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Autore: Luine    07/03/2009    3 recensioni
Quando mi hanno regalato questo diario per il mio dodicesimo compleanno, non credevo che mi sarebbe stato tanto utile. Credevo che sarebbe rimasto intonso come quando l'ho scartato. E, invece, eccomi qui a scrivervi sopra e a raccontare la mia (strana) vita.
Mi chiamo Ken Iccijojji, vivo a Tokyo con i miei genitori, Videl e Gohan, e con mia sorella maggiore, Pan.

Kenny ha dodici anni, una sorella maggiore alquanto turbolenta e una situazione familiare decisamente movimentata. A causa del terrore di sua madre di vederlo diventare come Pan, si ritrova iscritto in una scuola speciale per ragazzini problematici che già da subito si rivela essere una vera e propria caserma militare.
Tra paure, insegnanti molto duri, amici fidati e misteriosi, incomprensioni, equivoci e risate, si snodano le vicende di Kenny che come valvola di sfogo ha il suo diario, sul quale annota le sue più intime paure e i fatti di vita quotidiani, cercando di convincere se stesso che, forse, poteva andare peggio.
[ Dragon Ball, Digimon 02, Gundam Wing, What a mess Slump e Arale, e altri ]
Genere: Comico, Commedia, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

Un diario per cominciare


Quando mi hanno regalato questo diario per il mio dodicesimo compleanno, non credevo che mi sarebbe stato tanto utile. Credevo che sarebbe rimasto intonso come quando l'ho scartato. E, invece, eccomi qui a scrivervi sopra e a raccontare la mia (strana) vita.

Mi chiamo Ken Iccijojji, vivo a Tokyo con i miei genitori, Videl e Gohan, e con mia sorella maggiore, Pan.

Cosa c'è da dire su di loro? Bah, un sacco di cose...

Forse dovrei partire col dire che nella famiglia di mio padre, da secoli, si insegnano e si conoscono tutte le arti marziali.

Mio nonno, Goku Iccijojji*, è il migliore del mondo. Ha sempre tentato di far avvicinare mio padre alla sua passione, ma non ci è mai riuscito: papà ha, penso da sempre, una passione sviscerata per tutto quello che è musica e adora il Va’ Pensiero di Verdi, tanto che quando compone lo ascolta e riascolta senza fermarsi mai.

In famiglia detestiamo questo suo pallino: è fastidioso avere a che fare con la stessa solfa per tutta la giornata (tranne quando mangiamo, ma questo è stato un compromesso con la mamma che aveva minacciato il divorzio). E non possiamo nemmeno convincerlo ad ascoltarla in cuffia, perché poi dice che interrompiamo il suo flusso creativo.

«Secondo me,» ha detto Pan una volta che ci eravamo rotti le scatole tutti quanti. «ha bisogno di farsi vedere da uno bravo.»

«Oh, Pan!» l'ha rimproverata la mamma. «Non posso mica portarcelo di peso!»

«Sarebbe un'idea niente male...»

«E poi chi la sente tua nonna?»

Già, nonna Kiki. Nonna Kiki è tutto l'opposto del nonno che è molto comprensivo e cordiale. Lei è ambiziosa e indisponente. E anche un po' isterica.

Non è mai stata molto felice di avere un figlio musicista (ha sempre sognato che il suo primogenito diventasse uno studioso o un letterato). Nei primi tempi in cui papà si è chiuso in conservatorio, non gli ha mai parlato e ha fatto finta di non avere un figlio.

«Non credo» ha detto una volta la mamma. «che tua nonna gli parlerebbe ancora, se nessuno suonasse la roba di vostro padre, io ve lo dico sinceramente.»

«Ma non credo...» avevo tentato di dire, ma mia sorella mi ha sbranato (a parole).

«Certo.» ha risposto, inviperita. «Ecco il buonista della situazione!»

«Che vuol dire buonista?»

Nessuno mi ha risposto e sto ancora col dubbio.

Il nonno, invece, è stato molto meno scontroso della nonna e ha preso la cosa con filosofia. Così non è stato papà ad aver sfondato come lottatore, ma zio Goten sì. Adesso vive in una villa con piscina che non è niente male e si gode tutti i suoi soldi.

I nonni vivono in campagna, in un posto dimenticato da Dio: i monti Paoz. Al contrario di ogni aspettativa, riescono a venire a trovarci una volta l'anno, solitamente per le feste, con grande disappunto di mia madre: non è contenta in nessuna di queste occasioni, perché con nonna Kiki si trova male; litigano sempre per via della casa, dei figli, del marito... insomma, per tutto ciò che riguarda la vita casalinga.

Non sarebbe male se non urlassero come pazze scatenate! Alla fine è normale che io e mia sorella prendiamo le loro brutte abitudini e diventiamo isterici come loro.

Ma non è ancora finita. Perché questi sono solo i parenti di papà!

