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Autore: Elly_Lucy26    09/01/2016    1 recensioni
L'ho fatto, questa è la pura realtà, il peggior peccato di cui l'umanità da millenni si è sporcata l'anima rendendo il corso della vita un vero e proprio inferno. Il senso di colpa in questi casi dovrebbe essere automatico, per ogni singola cosa brutta, atroce e cattiva che si compie, il risentimento e il senso di colpa devono essere lì pronte a colpirti alle spalle... Ma io in fondo sono sempre stato diverso agli occhi di tutti...
Alzando lo sguardo, incrociai gli occhi vispi del ragazzo che mi stavano sfacciatamente squadrando da capo a piedi. Il cuore batteva sempre più forte e l'adrenalina cominciava a farsi strada nelle mie vene...
Due strade diverse, un'unica via.
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Perché stai ridendo?- Ringhiò fulminandomi con lo sguardo.
-Io e te ci siamo già incontrati, non è vero?-Domandai di getto, nessun filtro tra mente e bocca.
La sua espressione si corrucciò e le perfette sopracciglia, che davano il tocco di serietà sul quel delicato volto, si scontrarono l’una con l’altra. Sembrava stesse risolvendo un complicatissimo problema di matematica.
-Ma cosa stai dicendo?- Proruppe all’improvviso  allontanandosi dalla mia fragile figura ancora seduta al centro della stanza. –Hai battuto proprio forte la testa?- Sghignazzò toccandomi la guance compassionevolmente.
-Io non…-.Proprio in quel momento rammentai che ero realmente caduta. Non feci in tempo ha ricordare cosa mi ero fatta che inconsciamente mi sfiorai la faccia. –Ahi!! Dio che dolore!!- Esclamai contorcendomi dalla fitta atroce che avevo sul naso.
Prese un batuffolo di ovatta e mi disinfettò la ferita, era a poca distanza dal mio volto e potevo sentire il suo dannato profumo alla menta. Perché c’era qualcosa di così familiare nei suoi modi di fare?. Non mi accorsi che l’avevo fissato per tutta la durata della sua accurata medicazione sul mio volto.
-La smetti?-Domandò di botto facendomi sussultare.
-C-cosa?- Chiesi tirandomi indietro per sottrarmi dalla sua salda presa.
-Di fare questo.- Sentenziò puntandosi due dita sugli occhi. – Lo so che sono bello!.-Disse ridendo di gusto alla sua orripilante affermazione.
-Lasciami andare, dannazione che cavolo ci sto a fare qui con te!-Strillai isterica più che mai innervosita dai suoi modi così confidenziali.
-Eh, cara dolce ingenua Catherine ancora non capisci è?-Proruppe sorridendo e grattandosi il mento con fare pensieroso.
Nel frattempo si era alzato, aveva raccolto le sue cose (kit di pronto intervento) e stava di spalle di fronte alla scrivania posta accanto alla porta, intento a mettere a posto tutto quel disordine che faceva da sfondo a quella opprimente camera da letto. Quelle mura avevano uno strano effetto su di me, come se cercassero in tutti i modi di farmi capire qualcosa. Non avevo più pensato a quello stramaledetto giorno da anni, passavo la mia vita cercando di ricostruire il mio passato, ma dai ricordi non si può sfuggire. Una parte di me morì in quel caldo giorno d’estate insieme ad i miei amici. Fu difficile dimenticare, specialmente se si era soli al mondo ad affrontare tutto.
Non bisogna cara Catherine dare peso alle parole che la gente dice, perché la gente, signorina, è cattiva dentro. Ma la tua di anima cara, Oh cielo, si proprio la tua è limpida come il cielo blu nel mese d’agosto, quando andiamo a raccogliere le telline lungo la battigia del mare.
L’unica àncora di salvezza in quei momenti bui era la voce della mia dolce nonnina Clara, che morì quando io avevo solo otto anni e una delle cose che ricordo meglio erano proprio queste parole. Mi accompagnò la sua voce per il resto della mia vita. Perché quella frase, sussurrata con un filo di voce, celava la soluzione ad ogni singolo problema che lo scorrere del tempo mi riservava. Io ero vittima della gente, si ero stata colei a cui hanno subito puntato il dito infangando il mio nome e quello della mia famiglia. Non c’erano prove, niente di niente, eppure la società che mi circondava fu pronta a sprofondare  giù nel baratro una incosciente diciasettenne nel fiore degli anni.
