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Autore: ChiaraBaroons    24/12/2015    5 recensioni
Maya, fotografa emergente, non ne vuole più sapere del mondo a cui, suo padre, ha sempre cercato di incatenarla: il nuoto. Le piacerebbe viaggiare, vedere il mondo, e invece, per uno scherzo del destino, dopo la laurea si ritrova costretta a convivere con quell'ambiente che poco sopporta, solo per ottenere un lavoro degno di essere chiamato tale.
Ed è qui che spunta fuori Travis, nuova stella del nuoto italiano, bello da far male, ma con un ego talmente grande capace di far concorrenza a quello di Sua Maestà, la Regina Elisabetta II; ed è proprio lui il soggetto che Maya dovrà immortalare per ottenere quel fantomatico lavoro, ma non tutto risulterà semplice quanto sembra. Non sarebbe divertente, almeno per noi lettori.
Due caratteri predominati messi a confronto, due prime donne che, purtroppo oppure per fortuna, non riusciranno a restare nella stessa stanza a causa del loro orgoglio, troppo grande per rendere le cose semplici sin dall'inizio.
Sono solamente esseri umani e, complicarsi la vita nel peggior modo possibile, sembra proprio la loro linea guida.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Maya24

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*****

Travis’ POV

 

Tutto quello cominciava davvero ad innervosirmi.

Dopo tre settimane passate solamente ad allenarmi senza pensare ad altro – o almeno provandoci – avevo iniziato a dare di matto, prima ritrovandomi a parlare con me stesso, poi cominciando a rispondere ai miei compagni come se fossi appena tornato all’età della pietra. E non capivo davvero perché.

Insomma, avevo quelle stramaledette Olimpiadi per cui prepararmi e Claudio continuava a farmi sempre più pressione, come se non bastasse la mia emotività già traballante. E più che di emotività, si trattavano di nervi che non ne volevano sapere di restarsene buoni ed indisturbati.

Tre settimane passate ad assimilare più cloro che altro e cominciavo davvero a non avere più un briciolo di pazienza per quella che era diventata davvero una situazione assurda, una comica, perché da fuori doveva per forza esserlo. E se non fossi stato io, il diretto interessato, probabilmente ci avrei riso sopra. Ma ero il protagonista sfigato di quella commedia da quattro soldi che era diventata la mia vita.

Non avevo idea di che fine avesse fatto la calma che avevo sempre pensato di avere, doveva aver alzato bandiera bianca dopo il mio ennesimo tentativo – andato a vuoto – di darmi una regolata. Ed al posto suo, avrei fatto la stessa identica cosa.

Cominciavo a credere davvero di essere un caso disperato.

Gli ultimi avvenimenti con Maya mi avevano scombussolato più del solito, e la cosa che mi faceva innervosire maggiormente era come non riuscissi a capirne il vero motivo. Forse, quando si era presentata a casa mia, del tutto inaspettatamente, avevo sperato che qualcosa avesse capito e che si fosse data una svegliata, ma mi ero sbagliato completamente. Mi ero lasciato incastrare senza nemmeno rendermene conto e ci ero finito con tutti e due i piedi, in quel baratro che erano diventati gli occhi di Maya. Perché aveva avuto la stupida accortezza di stregarmi, quella ragazza, come se non bastasse la mia stupidità a darmi una sonora spinta.

Mi ero lasciato trasportare dalle emozioni e quello era il risultato, e mi meritavo tutto quello che stavo passando. Solamente perché, se avessi avuto un briciolo di intelligenza in più, non sarei finito per tenere a quella ragazza molto più di quanto non fosse concesso. E, dannazione!, non era da me, quello non ero io e non mi riconoscevo davvero più, non sapevo più chi ero.

L’unica cosa che riusciva a darmi un barlume di speranza era il dubbio che aveva instillato l’improvvisa comparsa di Maya al mio appartamento, quella sera. Perché se davvero non fosse stata coinvolta, non sarebbe accaduto davvero nulla.

Continuavo a ripetermi che non poteva davvero andare in quel modo e che quella stramaledetta donna non aveva detto tutta la verità, nemmeno a sé stessa, probabilmente. Mi ero ripromesso, poi, di venirne a capo, in qualche modo, prima o poi.

Cercai di tornare con la mente al nuoto, nonostante sembrasse davvero un’impresa titanica, ma dovevo farlo, dovevo darmi una svegliata e cercare di non deludere quelli che ancora credevano in me e nelle mie potenzialità, Claudio in primis. Claudio che, proprio quel giorno, sembrava avere un diavolo per capello.

Nell’ultimo periodo era stato parecchio intrattabile, certo, ma non era mai arrivato a quei livelli nemmeno nei suoi giorni peggiori, ed il fatto che fosse anche lui messo come me mi rassicurava, in parte. Inoltre, mi incuriosiva davvero tanto ed avrei voluto scoprire il motivo di quel suo caratteraccio, se non avessi rischiato di andare incontro a morte certa, più o meno.

Sembrava portarsi appresso un’aura pericolosa e cattiva che lasciava tutti quanti a debita distanza, ed i suoi occhi sempre allegri e gentili non erano mai stati tanto burrascosi. Poi lo vidi dirigersi verso di me a passo di marcia, facendo allontanare chiunque gli passasse accanto, ed io non potei fare a meno di provare un leggero brivido di paura.

Dannazione, Travis”, esclamò, fulminandomi con lo sguardo. “Pensi di rientrare in acqua e lavorare, almeno tu? Hai deciso di prenderti un giorno di ferie?”. Okay, forse intrattabile non era la parola adatta e nemmeno nero di rabbia, era proprio incazzato come non lo avevo mai visto. E probabilmente con il mondo intero.

S-scusa, Claudio”, mormorai, distogliendo lo sguardo da quei suoi occhi che non facevano altro che scagliare fulmini.

Niente scuse”, continuò. “Devi cominciare a darti da fare, altrimenti non potremmo mai farcela!”, aggiunse, sospirando pesantemente e passandosi una mano sul viso.

C’era qualcosa che non andava, lo avevo notato subito, ma avevo preferito restarmene buono, non chiedere nulla già dal primo momento, ma cominciavo a non poterne davvero più. Se si fosse comportato in quel modo solamente con me avrei anche capito, avrei lasciato perdere e avrei eseguito i suoi ordini in silenzio, a testa bassa, ma quando cominciava a prendersela anche con il suo collega, Roberto, c’era da preoccuparsi, sì.

Claudio”, cominciai, esitante. “Va tutto bene?”.

Domanda stupida perché, insomma, non andava tutto bene ed era palese e tutti avevano preferito evitarlo, piuttosto che chiedere.

Osservai il mio allenatore calmarsi un attimo, giusto il tempo di un sospiro più pesante, più stanco, giusto il tempo per capire che c’era davvero qualche problema, ma poi all’improvviso si ritrovò ad indossare una maschera di indifferenza che metteva quasi i brividi. Ed ecco le somiglianze con la figlia, quando tutto andava storto, quando la situazione cominciava a complicarsi e quando ci si trovava in una situazione scomoda. L’indifferenza era la loro migliore arma.

Ti sembra che vada tutto bene, Travis?”, domandò diretto, inviperito. “Sei davvero diventato tanto cieco da non renderti conto che non ci sia un cazzo che vada bene, eh?”.

In anni di allenamento non lo avevo mai sentito imprecare, mai, per quanto assurdo potesse sembrare. Ed era strano vederlo, sentirlo così incazzato con il mondo intero, così agitato tanto da parlare come mai aveva fatto. C’era davvero qualcosa che non andava e la mia mente non smetteva un momento di agitarsi per cercare di capire cosa ci potesse essere dietro a quel suo comportamento. Ma proprio non riuscivo a trovare un motivo tanto grave.

Non credevo nemmeno che in tutto quello potesse avere a che fare Maya – che non si faceva vedere da giorni -, almeno direttamente, ma non si poteva mai sapere. Nonostante dubitavo fortemente che, tra quei due, potesse essere accaduto qualcosa di grave.

Sto parlando sul serio, Claudio”, gli dissi, serio, poggiando una mano sulla sua spalla. “Cosa è successo?”.

Si guardò in giro per un istante, prima di sospirare pesantemente e chinare il capo. Sembrò improvvisamente stanco, sfinito da tutta quella rabbia che si portava appresso e non mi piaceva affatto, vederlo così. Era sempre stato lui quello che se ne andava in giro a rallegrare e rassicurare la gente, era sempre lui quello che chiedeva se qualcosa non andava e non parlava mai di sé, non dava mai a vedere se qualcosa andava male. Era semplicemente lui, una persona che cercava di non buttarsi giù, di restare a galla per sé stesso e per gli altri.

Si grattò la nuca, quando un sorriso amareggiato gli comparve sul viso, poi si voltò a guardarmi e mi sorpresi quando notai un’incredibile somiglianza con Maya, in quello sguardo stanco, spossato.

Oggi è semplicemente una giornata peggiore delle altre, tutto qui”, cominciò, tornando ad osservare la piscina attorno a lui e tutti i suoi atleti. “Diciamo che negli anni passati ho sempre avuto la possibilità di restarmene a casa a sbollire la rabbia, mentre oggi non ce l’ho fatta”.

Che giorno sarebbe oggi?”, non riuscii a trattenermi dal fargli quella domanda, nonostante fossi perfettamente consapevole di quanto potessi apparire invadente. E se mi avesse detto di farmi gli affari miei avrei perfettamente capito e non sarei andato oltre, non ne avevo alcun diritto. Ma invece di mandarmi al diavolo, tornò con lo sguardo a terra, Claudio, e anche quella briciola di sorriso, seppur non sincero, scomparve.

