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Autore: Lady_Whytwornian    18/01/2016    0 recensioni
La guerra tra il Bene e il Male in una trilogia - passato, presente e futuro.
Protagonisti demoni e uomini in uno scontro che è iniziato nella notte dei tempi.
Una guerra contro le Ombre che prendono corpo e forza dalla paura e dai sentimenti negativi. Nessuno è troppo bianco o troppo nero per appartenere al Paradiso o all'Inferno
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il corpo mortale di Elbereth si stava addormentando mentre la su mente combatteva per restare vigile. Sentiva il penetrante odore di salmastro del mare; l’acqua le sfiorava la pelle, il viso e le sue membra erano scosse da sussulti e attraversate da tremiti. Un formicolio le correva lungo tutto il corpo dovuto ad uno stato di eccitazione interna che affiorava sotto la spinta della paura che si era impadronita di lei. Sprofondava sempre di più nelle acque nere di quel mare improbabile e sempre di più aumentavano le vibrazioni che come onde oscillanti si diffondevano in lei.
Non sapeva più se era sveglia o se stava vivendo in un sogno. Un torpore diffuso le avvolse completamente le membra e non riusciva più a sentirle. Si sentiva persa in un buio senza fine.
Intravedeva ancora le innumerevoli fiammelle che si agitavano tremule nel cielo; cercava di metterle a fuoco nell’ultimo disperato tentativo di non perdere i sensi.
Poi tutto si spense.
Aveva avuto accesso ad una dimensione dello spazio in cui il tempo scorre con leggi sue, più veloci che nella realtà. Le sue percezioni erano state modificate per poter sopravvivere in quello stato dove non necessitava di cibo e acqua e dove la fatica e la stanchezza non venivano percepite.
La realtà come la conosceva era stata alterata e dilatata: ciò che aveva vissuto come un viaggio lungo era durato solo pochi attimi nel mondo reale.
Non era semplice però riemergere da quello stato di sospensione: bisognava permettere al proprio fisico e alla mente di allinearsi nuovamente con la normale velocità di scorrimento del tempo.
Damian uscì dal cerchio sorreggendo Elbereth. L’adagiò dolcemente sul prato.
Nella mente di Elbereth tutto era ancora confuso. Sentiva un brusio di voci che provenivano da ogni parte e le martellavano in testa. Erano sempre più insistenti e la stavano facendo impazzire.
Voleva scacciarle e cercò di alzare un braccio per allontanarle, ma non riusciva a spostarlo era pensante e non rispondeva ai suoi comandi.
Tutto il suo corpo non rispondeva. Un pensiero le passò fulmineo: era forse morta?
Un senso di panico l’avvolse. Provò ad aprire gli occhi, ma anche questi non volevano risponderle.
Eppure le voci che sentiva le erano famigliari. Non potevano essere morti tutti.
Una voce sopra tutte.
- Chi siete? – voleva chiedere. Ma dalla sua bocca non uscì che un suono gutturale.
Era immobilizzata. Ma sentiva un forte dolore al braccio sinistro. I morti non provano dolore, si disse. O no. Non sono mai stata morta… questo commento che le passò per la mente riuscì a convincerla di essere ancora viva.
Si sentiva toccare, accarezzare.
Di nuovo tra tutte le voci che le parlavano una era più insistente e potente.
Finalmente iniziò a muovere, o almeno così le parve, le dita delle mani. Il sangue aveva iniziato a fluire ancora e a scorrere nelle vene e si lentamente si stava riprendendo.
Questa volta ordinò con maggior decisione ai suoi occhi di aprirsi. Riuscì ad intravedere un bagliore. Sembrava quello di una fiamma.
Era ancora tutto offuscato, ma adesso sapeva con certezza di essere viva. Lentamente tutte le figure che le stavano attorno e che prima le apparivano come sagome informi iniziavano a diventare nitide.
Il battito cardiaco si stava regolarizzando
Nella realtà era durato poco, ma era stato molto intenso.
Elbereth era esausta e il sangue che le era colato lungo il polso si era ormai raggrumato.
- Non potevo offrire il mio – le disse Damian in tono di scusa – il mio sangue non è considerato moneta di scambio.
