Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Astry_1971    14/01/2016    1 recensioni
Aveva fantasticato sulle sue città popolose, le ricche foreste e le enormi distese d’acqua, illuminate dalla gigantesca sfera di fuoco che volava nel cielo. Aveva cercato di immaginare il colore azzurro dell’immensa cupola che proteggeva quel mondo e che diventava nera e punteggiata di piccole fiaccole quando il sole si nascondeva dietro le montagne. Aveva sognato di vedere gli animali con le ali che galleggiavano tra la terra e il cielo. Non solo lui, tutti avevano fatto quel sogno, almeno una volta, ed ora il sogno stava per realizzarsi.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Cap 26 Terrore nei cunicoli

Erano giunti da circa mezzora nel Labirinto, gli schiavi chiamavano così quei tunnel; Kore si guardò attorno, sapeva di esserci già stata: infatti era lì che aveva incontrato Ranuccio per la prima volta, ma i cunicoli non le erano familiari, quello che aveva percorso mesi prima era un passaggio stretto e alto, simile al corridoio di una catacomba. Ora invece si trovava di fronte a delle vere e proprie gallerie, dei tortuosi budelli di roccia scura che si ramificavano in tutte le direzioni, persino in altezza come quelli di un gigantesco formicaio, inerpicandosi a spirale o sprofondando fino a perdersi nelle viscere della terra in pozzi che sembravano non avere fondo. Kore aveva l’impressione di continuare a girare in tondo. La fila si era allungata; in alcuni punti riuscivano a passare al massimo due persone alla volta, e i carretti dovevano essere sollevati e trascinati verticalmente, mentre il loro contenuto veniva trasportato a braccia. Lei aveva sempre detestato i luoghi stretti e soffocanti, così, dopo circa un’ora di cammino, quando le gallerie tornarono ad allargarsi, tirò un sospiro di sollievo.
«Bene, siamo arrivati all’autostrada!» esultò.
Marietta si voltò di scatto, aveva le labbra serrate e l’espressione di rimprovero dipinta sul suo volto bastò a smorzare l’entusiasmo della ragazza. Kore non capiva cosa avesse detto di così terribile e istintivamente iniziò a cercare l’approvazione delle persone che camminavano accanto a loro. Nessuno però le prestò attenzione. Osservò i loro visi: erano tutti tesi, addirittura più di Marietta, e alcuni uomini tastavano la roccia con il palmo delle mani scuotendo il capo.
«Sono lisce, non è un buon segno. Questo non è affatto un buon segno.»  sentenziò, alla fine, uno di loro.
Anche Kore, trascinando con sé il piccolo Giona, si avvicinò alla parete e sfiorò la superficie. L’uomo aveva ragione: la pietra era levigata, sembrava consumata da secoli di sfregamento e le volte erano regolari come se fossero state scavate dalla mano dell’uomo.
C’erano poi delle striature orizzontali che Kore seguì con lo sguardo fin dove la luce le permise di vedere: percorrevano la galleria in tutta la sua lunghezza come impronte di sci sulla neve.
«Qualcosa è passata di qui.»
La voce di Marietta la raggiunse alle spalle.
«Qualcosa?» Kore guardò la sua amica. La giovane donna era pallida e tremava leggermente. Dischiuse le labbra, ma dalla sua gola non uscirono altri suoni, era come se non trovasse il coraggio di dare un nome a ciò che aveva lasciato quella traccia nel cunicolo.
Fu qualcun altro a dare voce al suo terrore: «I vermi.» Urlò un uomo sulla sessantina e, come un eco, quella parola si moltiplicò all’infinito.
Kore s’irrigidì, mentre nelle gallerie calava il silenzio; le ruote dei carretti smisero di cigolare e i bambini cessarono improvvisamente il loro allegro vociare. L’inevitabile tragedia stava per abbattersi su di loro e, per alcuni istanti, tutti rimasero sospesi, in silenziosa attesa, come nei secondi che separano il lampo dal tuono. Il gelo si impossessò di Kore, la giovane lo sentì penetrare attraverso la pelle, nei muscoli, sentì il respiro spezzarsi e il freddo artiglio del terrore ghermire le sue ossa.  
I ‘vermi’, quel grido era suonato come un epitaffio, il punto di non ritorno, forse la fine del loro viaggio.
«Scappate!» s’udì ancora e, stavolta, era una donna ad urlare all’inizio della colonna, poi alla sua voce se ne aggiunse un'altra, quella di un uomo: «Nei cunicoli più piccoli, entrate nei cunicoli stretti!»