L’oggi di diciannove anni fa, Travis, e mi sembra assurdo che sia passato così tanto tempo perché, nonostante provi a farmene una ragione, continua a fare male”, mormorò, poi, sospirando per l’ennesima volta. sembrava costargli uno sforzo immenso, continuare a parlare. “Diciannove anni fa, ecco quando quella che era mia moglie ha lasciato me e Maya e se ne è andata”, concluse, tornando a guardarmi negli occhi.

Ed io mi sentii estremamente a disagio, perché sapevo che non avrei dovuto indagare così a fondo, ma ero stato troppo cocciuto e stupido per fermarmi. Avevo fatto altre domande ritrovandomi solamente in una posizione alquanto scomoda, non sapendo bene come comportarmi. E mi dispiaceva davvero troppo per lui, per l’unica persona che mi era sempre sembrata in grado di affrontare tutto quanto, nella sua vita, ed invece in quel momento era davanti a me, con tutte le sue maschere gettate a terra, senza qualcosa dietro la quale nascondersi.

Io…”, cominciai, non sapendo bene dove andare a parare, cosa dire senza risultare un perfetto stupido. “Io non ne sapevo nulla, Claudio, mi dispiace, non avrei dovuto chiedere”.

Non hai nulla di cui scusarti, Travis, sono io quello che si sta comportando come un idiota, oggi”, ribatté, lui. “Ma non posso farne a meno, non ci riesco. Vorrei solamente tornarmene a casa, sul divano, e non pensare a nulla fino a quando questa giornata non sarà finita. E, probabilmente, conoscendo Maya, starà facendo la stessa identica cosa: mi assomiglia su troppi aspetti, a volte”.

Solamente in quel momento realizzai che, in quella faccenda, era coinvolta anche Maya e mi resi conto di non sapere assolutamente nulla di lei, niente che la riguardasse davvero perché, se avessi saputo il significato di quella giornata, probabilmente non mi sarei trovato alla piscina. Anche Maya doveva avere sofferto, sempre che non fosse stata un pezzo di ghiaccio anche da bambina, ma proprio non riuscivo a vederla in quel modo. Vedevo solamente una bambina più piccola della media con un paio di occhioni in grado di incantare il mondo.

Maya come ha affrontato… tutto quanto?”, chiesi, infine, cercando di capirne il più possibile.

All’inizio è stata dura, era molto legata a sua madre e ancora oggi non riesco a capire come abbia fatto ad abbandonarla, lei, ma poi ha cominciato a reagire e, dopo qualche anno, non le importava più, anzi, ha cominciato ad odiarla davvero. Fino a quando non si è fermata all’indifferenza totale”, spiegò, Claudio, e a volte cercò di buttarla addirittura sul ridere, ma con scarsi risultati. Doveva aver sofferto anche per sua figlia e pensare a cosa aveva dovuto passare nel periodo subito dopo la fuga della moglie era assurdo, perché lui era ancora lì. Non si era lasciato abbattere ed aveva continuato per la sua strada, insieme a Maya. “Ma se devo essere sincero, credo che lei ne soffra ancora, ma nemmeno se ne rende conto. Ormai avrai capito com’è, mia figlia, si nasconde talmente tanto dai problemi e dalla sofferenza che ne ha fatto un’abitudine senza accorgersene, e non va bene. Non fa bene a lei, perché quando comincerà a crollare, sarà difficile da rimettere in piedi”.

Rimasi stupito dalla sua sincerità, da quello che mi aveva detto e da come, su certi aspetti, la pensassimo allo stesso modo. Ed ero preoccupato, per lui, ma soprattutto per Maya che continuava ad assimilare, a mandare giù rospi troppo grossi che prima o poi l’avrebbero fatta esplodere. Avrei tanto voluto poter risolvere tutto quanto, in qualsiasi modo, ma non sapevo da che parte farmi, non sapevo come comportarmi.

Poi Claudio ricominciò a parlare. “Non piange da quando ha quindici anni, se non mi sono perso qualcosa. Credo che abbia accumulato fin troppe delusioni e che abbia bisogno di distruggere tutti quei muri che ha voluto tanto tirare su. E credo che da sola non riesca a farcela”, aggiunse, lanciandomi uno sguardo che non riuscii ad interpretare appieno, uno sguardo che mi confuse ancora di più, perché non poteva essere possibile che proprio Claudio sapesse qualcosa di sua figlia e me.

Distolsi gli occhi dai suoi, concentrandomi sulla prima cosa che mi capitò sotto gli occhi, tutto pur di non far trasparire quel moto di nervosismo che mi aveva assalito.

Torna ad allenarti, ora”, ricominciò, lui, tornando quasi lo stesso Claudio di poco prima. “Abbiamo già perso troppo tempo a parlare”.

Rimasi un momento fermo ad osservare il mio allenatore dirigersi verso altri atleti, facendo finta di nulla, come se nulla fosse accaduto, e per certi versi era da ammirare perché era in possesso di una forza incredibile, ma restava comunque un uomo che aveva sofferto troppo.

Poi tornai a pensare a sua figlia, a quella stupida di Maya che si ostinava a tenersi tutto dentro, ad incassare ogni colpo senza mai rispondere a dovere. E non potei fare a meno di chiedermi come potesse stare, in una giornata simile, se davvero ne soffrisse ancora come aveva detto Claudio. Non potei fare a meno di chiedermi quanto l’avrebbe fatta incazzare una mia visita improvvisa, proprio in quell’occasione, dopo giorni di silenzio radio tra noi.

 

Me ne sarei pentito, forse, ma ci avevo pensato talmente tanto durante la giornata che sentivo il bisogno di togliermi quel peso dallo stomaco e scoprire qualcosa di più, come se potesse davvero servire a qualcosa. Ma avevo come il presentimento che non avrebbe fatto altro che complicare tutto quanto. Come se ci fosse bisogno di qualche altra complicazione.

Così continuai a bussare e, solamente dopo il terzo tentativo, sentii dei passi avvicinarsi alla porta e la chiave girare nella serratura.

Improvvisamente, venni assalito dall’ansia e da un’improvvisa voglia di scappare a gambe levate, come se fuggire in quel momento fosse servito a qualcosa. Non potevo battere in ritirata, non in quel momento, non a quel punto, con la porta che cominciava ad aprirsi davanti a me.

Che diavolo ci fai qui!?”, esclamò Maya, quando si rese conto di avere me, proprio me davanti agli occhi. E si fece riconoscere come sempre per la sua delicatezza.

I capelli legati a caso, sopra la testa, gli abiti decisamente di un paio di taglie più grandi, il viso stanco: Claudio aveva ragione. Era nella sua stessa situazione.

Pensi di rispondermi o preferisci restare a fare la bella statuina davanti alla mia porta?

Ciao Maya, Sì, sto bene, grazie per avermelo chiesto. Com’era il limone che hai mangiato stamattina?”, le chiesi, infine, non riuscendo a nascondere una nota di irritazione nella voce. Non aveva più senso cercare di essere gentile con lei, soprattutto quando decideva di comportarsi come una zitella inacidita dalla mancanza di sesso.

Pensa a trovare un valido motivo per essere qui, invece che fare l’idiota”, continuò, non lasciandosi impressionare da me. Si appoggiò allo stipite della porta,con le braccia incrociate al petto, guardandomi con un sopracciglio alzato, come se per lei rappresentassi davvero poco. Ed era esattamente ciò che stavo provando, sotto il suo sguardo di glaciale.

Vorrei parlarti, anche se può non essere di tuo gradimento”, cominciai, avvicinandomi alla porta ed evitando Maya, entrando nel suo appartamento. “Perciò, grazie mille per l’ospitalità”, conclusi, con un sorriso tirato, giusto per il gusto di farla innervosire. Perché sembrava diventato l’unico modo efficace per farla parlare apertamente, con sincerità.

Dannazione, Travis”, esclamò, facendo sbattere la porta e lanciandomi uno sguardo che di rassicurante aveva ben poco. “Devi smetterla di fare tutto di testa tua, e non è proprio giornata, quindi sei pregato di levare il culo dal mio appartamento ed andartene!”.

Sembrava davvero al limite della pazienza, con quei suoi occhi fuori dalle orbite, ma quello era solo l’inizio e non mi sarei fermato prima di sentire tutta la sua storia, per filo e per segno. Non mi sarei fermato fino a quando non avessi visto tutti quei suoi muri crollare al suolo.

Lo so che non è giornata”, ribattei, continuando a fissarla. Era arrivato il momento di smetterla di scherzare e di girarci attorno.

Bene, allora se…”, cominciò, fermandosi poi di colpo, dopo aver compreso appieno le mie parole.

Se ne restò zitta un momento, con lo sguardo quasi allucinato e le labbra socchiuse, osservandomi come se venissi da un altro pianeta e per un momento ebbi quasi paura di come sarebbe potuta esplodere, perché era imprevedibile, Maya. “Come sarebbe a dire che lo sai?”, mi domandò, dopo un istante, in un sussurro.

Bomba sganciata, ed aveva ottenuto l’effetto che avevo desiderato e non mi sarei fermato fino a quando non avesse detto tutto quanto.

”, le confermai, continuando a scrutarla. “Me lo ha detto tuo padre, all’allenamento”.