Elbereth ora era completamente presente a se stessa. Si alzò e iniziò a guardarsi attorno passando uno ad uno il volto dei presenti fino a quando non si fermò su colui che stava cercando: - Dobbiamo parlare. Non abbiamo molto tempo.
Le parole dell’oracolo le risonavano ancora in testa come una minaccia: “la tua vera madre”.
Si diresse senza indugio verso il re.
Lo sguardo con cui lo stava guardando era più che esplicito. La verità così a lungo celata era emersa dagli abissi in cui aveva tanto disperatamente cercato di relegarla.
- Padre. Ti devo parlare. Adesso. Subito. Devo conoscere. Devo sapere a cosa andrò incontro. Per il bene di tutti.
Il re abbassò lo sguardo. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe dovuto raccontarle la verità. Aveva sempre sperato che potesse essere qualcosa che sarebbe andato dimenticato, ma purtroppo non era stato così.
- Vieni – le disse – vieni, figlia mia. Ti prego. Ascolta tutto prima di giudicarmi.
Le raccontò ogni cosa: le sue ambizioni, i suoi desideri, la sua vittoria, la sua rovina. Parlava guardandosi le mani. Un tempo erano candide come le sua anima, erano pulite come i suoi pensieri. Erano mani che si erano dedicate allo studio della legge e della filosofia, al pensiero; ed ora le vedeva lorde di sangue, il sangue che era stato versato per soddisfare il suo desiderio di potere e che ora chiedeva il fio.
Voleva spiegarle ogni cosa. Cercava le parole in mezzo ad un turbinio di pensieri ed emozioni: - Gli esseri umani sono deboli, Elbereth. Ed è proprio a causa della loro debolezza che sono affascinati dal potere. Quindi lo cercano, lo cercano disperatamente anche inconsciamente. Cercano in esso quella forza che non trovano in loro. E quando qualcuno offre loro la possibilità di accedervi, essi sono disposti a tutto pur di ottenerlo. Si sottomettono, rinunciano a se stessi, rinunciano alla loro anima e al loro corpo. Arrivano a negare il proprio io nel suo nome. Sottomettono gli altri proprio per sentire il Potere nelle loro mani. E più ne sono investiti, più cercano il suo profumo inebriante. Ne sono fagocitati, ne vengono corrotti. Mia cara Elbereth…il potere mi ha inghiottito, mi ha preso dentro di sé ed invece di controllarlo ho cercato di compiacerlo e alla fine l’ho subito. Mi ha consumato. Lentamente ma inesorabilmente.
Elbereth non sapeva più in cosa credere. Non sapeva se infuriarsi o se cercare di capire il comportamento di quell’uomo. Di suo padre. Era colpevole o era stato indotto alla colpa? Era consapevole delle sue azioni o ne era stato lo schiavo?
Se lei lo avesse odiato sarebbe diventata come lui? Era quello lo scopo ultimo dell’oracolo? Ora lei conosceva le sue origini e la sua nascita. Conosceva la sua vera natura. Parte di lei era demone.
Era da questo che Damian l’aveva messa in guardia? Temeva la sua reazione e le sue conseguenze?
Una mezza bugia è forse più pericolosa di una falsa verità?
Non capiva. Non sapeva più come distinguere i ricordi fondati sul vero da quelli generati dalla menzogna.
Ma dove stava il vero inganno? In colui che mente a fin di bene o in colui che mente per evitare mali peggiori?
Era alquanto doloroso per lei constatare quanto fossero state cattive e corrotte le azioni condotte fino ad allora sotto l’impulso di false emozioni.
Ma cos’è la verità? Essa è parte delle emozioni che prendono la guida delle azioni umane e che possono dirigerle verso scelte che nessun essere razionale prenderebbe. Emozioni che possono spingere a pensieri e comportamenti che non verrebbero mai considerati se liberi. Se la menzogna invece è così ben costruita da non essere distinguibile dalla verità allora chi può biasimare colui che gli accorda la medesima fiducia?
Damian leggeva in lei le domande che si stava ponendo e le disse: - Conosco questi sentimenti. Li ho provati…
Si fissarono per un momento negli occhi. Lei non seppe reggere quello sguardo e li abbassò per prima.