Kore si sollevò sulla punta dei piedi, ma riuscì a vedere solo delle braccia che si agitavano convulsamente, indicando il tratto di tunnel che avevano appena percorso.
Tentò di voltarsi, ma non ci riuscì: non poteva distogliere lo sguardo dal fondo del tunnel, l’idea di dare le spalle a ciò che stava arrivando era semplicemente inconcepibile.
Non aveva mai visto i vermi delle grotte, ma li conosceva attraverso i racconti.
Dalla prima volta che li aveva sentiti nominare, quando si era guardata le scarpe cercando qualche fastidioso essere strisciante, era passato molto tempo; da allora aveva imparato molto, sapeva che che i vermi erano dei mostri, animali enormi con una bocca tanto grande da contenere dieci uomini e il corpo viscido coperto di una sostanza corrosiva che permetteva loro di muoversi con facilità attraverso la roccia. Aveva imparato a temerli e, qualche giorno prima, aveva persino sognato di essere attaccata da uno di loro; un incubo dal quale si era risvegliata urlando.
 
Indubbiamente era stata contagiata dall’ansia che percepiva nei suoi compagni di viaggio, i quali, anche se non  avevano mai nominato quegli esseri da quando avevano lasciato la cava, continuavano a sussultare ogni volta che udivano un rumore o vedevano qualche impronta sospetta nella pietra.
Tuttavia lo spavento che Kore aveva provato nel suo sogno era nulla al confronto di ciò che sentiva in quel momento. Ora che l’incubo si stava materializzando davanti ai suoi occhi, non provava affatto paura, non come aveva immaginato, quello che sentiva era qualcosa di peggio. Era una sensazione che non aveva mai sperimentato, neppure quando si era ritrovata sola in quel mondo ostile.
 
Fissò la fila di centinaia di schiavi che la precedevano, erano quasi immobili in un ambiente ovattato e silenzioso. Si rese conto che ciò non poteva essere reale; di certo il suo cervello aveva smesso di funzionare normalmente, era l’unica spiegazione a quello che i suoi occhi stavano vedendo.
Sentì la propria fronte inumidirsi. Perle di sudore gelato miste a lacrime iniziarono a rigarle il volto mentre i battiti del cuore impazzito pulsavano dolorosamente nella sua testa.
Il verme si avvicinava strisciando; in un primo momento per Kore fu difficile distinguerne la forma, ciò che vide fu solo un’ombra nera in fondo alla galleria che avanzava risucchiando tutta la luce. Il tunnel diventava sempre più buio, ma non era la luce a spegnersi, bensì gli schiavi che portavano le lucerne ad essere travolti da quell’essere gigantesco: tutti gli uomini che non avevano avuto il tempo di entrare nei condotti laterali finivano schiacciati contro le pareti del tunnel assieme a carretti e vettovaglie.
La bestia era grande quasi quanto il cunicolo. Kore fissò inebetita l’ombra che si avvicinava sempre più; poi i suoni tornarono a riempire le sue orecchie, grida terrorizzate echeggiarono nella galleria e, accavallandosi le une alle altre, si sommarono al frastuono provocato dagli schianti di tutto ciò che il verme travolgeva lungo il suo percorso, in una spaventosa cacofonia. Durante quegli infiniti istanti decine di schiavi stavano morendo straziati sotto il suo peso, trascinati contro le rocce o consumati dall’acido che il verme lasciava sulla sua strada, e, tuttavia, di fronte a quello scempio l’unica cosa che Kore riusciva a pensare, era a quanto quel muro fatto di persone sarebbe riuscito a rallentare la creatura che stava per raggiungerla.
Il terrore l’aveva resa egoista, guardò uomini, donne e bambini, e vide solo cento ostacoli tra lei e la fine, finché si rese conto che la barriera di corpi stava per diventare pericolosa quasi quanto il verme stesso: centinaia di schiavi avevano iniziato a correre verso di lei, urlando e spintonandosi a vicenda; come un’onda tornarono a riversarsi nel tratto di galleria che avevano appena percorso.
«Via! Togliamoci da qui!» Marietta la strattonò. «Andiamo, andiamo!» urlò ancora, mentre si allontanava.
Fuggirono tutti: gli uomini che poco prima si erano avvicinati alla parete della galleria studiandone la conformazione e persino quelli che trasportavano il ferito sulla barella. Sfrecciarono davanti agli occhi di Kore come se Bertone fosse diventato improvvisamente leggero. Anche le donne presero a correre e, nel farlo, lasciarono cadere a terra le loro anfore di terracotta che si ruppero in mille pezzi. L’acqua si rovesciò sul selciato formando una ragnatela di rivoli scuri che arrivarono a lambire i piedi della ragazza.