Quelle poche parole sembravano averla mandata nel panico più totale ed era palesemente a disagio, lo si vedeva dagli occhi che avevano cominciato a posarsi su tutto quanto tranne che sul sottoscritto. E fece quello che era solita fare quando cominciava a trovarsi in difficoltà, scappò per l’ennesima volta dirigendosi a passo spedito verso la cucina. Ma non mi lasciai sfuggire quel briciolo di occasione che sembrava essermi capitata, non volevo; così la seguii in silenzio, aspettando che fosse lei la prima a parlare.

Beh, non avrebbe dovuto, non sono affari tuoi”, disse, poi, con fin troppa calma. “Per una volta avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa. E tu potevi risparmiarti questa visita, cosa volevi? Vedere se ero occupata a piangermi addosso?”, domandò, infine, voltandosi improvvisamente a guardarmi. E non vidi altro che fuoco, nei suoi occhi, rimorso e rabbia.

Mi spiace informarti che hai fatto un viaggio a vuoto, Travis”, aggiunse, e se avesse potuto avrebbe sputato veleno, prima di tornare a trafficare con le attrezzature da cucina senza, in realtà, fare nulla di concreto.

Ti ho detto che sono qui per parlare, Maya, o per ascoltare. dipende da cosa ti può essere più utile”, ribattei, cominciando ad innervosirmi.

La vidi voltarsi di scatto ancora una volta verso di me, con lo sguardo furente e le labbra semiaperte. E se non avessi saputo che, tutta quella messinscena, veniva tirata su solamente per proteggere sé stessa, avrei quasi avuto paura.

Credi ancora che abbia bisogno di te, Travis!?”, mi chiese, con una risata amara, schernendomi. “Non mi sono mai pianta addosso in vita mia e non ho intenzione di farlo ora, non con te”, aggiunse, infine, e terminò con meno enfasi, come se fosse improvvisamente stanca di parlare. Poi tornò a darmi le spalle, poggiando entrambe le mani al banco della cucina, tenendo la testa chinata.

Non avevo la minima idea di cosa fare e di come comportarmi, una parte di me avrebbe voluto raggiungerla e sistemare le cose, ma non avevo la minima idea di come fare per limitare i danni.

Maya…”, cominciai, prima di venire interrotto proprio da lei.

Non capisco cosa ti dia il diritto di piombare a casa mia dopo giorni di silenzio, pretendendo che mi apra con te su un argomento come… come questo”, sputò, velenosa. “Davvero, non riesco a capire come tu possa avere certe pretese con…”.

Maledizione, Maya, smettila!”, esclamai, perdendo definitivamente la pazienza. “Non sono venuto qui con delle pretese, e se per una volta mi ascoltassi capiresti le mie intenzioni. Ma no, devi sempre straparlare ed allontanare chiunque cerchi di darti una mano”, le dissi esasperato, quasi urlando.
Non ne potevo davvero più di quel suo comportamento e la odiavo, la odiavo davvero quando faceva la stronza in quel modo, perché lei era più di quella facciata che si ostinava a mostrare, era più di quella montagna di arroganza e frecciate non tanto velate. Era molto di più e nemmeno se ne rendeva conto.

Mi avvicinai lentamente a lei, in attesa di una sua risposta che sembrava non arrivare mai, poi le posai le mani sulle spalle, cercando di scorgere il suo viso tra tutti quei ricci che le ricadevano sul volto. Ma era nascosta tra tutti quei capelli e se ne restava zitta, non aveva ancora proferito parole, e l’unica cosa che riuscivo a percepire erano le sue spalle che si alzavano ed abbassavo in modo irregolare, come se anche solo l’azione del respirare le riuscisse difficile, complicata come non mai.

Perché mi stai facendo questo?”, domandò, dopo alcuni istanti, con voce incrinata. E mi sembrava tanto vicina la meta, la riuscita dei miei intenti. “Perché cerchi ogni volta di annientarmi?”.

Maya, ne hai bisogno”, le dissi, piano, cercando di voltarla verso di me. “Ne hai bisogno tu come ne ho avuto bisogno io, e mi sento in dovere di restituirti il favore”.

No, non è vero!”, esclamò, poi, sbattendo la mano contro il ripiano a cui era appoggiata. “Cazzo, Travis, è l’ultima cosa di cui ho bisogno, tu non hai idea di cosa stai parlando”.

Continuò a tenere lo sguardo incollato al pavimento, nonostante fossi riuscito a farla girare verso di me, ma sembrava non volerne sapere di sollevare gli occhi.

Con una mano le afferrai il mento e la costrinsi a guardarmi, notando quanto sembrasse improvvisamente stanca e spossata, con gli occhi leggermente arrossati. Stava cedendo, si vedeva, lo sentivo, ed avevo paura di cosa avrebbe comportato tutto quello.

Credi di avere sempre ragione, tu, di essere sempre nel giusto, ma questa volta no, Travis, questa volta ti sbagli di grosso”, sussurrò, continuando a guardarmi, e a stento capii le sue parole per quanto parlò piano. “Questa volta… io, non ce la faccio”.

Sgusciò ancora una volta dalla mia presa, scappando, ancora e cominciò a girovagare per il suo appartamento senza una meta precisa. Non avevo idea di come comportarmi e di cosa dirle senza perdere la pazienza che, anche in quel momento, cominciava a vacillare.

Non so come sia successo, il vero motivo della sua fuga, so solo che è da pazzi anche solo pensare di abbandonare i propri figli, non credi? Come può una madre lasciarsi alle spalle sua figlia!?

Aveva cominciato a parlare davvero, improvvisamente, nel momento in cui era crollata di peso sul divano, guardandosi le mani che continuavano a torturare l’orlo della maglia. Ed io avevo quasi paura di muovere anche un solo passo: non avrei permesso che si fermasse ancora una volta e che si chiudesse in se stessa.

A cinque anni non ti rendi conto di quello che ti accade davvero, sei fin troppo infantile e stupida, ma crescendo ti rendi conto di tutto quanto pian piano, come se la vita non facesse già abbastanza schifo. Man mano che passa il tempo ti accorgi di piccoli particolari a cui non avevi nemmeno fatto caso e non hai idea di quanto faccia male, di quanto faccia schifo farsi migliaia di domande per capire dove hai sbagliato per meritare una cosa simile. Nessun bambino merita di essere abbandonato così di punto in bianco, senza una spiegazione. Ma lei lo ha fatto ed è stata così tanto stronza che mi fa schifo anche solo pensarci”, prese un profondo respiro, passandosi una mano tra i capelli e stringendo, vicino alla nuca, fino a farsi male, togliendosi infine l’elastico che li teneva fermi a stento.

La vedevo tentare di trattenersi il più possibile, di restare in quel precario equilibrio a cui sembrava fin troppo affezionata, la vedevo cercare di trattenere le lacrime, di non piangere. Sapevo che si sarebbe solamente arrabbiata di più con sé stessa se avesse perso quella sfida che sembrava essere diventata invincibile.

Mio padre ha detto che se ne è andata per colpa sua, perché la sua celebrità aveva cominciato ad infastidirla e non ne reggeva più il peso. Io non ho nulla a che fare con tutto questo, secondo lui, e credo sia anche peggio. Significa che nemmeno mi ha calcolata, non ha pensato alla sua maledetta figlia nemmeno un istante. C’era solo lei e la vita tranquilla che tanto voleva, così se ne è andata una sera, mentre ero già a letto. Sai cosa mi ha detto mio padre, la mattina dopo? Ha detto che sarebbe tornata, nei giorni seguenti sarebbe tornata ed io ci ho sperato così tanto, ci ho creduto fino a star male, ma poi i giorni sono diventati settimane, poi mesi e alla fine ho smesso di chiedere che fine avesse fatto mia madre e quando sarebbe tornata. Solamente sei anni dopo mio padre mi ha raccontato tutto quanto, e credo di aver pianto per delle ore, dopo. Credo di aver pianto come mai in vita mia e lui non sapeva da che parte farsi, non aveva la minima idea di come comportarsi, e come dargli torto?” , le uscì una risata amara, che non mi convinse affatto. Sembrava sul punto di crollare in mille pezzi da un momento all’altro, di cadere nell’oblio da cui continuava a scappare da fin troppo tempo.

Poi si è fatto in quattro per me, cercando di seguire allo stesso tempo anche la piscina. E ci è riuscito, maledizione! Mia madre aveva avuto così poca fiducia in lui che per un momento mi aveva fatto sorgere dei dubbi, ma ora che ci ripenso mi rendo conto di come si sia impegnato per non farmi mancare nulla, per essere sempre presente. La scuola, i concerti, l’università, i soldi per pagare questo appartamento… ha fatto tutto il possibile e anche di più perché doveva rimpiazzare una donna che non ha avuto le palle di fare il suo lavoro!”, aggiunse, quasi ringhiando ed assottigliando lo sguardo sulle sue mani, visibilmente nervosa.

E mi fa incazzare, non sai quanto, che lei si sia rifatta una vita perché, sai, quando avevo sedici anni sono andata a cercarla e l’ho trovata, ho scoperto dove abitava quella donna. Sono arrivata in Veneto, facendo credere a mio padre di aver passato un weekend a casa di un’amica, e l’ho trovata davanti ad una scuola. Credo che abbia vent’anni, ora, la bambina che ho visto correrle incontro. Dopo quel momento, me ne sono tornata di corsa a casa, senza nemmeno voltarmi indietro. Decisi nel momento in cui salii sul treno che, quella parte della mia vita, era conclusa, non ci avrei più pensato. E sono rimasta fedele alla mia parola… fino a questo momento”, disse poi, sollevando gli occhi a fatica ed incontrando i miei. E la sensazione di disagio che provai fu indescrivibile, fu come rendersi conto di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato e con la persona sbagliata. Aveva quello strano potere, lei, di farti sentire come la persona migliore del mondo, un attimo, e quella peggiore l’attimo dopo.