Ho anche un altro nonno, il papà di mamma (la nonna è morta prima che io nascessi): è il “famoso” combattente di arti marziali Al Satan. In realtà è un fallito, ma nessuno, nemmeno la mamma, glielo fa notare, soprattutto quando si mette a elucubrare, dicendo di essere un grande.

Papà non litiga mai con lui, anzi: si ignorano a vicenda.

Ma anche per questo c'è un motivo: papà e mamma si sono conosciuti alle superiori ed è stato amore a prima vista. Solo che nonno Satan non è mai molto convinto del loro matrimonio, perché papà voleva fare il musicista e il compositore e il nonno è convinto che nella vita bisogna sapersi difendere.

Per evitare che sua figlia vivesse nella paura, ha tirato su Pan a forza di pugni e cazzotti, anche se papà voleva fargli notare che non tutti quelli che tengono famiglia sono cintura nera.

Niente da dire, non c'è mai riuscito.

Pan, però, ha imparato bene la filosofia del nonno, tanto che, all’età di sei anni, era già cintura nera con la forza di un lottatore di sumo sovrappeso.

Io, al contrario suo, non sono mai stato portato per la lotta: la prima volta che ho provato ad avvicinarmi a questa disciplina mi sono spaccato il naso e un braccio, tutto merito dell'“entusiasmo”, come disse il nonno, della mia sorellona.

«Papà!» mi ricordo che la mamma ha gridato, portandomi via dalla mischia. «Che cavolo fai? Kenny è troppo delicato per queste cose! Sei impazzito a fargli fare questi giochi pericolosi?»

Io mi trovavo pienamente d'accordo, ma questo ha decretato la fine dei miei rapporti, non solo con il nonno, ma anche con mia sorella.

Mi sono dimenticato di dire che il nonno, povero in canna, si è sistemato in pianta stabile a casa nostra.

Mia sorella Pan è il tipo più strano di sorella che si possa pensare: odia la scuola e lo studio e dice che tutte le materie sono inutili e uguali, tranne l'educazione fisica.

Anche se è stata bocciata una volta ed è finita nella mia classe, la sua voglia di studiare è ridotta a zero. La mamma, quando ha visto i quadri, ha scoperto la cosa ed è andata dai professori a dire che non avevano mai capito Pan e che erano stati ingiusti con lei.

Il bello è stato che mia sorella stessa aveva ammesso di non aver mai fatto «un cazzo».

Questa è la mia famiglia.

Rileggendo queste poche righe, mi vien da pensare che siamo parecchio strani.

Ma ora passiamo al racconto che volevo fare da che ho aperto queste pagine, che è cominciato non più tardi di due giorni fa: era l’ultimo giorno di scuola e quasi tutti erano in cortile a giocare, tranne la mia classe perché stavamo svolgendo dei questionari che ci servivano per capire quali scuole medie erano più adatte a noi.

I test sono sempre difficili ed è quasi impossibile sperare di passarli con una bassa preparazione. Purtroppo non sono mai stato una cima (soprattutto in matematica e scienze) e mi sono trovato malissimo. Pan, invece, non ha fatto neanche un commento, liquidandomi con il più classico: «Non me ne frega un cazzo della scuola.»

Insomma, due giorni fa ero a scuola, al mio banco in terzultima fila, al centro della classe, e segnavo crocette quasi a caso, spaventato dal giudizio e dallo sguardo del professor Kagetano.

Lui sembra sapere quando non sai niente e ti passa vicino più e più volte, a metterti ansia. Deve avere qualche dote naturale.

Il mio compagno di banco, al contrario mio, è stato velocissimo e ha consegnato il tutto dopo dieci minuti, beccandosi le sue lodi.

Ricordo di aver cercato di guardare sul foglio in mano al professore, ma lui accorgendosene, l'ha nascosto sotto l'ascella, impedendomi di copiare.

Così, assolutamente incapace di svolgere il test, mi sono girato a guardarmi intorno e ho visto Pan, due posti davanti a me, vicino alla finestra.

Non stava facendo niente nemmeno lei, o meglio, qualcosa la faceva, ma non era il compito: lanciava e riprendeva una pallina di carta, con l'aria concentrata di chi sta facendo un esperimento di grande rilevanza scientifica.

«Ma bene, Iccijojji!» ha esclamato il professore, acido, facendomi sussultare. Ma non parlava con me, bensì con Pan. «Dov'è il tuo compito?»

Pan lo ha guardato, incuriosita. «Che?» ha chiesto.

Il professore ha battuto la mano sul suo banco due o tre volte e il resto della classe, incuriosito, ha alzato lo sguardo su di loro.

«Il compito!» ha ripetuto Kagetano, in un ringhio.