Lei abbassò lo sguardo, vide Giona che era ancora aggrappato alla stoffa della sua gonna e si chinò per prenderlo in braccio. Non poteva certo trascinarselo dietro zoppicante, tuttavia la sua mente, confusa dal terrore, continuava a mostrarle una realtà deformata: il tempo era come dilatato e i suoi movimenti sembravano rallentati così come le persone che le correvano incontro. Guardò la propria mano tendersi verso il bambino che la fissava con gli occhi spalancati e lucidi. Vide le sue pupille dilatate dal terrore e riuscì a notare persino alcuni strappi nel suo vestito, registrando i particolari più insignificanti come se stesse assistendo alla proiezione di un film a rallentatore.
Non potendo credere ai propri sensi si affidò all’istinto e, col piccolo Giona in braccio, prese a correre all’impazzata: doveva allontanarsi, doveva essere più veloce della marea umana che la stava per travolgere.
«Il passaggio stretto, il passaggio stretto!» farfugliò fra il ticchettio dei suoi denti che non smettevano di battere. Superò la prima apertura, ma non riuscì a fermarsi in tempo e continuò a correre, ormai senza una meta. La vista era annebbiata dalle lacrime, mentre intorno a lei le grida e il tumulto della folla terrorizzata si facevano sempre più vicini.
La sua corsa forsennata si arrestò in modo brusco quando, dopo aver urtato col piede un fagotto raggomitolato in terra, cadde malamente in avanti.
Nel tentativo di proteggere Giona, che era sempre aggrappato al suo collo, Kore si appoggiò con tutto il peso su un braccio, il polso scricchiolò procurandole una dolorosa fitta, ma riuscì comunque a sostenerla abbastanza perché lei potesse gettarsi su un fianco ed evitare di finire proprio sopra al bambino.
Fu rapidissima a rialzarsi e a rimettere in piedi anche Giona, tuttavia, nell’attimo in cui stava per riprendere la corsa, riconobbe Marietta nel fagotto che aveva appena calpestato.
La sua amica era sdraiata a faccia in giù, si proteggeva la testa con le mani, ma era svenuta. Kore, però, non seppe dire se avesse perso i sensi durante la caduta, o, una volta in terra, fosse stata ferita dalla folla impazzita, ma sapeva per certo che, se l’avesse lasciata li, non sarebbe sopravvissuta: gli schiavi, continuavano a passarle accanto senza nemmeno vederla, scavalcandola o inciampando su di lei. Doveva fare qualcosa per aiutarla, lasciò scivolare a terra il bambino e, dopo averlo spinto al riparo, nascondendolo alle sue spalle, Allargò le braccia e si parò tra i suoi amici e la folla spaventata, gesticolando e urlando nel tentativo di segnalare la loro presenza nel mezzo della galleria.
 «Attenti, no, fermi, così la ucciderete!» ma, nonostante gridasse con tutto il fiato che aveva, Kore non riuscì a farsi sentire, quindi si voltò e, inginocchiandosi accanto a Marietta, prese a scuoterla con forza.
«Marietta, Marietta, svegliati, ti prego!» continuò a chiamarla, ma l’altra non si mosse. «Andiamo, svegliati! Ci ammazzeranno, svegliati, per favore.»
Accanto a loro decine di sandali colpivano il terreno facendo schizzare in aria il pietrisco, e le stoffe colorate delle lunghe gonne delle donne schiaffeggiavano il volto della ragazza. Da quella posizione Kore non poteva vedere altro, non vide neppure il piede che, urtandola, le provocò una dolorosa fitta alle costole.
 
La giovane si portò le mani nei capelli, sarebbe morta schiacciata dalla folla ancor prima di essere raggiunta dalla bestia, pensò, e le sue grida si tramutarono in un pianto disperato. Afferrò il braccio di Giona che era in piedi di fronte a lei e lo costrinse a chinarsi, facendogli scudo col suo corpo. Sentì ancora un colpo sulla schiena, poi un altro: una donna le era caduta addosso, ma si era immediatamente rialzata per riprendere la sua corsa.
Dopo alcuni minuti che le parvero un’eternità le grida iniziarono a farsi sempre più deboli e lontane, Kore sollevò lo sguardo e vide gli ultimi schiavi sparire verso il fondo della galleria.