Per colpa tua, perché sei così cocciuto da farmi venire la nausea. Sei contento, ora?

Spero davvero che tu lo sia davvero tanto, perché… perché io non ne posso più, non ce la posso fare”, tornò con le mani tra i ricci scomposti, prendendosi la testa e scuotendola leggermente. “Non ce la faccio proprio a ripensare a mia madre, fa troppo male. Per anni sono riuscita a tenerla sepolta chissà dove ed ora tu, con le manie di sincerità sei arrivato a mandare a puttane tutto quello che ho costruito con fin troppa fatica”, il suo tono di voce si era alzato notevolmente, diventando più acuto, disperato. Ed avrei davvero voluto fare qualcosa per farle passare tutto quel dolore che sembrava provare, ma non avevo davvero idea di che cosa fare, di come comportarmi. Me ne restavo in piedi davanti a lei, immobile e senza avere la forza di muovere un muscolo.

Dio, Travis”, esclamò, all’improvviso. “Perché lo hai fatto, per quale assurdo motivo sei arrivato qui come un treno in corsa!? Perché? Ti diverte vedermi così?”, chiese, poi, spalancando gli occhi e fissandomi. Stava cominciando a crollare, le prime lacrime stavano scendendo sulle sue guance e fu come ricevere una pugnalata al petto, vederla in quello stato.

Non pensavo che mi odiassi fino a tal punto, cosa ti ho fatto di male per meritarmi questo, eh? Lo hai fatto perché ti sei trovato nella stessa situazione, eh? Perché ti ho messo alle strette e hai trovato il modo perfetto per vendicarti?”, la sua voce aveva cominciato ad incrinarsi, a non reggere più la situazione, così come il suo viso che sembrava un vero disastro: gli occhi già rossi e inondati di lacrime, l’espressione sofferente.

Non credevo fossi così subdolo!”, sussurrò, infine, cominciando a lasciarsi andare in singhiozzi che cercava comunque di trattenere, abbassando lo sguardo e nascondendosi dietro i riccioli che le cadevano sulla fronte.

Mi avvicinai lentamente, con cautela, pensando a quello che avrei potuto fare o dire, soprattutto dopo quello che mi aveva detto. Ed io non volevo assolutamente che pensasse certe cose di me, perché non avevo insistito per puro gusto personale. Tenevo a lei e volevo aiutarla, volevo che fosse un po’ più spesso la Maya dei primi tempi dopo quel Capodanno passato insieme. Non era quella che avevo davanti la donna che mi aveva lasciato senza fiato, e vederla in quello stato mi faceva male, mi faceva venir voglia di fare tutto il possibile per migliorare la serie di stati d’animo che parevano sovrapporsi in lei. Non avevo idea di come avrei fatto, ma ero deciso a fare del mio meglio.

Mi inginocchiai davanti a lei, prendendo un respiro profondo e cercai di attirare la sua attenzione, abbassandomi a livello del suo viso. Ma lei continuava a sfuggirmi, cercando di non incontrare il mio sguardo. Così le presi il viso tra le mani, sollevandolo ed incontrando i suoi occhi, quell’oceano in tempesta. E fu quasi come una pugnalata al petto.

Non sono subdolo, Maya, e di certo non sono venuto qui con l’intenzione di farti crollare”, cercai di sembrare sincero, ma sapevo che sarebbe stato davvero difficile convincerla, farle capire davvero per quale motivo mi trovavo lì. “Voglio solamente capire per quale motivo sei diventata così, voglio conoscerti e, questo, comprende ogni più piccola cosa e tutto quello che ti è capitato di spiacevole. Voglio conoscere la vera te, non quella che si nasconde, non quella che cerca di difendersi ad ogni attacco, voglio che ti apra con me e che ti possa fidare. E mi dispiace davvero, non sai quanto, di aver riaperto una ferita simile”.

Quanto può sembrare indifesa una persona, mentre piange, mentre fa crollare tutti quei muri che per anni ha cercato di mantenere su? Quanto può far male vedere una persona cadere a pezzi?

E lei non ce la fece più a tenersi tutto dentro, a nascondere tutte quelle sensazioni che sembrava provare all’unisono. Crollò nel momento stesso in cui finii di parlare, come se avesse cercato di resistere il più possibile, di trattenersi fino al momento giusto, ed i singhiozzi che avevano cominciato ad uscirle dalla gola mi stringevano lo stomaco in una morsa. Non avevo idea di quanto potesse essere disperata, di quanto potesse aver sofferto e, probabilmente, non lo avrei mai saputo, ma il suo pianto rendeva perfettamente l’idea.

Si prese il viso tra le mani, nascondendosi per l’ennesima volta, così cercai di avvicinarmi ancora di più a lei e la abbracciai nel modo migliore in cui potessi fare. Doveva sentirmi vicino, doveva capire quanto si potesse fidare davvero di me e non le avrei permesso di scappare ancora una volta, non gliel’avrei lasciato fare. Ero lì per un motivo ben preciso, cioè prendermi cura di lei e non avrei lasciato rovinare tutto dal suo orgoglio. L’avrebbe superato ed io l’avrei aiutata, a partire da quel momento.

Maya, calmati, ti prego”, le mormorai, tra i capelli, sentendola tremare tra le mie braccia.

La fai tanto facile tu, lo hai sempre fatto”, esclamò, poi, tra le lacrime, allontanandomi da lei e cercando il mio sguardo. “Ma non lo è affatto. Non lo è mai stato e non lo sarà mai. Perché? Perché mi ha fatto questo!? Cosa ho fatto di sbagliato per farla scappare?”. Quella serie di domande dovevano rappresentare una vera e propria tortura, da come ricominciò a piangere, più disperata di prima, e faceva male, faceva davvero un male cane vederla soffrire in quel modo, vederla tormentarsi per qualcosa che con lei non aveva nulla a che fare, perché mi rifiutavo di credere che la madre se ne fosse andata per colpa sua. Non avrebbe avuto alcun senso.

Non osare incolparti per una cosa simile, Maya, non pensarci nemmeno!”, cominciai, deciso a farmi ascoltare. “Non è colpa tua e, onestamente, credo che l’unica ad averci rimesso qualcosa sia lei, non tu. Non ha potuto vederti raggiungere i tuoi traguardi, non ha potuto vedere come, nonostante tutto, tu sia riuscita a farti strada, a rialzarti con le tue gambe. Tu non hai nulla di cui incolparti, credimi. Così come mi hai detto che non devo incolparmi per la morte di mio padre, tu non devi farlo per la fuga di mia madre”.

La vidi cercare improvvisamente i miei occhi, guardarmi con quella che sembrava un briciolo di speranza, quando sentì quelle parole e sperai davvero di aver colto nel segno, di poterla convincere seguendo quella strada.

Nemmeno se lo immaginava, ma mi aveva davvero aiutato, mi aveva fatto sentire meglio, nonostante tutto quello successo a mio padre non sarebbe mai passato davvero, ma per un solo momento lo avevo quasi dimenticato. Per un solo istante avevo quasi dimenticato cosa significasse crescere senza un padre e senza una madre accanto, andare avanti con il pensiero fisso e martellante di non aver fatto abbastanza e di non essere mai abbastanza. E lo avevo fatto grazie a quella ragazza che sembrava quasi irriconoscibile e, per questo, le dovevo almeno quel favore.

Tu non hai smesso di incolparti per tuo padre”, mormorò, poi. “Non cercare di darmela a bere”.

Probabilmente una parte di me si incolperà sempre, ma avevi ragione tu: presto o tardi sarebbe successo ed io non sarei stato in grado di fare nulla. Ma la tua situazione è ben diversa, tua madre ha fatto una scelta e, nonostante sia stata quella sbagliata, ti ha fatto diventare quella che sei oggi”. Non sapevo più a cosa aggrapparmi, non avevo idea se quello che le stavo dicendo avrebbe funzionato, ma ci speravo davvero. E tanto valeva essere brutalmente sinceri, in quell’occasione, non farsi scappare quel suo attimo di debolezza per potermi aprire lo stretto indispensabile. “E, nonostante non abbia la minima idea di chi saresti potuta diventare con tua madre ancora al tuo fianco, sappi che io preferisco in ogni caso la donna che ho davanti agli occhi in questo momento, con tutti i suoi mille difetti. Vai bene così, Maya, non credere al contrario”.

Vuoi dire questo disastro ambulante?”, chiese, dopo qualche istante, tranquillizzandosi leggermente.

No, tu”, risposi, togliendole i capelli dal viso. “In tutte le tue sfaccettature, tu”.

Restò in silenzio, continuando ad osservarmi, mentre io cercavo di capire come potesse essere stato tanto semplice dirle quelle parole. Perché, diciamocelo, ero stato un vero e proprio idiota a non dirglielo prima e, con ogni probabilità, viste le sue condizioni il giorno seguente non se ne sarebbe nemmeno ricordata. Ma andava bene così, mi ero tolto un peso che aveva sostato fin troppo sul mio stomaco ed era stata una vera e propria liberazione.

Continua a fare male, Travis”, mi disse, poi,con la voce ancora rotta dal pianto e le lacrime che avevano ripreso il loro percorso sul suo viso. Le passai le mani sulle guance, cercando di limitarmi all’insultare mentalmente la madre di quella ragazza che non meritava affatto tutto quel male.

