ultimo sembrava intento a guardare la ragazza dalla copertina del dvd,
perché proprio di quest’ultimo erano i film che più di tutti lei amava. Andava
sempre in quella stessa biblioteca; compiva il tragitto a memoria, arrivando nella
piccola stanza a sinistra e cercava il film di cui aveva più voglia. Ma il dvd
che aveva in mano era quello che
prendeva più spesso; lo aveva guardato così tante volte da averne perso il
conto, consapevole che se fosse stata una videocassetta l’avrebbe consumata
fino a smagnetizzarla. Rimase a guardare la foto della copertina, quel primo
piano di Buster Keaton e ripensò a Curt. Come poteva
essere possibile una tale somiglianza fra sue persone che non si sarebbero mai
potute incontrare? E come poteva Curt rimanere indifferente proprio di fronte a
tale somiglianza? Era la seconda domanda a confonderla maggiormente. Aveva
cercato di capire per quale motivo al ragazzo non era mai interessato niente di
quello che lui definiva “antiquato”. A lui non importava delle fotografie a
pellicola, delle auto d’epoca, dei dischi in vinile e dei film muti. Avrebbe
potuto capirlo da qualche altra persona, ma non da Curt, curioso per natura
come dimostrava il fatto che indagava le profondità dei computer e della
cibernetica per trovare spiegazioni. Ma forse era proprio dovuto a quello.
Forse il fatto che lui non si fosse mai soffermato a lungo sulla pazzesca
somiglianza che aveva con Buster Keaton era dovuto al
fatto che non avrebbe mai trovato una spiegazione degna di essere chiamata tale
e per questo motivo non aveva mai trovato la faccenda interessante. Tuttavia,
per Shannon, etichettare il cinema muto come “privo di interesse” quando non si
è mai guardata una sola opera che lo ha reso celebre era un grossolano errore,
una cosa che non si sarebbe mai aspettata da un ragazzo intelligente come Curt.
Avrebbe accettato qualunque giudizio sui film di Buster
Keaton una volta che lui ne avesse visto almeno uno, ma era certa che terminata
la proiezione le parole di Curt sarebbero state solo positive. Non a caso lei
era innamorata dei film di quegli anni e delle interpretazioni di quell’attore.
In quei film lei ancora trovava magia e spensieratezza, due cose che chiunque
spera di trovare nella vita, anche i più razionali. Shannon sollevò lo sguardo sul resto dei dvd
ancora sullo scaffale, immobili, come in attesa che la ragazza prendesse la sua
decisione. Lei rigirò fra le mani il film che teneva, indecisa. Si chiese se
era sufficiente quello che aveva già o se, magari, prenderne un altro. Forse a
Curt quello da lei scelto sarebbe piaciuto a tal punto di fargli venire voglia
di vederne un altro e poi un altro ancora. Tuttavia sapeva di sbagliarsi. Anche
se a Curt il film fosse piaciuto tanto da voler approfondire sia il cinema muto
che Buster Keaton, il ragazzo non gliel’avrebbe mai
data vinta tanto facilmente, non avrebbe mai ammesso di sperare di poter vedere
ancora un film. Inoltre quel dvd conteneva già tre film, era più che
sufficiente. Alla fine la ragazza si voltò, sistemandosi la borsa sulla spalla
e incamminandosi per compiere a ritroso la strada che le aveva permesso di
arrivare fin lì. A metà del corridoio, però, si fermò.
*
Sabato
pomeriggio Shannon e Curt si erano dati appuntamento alla solita tavola calda
dove pranzavano insieme tre giorni a settimana. Nella borsa che la ragazza
teneva a tracolla era custodito il film che, a breve, avrebbe sottoposto
all’amico, nella speranza di convincerlo a cambiare idea sul mondo del cinema
muto da lei tanto amato. Curt arrivò puntualissimo, alle tre spaccate. Si salutarono e subito Shannon si incamminò,
affiancata dal ragazzo: «Esattamente dove stiamo andando?» chiese lui dopo aver
regolato il passo a quello di Shannon. Lei si voltò a guardarlo, sorridendo: «Per
guardare un film muto per la prima volta ci vuole il posto giusto»
Curt
inarcò un sopracciglio: «Non hai intenzione di dirmelo, vero?»