Il nodo alla gola si strinse fino a soffocarla e, quando Kore provò a deglutire, si accorse di non avere più saliva. L’idea di essere rimasta sola si fece strada nella sua mente, tentò di cacciarla, di immaginare che tutto ciò non fosse vero: non voleva credere di trovarsi in quella grotta nel cuore della terra. Non poteva accettare il fatto di avere alle spalle un mostro che nemmeno nei suoi incubi peggiori avrebbe mai potuto immaginare. Esplose in una risata isterica.
«Io non sono qui. Tutto questo non è vero. Io sono a casa mia.» strillò con rabbia. Come se qualcuno potesse udirla e riportarla nel suo mondo. Forse sua mamma l’avrebbe sentita urlare nel sonno e sarebbe corsa a svegliarla. La giovane immaginò di ritrovarsi nel proprio letto, come era accaduto tante volte, quando, dopo aver avuto un incubo, si risvegliava fradicia di sudore, con accanto Fabian. Il suo fratellino, seduto con le gambe incrociate sopra la coperta di lana,  la fissava con gli occhi spalancati, mentre sua madre la stringeva e le accarezzava le guance per tranquillizzarla.
 
Ogni volta che Kore o Fabian si lamentavano nel sonno, Luisa Johnson si precipitava nella loro stanza e li coccolava, restando lì anche per ore, abbandonandosi a lunghe chiacchierate fino a dimenticare che la mattina successiva avrebbe dovuto alzarsi presto per andare a lavoro.
Le lacrime ormai scivolavano inarrestabili sulle guance della ragazza.
«Dio, perché non riesco a svegliarmi? Io non sono qui! Non voglio.» urlò ancora. «Mamma, mamma!»
La mamma c’era sempre quando era spaventata, doveva esserci, Kore si era illusa che sarebbe stato così per sempre, anche se, negli ultimi anni, lei stessa aveva iniziato a sciogliersi stizzita dagli abbracci della donna: non era più una bambina, non  le piacevano certi gesti d’affetto, non di fronte a Fabian. Si detestò per questo: ora avrebbe dato tutto per quelle carezze, ma davanti a lei non c’era sua madre, c’era solo  Giona, un bambino indifeso che la guardava senza parlare, mentre i suoi grandi occhi spaventati imploravano un aiuto che Kore non poteva dargli.
 
«Cosa vuoi da me?» strillò con stizza, pentendosi immediatamente di quella reazione. Serrò le labbra per pochi istanti, ma subito dopo riprese a ridere, una risata isterica mista singhiozzi che scossero il suo petto fino a farle male. Quello che stava accadendo non poteva essere altro che un incubo, se ne convinse, doveva essere uno di quei sogni in cui si è certi di cadere nel vuoto, e sembra non esserci via d’uscita finché non ci si sveglia e ci si rende conto di quanto fosse infondata la paura provata.
Rise ancora, scuotendo il capo, era tutto così assurdo, o, forse, era lei che voleva credere che lo fosse perché era l’unico modo per non impazzire.
Cosa doveva fare? Non riusciva nemmeno a muoversi, le gambe sembravano essersi incollate alla roccia.
«Aiuto!» quella parola uscì dalle sue labbra come un soffio.
 
Lei era una ragazzina che sapeva solo preoccuparsi della propria acconciatura e che aveva paura dei ragni; erano quelli i mostri che una ragazza poteva immaginare di affrontare alla sua età.
Guardò Marietta: era stata il suo unico punto di riferimento in quel mondo ostile, ne aveva bisogno, si era aggrappata a lei come alla sorella maggiore che non aveva mai avuto e, anche se le aveva più volte disubbidito, la sua presenza le aveva dato la forza di non arrendersi. Ora però, vedendola stesa in terra priva di sensi, la giovane si sentì davvero sola.
«No, non può essere, non moriremo. Non può finire così!» pigolò rivolgendosi ancora a Giona, e poi di nuovo ruggì con rabbia colpendo l’aria con i pugni. «No! Tutto questo è solo un sogno, un maledettissimo incubo, ora mi sveglierò a casa mia, nel mio letto e tutto questo non ci sarà, nemmeno tu ci sarai.» Continuò scuotendo il piccolo per le braccia.
Urlò per diversi minuti, singhiozzò e poi gridò di nuovo, sempre più forte, finché un lamento la zittì: era il pianto di una donna e proveniva da dietro di lei.
Kore era certa che alle sue spalle ormai dovesse esserci solo il verme. Si voltò lentamente, domandandosi il perché di quei gemiti, ma quando fu sul punto di scoprirlo le sue palpebre si serrarono con forza: non riusciva a guardare. Continuò a stringere gli occhi nell’assurda illusione che, se non l’avesse visto, il verme non avrebbe potuto nuocerle, poi però si accorse che al pianto si accompagnavano una serie di colpi e voci concitate e capì che c’era ancora qualcuno li vicino, c’erano uomini. Forse non tutto era finito.