Lo so, piccola”. Non riuscii a dirle altrimenti, ad articolare una frase con un senso perché lei in quelle condizioni mi destabilizzava e mi impediva di pensare lucidamente. Anche se, la maggior parte del tempo, mi annebbiava la vista. Così mi avvicinai ancora, abbracciandola delicatamente, stringendola poi più forte quando cominciai a sentire distintamente i suoi singhiozzi ricominciare. Crollò con il viso nell’incavo del mio collo, crollò in mille pezzi tra le mie braccia senza che potessi fare qualcosa di concreto per aiutarla. Ma andava bene così, sapevo che prima o poi ce l’avrebbe fatta, sarebbe riuscita a rialzarsi. Era più forte di quello che credeva e nemmeno se ne rendeva conto, perciò, in quell’abbraccio che di normale aveva ben poco, andava bene così.

 

Non avrei voluto svegliarla, ma dovevo scappare e andarmene senza dirle nulla, lasciandola svegliare da sola, non mi sembrava proprio il caso. Non dopo quello che era accaduto la sera precedente. Era riuscita a prendere sonno – finalmente – solamente poche ore prima, probabilmente esausta dalle varie crisi di pianto che l’avevano assalita.

Era stata la prima volta che avevo visto piangere una persona in quel modo, non pensavo nemmeno fosse umanamente possibile, ma era successo. E davanti ai miei occhi, per giunta. Avevo avuto paura per me stesso perché non avevo idea di come comportarmi, ma soprattutto per lei perché pareva davvero non riuscire a smettere ed aveva continuato a tremare contro di me, singhiozzando come una bambina. Ma se fosse stata davvero una bambina a piangere in quel modo, il tutto si sarebbe risolto in fretta, invece la situazione era seria e reale e faceva paura.

Eppure sembrava così tranquilla in quel momento, nonostante avesse passato quelle poche ore di sonno in preda a sogni che non avevano fatto altro che agitarla, ma almeno si era calmata, addormentandosi praticamente addosso a me. Ma non avevo avuto il coraggio di spostarla, preoccupato che potesse svegliarsi e ricominciare ancora a piangere, a stare male.

Se ne stava rannicchiata su un fianco, dandomi la schiena, chiusa talmente tanto a riccio che non potei fare a meno di chiedermi come potesse dormire bene in quella posizione. Così mi avvicinai a lei, facendo aderire il mio corpo al suo e le passai delicatamente la mano sul braccio che spuntava dal lenzuolo, praticamente abbracciandola.

Maya”, sussurrai, cercando di svegliarla nel modo più delicato possibile. Ma lei sembrava non ascoltarmi. Provai a chiamarla ancora una volta, baciandole la porzione di pelle dietro l’orecchio e affondando il viso nella massa di capelli scomposti sul cuscino, e finalmente la sentii svegliarsi, mugugnando chissà cosa e muovendosi leggermente.

Lasciami dormire”, biascicò, scorbutica, con la voce ancora impastata dal sonno. Almeno sembrava aver riacquistato parte del suo solito carattere.

Non ti preoccupare, puoi tornare a dormire”, la rassicurai, sorridendo divertito dalla sua solita indole scontrosa. “Volevo solamente avvisarti che devo andare”.

La vidi socchiudere gli occhi, stropicciandoseli con una mano, prima di cercare il mio sguardo. Come poteva essere così di prima mattina, dopo l’inferno che aveva passato la notte precedente? “Ma che ore sono?”, domandò, rimettendosi nella posizione precedente, senza però chiudere gli occhi.

Sono le sette”.

E che dovresti fare alle sette?”, domandò in un sussurro, non riuscendo ad articolare una vera e propria frase per colpa del sonno.

Devo andare ad allenarmi, Maya”, risposi, spostandole alcune ciocche dal viso perdendomi ad osservare i suoi lineamenti. “Tanto per cambiare”, aggiunsi, in un sussurro. Mi sollevai su un gomito, per poterla osservare meglio, per poterla vedere ancora assorta nei suoi pensieri con lo sguardo perso nel vuoto, come se nemmeno avesse ascoltato le mie parole. Certo, aveva recuperato un briciolo di sé stessa, ma ancora non le era passata del tutto, ed era molto più che comprensibile.

Poi si voltò con calma verso di me, mettendosi a pancia in alto, fissandomi con quelle pozze d’acqua che la sera precedente avevano straripato come non mai. Metteva quasi a disagio, quel suo sguardo, come se fosse lì pronto per dirti che non eri altro che uno dei tanti, che non eri nessuno, ed io non riuscivo davvero a capire se fossero proprio quelli i suoi pensieri oppure se fosse solamente frutto della mia immaginazione.

Sei rimasto”, disse infine, quasi sorpresa, lasciandomi interdetto. Davvero pensava che me ne sarei andato? Dopo quello che avevo visto non l’avrei lasciata sola nemmeno se mi avesse buttato fuori dal suo appartamento a calci, non ce l’avrei fatta.

Dove pensavi che andassi?”, le chiesi, poi, continuando a giocare con i suoi capelli vicino alla nuca. “Mi hai fatto preoccupare, Maya, forse non te ne rendi conto, ma per un momento ho davvero pensato che non saresti riuscita a fermarti”.

Tanto valeva essere sinceri anche in quell’occasione, nonostante sembrasse stupido. Ma quando le avevo detto che mi ero preoccupato era tutto completamente e assolutamente vero, perché non avrei mai pensato che una come lei potesse crollare in quel modo, rompendosi in mille pezzi.

Poi Maya afferrò una mia spalla e mi attirò a sé, ed io rischiai di sotterrarla tra me ed il materasso, ma sembrava non importarle. E vederla così bisognosa di un semplice abbraccio mi lasciò di stucco, perché vengono sempre tanto sottovalutati, gli abbracci, e vengono dimenticati, ma con uno come quelli fu come tornare a respirare davvero, fu come sentirsi davvero importanti per qualcuno. Si aggrappò con un braccio alle mie spalle e alla mia nuca e con l’altro mi avvicinò a lei ancora di più, cingendomi il busto. Così la avvolsi anche io come meglio potei, affondando il viso nei suoi capelli e stringendola a me come non avevo mai fatto, probabilmente. Quasi non mi sembrava vero, eppure era stata davvero lei a lasciarsi andare in quel modo, cercando la mia vicinanza.

Sei rimasto”, ripeté, lei, con un tono sommesso che avrei scambiato quasi per commosso. “Nonostante mi sia comportata da perfetta stronza, sei rimasto, ieri sera”, aggiunse, facendo più salda la sua presa.

Stai zitta”, la ammonii.

Questa volta mi devi lasciare parlare”, ribatté, lei, non sciogliendo l’abbraccio.

Entrambi eravamo ben consapevoli che, qualunque fosse il discorso che avrebbe fatto Maya, non saremmo mai riusciti a farlo faccia a faccia, guardandoci negli occhi, non riuscendo a nascondere la sincerità. Ma andava bene così, andava benissimo quell’abbraccio quasi soffocante, ma vero da far male. Andava bene parlare sulla pelle dell’altro, e non avrei cambiato  un solo particolare nemmeno se avessi potuto.

Mi dispiace”, ammise, dopo qualche istante di silenzio, sorprendendomi. “Ti ho trattato malissimo e… mi dispiace, davvero. E per ieri sera… ti ringrazio”, concluse, con voce incrinata.

Mi stesi su un fianco, trascinando Maya con me per poterla finalmente guardare in viso, per vedere quei suoi occhi ancora inumiditi dall’emozione, per vedere finalmente quelle sue migliaia di barriere che cominciavano a cadere pian piano.

Le scostai i riccioli che le ricadevano sul viso, sfiorandone la pelle con le dita, mentre lei sembrava non intenzionata a lasciarmi andare, per una volta. E mi persi ancora in quei pozzi che non smettevano un momento di fissarmi, di scrutare il mio volto, mi persi come avevo fatto la prima volta e come avrei fatto ogni altra volta successiva, probabilmente. E fu proprio in quel momento, forse, che mi resi conto di quanto fossi fottuto.

Sta zitta, una buona volta”, le ribadii, avvicinandola ancora a me. “Zitta e torna a dormire, ne hai bisogno”.

La vidi aggrottare leggermente le sopracciglia, mentre potevo immaginare il suo cervello intento ad analizzare ogni singolo particolare di ciò che le avevo appena detto, poi tornò a rilassarsi contro di me con la fronte poggiata alla mia spalla. “Dovresti andare, allora, se non vuoi far tardi”, sussurrò, ed io feci davvero fatica a sentirla. “Mio padre potrebbe ucciderti, o peggio: farti fare vasche su vasche fino a quando camperai”, aggiunse, ridacchiando. E fu quasi surreale sentire quel suono uscire dalla sua bocca, con la sua voce ancora assonnata, perché sembrava davvero aver recuperato parte di sé stessa, sembrava che la sera precedente non ci fosse nemmeno stata.

Rimasi un momento in silenzio, a pensare, a cercare di capire cosa fare e come agire, nonostante sapessi perfettamente cosa avrei fatto infine. Forse lo sapevo dal momento stesso in cui mi ero svegliato con il corpo di Maya accanto al mio e con il suo profumo sulla mia pelle, sul cuscino, tra le lenzuola. Ovunque.

Già in quel momento avevo capito che non sarei riuscito ad abbandonarla in una giornata simile, nonostante l’allenamento che mi attendeva, nonostante la ramanzina che mi sarei beccato sicuramente da Claudio. Non potevo andarmene e non volevo. Così mi sistemai meglio sul letto, facendo attenzione al corpo di Maya e tornando a poggiare la testa sul cuscino. “Di allenamenti e di vasche ne dovrò fare in ogni caso, oggi posso anche mandare a fanculo il resto del mondo”, mormorai, giocando con i capelli di Maya, che sollevò lo sguardo all’improvviso, trovandosi spaventosamente vicina a me.