«Eccolo!» Pan ha riafferrato per l'ultima volta la pallina e gliel'ha allungata. Non potevo vedere la sua faccia, ma dal sorriso sornione apparso sulla bocca di mia sorella riuscivo a pensare ad una faccia sconvolta.

Ho cominciato a tremare di paura, quando mia sorella si è alzata senza permesso.

Non so se è chiaro il tipo di persona che è il professor Kagetano: un omaccione alto quasi due metri, con spalle larghe uno e una stazza da lottatore di sumo... faccio ben immaginare.

Non consiglierei a nessuno di farlo arrabbiare perché è in grado di lanciare certe urla rilevabili dai sismografi.

Ed è anche in grado di dare punizioni che sfiorano l'assurdo... l'ultima volta ha chiesto a un mio compagno di pulire lo sporco di vernice a terra con l'aiuto di un pennarello, per fargli capire (così disse) cos'era la vera fatica, perché lui, non studiando, dava molto da fare ai professori.

«Dove stai andando, Iccijojji?» ha chiesto, quando Pan lo ha aggirato, ringhiando come un animale rabbioso.

«Fuori!» ha risposto Pan, con estrema tranquillità, come se la domanda fosse stata del tutto fuori luogo.

«Mettiti subito a sedere!» ha ordinato Kagetano, alzando la voce e portandola ad una tonalità che avrebbe potuto rompere la barriera del suono.

«Non ci penso proprio!»

Ricordo che la penna mi tremava in mano e, in tutta la classe, non si sentiva volare una sola mosca. Il fiato di tutti era sospeso, perfino quello del mio compagno di banco, che mi ha lanciato, ricambiato, un'occhiata preoccupata.

«Dici che... adesso urla?» mi ha chiesto.

«Non dirlo!» gli ho risposto, spaventato, portandomi le mani ai lati della testa.

«AL SUO POSTO!» ha gridato il professore, facendo tremare i muri. Tutti, a quel punto, siamo balzati sotto al banco. Ma Pan si era avvicinata ancora di più alla porta, senza preoccuparsi di niente.

Ancora tremando e con le mani sulla testa, guardavo le uniche due paia di piedi che non erano nascoste dai miei compagni sotto i banchi, piedi che si muovevano verso la porta.

«FERMATI SUBITO, PICCOLA PESTE!»

«IL TERREMOTO!» ho gridato, pieno di terrore.

«Non credo che sia il terremoto!» ha detto il mio compagno, ma anche lui con la testa sotto il banco e il volto contratto in una smorfia di paura incontrollabile. «Voglio la mamma!»

Pan, intanto, aveva aperto la porta della classe, ma, a discapito di tutte le mie speranze, Kagetano si è gettato su di lei e l'ha strattonata verso l'interno.

Lei si è divincolata, ha urlato come una pazza e, dopo una breve colluttazione, lo ha preso di peso per il colletto della camicia e per la cintura dei pantaloni. L’ha lanciato sulla cattedra, come si potrebbe fare con una bambola. Il professore ha battuto la testa nello spigolo e non si è più mosso.

L'urlo da sotto i banchi è stato ben udibile, penso, anche da Pechino.

«E' morto!» ha gridato qualcuno.

Una professoressa, sentendo il catafascio della cattedra che si spaccava in due, è arrivata di corsa, cercando di ristabilire l'ordine e la calma. Pan era sparita.

Ci abbiamo messo un po' a rialzarci, tutti quanti. Alcuni piangevano, altri tremavano ancora. Io e il mio compagno ci stringevamo la mano come i primi anni, quando ancora dovevamo uscire a coppie di due e mano nella mano.

E, alzandoci, abbiamo visto il terribile spettacolo provocato da Pan: il povero Kagetano accasciato accanto alla cattedra spezzata e un rivolo di sangue che gli colava dalla fronte.

Quel pover’uomo è stato portato in infermeria dall'infermiere e dal professore di educazione fisica, mentre la professoressa che ci aveva calmati, rimaneva a sorvegliarci, ma ha fatto una fatica madornale per rimetterci tutti a posto.

«Chi è stato?»

Tutti abbiamo abbassato la testa. Io e il mio compagno di banco ci siamo lasciati andare e nessuno dei due osava guardare noi o gli altri.

«Insomma, come ha fatto Kagetano a ridursi in quel modo?» continuava la professoressa.

«E' stata Pan Iccijojji.» è stata la risposta stridula di una mia compagna a primo banco. «L'ha fatto lei...»

«E dov'è adesso?»

«Non lo so...»

Ed effettivamente non lo sapeva nessuno. La professoressa ha mandato due di noi a cercarla.

L'ho trovata io, all'ora di uscita, appoggiata al muro di cinta della scuola, con il walkman alle orecchie, tranquilla e allegra come non la vedevo da tempo.

«Non andiamo a vedere come sta il professore?» le ho chiesto, titubante.

«Ma anche no!» ha risposto, come se avessi detto una grandissima scemenza. «Andiamo, invece di sparare stronzate senza motivo!»

