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Autore: etc    10/01/2016    1 recensioni
Alessandro è un uomo in carriera, affascinante e attraente. Eppure una parte di sé è segnata da un evento della sua vita che non può scordare, un passato ingombrante, una condanna senza appello, fatto di dolore, senso di colpa e rimpianto. Un'infinità di rimpianto.
Per questo Alessandro si è creato un'esistenza di stenti, di precari, fragili equilibri, costantemente in bilico su un filo di sottile e affilato dolore, aggrappato a un passato che gli graffia le mani, ma che mai oserebbe abbandonare.
[Dal primo capitolo]
L'uomo dallo sguardo assente camminava a passo spedito, la valigetta in mano, la mente altrove. I pensieri sfrecciavano veloci, seguendo il ritmo dei passi affrettati di gente vestita in giacca e cravatta che si affrettava a superare i tornelli. [...]
L'uomo aveva lo sguardo assente perché pensava troppo. La sua mente assomigliava a una stazione, piena di pensieri che arrivavano senza preavviso e risfrecciavano via veloci come erano venuti, senza nemmeno dargli il tempo di afferrarli, ed era sempre stato così per 37 anni. Anzi, 38, dato che quello era il mattino del suo trentottesimo compleanno (o, come amava definirlo lui, il quinto anniversario dal suo 33° compleanno). Nonché suo primo giorno di scuola.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Le 19:04. Erano passati quarantacinque minuti e Alessandro non era ancora riuscito a domare i suoi capelli biondi, perennemente spettinati. Su di loro, niente funzionava, né il gel, né la lacca, né la migliore messa in piega del miglior parrucchiere del mondo: si ribellavano a tutto, e, imperterriti, seguivano le direzioni che volevano.
Si ricordò che, quando faceva il modello e li portava più lunghi, l'acconciatore impazziva ad ogni scatto o sfilata, tentando di disciplinarli senza successo, anche se il pubblico amava quel look un po' selvaggio che lo aveva da sempre caratterizzato. Gli venne da ridere al pensiero, ma poi lo scacciò in fretta dalla mente.
Prese un cappello e se lo infilò sulla testa, per nascondere i capelli. Poi pensò che a cena avrebbe dovuto toglierselo, e allora sarebbero stati ancora peggio. Se lo sfilò a malincuore e si guardò nello specchio.
Per una frazione di secondo odiò il proprio riflesso. Nello specchio vide due occhi cattivi e pieni di risentimento, e ne ebbe paura. Li chiuse, respirò. Quando li riaprì, trovò i suoi soliti e spenti occhi azzurri. Poi, con uno scatto, si allontanò dalla propria immagine: non aveva tempo di starsi a guardare.
Prese il cappotto grigio e uscì dall'appartamento. Claudia sarebbe arrivata tra poco. Alessandro l'aveva chiamata dopo il lavoro per accordarsi sui dettagli dell'uscita, e lei aveva proposto di passarlo a prendere con la propria macchina, facendo tirare un sospiro di sollievo ad Alessandro, che non guidava da anni e usava la patente solamente come documento d'identità. Sarebbe passata alle 19:30, cioè esattamente - Alessandro controllò il suo orologio - tra 21 minuti.
L'uomo prese le chiavi e chiuse la porta, poi scese la rampa di scale che conduceva all'uscita del palazzo e si ritrovò in strada, sul marciapiede, per aspettare Claudia. Passavano poche auto su quella strada: sicuramente uno dei motivi principali per cui Alessandro aveva scelto di abitarci.
Il sole era già tramontato da un po' e i lampioni illuminavano le strade; tirava un vento debole ma gelido, e Alessandro si strinse nel suo cappotto ignorando i brividi che gli scuotevano la spina dorsale. Ma non dovette attendere molto, perché un'auto grigia arrivò percorrendo lentamente la strada e accostò davanti a lui. Dodici minuti di anticipo.
"Sali." disse Claudia dall'interno, salutandolo con un sorriso.