Una stilettata ai polmoni, ecco cos’erano quegli occhi, perché che fossero intrisi di felicità, rabbia o sorpresa, restavano comunque micidiali, capaci di farti mancare il respiro. Come quel mezzo sorriso che le spuntò sulle labbra, che cercò in qualche modo di nascondere, invano. “L’allievo perfetto che salta gli allenamenti? Chi sei tu e che ne hai fatto della superstar, del campione mondiale?”, mi punzecchiò, ridendo, portando una mano tra i miei capelli alla base della nuca.

Ed io mi beai di quel tocco, cercando di gustarmi il più possibile la sensazione delle mani di Maya su di me, seppur solamente tra i capelli. Poggiai la fronte alla sua, chiudendo gli occhi e respirando profondamente perché dovevo trattenermi, dovevo mantenere il controllo per non rovinare quel momento e la tranquillità della ragazza che, la sera prima, aveva perso completamente il controllo di sé stessa. Non avrei approfittato di lei in quella situazione, non ce l’avrei fatta.

Oggi sono solamente me stesso, non il campione, non l’allievo perfetto. Oggi sono solo Travis”, risposi, cercando di darmi un tono, nonostante il tocco delle sue mani mi stesse mandando in estati, su un altro pianeta dove non c’era il nuoto di mezzo e dove non c’erano ostacoli né per lei né per me. “Non voglio andarmene… posso restare?”, le chiesi, poi, aprendo gli occhi e trovando i suoi intenti a fissarmi a pochi centimetri dal viso.

Lei si limitò ad annuire, leggermente, come se avesse paura di far conoscere la propria opinione in merito, e non mi diede nemmeno il tempo di studiare la sua espressione, i suoi occhi, che abbassò immediatamente lo sguardo, tornando a poggiare la fronte sulla mia spalla, rintanandosi tra le mie braccia. Ed io non feci altro che stringerla ancora di più, avvicinandola a me e sentendo ogni particella del mio corpo animarsi a contatto con la sua pelle.

Cercai di darmi una calmata, di contenermi e di pensare ad altro, ma l’unica cosa che mi si parava davanti agli occhi, nella mia mente, quando decidevo di serrare le palpebre, era quel sorriso incerto che si era lasciata scappare poco prima, come se una qualche emozione diversa dal solito l’avesse animata.

Era stato un passo avanti, quello, una sorta di resa che aveva portato ad un risultato migliore di quello precedente. E non me lo sarei lasciato scappare, non avrei più permesso a me stesso di fare l’idiota e di perdere un qualcosa di così prezioso come la persona che si era addormentata con la testa sopra il mio braccio.

 

Mi ero svegliato più di tre ore dopo, con ancora il corpo di Maya vicino al mio ed il suo profumo nelle narici. Dava alla testa, tutto quanto, e dava quasi dipendenza.

Lei continuava a dormire indisturbata, fortunatamente, così dopo alcuni istanti passati ad osservarla rannicchiata contro di me, decisi di alzarmi per andarmi a preparare qualcosa in cucina.

Mi avrebbe ammazzato, probabilmente, per aver utilizzato le sue cose senza chiedere, ma la sera prima non mi ero nemmeno fermato a mangiare un boccone prima di raggiungerla e cominciavo ad avere fame. Ricordavo il primo giorno dell’anno, quando l’avevo trovata in cucina intenta a prepararsi una tazza di tè, e ricordavo perfettamente come impazzisse per il tè Earl Grey. Era un particolare che non avrei mai potuto dimenticare e che la faceva assomigliare pericolosamente a mia madre, ma lasciai perdere. Così mi decisi a fare qualcosa di carino e, dopo aver cercato un po’ per la cucina, misi sul fornello l’acqua per il tè e attesi con le mani poggiate al bancone che fosse pronto.

Dalla sera prima avevo ancora indosso i pantaloni sportivi, non avendo avuto il coraggio di spogliarmi completamente con Maya messa in quelle condizioni, e cominciavo a sentire il bisogno di una doccia, ma avrei atteso fino a quando non si fosse svegliata, troppo preoccupato che potesse cadere ancora in crisi. Avrei voluto tornare al mio appartamento, certo, ma non me la sentivo proprio di lasciarla sola.

Era stato un po’ come tornare a vedere il mondo con gli occhi di sempre, svegliarsi accanto a quella ragazza. Perché sapevo quanto potesse essere davvero rompipalle e nevrotica, ma dopo quel momento era tornata anche la stessa Maya che aveva saputo sorprendermi e mandarmi al manicomio e stupirmi per come, a volte, rendesse tutto quanto più semplice. E non riuscivo davvero a capacitarmi di come avesse potuto soffrire così tanto, quella ragazza, ma tutto spiegava i suoi atteggiamenti ed i mille muri che ogni volta cercava di tirar su. Ma io ero riuscito a distruggerli, quei muri, anche solo un paio e mi stavo avvicinando sempre di più a quella che pensavo fosse davvero Maya. Peccato che più mi avvicinavo e più mi rendevo conto di come risultava difficile, poi, lasciarla andare, allontanarsi da lei.

Tornai a concentrarmi sul pentolino d’acqua davanti a me, che aveva cominciato a bollire, così spensi il fornello ed immersi l’infusore, perdendomi ad osservare i vari flussi di colore che avevano cominciato a tingere l’acqua.

Ingannava e stregava, quel colore che si muoveva lento ed indisturbato e dava un senso di pace che sapeva incantare. E fu per quel motivo che mi resi conto della presenza di Maya solamente quando si avvicinò a me, posando una mano sul mio avambraccio.

Mi voltai lentamente verso di lei, che si stava sporgendo per poter vedere cosa stessi facendo e cercò di nascondere un sorriso quando si rese conto della qualità di tè che avevo scelto tra la sua scorta. Sembrava aver ancora i segni del cuscino stampati in faccia e si notava fin troppo bene la stanchezza sul suo volto, ma restava comunque bella da mozzare il fiato. Come sempre.

Poi sollevò lo sguardo, trovando il mio, e quasi mi pensi dentro quel mare che sembrava non abbandonarla mai, che la caratterizzava e la rendeva unica. Mi ci sarei tuffato seduta stante e, conoscendomi, non ne sarei più uscito.

Ben svegliata”, mormorai, continuando ad osservarla. Non avevo nemmeno il coraggio di muovere un muscolo, nonostante ogni mia particella stesse urlando di prendere quella ragazza e farla mia. Ma la vedevo ancora troppo fragile, un castello di carte all’aria aperta pronto a crollare, così mi limitai a restare immobile e ad attendere una sua reazione. “Pensavo non ti saresti svegliata prima di domani mattina”, aggiunsi, cercando di buttarla sul ridere.

Ma lei non fece una piega: il sorrisetto di poco prima era sparito chissà dove, lasciando il posto ad un’espressione indifferente, assente. Era davvero spossante vederle così, sentirla così su un altro pianeta. Non era lei quella, nonostante non si fosse mai esposta più di tanto, ma così era davvero troppo.

La vidi appoggiarsi con la schiena al banco della cucina, accanto a me, rivolgendo lo sguardo al tè che sembrava quasi pronto.

Non dovevi”, disse, poi, facendo un cenno con il capo al fornello. “Avrei fatto io”.

Non volevo svegliarti”, risposi, mettendomi di fronte a lei, intrappolandola tra il mio corpo e il bancone, con le mani poggiate al piano accanto ai suoi fianchi.

Il suo sguardo crollò a terra, non riuscendo a sostenere i miei occhi che continuavano ad analizzare ogni briciola di emozione che le attraversava il viso. Dovevo capire cosa le passava per la testa e sembrava un’impresa titanica, quasi impossibile.

Sembrava quasi intimorita dalla mia presenza, e non mi pareva possibile perché non era mai successo, non si era mai lasciata sopraffare da me o da qualunque altra persona. Era strano e diverso e non mi piaceva non poter navigare nei suoi occhi. Ci avevo quasi preso l’abitudine.

Ehi”, le dissi, piano, cercando di attirare la sua attenzione, facendomi più vicino.

Si avvicinò anche lei, poggiando la fronte al mio petto e sospirando pesantemente, mostrandosi ancora più debole e fragile.

Se ne stava lì, con solamente la pelle della sua fronte come contatto con me, perché sembrava davvero altrove. Così non riuscii a resistere e le presi il viso tra le mani, sollevandole il volto e sentii l’ennesima stilettata perforarmi i polmoni, quando vidi quei suoi maledetti occhi, ancora lucidi, ancora sull’orlo dell’ennesimo pianto. “Tutto bene?”, chiesi in un soffio, sfiorandole gli zigomi con i pollici.

Non lo so nemmeno io, Travis”, rispose esasperata, lei, dopo alcuni istanti persi a fissarmi. “Pensavo di aver superato tutto quanto, non mi è mai successo di crollare in questo modo, ed è stato come tornare a quando mi svegliavo dagli incubi, da bambina, e cercavo mia madre. Ma lei non c’era mai, e mio padre impazziva ogni volta per cercare di calmarmi”.

Si prese il volto tra le mani, abbassando il volto, nascondendosi ancora una volta. ma se io ero riuscito a superare, anche se solo in parte, tutto lo schifo che mi era successo, doveva farlo anche lei. perché sapevo che ce l’avrebbe fatta, ne ero sicuro. Era forte, e nemmeno lo sapeva.