-Cosa devo esattamente capire?- Domandai confusa e al quanto innervosita. Nel frattempo ero ritornata strisciando al posticino che mi aveva accolta la prima volta che avevo messo piede in quella casa.
La stanza era avvolta in  un silenzio fastidioso, l’unica cosa che si sentiva era il rumore delle cose che stava mettendo apposto. Sembrava quasi che stesse prendendo tempo per non rispondere alla mia domanda.
-Dannazione! Mi vuoi rispondere, sono qui da non so ormai quanto tempo. Io non ti conosco, non so chi cavolo sei ma è come se ti conoscessi da sempre. Ti piace rapire le ragazze che incontri così a caso?. E poi cos’è quest’aria da misterioso? Se sei un serial- killer, uno psicopatico, un maniaco e Dio solo sa cosa, bè fammi il piacere di dirmelo almeno. Mi logora il fatto di non sapere.-
Rimase di spalle per tutto il tempo che impiegai a buttar fuori tutte quelle parole. Fino a quando mi lasciò a bocca aperta.
-Ho sempre odiato il football, specialmente quello americano. Le partite sono così noiose che mi addormento sempre, o la maggior parte delle volte cambio canale.- Disse voltandosi e mostrando una espressione malinconica stampata in faccia.
Non feci in tempo a replicare che uscì dalla stanza sbattendo la porta. Non riuscivo a spiegarmi cosa c’entrava il football in tutta quella storia. Mah, forse era solo un modo per sviare le mie domande. Eppure vedevo e percepivo qualcosa di strano in lui.
 
Football, Football…
Il boato di una folla in tumulto, cori di voci possenti presi da una esaltazione irrefrenabile.
Football, Football…

Tre settimane prima dell’incidente
-Abbiamo vinto!!! No, dico ma hai visto che rigore, la palla è sfrecciata così velocemente che non abbiamo neanche fatto in tempo a vederla!- Strillò preso dall’eccitazione della vittoria Lucas.
Il rumore di una trombetta in un orecchio mi fece letteralmente balzare.
-Mark, dannazione così mi fai diventare sorda!-Rimproverai il mio amico che aveva stampato sulla faccia un sorriso a trentadue denti.
-Scusa Cathe!! Non l’ho fatto apposta!- Esclamò ridendo di gusto.
Tutto lo stadio era in fermento, la rabbia e la delusione degli avversari nell’ala opposta alla nostra, era palpabile. Nel frattempo io ero circondata da dei veri e propri matti che saltavano entusiasti, cantando tutti in coro l’inno della squadra. Mi mancava l’aria tra tutti quei tifosi esaltati e mezzi ubriachi per le troppe birre che hanno bevuto.
-Hey ragazzi!!- Urlai per sovrastare quel casino che ci circondava, tentando di attirare l’attenzione dei miei due amici che erano presi a gridare come forsennati. Fallendo miseramente, tirai per la giacca Lucas che si voltò poco dopo.
-Ho fame, vado a prendermi qualcosa.- Dissi avvicinandomi al suo orecchio in modo che udisse bene le mie parole.
-Ti accompagno!-
-Non ti preoccupare, il bar è qui accanto.- Confermai, indicando un punto impreciso alle mie spalle.
-D’accordo, ma fai in fretta.-
Mi feci spazio tra la folla, cercai di schivare sciape e cappelli con lo stemma della squadra. Io odiavo il football, non l’avevo mai capito. Tutto per colpa di una scommessa finita male. Rose in realtà doveva andare con loro, visto che era una tifosa sfegatata di quella squadra (di cui non ricordo nemmeno il nome). Ma sfortunatamente la mia amica era a letto con la febbre, tutto perché sabato scorso aveva voluto a tutti i costi farsi il bagno a lago di notte. Lucas e Mark aspettavano con ansia questo fatidico giorno della partita e avevano comprato tre biglietti non rimborsabili. E visto che la mia amica non poteva andarci bè qualcuno doveva pur sacrificarsi. Matt e Jasmine i gemelli diversi, dovevano partire per andare a far visita ai nonni. Così eravamo solo io, Anne e Clare. Il trio di coloro che odiano il football, ebbene Clare decise di lanciare il guanto della sfida. Colei che fosse riuscita ad accaparrarsi il numero di telefono di Jack John e Micheal Reach i più bei gelatai mai visti prima d’ora, non sarebbe andata alla partita di domenica. Inutile dire come andò  a finire.