La
ragazza si limitò a sorridere, annuendo. Proseguirono lungo il tragitto
chiacchierando di tutt’altro, Curt seguendo Shannon lungo vie che lo
confondevano, rendendolo incapace di capire dove esattamente la ragazza lo
stava trascinando. Poco più di dieci minuti dopo lei si fermò, voltandosi verso
di lui. «Eccoci»
Curt
sollevò lo sguardo sull’edificio. Si trattava di un cinema, uno di quelli
piccoli, dimenticati da tempo e surclassati dalle grandi multisale; un posto in
cui sempre meno spettatori entravano e che, con molta probabilità, avrebbe
potuto chiudere presto. Il ragazzo non ricordava quel luogo, forse non ci era
mai passato neanche accanto essedo cresciuto in un quartiere diverso da quello
di Shannon, ossia quello in cui si trovavano ora. Notando che lui non accennava
a dire niente, ma continuava a guardare la facciata dell’edificio – con quel
suo sguardo velatamente malinconico così uguale a quello di Buster
Keaton – Shannon prese parola: «Ho pensato che sarebbe stato bello farti vedere
il film in un cinema, uno di quelli che ancora mantiene l’atmosfera di tanti
anni fa» Si strinse nelle spalle: «Il proiezionista è un mio amico. Per questo
posso farlo»
Curt
rimase a guardarla per un lungo momento.
«Vieni
spesso qui?» chiese poi.
«Sì,
abbastanza. Seguo i loro cineforum perlopiù. È grazie a quelli che riescono
ancora a rimanere aperti»
Gli
fece cenno di seguirla, indicando l’ingresso. Mentre entravano lui ne
approfittò per guardare bene quel piccolo cinema il cui stile era di chiaro
influsso Art Nouveau europeo. Era piccolo, accogliente, con moquette a ricoprire il
pavimento che lui trovò più pulita di quanto si fosse immaginato e legno scuro,
non più lucido come un tempo, a rivestire biglietteria e altre parti
aggettanti. Dentro i due incontrarono il proiezionista, l’amico a cui si
riferiva prima Shannon. Quest’ultima lo presentò a Curt come Kyle, il quale lo
scrutò attentamente da cima a fondo un paio di volte prima di dire: «Ti ha mai
detto nessuno che sei uguale a…»
Ma
Curt lo fermò prima: «Buster Keaton. Sì, lo so»
Kyle
si voltò verso Shannon, soddisfatto: «Due gocce d’acqua» Dopodiché si avvicinò
alla tenda che certamente copriva l’ingresso nella sala: «Se volete
accomodarvi. La proiezione sta per iniziare» Batté con la mano il dvd che
Shannon gli aveva allungato pochi minuti prima e a cui Curt sfuggì la
copertina. Shannon si avviò nella sala, seguita dal ragazzo che lanciò
un’ultima occhiata a Kyle prima di tirarsi la tenda dietro. La sala, deserta, era piccola, esattamente
come il cinema. Avrebbe potuto ospitare sì e no un centinaio di persone. Curt
notò l’espressione di gioia dipinta sul volto della ragazza, come se fosse
incredibilmente felice di essere lì. Lui non riuscì a spiegarselo; gli
risultava ancora difficile capire come potesse, quella ragazza, essere così
appassionata di qualcosa scomparso e superato da ormai novant’anni. Eppure era
stato quel suo amore per il cinema muto a convincerlo – seppur controvoglia – a
seguirla fin lì, il modo in cui ne parlava, in cui lo raccontava. Dentro di sé
Curt sapeva perfettamente che, al termine di quella proiezione, il suo giudizio
verso i film in bianco e nero non sarebbe cambiato, ma quello nei confronti di
Shannon sì: si sarebbe certamente innamorato un po’ di più della ragazza
proprio perché avrebbe capito che lei possedeva realmente la capacità di
sognare che per lui era tanto difficile da trovare. Mentre lui era perso nei
suoi pensieri non si era accorto che Shannon aveva già salito almeno quattro
gradini. La ragazza si fermò, voltandosi a guardarlo: «Che fai ancora lì?»
chiese.
Curt
alzò lo sguardo su di lei, riprendendosi dalla sua estraniazione: «Che film hai
scelto?» le chiese, ignorando la domanda.
Lei
alzò le spalle: «È una sorpresa»
Lui
sospirò: «È di Buster Keaton, vero? Non solo vuoi
propinarmi un film muto, ma vuoi anche propinarmi un suo film muto»
«Anche
se fosse, cosa c’è che non va?» chiese lei, rendendosi conto che nella voce di
Curt c’era una piccola nota di rassegnazione.
Il
ragazzo non rispose, distolse semplicemente lo sguardo.
«Senti,
Buster Keaton è il mio attore preferito, i suoi film
sono i miei preferiti. Per farti vedere la bellezza del cinema muto non avrei
scelto nessun altro, lui è perfetto per questo. Il fatto che tu sembri la sua
copia identica non c’entra nulla, lo avrei scelto comunque» riprese Shannon
alla fine.
«Dici
sul serio?»
Lei
portò una mano sul petto: «Mai stata tanto seria. Ora, vuoi sederti?»
Questa
volta Curt sorrise, raggiunse la ragazza e si sedette accanto a lei all’altezza
del centro della sala.
«Almeno
ora me lo vuoi dire il titolo?» domandò lui.
«Sherlock Jr.»
«Ci
siete ragazzi?»