Lui aprì lo sportello e si sedette sul sedile del passeggero.
"Credevo di essere arrivata troppo in anticipo e di dover farmi un altro giro del quartiere per non presentarmi troppo presto."
Quando l'auto partì, Alessandro guardò con stupore e meraviglia il paesaggio venirgli incontro man mano che la macchina avanzava, mentre lui era lì, immobile. Si sentì fluttuante, come se fosse seduto sull'aria. Dopotutto erano anni che non entrava in un auto, prendeva soltanto la metropolitana, dove non si vedeva granché dai finestrini, e vi rimaneva comunque sempre in piedi. Alessandro li contò: erano cinque anni che non toccava un'automobile, e per un - intenso, ma involontario e rapidissimo, tanto che Alessandro nemmeno se ne accorse - momento, odiò Claudia di un odio sincero e feroce per avergli fatto interrompere quell'abitudine.
Da anni, le auto erano tra la lunghissima lista di cose che Alessandro cercava di evitare con tutte le sue forze: che fosse per ribrezzo, o per paura, o perché cercava semplicemente di dimenticare, non lo sapeva, e non aveva intenzione di chiederselo.
Scacciò i pensieri dalla mente e rimase a fissare il paesaggio, con i polpastrelli appoggiati timidamente sul finestrino appena appannato ai bordi, come un bambino incollato alla finestra che osserva scendere la sua prima neve.
Claudia si voltò verso di lui un paio di volte, guardandolo divertita, prima di parlare.
"Allora?" disse, sorridendo e alzando le sopracciglia.
"Oh." Alessandro si voltò, e si ricordò di essere con un'altra persona. Cercò rapidamente nella sua testa qualcosa socialmente accettabile da dire.
"Come va?" disse.
"Bene, grazie."
"Hai un bel vestito."
Lei rise. "Guarda che non c'è bisogno di queste frasi fatte, tanto per dire qualcosa. Stai tranquillo."
"Cosa ti fa pensare che siano frasi fatte?"
"Innanzitutto, il fatto che non porto un vestito."
Alessandro arrossì lievemente. Non notare l'abbigliamento di una donna durante un'uscita... che errore da principiante.
"Scusami."
"Non c'è problema." gli sorrise lei. "Allora, cosa mi dici?"
Silenzio.
"Cosa hai fatto dopo il lavoro?" continuò Claudia, per incoraggiarlo.
"Niente."
"Niente? Qualcosa dovrai pur aver fatto."
"Oh, be', sì, ho respirato e i miei organi hanno continuato a svolgere le loro funzioni ordinarie, se ti riferisci a quello."
Claudia rise. "Sei divertente. Mi piace la tua ironia."
Per un po' non dissero niente, poi lei disse, con voce dolce: "Grazie, comunque. Mi stai facendo un grande favore."
"Figurati." disse lui, intento a guardare il paesaggio fuori dal finestrino.
Claudia lo guardò per qualche secondo. Poi, dopo aver ascoltato il suo silenzio, decise di parlare lei.
"Io abito lì vicino." gli disse, indicando un gruppo di palazzi. "Mi sono trasferita due anni fa. Prima vivevo in una grande casa in periferia. È una bella differenza passare da una villa a un appartamento, eh?". Poi aggiunse a bassa voce: "Ma non sono mai stata così contenta di cambiare casa...". Tacque per un istante. "Tu hai sempre vissuto qui in centro?"
"No." rispose Alessandro. Poi aggiunse: "Prima vivevo appena fuori da Roma. E ancora prima, vivevo in periferia con i miei."
"Oh. Roma è bella, non è vero?"
"Un po' caotica." rispose.
Rimasero qualche momento senza parlare. Poi Alessandro, temendo che il suo silenzio fosse scambiato per disinteresse, chiese: "Come mai hai cambiato casa?"
Claudia sospirò, e per un attimo lui temette di essere stato troppo invadente.
Lei prese fiato, e quando parlò, la sua voce risuonò seria e grave, dura, carica di un qualche lontano dolore. "Sono stata costretta. Non potevo più vivere lì."