Guardami”, le dissi, deciso, cercando comunque di mantenere un tono calmo. “Maya, ti prego, guardami”.

E finalmente si decise ad ascoltarmi, a risollevare quel suo sguardo liquido che mi preoccupava ogni attimo di più. Le presi le mani, liberando completamente il suo viso, e me ne portai dietro la schiena, tornando poi a sfiorarle il volto come poco prima.

Non è colpa tua, mettitelo bene in testa, ed è normale reagire così”, cercai di convincerla, sapendo bene quanto potesse essere difficile. “E te lo dice uno che ne sa qualcosa”, aggiunsi, poi, ammorbidendo i toni e cercando di farla sorridere.

Non dirlo a mio padre, Travis”, mi pregò, avvicinandosi leggermente a me. E non me la sentii proprio di dirle di no, nonostante Claudio avrebbe dovuto sapere, ma quella scintilla di disperazione negli occhi e nella voce mi aveva fatto vacillare e convinto a reggerle il gioco. “Me… me ne vergogno troppo e… so che ne soffrirebbe”. Continuò, lei, facendo più salda la presa alla base della mia schiena.

Va bene”, sospirai, infine, arrendendomi a lei. Come sempre. Ed io che per un momento avevo creduto davvero di poterle resistere, anche solo per una volta. “Ma promettimi che non ti incolperai mai più per una cosa del genere, tu non hai fatto niente”, cercai di convincerla e mi feci ancora più vicino, poggiando la fronte alla sua, circondandole le spalle con le braccia.

Poi mi allontanai da lei, sciogliendo quella specie di abbraccio, che era diventato quasi un modo per aggrapparsi l’uno all’altra, e tornai con le mani poggiate al banco, ai lati di Maya. E la scrutai attentamente, guadagnandomi un sorriso appena abbozzato, una briciola della solita Maya.

Siamo intesi?”, le domandai, poi, sorridendo.

E lei annuì leggermente, poggiando le mani sulle mie, esitante, quasi timida come non era mai stata, seguendole con lo sguardo.

Quando prima ti ho detto che mi dispiace”, cominciò, ed io quasi non la sentii per quanto parlava piano, poi sollevò lo sguardo ed incontrai i suoi occhi che parevano essersi calmati, non erano più agitati, mossi, tempestosi. “Stavo dicendo sul serio”, aggiunse, facendosi improvvisamente seria. E lo dovevo considerare un evento, perché sapevo che stava parlando con sincerità e, in più, lo stava facendo guardandomi negli occhi, non nascondendosi dietro muri invalicabili.

Ed io non riuscii a rispondere, se non con l’ennesimo sorriso, l’ennesimo squarcio di felicità che mi occupava le labbra, e avvicinai il viso a quello di lei, non riuscendo a resistere, nonostante mi limitai a sfiorarle una guancia con le labbra. “Lo so, Maya”, le dissi in un soffio, restando sulla sua pelle. “Lo so”.

E restammo immobili, come se il tempo si fosse fermato, come se avessimo entrambi paura di far scoppiare quella bolla che si era creata, debole e fragile. Restammo in quella posizione per alcuni istanti interminabili, in quel mezzo abbraccio nel silenzio più assoluto. Ma alla fine fu lei a muoversi, a distruggere quel fermo immagine, avvicinandosi e rannicchiandosi tra le mie braccia.

E tu continui a restare, nonostante io non sappia ancora cosa fare”, continuò, cingendomi la vita con le braccia, ed io rimasi fermo, immobile con lei premuta sul mio corpo, ancora per paura che cambiasse atteggiamento per l’ennesima volta, volubile com’era. Avevo cominciato a vederla come una bambola di porcellana, piccola, delicata, sempre pronta a rompersi.

Non ho fretta, in un certo senso”, le risposi, non sapendo bene quale significato potessero avere le mie parole.

Se ne restò zitta per un momento, facendosi addirittura più piccola di quanto già non fosse, poi sollevò il capo, facendosi scontrare i suoi occhi con i miei. L’ennesimo colpo al cuore.

Non avevo la benché minima spina dorsale, e dire che mi ero ripromesso di starmene buono e calmo per evitare di farla crollare ancora una volta, ma, dannazione!, come avrei potuto resistere con lei che mi guardava come non aveva mai fatto, come fossi davvero qualcuno di importante? E ce l’avrei anche fatta – con non poche difficoltà, certo – se solo lo sguardo di Maya non fosse caduto sulla mia bocca.

E diamine, quanto mi erano mancate quelle labbra, il corpo esile di quella ragazza addossato al mio, le sue mani a stringermi i capelli. Quanto mi era mancata lei.

Rendersi conto di quell’assurda mancanza faceva male, davvero, ma tutto veniva surclassato da lei e dal suo corpicino in cerca del mio, dal suo respiro sulle mie labbra che premevano frenetiche sulle sue. Veniva tutto surclassato da lei.

Ci eravamo comportati da stupidi entrambi e questo ci aveva portati all’ennesima discussione e all’ennesimo periodo di distacco, e se in quel bacio ci fosse stata solamente quella mancanza sarebbe stata la cosa migliore per entrambi, una sensazione passeggera e destinata a scomparire. Ma c’erano così tanti sentimenti, lì dentro, c’era un così grande miscuglio di sensazioni ed emozioni da farmi tremare le ginocchia. C’era così tanto che risultava difficile persino dare un nome a tutto quello che ci stava attorno.

E continuai a baciarla, a lasciarmi baciare, a complicare ulteriormente le cose, sollevandola da terra e facendola sedere sopra il piano della cucina, prendendo il suo corpo tra le braccia ed avvicinandola ancora a me, stringendola ancora.

Cazzo, quanto mi ero rincretinito per una donna, per uno scricciolo quasi invisibile. Ero fottuto, semplicemente. Perché non sarei mai riuscito a togliermela dalla mente completamente, lo capii in quel momento, con il viso tra le sue mani e le sue gambe allacciate ai miei fianchi. Capii quanto fossi fregato quando pronunciò il mio nome mentre scendevo con le labbra sul suo collo, sulle clavicole lasciate scoperte dalla maglia, perché sapevo che non avrei potuto più fare a meno di un suono simile, pronunciato da lei, da quella voce.

Ma soprattutto lo capii quando mi fermò e respirò a fondo prima di cercare i miei occhi e quando la vidi sorridere, ma sorridere davvero, come non aveva mai fatto con me. Un sorriso che, finalmente, le occupò gli occhi, quei pozzi che tornarono a brillare e che erano rivolti a me e a me soltanto.

Ed io, da perfetto idiota, mi ritrovai senza avere la più pallida idea di come comportarmi davanti a quella meraviglia.

Finirò al manicomio per colpa tua”, le feci notare, rispondendo a quel suo sorriso. “Mi avrai sulla coscienza”.

Penso che correrò il rischio”, ribatté, ridendo e tornando a giocare con i miei capelli alla base della nuca, facendomi sospirare. Quelle sue mani erano una libidine.

Mi persi l’ennesima volta a fissarla, a studiare lei e la sua espressione, quel mezzo sorriso che sembrava non volersene andare da quelle labbra, quelle maledette labbra che erano una tentazione continua, una tortura. Mi persi e basta, perché un labirinto sarebbe stato meno complicatone contorno di lei, sarebbe stato più facile liberarsene, avrebbe fatto meno male. Invece, avevo la sensazione che Maya avrebbe fatto male, in un modo o nell’altro avrebbe fatto male, e tanto. Ma se si trattava di viverla ancora, di conoscerla ancora… e di amarla ancora, avrei fatto quello ed altro. E già solo il fatto di rendermi conto di essere, in uno strano e stupido modo, innamorato di lei era come scavarsi la fosse con le mie stesse mani. E non sarei più riuscito a venirne fuori.

Dannazione, ero davvero fottuto!

 

Maya’s POV

 

Credo che abbiano firmato le carte del divorzio un weekend, quando avevo sei o sette anni e mio padre mi aveva lasciata alla vicina, una sua zia di secondo grado, forse. Ricordo che mi ha portato al parco poco distante da casa nostra per i due pomeriggi interi, perché Claudio mi ci portava di rado, e quando è tornato a casa, mio padre mi ha fatto dormire con lui”. Travis continuava ad osservarmi rapito, mentre mi esponevo a lui come non avevo mai fatto con nessun’altro. E lo stavo facendo con una semplicità tale da farmi venire le vertigini.

Mi aveva annientata con la stessa forza di un uragano, e sentirsi crollare addosso diciannove anni di vita aveva fatto davvero male, ma lui era rimasto. Nonostante tutte le cazzate che avevo fatto, nonostante tutto quello che avevo detto era rimasto. Era piombato a casa mia dal nulla, senza preavviso, aveva saltato gli allenamenti giornalieri ed era ancora lì, ad ascoltare il mio straparlare che sembrava non avere più fine.

Eravamo ancora a letto, dopo esserci lasciati andare per l’ennesima volta, coperti solamente dal lenzuolo, e nessuno dei due sembrava avere la minima intenzione di alzarsi ed andarsene.

Non mi aveva mai permesso di dormire con lui”, continuai, girandomi su un fianco e poggiando il gomito al materasso, con la testa sul palmo della mano. Travis, accanto a me, invece, non aveva smesso un momento di accarezzarmi un fianco ed ascoltarmi in religioso silenzio, con il viso voltato verso di me. “Perciò capii subito che qualcosa non andava. Ero una bambina, certo, ma conoscevo le espressioni sul volto di mio padre, quindi non ci misi molto a fare due più due”.