Il bar era a poca distanza e fortunatamente non c’era molta fila, visto che la maggior parte della gente stava esultando al centro dello stadio.
-Tesoro, cosa ti porto?- Domandò la barista dal look molto rock. Aveva dei capelli rasati solo da una parte e dall’altra una voluminosa chioma dai colori bizzarri, tra il blu ed il viola. Il volto coperto da piercing e tatuaggi.
-Ehmm… un hot dog con doppia porzione ketchup, grazie.- Risposi sorridendogli.
-Cinque minuti ed è pronto!- Esclamò scomparendo dietro il bancone. Nel frattempo mi appoggia con i gomiti sul bancone guardando la tv maxi schermo posta sopra, che trasmetteva la partita in diretta.
-Catherine, giusto?- Domandò una voce alle mie spalle.
Mi voltai curiosa di sapere chi era che mi stava rivolgendo la parola. Un ragazzo prese forma dinanzi ai miei occhi, era alto con dei capelli leggermente più lunghi del normale, color cioccolato fondente. I suoi occhi erano densi di un nero penetrante.
-Scusa, ci conosciamo?- Proruppi, assottigliando lo sguardo per capire dove avessi visto quel volto tanto bello e dannato.
-Che sbadato!- Esclamò toccandosi la fronte e scoprendo sul polso un accenno di tatuaggio. –Sono Arthur..-Disse porgendomi la mano, che afferrai titubante. –Non ti ricordi di me?- Domandò con un accenno di delusione.
-Sinceramente… no.- Risposi con sorriso timido.
-Giocavamo spesso insieme, in pineta. Dai ma come fai a non ricordarti !-Insistè fissandomi con occhi penetranti.
-Io davvero…- Cercai di proseguire.
-Tesoro l’hot dog è pronto, ti conviene mangiarlo subito se no si fredda e dopo fa schifo, credimi.- Disse la barista, distraendomi da quella strana conversazione con quel tizio.
Mi girai, pagai ed afferrai il mio pranzo sbadatamente.
-Grazie.- Mi congedai, voltandomi nello stesso punto in cui prima c’era quella ambigua figura. E non trovai nessuno.
Mi voltai più volte intorno per capire dove fosse andato.
-Catherine! Catherine!- Strillò qualcuno alla mia sinistra.
Lucas fece il suo  ingresso tra la gente che si spostava sbuffando al suo passaggio.
-Hey!- Dissi sorridendogli.
-Ma dove eri finita? Non ti vedevo più arrivare mi stavo preoccupando!- Esclamò con il fiatone.
-Tranquillo stavo solo aspettando l’hot dog.- L’assicurai sorridendogli.
-Dai andiamo che la partita è finita.- Disse.
-Oh ma che peccato!-Esclamai con una finta espressione dispiaciuta sulla faccia.
- Che spiritosa!- Disse dandomi una spinta leggere che mi fece sorridere e mi avvolse tra le sue braccia.
Salimmo tutti in macchina. Mark era dietro che stava russando come un camionista con la bocca aperta. Lucas era alla guida concentrato ed io al suo fianco che contemplavo il panorama dal finestrino, avevo un mal di testa atroce. Eppure la strana conoscenza di quell’Arthur mi aveva scombussolata, insomma se davvero ci conoscevamo perché io non ricordo nulla di lui?. Forse era solo un ubriacone che ci stava  provando. Però mi ha chiamato con il mio nome e come faceva a sapere della pineta, insomma solo noi del “gruppo” andiamo lì per divertirci. Sembrava molto più grande di me, avrà avuto ventiquattro massimo venticinque anni.