La
voce provenne alle loro spalle, all’altezza della cabina di proiezione: era
Kyle. Shannon rispose con un cenno, tendendo il braccio verso l’alto e
sollevando il pollice. Pochi minuti dopo le luci in sala si abbassarono.
Come
suo solito, quando era alle prese con qualcosa che non lo soddisfaceva, Curt
era partito prevenuto. Si sentiva infastidito dalla musica usata a
completamento delle immagini al punto di non rendersi conto dell’originalità e
dell’astuzia di Keaton. Ma con il passare dei minuti non poté più rimanere
indifferente alle immagini che gli scorrevano davanti e ai gesti compiuti
dall’attore. Era come se stesse vedendo se stesso compiere le azioni che
l’attore compieva, come se si fosse dimenticato di aver interpretato il
personaggio che stava osservando. Ma era consapevole di non essere lui. Lui era
più altro, di questo poteva esserne certo, e il suo naso era leggermente
diverso, sospettava di non avere quel profilo così sicuro, quasi ricercato. Ma
quegli occhi. Ogni volta che Curt si soffermava a guardarli avrebbe potuto
giurare di osservare il suo riflesso. Accanto
a lui Shannon riviveva quelle scene che aveva già visto innumerevoli quantità
di volte, provando le stesse emozioni che aveva provato la prima volta. Di
tanto in tanto lanciava un’occhiata a Curt, concentrato sullo schermo,
rendendosi conto che Sherlock Jr. aveva
colpito ancora. Lo sguardo di Curt era perso nelle immagini e il sorriso
leggero, velato sulle sue labbra, la conferma che il film lo aveva catturato e
conquistato. La proiezione proseguì minuto dopo minuto e Curt fu totalmente
inglobato da essa a tal punto che il suo scettiscismo e il suo disinteresse nei
confronti del cinema muto sembravano essere scomparsi. Avrebbe dovuto ammettere
di essersi sempre sbagliato su ciò che quel tipo di film era in gradi di
trasmettere e anche sul fatto che essere tanto simile a Buster
Keaton si era improvvisamente rivelato interessante.
Quando
il film terminò la luce ricomparve leggera nella sala, aumentando via via la
sua intensità. Shannon si voltò verso il ragazzo: «Che ne pensi?» domandò. «Non
fingere che non ti sia piaciuto perché non ci credo. Ti ho sentito ridere»
Curt
sorrise: «Avevi ragione» ammise. «È stato bellissimo»
Anche
Shannon sorrise, soddisfatta. Per lei quell’ammissione era la cosa più bella
che potesse sperare di sentirsi dire da lui in quel momento. Le bastò quello
per sentirsi felice dopo che era riuscita a dimostrare al ragazzo che nel suo
mondo c’era posto per tutti, anche per i più razionali. Si alzò in piedi: «Bene»
disse. «Ora, come da accordi, andiamo a parlare un po’ di cibernetica»
Curt
spalancò gli occhi a quelle parole. Non ne aveva voglia. Non voleva alzarsi da
lì, né tantomeno andare a parlare di qualcosa di tanto reale. Non gli
dispiaceva il luogo in cui stava, né il modo in cui aveva trascorso la sua
ultima ora. Afferrò Shannon per il polso: «No, aspetta» la fermò. Lei si voltò
a guardarlo, sorpresa.
«Non
ti andrebbe di vederne un altro?» le chiese.
Sul
volto della ragazza si fece largo un enorme sorriso: «Vuoi vederne un altro?»
chiese, felice.
Lui
annuì: «Se ne hai un altro, sì»
Shannon
sorrise nuovamente, leggermente imbarazzata: «Ho la borsa piena di suoi film»
mormorò.
«Perfetto»
La
ragazza distolse lo sguardo, domandandosi cosa le stesse prendendo. Si mise in
ginocchio sul sedile, voltata verso la postazione del proiezionista: «Kyle»
chiamò.
Il
ragazzo si affacciò dall’apertura: «Dimmi pure» rispose.
«Ti
dispiace far partire One Week?»
«Assolutamente
no»
«Grazie.
E poi scendi, lo guardiamo tutti e tre insieme» concluse, tornando a sedersi
compostamente. «Vedrai che ti piacerà anche questo» disse, rivolgendosi a Curt.
Lui
si limitò a sorridere, guardando Shannon nei suoi occhi marroni, prima che il
buio – che stava nuovamente calando – gli impedì di ammirare a fondo le
iridescenze color mogano che essi possedevano. Kyle li raggiunse nella sala, sedendosi
accanto a Shannon. Quest’ultima si sentì profondamente soddisfatta dell’esito
di quel pomeriggio. Buster Keaton era riuscito a
mostrare la sconfinata bellezza del cinema degli anni ’20 anche a una persona
scettica come Curt. Novant’anno dopo Buster aveva
conquistato anche il suo gemello lontano, attirandolo a sé, e Shannon era
sicura che, anche volendo, Curt non sarebbe mai più riuscito a dimenticarlo.