- Non farli diventare la tua debolezza. Ti scontrerai con un demone molto astuto. Cercherà di sorprenderti. L’attacco non sarà sempre la mossa più conveniente. Ti osserverà, ti spierà; guarderà ogni tua mossa, ogni tuo singolo sussulto, giorno e notte, nella veglia e nei tuoi sogni. E aspetterà… Aspetterà il momento favorevole per divorarti. Ricordati, Elbereth, tu sarai anche un Sacerdote, ma lui ti supererà in malizia ed esperienza. La sua astuzia ha tratto in inganno anche chi era pieno di grazia, ricco in virtù; chi era più elevato in santità e sacralità. E’ scaltro ed abile. E’ riuscito a sorprendere e derubare anche nel regno dei cieli, saccheggiandolo dei suoi angeli.
Elbereth era piuttosto sorpresa di quanto Damian le stava dicendo e soprattutto la sconcertava il tono accorato con cui l’ammoniva dei castighi infernali.
- Da che pulpito…! Avete scelto voi…Tu hai scelto.
Damian spalancò gli occhi infiammati dallo sdegno. Ricordava quanto si erano detti la prima volta che si erano incontrati che sembrava appartenere ad un tempo ormai lontano: - A volte si crede di aver scelto. Quello che invece accade in realtà è che si obbedisce, indipendentemente dalle nostre attitudini, agli impulsi generati dalla parte oscura presente in ogni creatura. E’ una forza, potente – ora gli occhi gli stavano brillando - che ti permette di salvarti dalle situazioni più disperate, ma se ti domina resterà per sempre e dovrai conviverci pur sapendo quello cui potresti arrivare se la lasciassi libera. Quello che saresti in grado di fare…
Sospirò. Mentre parlava stava vivendo nuovamente quella sensazione che aveva provato la prima volta che quella forza che aveva iniziato a scorrere nel suo sangue e che si era insediata nel suo spirito.
- Ognuno di noi ha uno scopo. E per portarlo a compimento servirà sempre l’azione congiunta tra l’io e il suo complementare che appartiene al lato oscuro.
Spostò gli occhi sul re. Era chiaro ciò che voleva farle capire.
Non doveva dare affrettati giudizi senza tener conto del peccato originale e il suo effetto che ha avuto sull’uomo: l’ha corrotto, deturpato, ne ha imputridito l’anima.
- I peccati potranno essere anche stati perdonati Elbereth, all’uomo questo è stato concesso, ma lasceranno sempre degli strascichi nella vostra preziosa anima. Dei rifiuti che ne corrompono l’integrità. L’anima dell’uomo ha assunto una forma carnale e, come tale, è soggetta ai peccati del corpo e della mente.
Elbereth ascoltò con attenzione le parole del demone. Ripensava anche alle parole che le diceva suo padre quand’era bambina: - Mia cara Elbereth. Ricorda. Il primo strumento che il male usa per trarre l’anima in sua schiavitù è la mancanza di riflessione, che fa perdere di vista lo scopo per cui ci è stato donato il libero arbitrio: lo desiderano in molti, ma ben pochi lo possiedono realmente.
Solo ora riusciva a capire cosa volesse dirgli. La libertà dell’uomo stava nel possedere il libero arbitrio, la giustizia divina nel punire il suo cattivo uso derivante dal commettere dalle azioni affrettate.
- Tuo padre ha avuto troppa fretta, Elbereth. Fretta di conquistare il potere, come ne ho avuta io…
- “Cosicché, se quelli, per iniquità della loro volontà, avranno fatto cattivo uso dei suoi beni, Dio, per la giustizia del Suo potere, farà buon uso dei loro mali, ordinando giustamente nelle pene coloro che hanno pervertito l'ordine nei loro peccati“ – commentò Elbereth voltandosi verso suo padre.
In tutti noi il seme del male è presente: in alcuni è dormiente, in altri solo un germoglio e in altri ancora una pianta rigogliosa. Tutto dipende da quanto viene innaffiato. Elbereth sentiva che in lei quel seme non aveva mai attecchito.
- Che ne sarà di mio padre? – chiese al demone – so che tu puoi saperlo…
- Ho visto dentro la sua anima, Elbereth…non puoi farci niente…
- Che significa Damian?