-Lucas?-
-Si.-
-Ma per caso conosci un certo Arthur?- Domandai con scioltezza continuando a guardare dal finestrino.
-Ehmm… Arthur, si al paese c’è un ragazzo che si chiama così, perché?- Rispose togliendo per un momento gli occhi dalla strada per guardarmi meglio.
- No, è che prima quando stavo al bar si è avvicinato un ragazzo dicendo di essere Arthur, affermava convinto che io lo conoscevo e che giocavamo spesso insieme. Possibile che io non me lo ricordo?-
-In realtà è strano, perché Arthur è uno dei migliori amici di William. Insomma quando noi avevamo circa otto anni loro avevano la nostra età adesso. Non giocavamo mai insieme, anzi ci snobbavano pure.- Chiarì grattandosi il mento dubbioso.
-L’amico di William, quello che da ragazzino faceva saltare in aria i petardi rovinando le case della gente?- Domandai perplessa.
-Già, devi starne alla larga infatti. Sono stati dentro anche svariate volte. La cosa strana è che ti abbia salutato, di solito non ci degnano neanche di uno sguardo. –Affermò.
-Si è proprio strano.- Confermai, riflettendo su quanto avevamo detto.
Adesso ricordo, Arthur era quel ragazzino pelle e ossa con l’apparecchio e i capelli perennemente spettinati che faceva le peggiori bravate in paese insieme a quel matto del fratello di Rose. In effetti come aveva detto anche Lucas, non ci siamo mai scontrati con loro. Ma perché allora dopo tanti anni di indifferenza mi ha salutata?. Non mi ricordavo ne il suo nome ne la sua faccia.
 
William e Arthur dopo l’incidente…
-Che fine avevi fatto?- Domandò preoccupato Arthur al suo amico che stava rientrando a casa.
Aveva lo sguardo stanco e stremato, la sua maglietta era sporca di sangue come anche le sue mani.
-Ho avuto da fare!- Ringhiò guardandomi con occhio truce.
Poi all’improvviso capii tutto.
-Hai sentito cosa è successo a Catherine Everdeen?- Domandò Arthur prendendosi una mela, dal cesto della frutta sul tavolo in soggiorno, addentandola. Anche se aveva capito che era stato lui a picchiare Catherine, voleva comunque sentirselo dire in faccia. Conosceva il suo amico dai tempi dell’asilo e sapeva bene che era un vigliacco. Aveva il brutto vizio di reagire d’istinto senza riflettere, non si era mai capito se fosse stupido o se avesse problemi a gestire la rabbia. Comunque sentiva il dolore che l’amico provava, per quanto erano distanti e diversi Rose e lui, erano pur sempre molto legati. Sua sorella aveva tentato di fargli mettere la testa a posto ma fu solo un tentativo vano.
-No, che cosa?- Ribattè levandosi la maglietta per cambiarsi in camera. Un pregio, se così si può affermare, era che William conosceva l’arte suprema nel dire le bugie. Anche se la cosa era palese, riusciva a farti cambiare idea se voleva. Ma in quel momento in lui vide, per la prima volta, un barlume di incertezza e debolezza.
- Non sono stupido William, perché l’hai fatto?- Urlai per farmi sentire anche nella sua stanza a poca distanza dal soggiorno.
- Non me ne frega niente hai capito, quella sapeva che la mia sorellina era incita ed è stata zitta per tutto questo tempo. Doveva pagare!- Strillò di rimando. Uscì dalla camera, un’ombra nera gli dipingeva il volto. Aveva lo sguardo corrucciato e la fronte imperlata di sudore.
-Ti rendi conto di quello che stai dicendo! Con me William le tue cazzate non attaccano, hai capito?- Dissi guardandolo negli occhi e avvicinandomi rabbiosamente.
-Lei sa troppo, capisci!!-Esclamò afferrandomi la testa con entrambe le mani scuotendomi, come se questo mi poteva far capire qualcosa in tutta quell’assurda situazione.


Cari Lettori!!
Sono qui con un nuovissimo capitolo, spero vi piaccia e fatemi sapere cosa ne pensate.
Saluti
-Elly

 
   
 
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