«E se fosse morto?»

«Che palle!» ha detto. «Senti, signor perfettino leccaculo, vuoi muovere quelle chiappe flaccide?»

«E se ci inseguono?» ho insistito. Mi sono guardato alle spalle: mi aspettavo un'orda di poliziotti che ci correva dietro, con i manganelli alzati, le pistole puntate e che ci portava in galera per aver ucciso il professore. Giuro, avevo cominciato a credere che fosse morto e che questa sua decisione di non andarlo a trovare fosse perché sapeva.

Lei ha alzato gli occhi al cielo.

«E piantala!» mi ha preso per una spalla e mi ha trascinato per tutta la strada, fino a casa, anche se tentavo di protestare.

Quando siamo stati sul cancello del giardino della nostra villetta bianca e viola, mi ha finalmente lasciato andare e mi sono dovuto reggere alla staccionata per non cadere.

«Senti, Pan...»

«Che cazzo vuoi?» ha sbottato lei, lasciando inorridite due vecchiette, nostre vicine, che portavano fuori i loro cani.

«Forse avresti dovuto andare dal preside!»

Mi aspettavo uno scapaccione, ma Pan ha solo aperto il cancello.

«Stronzate! Poi mi avrebbe espulso!» La paura che Kagetano fosse morto cresceva sempre di più in me. «Ed essere espulsi l'ultimo giorno di scuola è una gran perdita di tempo!»

«Ma...» ho tentato di parlare, ma Pan mi ha guardato malissimo.

«Ora, se non la pianti di aprire quella fogna, perfettino paraculo, te lo spacco il culo, capito?» mi ha puntato un dito contro. Ho deglutito: lei, essendo più alta di me di ben sei centimetri, mi mette una certa soggezione. Il suo pregio, poi, è che mantiene sempre le promesse.

Così siamo rientrati a casa, ho salutato, mentre Pan ha lanciato un grugnito a cui la mamma ha risposto, dal salotto, con un «ciao, ragazzi» distratto: era l'ora di Beautiful e non si sarebbe persa le vicende di Brook e compagnia nemmeno se le fosse andato in fiamme il divano.

Una volta, prima del suo primo esaurimento nervoso, la mamma era parrucchiera, poi ha liquidato l’attività ed è diventata casalinga a tempo pieno.

In alcuni momenti, è meglio evitare di starle accanto, se non si vuole finire male... e non dico per scherzo. Mia madre è più strana di Pan, il che è tutto dire.

Per fortuna io e mia sorella abbiamo una camera ciascuno e non ci scontriamo mai per questioni di territorio, a parte quando lei entra senza bussare per prendermi i giornalini e per restituirmeli distrutti.

Qualche minuto dopo che ho chiuso la porta, è arrivata una telefonata.

Mi sono fiondato sulle scale: ero convinto che era la polizia e che ci avvertisse della morte del professore.

La mamma, però, non mi ha fatto capire niente di quello che succedeva, ha più che altro ascoltato, perché ha detto poco meno di «Grazie» e «Buonasera».

Quando ha riattaccato, l'ho sentita alzarsi dal divano con passo pesante e si è avvicinata alle scale. Ha cominciato a urlare, tanto che mi sono convinto a scappare in camera mia e a richiudere la porta. Tanto era lo stesso che se fosse stata aperta.

«PAN!»

«Cosa c’è?» ha risposto lei, sbadigliando e uscendo dalla sua camera. «Ti ha morso Sparky?»

Sparky è la sua tarantola che, ogni tanto, lascia libera di muoversi per casa.

«SPARKY?» urlava la mamma. «TE LO DO IO SPARKY! PERCHE’ HAI SPACCATO LA TESTA DEL TUO PROFESSORE, OGGI, EH?»

Era morto. Era ufficiale.

«Ma perché rompeva i cosiddetti coglioni!» ha detto Pan, camminando a passo pesante davanti alla mia porta, avvicinandosi alle scale e difendendo le sue ragioni.

«LUI HA DETTO CHE LUI HA SOLO TENTATO DI FARTI SEDERE! SEI STATA TU A SBATTERGLI LA TESTA NELLA CATTEDRA!»

«MA CERTO! COME NO! ADESSO E’ SEMPRE COLPA DI PAN, QUALSIASI COSA SUCCEDA! PURE SE IL PROFESSORE E’ UN MINCHIONE E NON SA METTERE I PIEDI UNO DAVANTI ALL’ALTRO E’ COLPA MIA! MA GUARDA TU CHE MONDO DI MERDA!»

La mamma non ha voluto sentire ragioni e ha continuato a sbraitare come una matta, mentre Pan tornava in camera sua e si serrava, accendendo lo stereo a tutto volume.

