…arrivare dal campo entrare in casa e avvicinarsi.
Gino
Il profumo del maggio pizzicava il naso, le ultime chiazze gialle dei narcisi macchiavano il campo come pezzetti di sole dimenticati. L’uomo, appoggiato al tronco del vecchio olivo,teneva le ginocchia piegate verso il petto nell’inutile tentativo di calmare i battiti del cuore.
Il busto leggermente incurvato, proteso verso il basso. Le mani abituate a non stare mai ferme, disegnavano cerchi continui nella terra smossa. Seduto immobile, solo lo sguardo fuggiva ora verso il cielo ora verso la terra, perso in una confusione dai contorni sfumati, intorno l’aria era fissa, sembrava aspettare. I pochi olivi, dai tronchi contorti, davano l’illusione dell’ombra. Era solo, adesso, l’eco dei passi dell’altro erano già svaniti, lasciando dietro di se la pesantezza dell’ansia.
Quando l’aveva visto arrivare col suo passo sbilenco, si era subito immaginato quali notizie avrebbe portato. Erano ormai giorni che la richiesta era stata fatta ed era dunque tempo di risposte.
Si passò le mani sul viso come per togliere una ragnatela inesistente, pensò di concedersi una verità che non avrebbe mai detto a nessuno: cosa sperava davvero? Un no? Un si? Difficile ammetterlo anche soltanto a se stesso. Decise di alzarsi, mentre stendeva le gambe il suo ginocchio emise un rumore di ruggine, questo gli ricordò che non era più un ragazzino. Camminando da ulivo ad ulivo all’interno di una gabbia immaginata, cercava di fare chiarezza nella sua testa, pesante di pensieri, di emozioni, per un momento non ricordò neanche il nome di quella donna. Eppure in quei giorni se l’era ripetuto spesso, l’aveva anche scritto nella sua calligrafia incerta e svolazzante. Ma non era il nome che rendeva il respiro corto a affannoso era quello che sarebbe successo fra pochi giorni, un mese al massimo.
Il sole gli scaldava le spalle, la poca terra smossa lo chiamava, di nuovo, al suo dovere, prese la vanga e, senza entusiasmo ricominciò il suo lavoro. Non voleva pensare più, era stanco della folla di ombre che disturbavano la sua mente. Era stanco ed anche arrabbiato. Arrabbiato? Ci si può arrabbiare con il caso, la sfortuna, il destino? Improvvisamente, furioso, scaglio per terra la vanga e, senza vergogna, come un bambino, scoppiò in un pianto profondo. Fra i singhiozzi un nome ritornava continuamente: Anita…Anita…Anita!
Nessuno rispose al suo richiamo, gli olivi restarono muti e disinteressati, il vento portò il profumo del maggio ma lui non riuscì a goderne.