Una giovane Sherlock”, scherzò Travis, con un sorriso, guadagnandosi uno schiaffo leggero sul petto.

Elementare, Watson”, ribattei. “Comunque, non mi ha mai detto nulla, ma se continuo a pensarci è quella l’unica occasione possibile”, cominciai a tracciare le linee del tatuaggio di Travis con la mano libera, distrattamente, sfiorando di tanto in tanto la sua pelle. E il sorriso che cercò di trattenere, dopo un momento di esitazione, non mi passò inosservato.

Passarono alcuni istanti, con me impegnata ad osservare la mia mano ed il suo percorso e Travis impegnato a non distogliere gli occhi da me. E non era assillante come le volte precedenti, sapevo che mi stava studiando dal momento in cui mi ero risvegliata, ma la sensazione del suo sguardo su di me non era più la stesa. Era quasi piacevole.

Non me ne aveva mai parlato, Claudio, ma dopotutto non sapevo nemmeno della tua esistenza, qualche mese fa”, interruppe il silenzio, lui, ricominciando a far scorrere la sua mano sulla mia pelle. “Per questo, ringrazio tutte le cadute da sbadata davanti alle porte”, aggiunse, poi, ridendo e facendomi ricordare il nostro primo tragico incontro.

Sbadata io? Sei tu che sei entrato come una furia, superstar”, aggiunsi, infine, marcando quell’aggettivo che odiava, con un sorriso angelico sulle labbra. E in ricompensa ricevetti un pizzico non troppo gentile sul fianco, ma quell’occhiata divertita smorzava tutto quanto.

Poi, ancora con il sorriso sulle labbra, Travis si avvicinò leggermente, chiudendo gli occhi con un sospiro. La sua mano su di me cominciò a percorrere lentamente la schiena, facendomi rabbrividire, e se ne restò in silenzio.

Accoccolato in quel modo a me, mi sembrò un bambino un po’ troppo cresciuto. Forse quel bambino che aspettava la sera il ritorno del padre, con gli occhi serrati, ma comunque con le orecchie sempre sull’attenti.

Aveva fatto tanto per me e me ne stavo rendendo conto solamente in quel momento, con il silenzio che regnava sovrano, dopo aver passato ore a piangere e a rivangare il passato, ma mi aveva fatto bene, lo sentivo. Ed era frustrante rendersi conto di come, in parte, quell’uomo avesse sempre avuto ragione. Parlare del mio passato aveva alleggerito di quel poco che bastava il peso che continuavo a portarmi sullo stomaco e farlo con lui lo aveva reso meno difficile. Lo avrei dovuto ringraziare perché, dopotutto, se lo meritava, qualcosa da parte mia in segno di riconoscimento se lo meritava davvero.

Continuavo ad osservare ogni piccolo particolare del suo viso e mi rendevo conto che, qualcosa, stava cambiando. Aveva già cominciato tempo prima, ma ero stata talmente stupida e codarda da respingere il più piccolo cambiamento e da nascondermi come avevo sempre fatto. Ma se c’è una cosa che h imparato da mio padre è che, in ogni occasione, la cosa migliore da fare è rialzarsi e combattere per quello che ci sta più a cuore. E Travis, nonostante avessi provato qualunque cosa per evitarlo, lo era diventato davvero. Avevo cominciato a tenere a lui senza nemmeno accorgermene e, solamente in quel momento, mi rendevo conto di avere la verità stampata in faccia.

Sai, io…”, comincia, non sapendo bene da che parte cominciare. Perché, insomma, non era facile cambiare completamente rotta, non era facile mandare all’aria tutto quello che mi ero ripromessa di non fare, ma quando mi ero detta che in qualche modo dovevo ringraziarlo, mi ero decisa non tirarmi indietro. “Io, non…  oddio, non sono sicura di non volere quel qualcosa in più, adesso”. E quello era il mio modo di ringraziarlo: dargli una possibilità, provare a vivere quel qualcosa in più che mi aveva sempre spaventata e che continuava a spaventarmi, ma aveva fatto talmente tanto per me ed era stato talmente presente che, una semplice stretta di mano, sarebbe stata un insulto.

Lo vidi aprire gli occhi all’improvviso e cercare il mio sguardo. E fu quasi divertente la sua espressione, così sorpresa da sembrare irreale e leggermente spaventata. Sembrava essere diventato un tronco di legno, lui, per come si era irrigidito dopo aver compreso le mie parole, e in un certo senso mi spaventava quella sua reazione, mi mandava in confusione, perché non avevo idea di che cosa potesse significare.

Ecco, adesso mi fai paura”, dissi, cercando di nascondere una risata nervosa. “Questa non era la reazione che mi aspettavo, ma sono seria. Davvero, forse per una volta so cosa voglio, cioè smetterla di nascondermi da me stessa. E questo comprende anche te, soprattutto dopo quello che hai fatto per me, ieri sera”.

Maya, frena”, mi interruppe, lui, all’improvviso, facendomi andare ancora di più nel pallone perché, proprio nel momento in cui decidevo di essere sincera, lui non poteva saltare su dicendomi “frena”!

Non dire così solo per esserci stato, ieri sera”, cominciò, sorridendo appena. “Non voglio che ti senta in debito con me per qualsiasi motivo”.

Non mi sento in debito con te, Travis!”, esclamai, mettendomi seduta sul materasso, tirandomi dietro il lenzuolo. “Quello che è successo mi ha solamente aperto gli occhi e, per essere stato presente, ti ringrazio, ma non è per questo motivo che… che ti ho detto di volere qualcosa in più”, aggiunsi, infine, sentendo la voce mancare. Quella sua reazione mi aveva fatta vacillare, confondere ancora prima di rendermi conto di poter anche ricevere un rifiuto da parte sua. E dopo tutto gli sforzi fatti per buttare giù la mia corazza, probabilmente, non lo avrei sopportato.

Ehi”, cercò di attirare la mia attenzione, sedendosi al mio fianco e prendendomi il mento con una mano, facendo scontrare ancora una volta il suo sguardo con il mio. “Guardami”, disse piano. “Non credere che non ti voglia, perché non hai idea di quanto avrei dato per sentirti dire questo tempo fa, ma voglio che tu sia sicura delle tue scelte. Quindi, pensaci, non voglio farti fretta. Pensaci bene, ti prego, poi ne riparliamo, okay?”, mi chiese, infine, sorridendo più convinto.

Mi persi per un momento ad osservarlo, a studiare quei suoi occhi che parevano non volersi mai distaccare da me e, per un solo momento, pensai a cosa sarebbe successo se lì, proprio in quell’istante, mi fossi tirata indietro per l’ennesima volta. probabilmente, lui si sarebbe stancato davvero di me e mi avrebbe mandato al diavolo una volta per tutte, e mi resi conto di volere assolutamente una cosa simile, di non voler vederlo andare via da quell’appartamento non sapendo se fossi riuscita o meno a vederlo un’altra volta. Volevo lui, Travis, nonostante avessi una paura fottuta di tutte le possibili conseguenze, ma mi aveva fatta sentire tranquilla così tante volte che mi convinsi che ci sarebbe riuscito anche in quell’occasione.

Okay”, sospirai, cercando di sorridere. “Va bene”, aggiunsi, poi, poggiando la fronte sulla sua spalla.

Brava, piccola”, mormorò, mentre mi cingeva le spalle con un braccio e mi trascinava di peso con lui, ancora stesi sul letto. E mi bastò quello, un bacio tra i capelli e quell’insignificante, piccolo particolare che fu la sua mano, mentre mi tirava il lenzuolo fin sopra le spalle, coprendomi. Mi bastò lui, mentre ricominciò a coccolarmi leggermente, senza mai risultare troppo scontato o dolce.

Mi bastò Travis, con i suoi mille difetti, a scavarmi la pelle delicatamente, pian piano, a fondermi il cervello e a mandare a puttane ogni promessa che avevo fatto a me stessa perché, in altre occasioni, non mi sarei nemmeno disturbata a tirarlo indietro per un braccio, baciandolo e ringraziandolo per quello che aveva fatto per me, quando quella sera se ne andò dal mio appartamento.

Mi bastarono quei due giorni a farmi passare l’intera serata con un sorriso da idiota sulle labbra, a prendere il telefono in mano e scrivere un messaggio a mio padre perché, in un certo senso, per quella situazione dovevo qualcosa anche a lui.

 

Grazie per averglielo detto. Ti voglio bene, papà!

*****

Sarà che a Natale si è tutti più buoni, ma a me quest'atmosfera ha dato ispirazione.
Ho passato giorni a finire questo capitolo perchè DOVEVO finirlo. Per voi, ma soprattutto per me stessa perchè questi due mi sono mancati davvero tantissimo, non avete idea. 
Sono stata fin troppo occupata e questo è il risultato. Non darò date precise, non vi dirò quando aggiornerò perchè sono un'incognita e non mi sembra giusto propinarvi false speranze. Sappiate solo che non ho abbandonato questa storia e che non ho intenzione di farlo. Tengo troppo a tutto questo per lasciarlo in un angolo a prendere polvere.
Spero che voi stiate bene, comunque. Appena avrò un secondo, risponderò anche alle recensioni dello scorso capitolo! Nel frattempo, vi ringrazio di cuore per esserci ancora, anche voi che vi limitate a leggere!
Detto questo, Buon Natale, buone feste e felice anno nuovo.. buona vita, ve la meritate. Ce la meritiamo tutti quanti!

Chiara

P.S. Se volete, questo è il gruppo che ho creato su Facebook, per restare aggiornate sull'andamento della storia, per parlare, per conoscermi (se volete).. Born to Run

  
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