Stavolta il silenzio che seguì sferzò l'aria come una ventata gelida.
Allora Alessandro si affrettò a cambiare discorso.
"Uh... Sei single?" le chiese.
Lei rise. Che imbecille. Alessandro si sarebbe dato una manata sulla fronte, ma sapeva che questo avrebbe reso la sua gaffe ancora più evidente. Era semplicemente la prima domanda che gli era passata per la testa, l'aveva posta solo per cambiare discorso, e non c'era alcuna intenzione dietro, ma si rese conto che le evidenze indicavano il contrario. Non aveva una conversazione con una persona da così tanto tempo che ormai non ci sapeva proprio più fare.
Mentre pensava a qualcosa di discreto per scusarsi, Claudia gli rispose sorridendo: "Sì. O almeno, adesso lo sono."
Prima che lei potesse fargli la stessa domanda, le disse: "Scusami. Non ti volevo mettere a disagio. Era tanto per chiedere."
"Non ti preoccupare. Non mi hai messa a disagio." gli rispose con un sorriso rassicurante.
Rimasero in silenzio. Poi, lei, per toglierlo dall'imbarazzo, disse: "Mi piacciono i tuoi capelli."
Lui, grato di cambiare discorso, disse: "Oh, non riesco proprio a pettinarli come si deve. Stanno sempre come vogliono."
"Io li trovo belli."
Lui si voltò. "Grazie."
Rimasero in silenzio fino all'arrivo al ristorante.
"Eccoci."
Scesero dalla macchina e si ritrovarono davanti a un ristorante molto lussuoso. Alessandro si chiese se avesse abbastanza soldi. Poi si disse che non doveva preoccuparsi: lui non mangiava molto.
"Ti pareva." disse Claudia. "Umberto deve fare sempre le cose in grande."
Entrarono nel ristorante, avvolti dal caldo emanato dal camino. La musica di sottofondo risuonava nella stanza avvolgente e accogliente. Era Stayin' Alive dei Bee Gees, e Alessandro sorrise appena nel riconoscerla.
In fondo all'enorme stanza piena di tavoli illuminati da candele, c'era un tavolo rettangolare lunghissimo. Lì Umberto stava salutando calorosamente i professori che man mano arrivavano.
Era vestito con un abito da sera grigio perla e una camicia bianca, con le maniche tirate sugli avambracci abbronzati, i capelli tirati indietro con il gel, il suo orologio al polso sinistro e la sua solita aria da divo di Hollywood.
Quando Alessando e Claudia si avvicinarono, Mancini allargò le braccia guardando Claudia con un sorriso.
"Lo sapevo, lo sapevo che saresti venuta! Vieni qui." le prese la mano e vi appoggiò le labbra. "Sei bellissima." e ammiccò.
Lei lo guardò con aria di sufficienza e alzò un sopracciglio. "Sono vestita come tutti i giorni, che ruffiano." sussurrò ad Alessandro.
"Oh, e salve, salve." disse Mancini concitatamente, stringendo con vigore la mano di Alessandro e avvolgendola con la sinistra. "Ranghi, giusto?" disse fissandolo dritto negli occhi, con il suo sorriso smagliante.
Alessandro notò che la mano di Mancini che stringeva la sua era quasi prona, con il dorso verso il soffitto, mentre quella di Alessandro era supina, con il palmo verso l'alto.
"Renga." lo corresse, sciogliendosi dalla stretta.
"Prego." disse Mancini, facendo segno di accomodarsi, con la mano destra sui lombi di Claudia e il pollice dell'altra infilato nella cintura. Mostrò a Claudia il posto accanto al proprio - Umberto era seduto a capotavola - su cui egli aveva appoggiato la propria giacca.
Alessandro stava per andare a sedersi in un posto isolato in fondo alla stanza, ma Claudia gli poggiò la mano sull'avambraccio e gli sussurrò a denti stretti: "Ti prego, mettiti vicino a me.", e lui non poté far altro che accontentarla, sedendosi sotto gli occhi di Umberto, non privi di un certo disappunto.