- Il seme del male che è stato impiantato dentro di lui è germinato e cresciuto. La sua anima è corrotta, corrotta dalle fiamme, dal peccato, dalle tentazioni. Il suo mondo è ora fatto di sofferenza e perfidia e la linea che divide il bene dal male è diventata sottile, leggera e si è confusa…
La mente del re ora stava ripercorrendo i tempi passati. Sentiva nuovamente le voci di quegli esseri evanescenti che lo accompagnavano mentre camminava tra le colonne della Sala del Trono. Le poteva sentire ancora. Ora erano solo fugaci bisbigli; non sempre riusciva a capire tutto quello che dicevano, ma erano armoniose e melodiche; si rivolgevano a lui con toni avvolgenti. Sembravano una sola voce perfettamente accordata che parlava alla sua mente raccontandogli la storia della sua gente e la sua sorte. Gli descrivevano con parole suadenti e persuasive lo splendore del suo regno e la potenza della sua stirpe cui sarebbe giunto se il potere delle Ombre fosse stato ricostituito nella sua interezza. E il suo dominio e la sua potenza anche oltre la soglia della morte.
Il re li stava guardando. Sul viso era dipinta un’espressione contorta e sconvolta dalla disperazione.
- Io ascoltavo e le domande si affollavano nella mia mente. E intanto le ombre vorticanti ammaliavano la mia anima e in esse si smarriva. E il cuore si raffreddava rigettando l’amore per gli uomini, l’inganno si faceva sempre più profondo man mano che penetravo i segreti delle Ombre.
Si irrigidì e tacque. Chinò il capo e il silenzio in cui si era chiuso venne spezzato da un singulto. Gli occhi gli si riempirono di lacrime e in preda alla disperazione si abbandonò a un pianto dirotto, ma non era un pianto liberatorio. Quelle erano lacrime che nascevano dalla consapevolezza dei suoi peccati e delle loro conseguenze.
Il suo vecchio corpo era tormentato dalla cupidigia, il suo spirito prigioniero dell’essenza dell’inumanità alimentata dai rimorsi.
Sapeva che le lacrime non avrebbero mai lavato le colpe dei suoi peccati e che il pentimento non sarebbe bastato. Nemmeno parole di preghiera e una confessione in nome di una presunta fatalità lo avrebbero condotto alla salvezza. Si avvicinava ogni giorno passo dopo passo al baratro della dannazione.
Le tentazioni suscitate nel profondo dell’anima gli avevano regalato un piacere furtivo, la superbia lo aveva elevato al di sopra di se stesso, e alla fine la mente affannata da tutto ciò era come fosse guidata da una schiera di demoni che si rotola convulsa nel fango e i cupi pensieri scorrevano come un fiume invisibile trasportando dentro di lui la morte.
Sentiva che qualcosa lo stava stritolando da dentro; ciò che il maligno aveva impiantato si stava sviluppando nella sua anima ormai corrotta generando un intricato groviglio di spine che cresceva man mano che si avvicinavano a Shadow e ai suoi signori.
Si portò le mani alla testa: - Le Ombre!
- Le Ombre… Le Ombre cosa?
Il mistero dell'iniquità che opera nel mondo era già all'opera.
Con un’espressione indecifrabile si portò le mani agli orecchi: - Parlano! .... – gridò. Poi si girò e alzando uno sguardo folle di paura verso la figlia – …Mi parlano…capisci?
- Che stanno dicendo? – chiese Elbereth – che ti dicono?
- Sussurrano. Sussurrano storie di morte. Raccontano del destino dell’uomo e di come egli stesso si affretti alla sua rovina. Raccontano di chi ha osato sfidare il signore dell’Ade e voluto lottare contro gli inferi, i loro dei e i loro guardiani. E di come abbia miseramente fallito. Raccontano delle pene eterne cui sarà condannato il genere umano a causa della sua avidità, disperso e straziato dalla persecuzione diabolica. Della dannazione che l’avrebbe colto, che l’avrebbe trascinato oltre la soglia della via che conduce al regno dei morti e che l’avrebbe fatto a pezzi e dato in pasto al Cerbero. Dicono che nulla potrà fermare l’avanzata delle Ombre, sono forti, inarrestabili. Nessuno potrà impedire l’avvento del loro regno. Le tenebre avvolgeranno la terra in una notte imperitura.