A cena, ho scoperto che papà e mamma sono stati convocati dal preside e che, per fortuna, Kagetano era in piena salute. La notizia mi ha aperto lo stomaco e mi ha dato modo di gustarmi quei panini vuoti che la mamma ci aveva rifilato per punizione.

«Ma perché anche noi?» si è lamentato papà.

«Perché altrimenti che punizione sarebbe?» ha replicato la mamma, lanciandogli occhiatacce.

«La punizione sarebbe se lei mangiasse panini vuoti e noi imbottiti.»

«Ma che ne sai tu di pedagogia, Gohan?» ha sbuffato la mamma. Papà ha fatto spallucce, deciso di non rispondere e si è infilato in bocca il suo panino.

Il nonno, intanto, elogiava il lavoro di mia sorella.

«Andiamo, racconta al tuo vecchio nonno come lo hai steso!»

Pan lo ha guardato con orgoglio. «Semplice! Allora, eravamo insieme in quella giungla. Un serpente al mio fianco e un... ehm... licantropo dall'altro.»

«Un licantropo?» ha replicato papà, una volta inghiottito. «Ma... i licantropi non sono quelle creature mezze uomini e mezze lupi che non esistono?»

«Papà, ma tu che ne sai di giungle?» ha risposto Pan.

Papà ha fatto spallucce, deciso di non rispondere e si è infilato in bocca un secondo panino.

«Pan, ti prego, ora basta!» ha esclamato la mamma, furibonda, quando mia sorella era arrivata a raccontare di due coyote che le mordevano una gamba.

«Che palle!» ha sbuffato lei, prima di riprendere a mangiare l'ultimo panino rimasto in tavola.

Dopo cena, verso le dieci, mentre uscivo dal bagno, ho sentito la mamma e papà che parlavano dalla loro camera da letto. Mi sono accucciato e ho messo un orecchio sulla porta chiusa.

«Tesoro, Pan è in una fase di cambiamento! Forse l’anno prossimo Kenny si comporterà allo stesso modo!» stava dicendo papà. Della cosa ho qualche dubbio: non sono mica tanto convinto di riuscire a prendere di peso un professore! E, soprattutto, quel professore.

«Gohan, non dire sciocchezze!» ha detto, infatti, la mamma. «Pan è in una fase di cambiamento dall’età di tre anni, è possibile che ancora non sia cambiata?»

«Dai, domani andremo a scuola e sapremo qualcosa di più da questo professore... Cagata o come cavolo si chiama!»

«Kagatoma!» ha detto la mamma, con tono di rimprovero. «Possibile che non ti ricordi mai il nome di quel povero professore di lingua?»

Peccato che non si chiami neanche Kagatoma...

«Sì, va bene... Io non so che fare con quella bambina! E' tutta colpa di tuo padre!» ha tagliato corto papà.

«Mio padre non c'entra proprio niente!»

«Come no! Infatti non le ha mai detto di farsi strada a suon di pugni, vero? E stasera non le ha dato del genio!»

«MA COSA NE SAI TU?»

«Che cazzo fai, lingua-a-cotoletta?» ha chiesto mia sorella, vedendomi accovacciato con un orecchio sulla porta. Le ho chiesto di fare silenzio, mettendomi un dito davanti alla bocca, ma lei mi tirato un calcio nel sedere. «Spione!» ha detto e si è accovacciata al posto mio, mentre mi massaggiavo il mio povero sedere.

Ho deciso di dileguarmi in camera mia e di lasciar perdere. Ormai la giornata era finita.


Il giorno dopo...


Ieri mattina, quando mi sono svegliato, ho scoperto che io e Pan eravamo soli in casa. La mamma, che era andata a scuola con papà, aveva messo in forno la colazione perché si mantenesse calda. Nonno Satan, probabilmente, era andato in palestra e quindi eravamo proprio soli.

Pan, che era seduta al tavolo, ha fatto finta di non vedermi e ha continuato a mangiare quello che aveva davanti (che non era poco). Mi sono seduto anche io e ho preso una grossa tazza di muesli; mia sorella, non ho capito perché, non ha gradito il gesto, ha urlato: «Giù le mani!» e ha battuto il pugno sulla tazza piena di latte, schizzandomelo tutto addosso. Purtroppo, il suo colpo è stato così forte da rompere non solo la tazza che mi ero preso, ma anche tutto il tavolo: l'aveva spaccato in due, facendo, in questo modo, cadere rovinosamente a terra tutto quello che c’era stato sopra.

«Simpatico...» ha detto lei, guardandosi la mano arrossata. «Davvero simpatico!»

«E adesso?»

«E adesso ciccia, paramecio!» si è alzata ed è uscita dalla cucina.

E' tornata in camera sua, dove ha messo la sua musica assordante a tutto volume. I vicini la detestano per questo. Ma la follia per la musica è una chiara eredità di papà... anche se papà è molto meno rumoroso.