Alessandro guardò le persone arrivare in smoking o tacchi a spillo.
Lui indossava il suo solito abbigliamento formale e sobrio, ma si sentì un po' inadeguato nei suoi abiti non certo costosi e ricercati come quelli della gente che arrivava indossando vestiti eleganti, salutandosi e facendosi complimenti a vicenda sui loro abiti. Alessandro si chiese se fossero sinceri.
Si accorse che Claudia lo stava guardando con occhi imploranti, probabilmente cercando un argomento di cui parlare con lui per scampare a una conversazione con Umberto. Aveva bisogno del suo aiuto. Quindi le venne in soccorso, chiedendole: "Hai già un'idea di cosa ordinerai?".
Gli occhi di Claudia furono percorsi da un sospiro di sollievo. "Oh, credo proprio che prenderò una carbonara. Tu?"
Alessandro non lo sapeva. In effetti erano anni che non andava in un ristorante in compagnia. E non era nemmeno affamato.
"Una bistecca alla fiorentina, credo."
"Ah, regime proteico per i tuoi muscoli, eh?"
"Oh, in realtà non seguo diete o regimi particolari."
"Vuoi dire che prendi gli steroidi per avere questi pettorali?" lo prese in giro lei.
"No, mai presi." rispose. "Costano troppo." aggiunse ammiccando e sorridendo, facendola ridere.
"Dai, allora dimmi il segreto: come fai?" domandò lei, sempre più divertita.
Alessandro era sollevato di essere riuscito a farla rilassare un po'. "Vivo in gran parte di rendita degli anni in cui andavo in palestra tutti i giorni e mangiavo solo petti di pollo." continuò, sforzandosi di mantenere un tono allegro.
"Tutti i giorni?" chiese lei incredula, sollevando le sopracciglia.
"Quando studiavo all'Università, lavoravo per mettere da parte qualcosa..."
"E come facevi a trovare il tempo di andare in palestra tutti i giorni e di studiare e lavorare nello stesso tempo?" disse sorridendo, incuriosita.
"Era proprio per quello... Diciamo... che il mio lavoro dipendeva molto dal mio fisico." le rispose, tentando di rimanere sul vago.
Intanto, attorno a loro i posti si erano riempiti. Accanto ad Alessandro si era seduta la professoressa Fabbri, una donna bionda tra i cinquanta e i sessanta, segretamente appassionata di pettegolezzi, che quel giorno era vestita con un abito blu attillato e degli orecchini di perla, le palpebre piene di ombretto azzurro. Il fondotinta faceva uno strano effetto sul suo viso solcato da innumerevoli rughe.
Mancini, l'unico in piedi accanto alla sua sedia, interruppe tutte le conversazioni parlando con voce sonante: "Carissime colleghe e carissimi colleghi," esordì "sono lieto che siate qui. È un piacere per me osservare come i rapporti tra ognuno di noi non si limitino a collaborazioni a livello professionale, ma si estendano anche a ottime relazioni interpersonali."
Claudia alzò gli occhi al soffitto.
"Non voglio rubarvi altri minuti con inutili discorsi: godiamoci la compagnia e una bella scorpacciata!" e si sedette, lasciando che il suo discorso fosse accolto da parole di assenso e da qualche applauso.
Subito, sei camerieri iniziarono a distribuire menu ai commensali.
Alessandro aprì il suo e scorse con gli occhi l'elenco di piatti senza leggerli. Poi lo chiuse e attese che arrivasse un cameriere per comunicargli la sua ordinazione.
"Sempre deciso con la bistecca?" gli chiese Claudia, con gli occhi fissi sul suo menu.
"Sì. Tu?"
"Non so, c'è un sacco di roba che mi attira. Ma credo che salterò l'antipasto e prenderò comunque una carbonara."