Ora il re aveva smesso di parlare. I suoi occhi si erano spenti e persi fissando nel vuoto qualcosa che solo lui poteva vedere. Tutti i comandanti si erano ammutoliti ed evitavano di guardarsi negli occhi gli uni con gli altri. Alcuni di loro con lo sguardo a terra, altri che giocavano con i tizzoni del fuoco.
La fiamma del bivacco sprigionò una colonna di scintille e il fuoco che prima languiva ora crepitava di nuovo innalzandosi verso il cielo con lingue rossastre. I soldati attizzarono ancora una volta i carboni ardenti.
Elbereth si era seduta ed osservava la luce del fuoco. Sul suo viso giochi di luce e riflessi di ombre venivano creati dalla danza selvaggia delle fiamme.
Alzò la testa. Avvolti nel fumo ed illuminati delle fiaccole su tutti conferivano ai volti un aspetto sinistro e inquietante.
Anche Damian che si era tenuto in disparte, adesso era ben visibile. La luce del fuoco lo aveva raggiunto malgrado avesse cercato di nascondersi ad essa. Le sue pupille si erano dilatate rendendo i suoi occhi completamente neri e brillanti. Esaminava severamente gli esseri umani che si trovavano seduti in silenzio ad osservare le braci accese che brillavano all’interno della fiamma. Sentiva accrescere i loro tormenti e le loro paure. Guerrieri che avevano combattuto in patria e in terra straniera, che avevano affrontato i nemici più spietati e terribili, eppure che ora tremavano sotto il suo sguardo inquisitore.
Il sole non si era ancora affacciato ed era ancora nascosto nel suo letto ad est. Le ore più fredde si stavano avvicinando e l’aria si era fatta più pungente e il gelo penetrante. Elbereth si strinse di più nella pesante coperta di lana che aveva sulle spalle e si tirò sul viso il cappuccio della cappa nera che indossava.
Nel silenzio si poteva sentire solo il respiro profondo di chi stava cercando di riposare.
Le tenebre profonde che avevano avvolto le stelle stavano lasciando posto al chiarore dell’alba e i primi raggi del sole spuntavano dall’orizzonte ordinando alle nebbie di dissolversi. Un chiarore si propagava velocemente ad est mentre le sagome della catena montuosa su cui spiccava il Monte Shadow uscivano dallo sfondo nero lentamente una dopo l’altra man mano che il sole si sollevava all’orizzonte.
Una melodia di diversi animali iniziava a propagarsi tra gli orridi acquitrini. Prima un grido in lontananza ad est, poi un altro e un altro ancora. Le malvage creature della palude si stavano risvegliando una dopo l’altra e le loro voci riempivano l’aria satura e pesante rimbombando come tuoni.
Gli uomini si erano svegliati prima dell’alba; nessuno era riuscito in realtà a dormire. Lord Hamilton stava guardando sorgere il giorno mentre i soldati stavano mangiando insieme dei pezzi di focaccia e formaggio accompagnati da una brodaglia calda. Terminarono velocemente e con attenzione coprirono ogni traccia del loro passaggio spegnendo i resti dei tizzoni ardenti ricoprendoli con la terra.
William era immobile, rapito ad osservare il cielo che cambiava colore mentre il corpo del sole prendeva lentamente forma.
Damian si avvicinò a William e, sfiorandoli appena un braccio, gli fece cenno che era ora di partire.
Lord Hamilton guardò sorpreso la mano del demone, poi si rivolse a lui con un sorriso triste: - Guarda… Il sole ogni giorno nasce per illuminarci, riscaldarci, farci vivere. Noi non sappiamo nulla e non comprendiamo nulla di tutto questo, eppure contiamo sulla sua presenza quotidiana…Al sole non importa nulla di tutto questo – aggiunse poi con un ampio gesto del braccio – sorride al mondo e pensa solo a dare luce, calore e vita. Dovrebbero fare così anche gli uomini…invece ora vediamo solo buio, gelo e morte…
Damian abbassò lo sguardo: - colui che si adatta ottiene il diritto di vivere e sarà un superstite della natura…
Raccolsero ogni cosa e si incamminarono verso le montagne.
  
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