 
S’impose con non poca fatica di aprire gli occhi e istintivamente guardò verso l’alto: il mostro era lì, ad una decina di metri da lei. Kore rabbrividì: era addirittura più spaventoso di quanto si aspettasse.
Alcune torce erano state abbandonate al suolo dagli schiavi in fuga e la loro debole luce tremolante si rifletteva sul corpo della bestia. La sua carne era scura e la sostanza acida che lo ricopriva rendendolo lucido lo faceva somigliare ad una vena gonfia e pulsante, mentre contraendo e rilassando il corpo si spostava in avanti.
Kore strinse con più forza il bambino, e, pur rendendosi conto di fargli male, non allentò la presa. Giona da parte sua non si sottrasse a quell’abbraccio: stringersi l’un l’altra li faceva sentire meglio.
«Ce la faremo.» mormorò la ragazza. «Vedrai, Giona, ora se ne andrà.»
Le parole le scivolarono dalle labbra, le pronunciò inconsciamente e continuò a ripeterle come una cantilena: «Ora se ne andrà. Ci salveremo, se ne andrà, vedrai.» 
Kore aveva gli occhi spalancati in modo innaturale, rapiti dalla raccapricciante immagine che aveva di fronte. Il verme aveva una bocca enorme, una cavità ad imbuto piena di sottili filamenti biancastri, che, muovendosi, ricordavano il placido ondeggiare di alghe in una palude.
Avanzava lento e pesante a causa della sua mole e scuoteva la testa come se qualcosa lo tormentasse, come se provasse dolore.
La scena riempì per qualche istante la vista della ragazza, poi il pianto attirò di nuovo la sua attenzione e lei si costrinse a distogliere lo sguardo dalla bestia.
Vide una donna in piedi davanti al mostro,  era lei che piangeva afferrandosi i capelli lunghi e lisci che ricadevano disordinati sulle spalle. Era giovane e minuta, e non era sola: di fronte a lei, schierati uno accanto all’altro, c’erano una quindicina di uomini, alcuni dei quali, armati di lunghi bastoni appuntiti, cercavano di tenere a bada il mostro.
Continuavano ad infilzarlo, ma la pelle spessa lo proteggeva dai loro attacchi. Kore si rese conto di quanto fossero inutili quelle semplici armi per fermare una creatura così grande, ma capì che qualcos’altro infastidiva l’orrenda bestia, e non erano i bastoni: tra quegli uomini, nonostante fossero di spalle, Kore riconobbe Silas e alcuni dei giovani Discendenti che avevano contribuito a salvare Bertone. Questa volta erano solo in quattro e tenevano le braccia sollevate con il palmo delle mani rivolto verso il verme.
Di nuovo, Kore li sentì produrre un suono acuto e prolungato simile ad un fastidioso fischio. I quattro giovani stavano usando la loro voce per combattere la creatura, come avevano fatto all’inizio del loro viaggio, quando, attraverso un suono simile, avevano liberato lo sfortunato cuoco dalle catene.  La magia sgorgava dalle loro bocche spalancate e il loro canto si sommava al lamento della donna che, nel frattempo, si era fatto sempre più disperato.
Kore li osservò stupita: qualsiasi cosa stessero facendo quei ragazzi, doveva essere piuttosto dolorosa per la creatura, che infatti iniziò ad agitarsi e a contorcersi, pur non arrestando la sua avanzata, anzi, infastidita da quel tono vibrante, divenne, se possibile, ancora più aggressiva, come può esserlo un animale ferito.
Incastrato tra le pareti del cunicolo coi suoi spasmodici movimenti iniziò a colpire la roccia causando il crollo di parti della volta.
Grossi massi piombarono al suolo, Kore, che era ancora come paralizzata proprio al centro della galleria, si scosse, e cercò di ripararsi trascinandosi verso la parete. Si spostò solo di pochi metri, gattonando, dato che le gambe non volevano saperne di sostenere il suo peso.
Riuscì a portare con sé Giona, ma fu costretta ad abbandonare Marietta distesa a terra proprio sotto la pioggia di detriti. Non poteva far nulla per salvarla, e, quando un grosso masso si staccò dal soffitto proprio sopra alla donna, sentì che era finita. La roccia precipitò con un rumore assordante sollevando attorno a Marietta una nuvola di polvere che per qualche istante la nascose alla vista.