Comunicarono le proprie ordinazioni a un cameriere, poi si misero ad attendere.
Vicino a loro, Mancini stava facendo finta di essere in difficoltà riguardo la sua decisione. Poi ad un certo punto, chiuse di scatto il menu e si sfregò le mani. "Cameriere," disse ad alta voce "del caviale, per cortesia!"
"Caviale?!" esclamò Claudia, con un tono a metà tra l'interdetto e il desolato. "Oh Dio santo..." disse, appoggiando la fronte sulla mano sinistra, per coprire la sua espressione esasperata.
"Cliché?" disse Alessandro.
"Puoi dirlo forte. Non so se lo fa apposta o se è scemo di natura."
Le ordinazioni arrivarono nel giro di dieci minuti, e tutti cominciarono a mangiare tra una chiacchiera e l'altra.
Quando Alessandro si ritrovò di fronte il suo piatto, sentì immediatamente lo stomaco chiuso. Non aveva appetito, come al solito, ma il pensiero di dover mangiare in pubblico lo metteva ulteriormente a disagio.
"Che c'è, non è quello che avevi chiesto?" gli chiese Claudia.
"Sì, è questo."
"Non ti senti bene?"
"No, no, sto a posto." disse prendendo in mano forchetta e coltello.
Tagliò svogliatamente la sua bistecca in quadrati piccolissimi con precisione chirurgica. Poi alzò lo sguardo. La sala era completamente piena, tranne che per un tavolo con quattro posti, che si era appena liberato, e per un tavolo per due vicino al loro.
Un po' troppo affollato per i suoi gusti. Tentò di distrarsi allineando i pezzi della sua bistecca.
Poco dopo, un cameriere con un piatto coperto si avvicinò a Umberto. Quando gli fu accanto, sollevò la cloche. Caviale. Mancini accolse la propria ordinazione con un "Aaah!" soddisfatto e plateale che attirò lo sguardo di tutti, sfregandosi le mani con foga.
"Ne vuoi un po', cara?" disse a Claudia.
"No!" rispose lei visibilmente schifata.
"Io lo sapevo che era scemo, ma non credevo fino a questo punto..." sussurrò poi ad Alessandro.
Alessandro assaggiò la carne che aveva nel piatto, e la trovò troppo salata e troppo cotta. Appoggiò le mani sulle gambe e iniziò a guardare le persone davanti a sé, osservando prima tutti i camerieri, e poi seguendo con lo sguardo l'uomo e la donna che, appena arrivati, occuparono il tavolino per due vicino al loro.
"Sicura che non ne vuoi?" stava dicendo Mancini a Claudia.
"No, grazie." rispose lei con durezza, distogliendo lo sguardo dalla sua direzione e sollevando le sopracciglia.
Umberto non sembrò turbato da quella risposta. Anzi, continuò a sorridere.
L'espressione di Mancini si gelò, invece, nel momento in cui lo sguardo gli cadde sull'uomo e la donna appena arrivati, seduti lì accanto, che avevano giusto finito di parlare con un cameriere e stavano conversando mentre attendevano le loro ordinazioni.
Umberto si bloccò immediatamente: sbarrò gli occhi, perse ogni traccia del suo solito sorriso e il caviale gli si fermò in gola.
Tutti i professori lo notarono e ammutolirono. Qualcuno cominciò a guardarsi intorno con discrezione per individuare la causa della sua reazione.
Poi, con enorme fatica, Mancini ingoiò il boccone e si appellò a tutte le sue forze per mettere su un sorriso che sembrasse sincero - probabilmente per la prima volta nella sua vita. Era un sorriso forzato, e nascondeva un'espressione di disagio e disorientamento, con gli angoli della bocca piegati in giù; sembrava quasi che avesse appena mangiato un limone intero. Che brutto sorriso, pensò Alessandro.
I professori parlottavano concitati tra loro, facendo congetture e supposizioni.