Sono rimasto un bel po' seduto sulla mia sedia, lo stomaco brontolante e nella mente la domanda più pressante: chi avrebbe rimesso tutto a posto in tempi decenti, in modo che la mamma non venisse a saperne niente?

La mamma è gelosissima della sua cucina: è la sua stanza preferita, quella che non lascerebbe nemmeno se fosse costretta da un incendio. Ma, tra tutte le cose che potrebbe amare della cucina, le stoviglie sono quelle che ama di più.

Non osavo immaginare cosa avrebbe potuto fare, vedendone un paio a terra e in cocci, peraltro.

Mi sono armato di coraggio, palo per lavare, scopa e strofinaccio. Ho cominciato con la scopa, ma ho fatto solo più casino, sporcando anche zone che erano rimaste intonse. E sulle spazzole della scopa erano anche rimasti dei cereali.

Mi chiedo come fa mia mamma a far risplendere tutto come uno specchio, anche quando la casa è ridotta a un letamaio e sembra impossibile da pulire. Avevo fatto il possibile, ma il latte era ora sparso per tutta la cucina e le stoviglie si erano sminuzzate anche di più, perché, mentre tentavo di prenderne qualcuna con le mani, ne spezzavo altre sotto i piedi.

Avevo, tra le altre cose, tentato di portare fuori il tavolo, ma ho ottenuto solo di incastrarlo nella porta che dà sul retro del giardino.

Mentre cercavo di liberarla, sono rientrati i miei genitori. Per la paura, ho tentato di spingere un altro po' il tavolo, sperando che uscisse e, così, una sua gamba mi è rimasta in mano.

«Forse il signor Kagatoma ha ragione: la nuova scuola sperimentale dovrebbe essere buona per Pan!» stava dicendo la mamma. «Speriamo che abbiano mangiato!»

È entrata in cucina e mi ha visto con quella gamba del tavolo in mano, il tavolo incastrato nella porta e il latte cosparso per la sua adorata cucina. La scena potrebbe sembrare divertente, ma era drammatica.

«Che è successo?» ha gridato, sgranando gli occhi, alla vista di quel pandemonio.

«Ecco, vedi...» non sapevo davvero cosa dire. Che potevo inventare? Potevo dirle la verità? Chi mai mi avrebbe creduto?

«Mamma!» ha gridato Pan, scendendo le scale di corsa. Non mi ero neanche accorto che la sua musica assordante si era zittita. «Kenny è un idiota! Si era messo i pattini in casa ed è caduto sul tavolo, mentre io stavo beatamente facendo colazione! Che imbecille sadico! Voleva dare la colpa a me, pure! Che stronzo!»

Dalla faccia che ha fatto, ho capito che la mamma non ha creduto a nemmeno una parola.

«E dove sono i pattini?» ha chiesto, inviperita.

«Chiedilo a lui!» ha risposto Pan, indicandomi. «Io che ne so? Voglio dire... non ho voglia di impicciarmi nei suoi affari! Che ne dici di dargli una bella punizione? Una di quelle che non dimenticherà per il resto della sua vita? E guarda come ha ridotto quel povero tavolo! Ha anche una gamba in mano!»

Pan sorrideva maliziosamente, guardandomi. Ha, quindi, guardato la mamma con finta aria innocente, mentre io gettavo quel pezzo di legno che mi incriminava.

Papà guardava prima Pan, poi me, dubbioso.

«Videl... ma... che è successo?»

«CHE NE SO IO? CHIEDILO AI TUOI FIGLI! C'ERANO LORO IN CASA!»

Papà annuiva, preoccupato. «Sembra che sia passato un ciclone!» ha esclamato. «Come ha fatto il tavolo a finire nella porta?»

«Ma è stato Kenny, chiaramente!» ha detto Pan.

«Non ti credo, Pan!» è stato il commento della mamma.

«Ma... ma se io ero di sopra!»

Ho annuito. «Volevo portarlo fuori!» ho detto. «Era rotto e...»

«E CHI l'ha rotto, Kenny?» mi ha chiesto mia madre, in tono stridulo.

«Ecco...»

«Hai messo i pattini?»

Ho guardato Pan che mi faceva vedere i pugni.

«Noi non li abbiamo nemmeno i pattini, mamma...» le ho ricordato. «Tu non ce li hai mai voluti comprare...»

«Ma...» Pan sembrava un pesce fuor d'acqua e aveva fatto cadere le braccia lungo i fianchi, incredula. Mi ha indicato. «Sta dicendo stronzate! Mamma, sta dicendo un mucchio di stronzate esagerate!»

«No... aspettate... io questa cosa me la ricordo!» ha esclamato papà, grattandosi il mento. «Sì, Videl, Kenny ha ragione! Tu non glieli hai mai comprati i pattini perché avevi paura che si rompessero il sedere e... mi stavo ascoltando per la quattordicesima volta quell'aria divina che è il Va' Pensiero e...»