Kore gridò e protese un braccio verso l’amica, mentre con l’altro braccio continuava a stringere il bambino che teneva il viso affondato tra le pieghe della sua veste. Il cuore della ragazza picchiò dolorosamente fra le costole e lei ebbe la sensazione che stesse per saltar fuori dal suo corpo assieme a tutto il resto. Era come se una mano le avesse afferrato i polmoni e le viscere strappandole via con violenza. Si sentì svuotata, priva di forza, null’altro che un inutile involucro, finché la polvere si diradò abbastanza da permetterle di vedere che Marietta non era stata colpita dal masso, i cui frammenti ora giacevano sparpagliati a pochi centimetri dalla sua testa.
Solo allora Kore tornò finalmente a respirare e, voltandosi, vide attraverso il velo delle lacrime uno dei ragazzi che si separava dagli altri  per avvicinarsi alla donna che piangeva e che ora era scivolata in ginocchio.
Posandole le mani sulle spalle quello prese a scuoterla chiamandola per nome:
«Elisia, vieni via, ti prego, vieni con me!» cercò di convincerla a mettersi in salvo, e dopo il suo ennesimo rifiuto l’afferrò per un braccio e, sollevandola di peso, la trascinò lontano dal verme verso il punto in cui Marietta era riversa sul terreno. Kore strinse le dita sulla stoffa della tunica del bambino e trattenne il fiato in attesa che il ragazzo, fino a quel momento troppo preso dal suo incantesimo, si accorgesse di loro.
Quando raggiunse Marietta, il giovane si bloccò, la fissò stupito per qualche istante e, immediatamente dopo, individuò anche Kore e il bambino accucciati vicino alla parete. Come la ragazza sospettava, fra le urla di Elisia, il frastuono dei massi che precipitavano e il canto dei Discendenti, la loro presenza nella galleria non era stata notata, nonostante Kore avesse gridato a squarciagola per tutto il tempo.
Gli altri schiavi si erano ormai allontanati o nascosti nelle fessure della roccia, mentre il piccolo gruppo di maghi e gli uomini coi bastoni  si erano attardati per dare agli altri il tempo di mettersi in salvo. 
Il giovane Discendente, del quale Kore non conosceva il nome, si chinò sulla donna a terra trattenendo l’altra per un braccio. Resosi conto che Marietta era solo svenuta, provò a sollevarla passandole  la mano libera dietro la schiena.
Kore si tranquillizzò e sorrise. Sentì che ora le sue gambe le avrebbero di nuovo obbedito, e lei avrebbe potuto finalmente fuggire come gli altri. L’idea di abbandonare Marietta lì in terra l’aveva bloccata, non aveva la forza portarla in salvo da sola, ma era come se il senso di colpa alimentato dalla paura le avesse impedito di andare più lontano di qualche passo.
Il mago strinse Marietta appoggiandole la testa sulla propria spalla però, dovendo trattenere Elisia con una mano, faticò a sollevarla. Kore se ne rese conto e, lasciando Giona accucciato vicino alla parete, sfidò le pietre che ancora cadevano dalla volta per avvicinarsi all’uomo con l’intento di aiutarlo.
Fu in quei pochi istanti che avvenne l’irreparabile: Elisia si divincolò e riuscì a sciogliersi dalla presa del giovane che si voltò di scatto con lo sguardo atterrito e il braccio teso allo spasimo nel vano  tentativo di afferrarla di nuovo. Saltò in piedi e provò a inseguirla, ma lei fu troppo rapida, e, prima che qualcuno riuscisse a fermarla, si precipitò verso l’orrenda creatura. Il verme parve comprendere le sue intenzioni, la sua enorme bocca si spalancò ulteriormente, mentre lei gli correva incontro.  Il mostro non dovette fare altro che accoglierla all’interno delle sue fauci quando quella vi si gettò dentro con un balzo.
Kore urlò colma di orrore per quel gesto che rivelava tutta la disperazione di una donna che di certo aveva appena perso una persona cara, forse un figlio, o il marito e, nonostante la determinazione del giovane Discendente a salvarle la vita, aveva ormai deciso di riunirsi ai suoi morti.
A Kore non rimase che guardarla con gli occhi pieni di lacrime mentre si abbandonava volontariamente al suo destino e si lasciava avviluppare dai sottili tentacoli, come da un abbraccio. Poi le centinaia di lingue spinsero il corpo inerte fino all’interno della cavità.