"Ma è l'ex moglie di Umberto!" sussurrò la professoressa Fabbri, coprendosi subito la bocca con una mano, in un'espressione apparentemente sconvolta, che però non riusciva a nascondere una certa eccitazione. Ma le piacciono così tanto i pettegolezzi?, si chiese Alessandro.
Mancini prese il tovagliolo e lentamente se lo passò sulla bocca. Poi, mantenendo la stessa smorfia, spostò con lentezza lo sguardo dalla coppia al suo tavolo, guardò i professori in viso, poi abbassò gli occhi, riflettendo su ciò che aveva appena visto, sempre con lo stesso strano sorriso stampato sul volto.
Tutti gli insegnanti ammutolirono, ogni vocio cessò.
Mancini accennò a una fredda risata, poi sollevò lo sguardo e si alzò lentamente dalla sedia, la mano destra nella tasca dei pantaloni.
"Vorrei, ehm, ehm..." iniziò lentamente con tono potente, schiarendosi la voce per prendere tempo e per attirare l'attenzione della gente "mmh, fare... un annuncio.". Subito ottenette l'attenzione dell'intero ristorante.
Alessandro notò che Mancini continuava a lanciare sguardi rapidi e sfuggenti al tavolo vicino, verso il quale aveva i piedi puntati, dove la donna, accortasi, come il resto del locale, della sua presenza, lo guardava con aria stupita.
"Vi vorrei presentare una bellissima donna, che ho l'onore di avere qui accanto a me questa sera. Claudia, alzati pure, per favore." la prese per mano e la costrinse ad alzarsi in piedi, mentre lei lo guardava con aria spaesata e sospettosa allo stesso tempo.
Alessandro sentì uno strano prurito sul viso. Il suo intuito gli diceva che non c'era da aspettarsi nulla di buono da quello che avrebbe detto Mancini.
"Come alcuni di voi sanno," disse guardando i professori "io e Claudia abbiamo da sempre un ottimo rapporto che negli ultimi tempi si è evoluto e che ci ha portato ad avvicinarci sempre più.". I professori annuirono, come a dire che lo sapevano già. Ma cosa aveva raccontato loro?, si chiese Alessandro.
Claudia si guardava intorno spaesata, in cerca di aiuto.
"E questa sera," continuò Mancini alzando la voce "sono lieto di annunciare... il nostro fidanzamento ufficiale!"
Claudia sbiancò. Tra la gente si levò un applauso immediato e parole di congratulazioni. Gli unici nel locale a non dire una parola furono Claudia, Alessandro e la donna del tavolo vicino.
"Grazie, grazie." disse Umberto compiaciuto, alzando una mano in segno di ringraziamento.
Gli applausi cessarono dopo pochi secondi e tutti i presenti fecero nuovamente silenzio, per sentire che altro Umberto aveva da dire.
Mancini fece una pausa, selezionando accuratamente le parole nella sua mente. Ma Alessandro fu più rapido. Approfittando del silenzio generale, disse pacatamente, tenendo gli occhi bassi sul suo piatto: "Prima di fidanzarvi, dovresti chiedere se lei è d'accordo. Di solito è così che funziona."
Da qualche tavolo arrivarono delle risate. Alessandro alzò gli occhi verso Mancini giusto in tempo per vedere il suo viso minaccioso. La sua espressione era rimasta apparentemente inalterata, ma i suoi occhi mandavano scintille.
Tutti gli sguardi erano ora su Umberto, pieni di trepidazione.
"Mio caro professore..." disse questo "è per caso... geloso?"
Occhi puntati su Alessandro.
"Solo rispettoso del consenso altrui." disse lui con tranquillità.
"Oh, ma sentitelo!" disse Mancini e, con un braccio attorno alla vita di Claudia, la avvicinò a sé e le baciò il collo, facendola sussultare. Poi guardò Alessandro con espressione trionfante e aria di sfida.
Claudia non era più soltanto spaesata: ora era anche seriamente spaventata. E Alessandro lo vide.