«VA BENE, VA BENE!» ha gridato mamma. «PAN, KENNY, ANDATE IN CAMERA VOSTRA. SIETE IN PUNIZIONE FINO ALLA FINE DEL SECOLO!»

«Ma...» questa volta abbiamo tentato di protestare entrambi.

«NIENTE MA! ANDATE SUBITO DI SOPRA!»

Stranamente, mia sorella non ha dato in escandescenze e, anzi, ha preferito andare subito di sopra, mentre io ho attraversato la cucina e, una volta sulla porta, la mamma mi ha subito dato uno scapaccione sulla nuca, dicendo che mi dovevo vergognare del mio orribile comportamento.

Mentre salivo, Pan mi ha aspettato su per le scale e mi ha tirato un altro scapaccione sulla nuca. «Idiota!» ha detto e si è di nuovo chiusa in camera.

Ho passato praticamente la giornata a leggere fogli di fumetti andati perduti, mentre mamma e papà discutevano animatamente in cucina. I rumori della porta che veniva liberata dal tavolo e dei cocci che venivano raccolti facevano da contorno alle loro voci decisamente troppo alte. Figuriamoci poi che bel concertino che è venuto fuori, non appena è arrivato il nonno che ha subito preso le difese di Pan, dicendo che ero io ad aver mentito e Pan ad avermi visto coi pattini.

«PAPÀ NON TI CI METTERE PURE TU, ADESSO!» ha gridato mamma. «NON CI SONO PATTINI IN QUESTA CASA!»

Fortunatamente, quando le vivande sono state pronte (ed erano le due e mezza), le urla erano completamente cessate e la pace era tornata in casa Iccijojji. Dopo uno strano pic-nic in cucina, la mamma non ha nemmeno sparecchiato che ha guardato sia me che Pan con aria grave.

«Andate in salotto e sedetevi: devo dire una cosa importante a tutti e due!»

Io e Pan avevamo una faccia abbastanza preoccupata: andare in salotto ci ha sempre messo in soggezione, sarà perché quando ci andiamo tutti insieme per parlare, è per qualcosa di grave o molto solenne, a volte tutte e due le cose, ma insomma, è sempre un po' preoccupante, pure per Pan, anche se tenta di sembrare spavalda.

Ieri ci volevano parlare di quello che il professore aveva detto a lei e papà.

Papà, mamma e nonno si sono seduti sul divano, mentre io e Pan sulle poltrone. Ci guardavano come se avessimo delle bombe in mano e avessimo minacciato di farle esplodere da un momento all'altro. Non mi è piaciuto che i miei genitori mi squadrassero in quel modo: mi sono sentito molto in colpa.

Mamma ha inspirato più volte, poi si è rivolta a mia sorella:

«Pan, sappiamo che fai molta fatica ad ambientarti, ad avere degli amici e ad essere gentile col tuo prossimo. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Kagatoma...»

«Mamma...» ho cercato di dirle che il prof non si chiama Kagatoma, ma lei mi ha ordinato di non interromperla più. Ho annuito.

«Ha detto che, per le tue attitudini, dovresti frequentare una scuola per ragazzi difficili... me ne ha consigliata una sperimentale. Prendono ragazzi dai dodici anni in su, è una scuola fuori città, aperta già da vent’anni, un po’ fuori mano... un collegio. Sai, dormi, mangi, studi lì nove mesi l’anno e ritorni a casa solo per le vacanze natalizie, pasquali ed estive!»

Pan ha ascoltato fino in fondo questa descrizione con fare scettico. «Quindi... mi stai chiedendo di prendermi baracca e burattini e di andarmene di casa?» ha chiesto, disgustata.

Io sono rimasto perplesso: una scuola per ragazzi difficili? Pan non era esattamente «facile», ma, addirittura mandarla in una scuola simile... mi sono sentito piuttosto inquieto.

«No, che dici?» ha esclamato la mamma, come se Pan l'avesse punta nel vivo. «Non ti mando da nessuna parte: ti faccio frequentare una scuola adatta a te, cara mia! Sarà una bella esperienza, adattissima per una ragazzina come te! Ti abbiamo già iscritto! E, forse, dato che... dato che anche Kenny sta cominciando ad avere i tuoi stessi... ehm... problemi... ho deciso che ci andrà anche lui!»

«Come anch’io?» ho urlato, scattando in piedi. Il misfatto del tavolo e delle stoviglie deve averla convinta a farmi questo. E cominciavo a spaventarmi.

«Certo, caro!» ha risposto la mamma, orgogliosa. «Perché non voglio che tu diventi irrecuperabile come tua sorella!»

«Ma... mamma, io non sono come Pan!» mi è scappato.

«Scusa, che hai detto, paramecio?» ha detto lei, alzandosi anche lei e prendendomi per il colletto della camicia.