Gli uomini con i bastoni, dopo alcuni istanti di smarrimento, ripresero ad attaccare con rabbia e disperazione, colpendo il verme alla cieca e gridando tutta la loro frustrazione. Fu tutto inutile: il mostro  reagì ai colpi gettandosi in avanti. La sua testa spazzò il cunicolo e picchiò violentemente contro le pareti e la volta costringendo gli uomini coi bastoni a sparpagliarsi.
Anche Kore dovette gettarsi a terra e coprirsi il capo con le mani, quando l’enorme bocca passò sopra di lei. Si accucciò accanto a Marietta, pregando, supplicando il suo Dio, il cielo e persino gli Dei venerati da quella gente di non restare colpita dai massi che iniziarono a precipitare dal soffitto martellato dai colpi del verme.
Poi udì un tonfo e, con la coda dell’occhio, vide il ragazzo che aveva cercato di aiutare Elisia, mentre preso in pieno dalla testa della creatura veniva scaraventato contro la parete. Il suo corpo sussultò appena prima di restare immobile.
«No!»
Gli uomini continuavano ad indietreggiare, ormai erano a pochissimi passi da Kore, stavano soccombendo.
La ragazza prese a scuotere Marietta, piagnucolando.
«Svegliati, ti prego, svegliati.»
Giona che era rimasto fino a quel momento inginocchiato accanto alla parete, si alzò e saltellò come meglio poté e si avvicinò a Kore. Non aveva emesso alcun suono per tutto il tempo, nessun lamento, ma ora dalla sua bocca aperta usciva uno strano sibilo, come se il bambino stesse tentando di gridare, di dire qualcosa, senza riuscirci. Kore l’afferrò per un braccio e lo spinse lontano. «Vattene, va via da qui, salvati!» gli ordinò.
Il bambino però si aggrappò con più forza alla stoffa del vestito di lei che fu costretta ad aprire le piccole dita una ad una per liberarsi dalla sua presa. Alla fine Giona cedette e, trascinando il piede, si allontanò. Camminava all’indietro, con le braccia tese verso Kore, mentre con lo sguardo le chiedeva di fuggire con lui.
«Vattene!» gridò ancora la giovane, poi si voltò verso il verme.
Fino a quel momento era stato distratto dai Discendenti, e non aveva notato la loro presenza, ora, però, la donna sdraiata e la ragazza al suo fianco sembravano aver attirato la sua attenzione e, nonostante gli uomini coi bastoni e i Discendenti con il loro canto continuassero ad ostacolarlo, il verme era ormai proprio sopra le due ragazze. Kore poteva sentirne l’alito maleodorante e umido, mentre faceva ondeggiare il muso ricoperto di una sostanza viscida e biancastra, nel tentativo di captare il loro odore.
Lo fissò terrorizzata: non sapeva cosa fare. Doveva alzarsi e fuggire di corsa, abbandonando anche lei Marietta, o attendere immobile, nell’improbabile eventualità che il verme non fosse in grado di distinguere un essere vivente dai vari massi sparsi al suolo?
Afferrò il braccio dell’amica e cercò ancora di svegliarla.
«Marietta… ti… ti prego…» Il suo richiamo era diventato un lamento, appena udibile, era certa ormai che la donna non si sarebbe svegliata e comunque, anche se lo avesse fatto, sarebbe stato troppo tardi. Si portò le ginocchia al petto come se ciò potesse servire a nasconderla.
Gridò quando la bestia si scagliò improvvisamente su di loro con la bocca spalancata.
Tuttavia i tentacoli che ondeggiavano all’interno non raggiunsero le due donne a terra. Qualcosa bloccò il verme prima che potesse sferrare il suo morso. Un uomo si era interposto fra il mostro e le sue vittime. Un uomo che Kore non aveva mai visto prima.
Ancora aggrappata al corpo Marietta, la giovane fissò sbigottita lo sconosciuto che, dopo averla superata di corsa, si era gettato al suolo con le braccia aperte, proprio davanti al verme.
Nella confusione nessuno dei presenti lo aveva visto arrivare e, per qualche istante, rimasero a fissarlo sconcertati.
La sua tunica bianca rivelava la sua appartenenza alla cerchia dei Discendenti, ma non aveva viaggiato con loro, Kore ne era certa: portava un vistoso turbante che la ragazza non avrebbe potuto non notare anche in mezzo a centinaia di uomini.
Il nuovo arrivato sollevò appena il capo, diversamente dagli altri Discendenti che avevano seguito gli schiavi, tutti giovani idealisti, l’ultimo arrivato era un uomo maturo, con una folta barba grigia, che gli conferiva una certa autorità, si rivolse agli altri e maghi che sembravano indecisi sul da farsi. 