Quindi fece una cosa, per la prima volta dopo tempo, senza starci a pensare. Si alzò in piedi di scatto, mantenendo la sua espressione impassibile, e prese il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloni; tirò fuori sessanta euro e li poggiò sul tavolo, pregando che sebbene il lusso del ristorante, il piatto di Claudia e il suo non costassero più di trenta euro per uno; poi afferrò dallo schienale il suo cappotto e quello di Claudia e con l'altra mano prese delicatamente il suo polso, divincolandola dalla stretta di Mancini.
"Andiamo." le disse, cingendole le spalle e accompagnandola verso l'uscita, ignorando lo sguardo di tutti che gli premeva addosso.
Tra la gente scoppiò un boato: mentre i due uscivano, tra le tante voci, poterono sentire quella della Fabbri che urlava a un altro professore: "Ma sì, e quella donna al tavolo lì vicino è la sua ex moglie! E ti dirò: è stata lei a lasciare lui! Te lo giuro, un'amica di mia sorella la conosce!"
Alessandro portò Claudia verso l'uscita, ignorando gli sguardi, con una mano sulla sua spalla e l'altra che le teneva il polso.
Una volta fuori, le appoggiò sulle spalle il suo cappotto e la condusse verso la sua macchina. Alessandro vide che Claudia tremava, e non era sicuro che fosse per il freddo.
Quindi fece una cosa che non si sarebbe mai sognato di fare in una situazione normale: prese le chiavi dalla tasca della giacca di Claudia e, dopo averla fatta sedere sul sedile del passeggero, si mise al posto di guida. Si era ripromesso tempo prima di non toccare mai più un volante, ma in quel momento non ci fece molto caso: pregò solo che con gli anni non si fosse dimenticato come guidare.
Accese il motore e abbassò il freno a mano, poi fece manovra e si mise in strada. Lanciò un'occhiata rapida a Claudia, per vedere come stesse: era rannicchiata sul sedile e guardava fuori dal finestrino, abbracciandosi lo stomaco. L'accaduto l'aveva scossa molto più di quanto ci sarebbe stato da aspettarsi da una persona comune: chiunque al posto di Claudia avrebbe mollato uno schiaffo a Mancini, ma non ne sarebbe stata terrorizzata. E Alessandro l'aveva capito: doveva esserci qualcosa sotto. Non sapeva cosa, ma per il momento non gli importava scoprirlo: il suo obiettivo era solo assicurarsi che stesse bene e portarla al sicuro.
Al sicuro?, si disse Alessandro. Non è che stava esagerando un po'?
Accese la radio della macchina nel tentativo di smorzare l'atmosfera tesa. C'era già un disco inserito. Ad Alessandro bastò sentire poche note per riconoscere How Deep Is Your Love, dei Bee Gees.
La musica lo rese più tranquillo, e si concesse di guidare in silenzio, fortunatamente e contro ogni sua aspettativa, senza sbagliare una manovra.
Con il passare dei minuti, il suo cervello cominciò a riprendere lucidità, e il terrore, lentamente, si impadronì del suo stomaco. Vide due fari sfrecciargli vicino, nella corsia accanto, e ne ebbe paura. Poi abbassò lo sguardo. Era un volante quello che aveva tra le mani, un volante. Dove erano finiti tutti i giuramenti che aveva fatto? Provò il forte desiderio di fermarsi in mezzo alla strada, sfilare le chiavi dalla macchina, poggiare la testa sul volante e piangere un pochino in silenzio, non visto, ma ebbe ancora più paura delle conseguenze. Quindi si disse che mancava poco, in fin dei conti, e che lo stava facendo solo per aiutare Claudia. Sperò in questo modo di attenuare la sua colpa e di riuscire a perdonarsi, almeno un po'.
Fece un enorme sforzo per raggiungere la casa di Claudia, che lei gli aveva indicato prima.
Parcheggiò l'auto nelle vicinanze e spense il motore.
Poi le disse con voce incerta, sperando di non osare troppo: "Vuoi che ti accompagni a casa?"