«N... niente... Pan, niente!» ho tentato di rimediare, ma è stato inutile.

«Non è vero!» ha gridato lei, stringendo forte il pugno.

«BASTA!» ha ordinato la mamma e tutti e due l'abbiamo guardata. «Lo so, caro, che non sei come lei! Ma, purtroppo... dopo quello che ho visto oggi, è meglio che vada anche tu, credimi!»

«Stronzate!» è stato il commento, stavolta azzeccatissimo, di mia sorella. Solo perché ho tentato di portare via un tavolo, mi ritrovo a dover andare in una scuola per ragazzi disturbati!

Ho paura e anche diversi dubbi, ma non ho potuto dire niente alla mamma che mi guardava con tante aspettative, quasi credesse che, frequentando una scuola simile, avrei potuto diventare imperatore. Ho balbettato qualcosa, ma non sono stato incapace di esprimere la mia rabbia, la mia paura, forse per quello sguardo luccicante di mia madre che non ammetteva repliche.

Pan, comunque, ha cominciato a sbraitare, a battere i piedi.

«QUESTE SONO TUTTE STRONZATE!» ha detto e io, per la prima volta nella vita, ho annuito. «RAGAZZI DIFFICILI? PERCHE'? COME SONO I RAGAZZI FACILI? IO NON VADO DA NESSUNA PARTE!»

Ho annuito ancora, stavolta più vigorosamente di prima.

Anche mamma si è alzata in piedi. «TU CI ANDRAI! E ANCHE TUO FRATELLO!»

«NON CREDO PROPRIO! SE LUI VUOLE ANDARE, LIBERISSIMO DI FARLO! IO ME NE VADO DI CASA, PIUTTOSTO!»

Il nonno si è intromesso. «Andiamo, Videl cara!» ha esclamato, posandole una mano sulla spalla, guardandola con fare paterno. «Se Pan non vuole andare non dobbiamo di certo costringerla!»

«Papà, fatti i cazzi tuoi!» poi si è rivolta a Pan. «E DOVE PENSI DI ANDARE, EH?»

«ME NE VADO DI CASA! ME NE VADO SUI MONTI PAOZ E TI VADO NEL CULO!»

Nonno Satan l'ha guardata con occhi sgranati. Sembrava un pesce lesso, tanto che ho dovuto fare i salti mortali per non scoppiare a ridergli in faccia. Il pandemonio è continuato a lungo. Io e papà ci guardavamo interdetti, mentre nonno, mamma e sorella gridavano a più non posso.

Credo che i vicini non abbiano chiamato la polizia giusto perché ci conoscono...

Non abbiamo concluso niente: tutti sono rimasti dell'idea di cui erano in partenza e, l'unica cosa che è cambiata, è stato il fatto che la mamma ci ha spediti filati in camera.

Mia madre, però, somiglia a mia sorella e, se dice che andremo in quella scuola, so che ci finiremo, volenti o nolenti. Mi chiedo solo come farà a convincere Pan...



*****


*Iccijojji è il cognome di Ken (Digimon 2), nonché protagonista della serie, ma talmente stravolto da essere irriconoscibile.

Ho deciso di estenderlo a tutta la famiglia Son, semplicemente perché all'epoca non sapevo il cognome di Goku (avevo visto solo l'anime di Italia 1). Non l'ho mai cambiato per questioni di affetto verso la mia storia, quindi spero non me ne vogliate.


Ken Iccijojji è diventato Kenny molto tempo fa, per un motivo che non ricordo neanch'io... ma ci sono così affezionata che mi duole il cuore al solo pensiero di doverlo cambiare.


Molti nomi, anche se la storia è ambientata in Giappone, sono inglesi e alcuni anche italiani, ma anche qui, sempre per le motivazioni spiegate più sopra, non saranno cambiati, perché ormai i nomi sono parte di quei personaggi e non sarebbero più loro con un nome diverso.


Personaggi da un po' tutti i cartoni animati, anime e i libri che mi sono piaciuti arriveranno con l'evolversi della storia (ma non aspettatevi caratteri IC).

Alcuni saranno personaggi originali, ma saranno molto esigui (e prima che me lo chiediate: no, non andranno ad Hogwarts, anche se la storia dei sette anni l'ho pescata da lì).


A questo punto, vi sarete posti una domanda: se tutti tutti i personaggi non saranno come nell'originale, perché non scrivere un racconto originale? Sempre per la questione dei nomi spiegata qualche riga più sopra. Per me, purtroppo, un nome è tutt'altro che banale.


Che altro dire? Spero che vi sia piaciuto questo lunghissimo prologo, spero che non vi abbia annoiato e che, anzi, continuerete a leggere anche i prossimi capitoli e che non mi abbandonerete.


Quel che avevo da dire l'ho detto, adesso la parola a voi, lettori.

Luine.

  
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