«Mettetevi a terra, sdraiatevi, la pietra accrescerà il vostro potere!» ordinò loro. La sua voce era ferma e chiara.
Silas e i due maghi ancora in piedi fecero come aveva suggerito. Si sdraiarono con le braccia allargate e i palmi delle mani poggiate sulla roccia.
Kore sentì immediatamente uno strano formicolio sulla gambe, che divenne sempre più fastidioso spargendosi per tutto il corpo, il terreno aveva preso a vibrare sotto i suoi piedi provocandole la sensazione di essere attraversata da una scossa elettrica.
Il verme si contorse emettendo un sibilo acuto, barcollò in avanti rischiando di travolgere gli uomini con i bastoni che gettarono le loro armi, ormai inutili, e si allontanarono lasciando ai maghi il compito di combattere la creatura.
Uno di loro afferrò  Kore per un braccio trascinandola con sé, mentre gli altri si occuparono di Marietta.
Kore ansimava, si guardò attorno mentre veniva portata via  quasi di peso, dato che le sue ginocchia continuavano a non obbedirle.
Si ritrovò in una stretta fessura senza nemmeno rendersi conto di come ci fosse entrata.
Era un cunicolo senza via d’uscita, simile ad una piccola stanza, all’interno riconobbe il gruppo di minatori che per tutto il tragitto si erano occupati di trasportare la barella di Bertone. C’era anche lui nel cunicolo, sdraiato su un fianco; nella confusione li aveva persi di vista. Marietta, invece, era stata adagiata più in fondo, nell’oscurità, Kore riusciva appena ad intravvedere i suoi piedi. Anche Giona si trovava li, proprio di fronte a lei, evidentemente, in quei pochi secondi concitati, gli uomini coi bastoni si erano occupati anche di lui.
Appena la vide, il bambino le saltò addosso stringendosi alle sue gambe fin quasi a farla cadere.
Kore, sentendolo singhiozzare, gli passò la mano tra i capelli. «Siamo al sicuro, qui il verme non può entrare.» Lo tranquillizzò e, inginocchiandosi di fronte a lui, gli sollevò gentilmente il viso e gli asciugò le lacrime.
Giona rispose tendendo la manina verso di lei fino a sfiorarle la guancia: anche il viso della ragazza era bagnato e lei sorrise, poi guardò verso l’uscita del cunicolo e la sua espressione tornò seria: non era ancora finita, non tutti erano in salvo.
Si avvicinò all’apertura e vide la lettiga di Bertone abbandonata davanti all’ingresso, poi, sporgendosi maggiormente, lasciò correre lo sguardo verso il fondo della galleria dove ancora i maghi erano sdraiati uno accanto all’altro. La roccia vibrava sempre di più  e sulla superficie della galleria avevano iniziato a formarsi delle sottili crepe che divennero sempre più evidenti e ramificate, finché gli strati più esterni presero a sfaldarsi  scivolando a terra come le pareti di un castello di sabbia sotto il sole.
L’urlo del verme era diventato insopportabile, Kore si portò le mani alle orecchie, ma provò un senso di liberazione nel vedere l’orrendo mostro soffrire e dimenarsi. Sembrava un’esca attaccata all’amo, mentre le voci dei Discendenti ora scuotevano l’intera galleria.
Avevano vinto, oramai era questione di pochi minuti, quella viscida creatura contorcendosi stava scivolando all’indietro, si stava allontanando.
Kore tirò un sospiro di sollievo, quando sparì alla loro vista.
Pochi secondi dopo gli schiavi presero ad uscire dai loro nascondigli, alcuni si avvicinarono ai ragazzi che avevano sconfitto il mostro. Altri si diressero mestamente verso le vittime che quello aveva lasciato lungo tutta la galleria. Una giovane donna si avvicinò al corpo del ragazzo che aveva tentato di portare in salvo Marietta. Non piangeva, ne si lamentava,  si sedette semplicemente al suo fianco e prese a carezzargli il volto.
Altri infine si fermarono di fronte al nuovo arrivato. I loro visi era tesi e avevano espressioni cupe. Kore capì immediatamente che non era solo il fatto di aver perso degli amici a turbarli, quanto piuttosto la persona stessa che li aveva salvati e che ora li fissava con aria di disapprovazione. Un brivido gelato percorse la schiena della ragazza quando lo sguardo torvo del mago la raggiunse. L’uomo indugiò per qualche istante su di lei e poi guardò verso uno dei cunicoli laterali, forse lo stesso da cui era venuto, in cerca di qualcosa o qualcuno e attese, rigido e imponente come una statua.
 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Astry_1971