Claudia si girò lentamente. L'espressione impaurita aveva lasciato il posto a un viso apatico, dal il trucco slavato.
"No, scambiamoci i posti, ti porto a casa." disse con voce piatta, lo sguardo basso.
Alessandro obbedì e si mise sul sedile del passeggero.
"Grazie." disse poi Claudia, con voce più dolce. "Grazie per avermi difesa."
"Figurati."
"Forse posso sembrare un po' esagerata, ma mi ha veramente sconvolta..."
"Non devi giustificarti."
Claudia sospirò. Continuò a guidare fino a che non raggiunse l'appartamento di Alessandro. Poi accostò, e si voltò verso di lui con le labbra socchiuse, come se volesse dirgli qualcosa, ma non ci riuscisse.
Lui si infilò il suo cappotto e fece per uscire, ma la voce di Claudia lo bloccò.
"Vuoi sapere... vuoi sapere perché ho cambiato casa?" disse, mordendosi le labbra subito dopo.
Alessandro si voltò verso di lei, senza dire nulla, e la guardò negli occhi.
Lei continuò: "Anni fa ero sposata, e vivevo con un uomo. Credevo che ci amassimo, ma a quanto pare, non era così. Era... violento... Dopo due anni di matrimonio, non c'era centimetro del mio corpo che non fosse coperto di lividi. Diceva che non gli portavo rispetto, che dovevo assecondarlo e basta, le mie idee non contavano. Ho minacciato di sporgere denuncia, lui ha riso, e ha cominciato a proibirmi di uscire. Una volta mi ha stretto una mano attorno al collo, e ho veramente pensato che sarei morta."
Una lacrima le scivolò sulla guancia. Alessandro l'ascoltava in silenzio, con attenzione. Non sapeva perché gli stesse raccontando tutto ciò. Ad ogni modo, questo spiegava la sua reazione spaventata quando Mancini le aveva baciato il collo.
"Un giorno sono riuscita a sfuggirgli, e dopo qualche anno ho ottenuto il divorzio e un ordine restrittivo nei suoi confronti." Respirò profondamente. "Ho vissuto anni di terrore, e, come hai visto, basta un piccolo urto a riaprire la ferita. Ma oggi... quando mi hai difesa..." lo guardò, gli occhi lucidi su cui tremolava la luce dei lampioni sulla strada "mi sono sentita... al sicuro, e... portata in salvo..."
Claudia aveva avvicinato il proprio viso a quello di Alessandro. Gli guardò le labbra per un paio di secondi, poi tornò a fissarlo negli occhi: aveva uno sguardo indifeso, supplicante.
Alessandro non capì la sua richiesta; non poteva capirlo, tanto meno assecondarla. Si sentì soltanto improvvisamente scomodo e a disagio in quella situazione, di troppo. Allontanò il viso da quello di Claudia e disse: "Be', io vado. Grazie per il passaggio."
Aprì lo sportello. L'aria fredda gli sferzò la faccia.
Lei sospirò e tornò a guardare il volante. "Grazie a te. Buonanotte."
"Buonanotte."
E chiuse lo sportello.










N. D. A. Innanzitutto, grazie se siete arrivati fin qui. Ho alcune considerazioni da fare sul capitolo. Primo, mi scuso per la lunghezza. È lungo più del doppio di un normale capitolo di questa storia e mi rendo conto che questo può aver dato fastidio ad alcuni lettori. In secondo luogo, so che ci sono molti errori, soprattutto morfosintattici. Ma vorrei dirvi che sarebbe inutile segnalarmeli: si tratta di errori pienamente coscienti e consapevoli. In questa storia sto tentando di inserire molti elementi simbolici e mi sono ritrovata a sacrificare la correttezza grammaticale - cui pur sono molto devota e attenta - in favore di una ricerca del suono e dell'espressività, che trovo possa esprimersi anche attraverso la parte più "estetica" del testo. Chiamatela pure licenza poetica, se vi aggrada.
Un abbraccio.
   
 
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