Noticine: Hina,
nell’edizione giapponese, parla spesso in terza
persona. Per me è un mistero il motivo per cui non
è stato mantenuto nella
traduzione italiana, per cui sappiate che qua sotto Hina parlerà
così. Perché
Hina non se ne accorge nemmeno (???).
A
un certo punto
verrà nominato un OMC, un personaggio maschile originale (di
nome Canac), non
presente nell’opera di Oda: non abbiate paura, non
stravolgerà nulla. Il nome
Canac mi fa venire in mente il vino ed è questo il motivo
per cui l'ho scelto. Poi ha cinque lettere, mentre Hina ne ha quattro e
Smoker
sei; ed è
un nome palindromo. Boh, so che non ha senso, ma io mi diverto da matti
con
queste cose. C:
Se
vi va,
ascoltate questa
canzone
durante la lettura (qui
il testo): si chiama Roman Holiday
ed
è la canzone che mi ha accompagnato nella stesura della shot.
Buona
lettura! C:
De Saturis Lancibus
Vacanze romane
«Hina
è
arrabbiata!»
«Non
l’avevo
capito.» Disse Smoker, pensando che Hina sarebbe riuscita a
cogliere il
sarcasmo del suo tono, ma evidentemente il capitano non se
n’era accorta.
Oppure lo aveva bellamente ignorato. In ogni caso, Hina si era tolta la
sigaretta di bocca per gridare addosso a Smoker senza farla finire per
terra.
«Hina
adesso
è
arrabbiata ancora di più! Muoviti!»
«Smoker
pensa che sia il caso che Hina
smetta di fare la
bambina e si muova a tornare sulla propria nave.»
«Hina
invece
pensa
che Smoker dovrebbe smettere di parlare in terza persona! È irritante!»
«Sono
d’accordo, è
proprio irritante.»
Di
nuovo, Hina
ignorò il suo sarcasmo.
«Bene.
Adesso che
tutto è sistemato, Hina vuole tornare al bar.»
Ragionare
con una
Hina un po’ brilla (un po’?)
sembrava
essere una battaglia persa in partenza. L’ultima missione
doveva averle
consumato tutte le energie se quello era lo stato in cui era ridotta:
certo,
combattere contro gli agenti latitanti della Baroque Works non era
stato
facile, e aver ricevuto la notizia dell’evasione di alcuni di
loro non era
stato un buon modo per cominciare la giornata. Il tono che Hina aveva
usato per
parlare con Smoker con il lumacofono aveva messo in guardia il
commodoro, ma
non pensava che i nervi d’acciaio di Hina potessero saltare
dopo così poche
birre. Rispetto agli anni d’addestramento, in cui la Gabbia
Nera aveva sempre
dimostrato di reggere benissimo l’alcol, quella sera sembrava
essere fuori
allenamento. In compenso, Hina aveva fumato tutta la serata come se lei
si
chiamasse fumatrice di cognome
– e
detto da uno che poteva condensare in fumo, questo era
tutt’altro che un
eufemismo.
«Hina
al bar
non
ci torna,» ripeté Smoker.
Un’altra
cosa per
cui Hina era sempre stata famosa, oltre che per la capacità
di bere birra e di
rimanere lucida, era la sua micidiale stretta di ferro. Guarda caso,
Hina la
stava sfruttando per riportare il suo compare di bevute dentro al bar.
«Invece
sì. E Hina ci torna con Smoker, volente o nolente.»
«Hai
bevuto
abbastanza per questa sera, donna.»
«Hina
non
è
ubriaca!»
«Non
ho
detto
questo.»
«Allora
torniamo
dentro.»
«No.»
Fu
allora che
Hina, con il viso un po’ arrossato per l’alcol in
circolo, strinse con più
forza la giacca nera di Smoker e lo fissò con uno sguardo
minaccioso – sapete,
quegli sguardi che potrebbero uccidere, se esistesse un Frutto del
Diavolo con
quel potere –, che avrebbe intimidito un buon numero di
persone. Mentre altri
come Jango e Fullbody con quell’occhiata sarebbero
capitolati, ad esempio. In
ogni caso, su Smoker ebbe solo l’effetto di farlo sbuffare e
di fargli accendere
un altro sigaro.
«Hina,
torniamo
alla tua nave.»
«Hina
non ci
pensa
proprio!»
«Hai
avuto
una
giornataccia che non è il caso di concludere con un
post-sbornia da
adolescenti, quindi levati dall’ingresso e torniamo alla
nave.»
La
donna
sembrò
riflettere su quelle parole: forse in un momento di lucidità
avrebbe smesso di
puntare i piedi e si sarebbe lasciata condurre su quel cammello che, in
quella
cittadina nel deserto, le persone amavano chiamare taxi
(ad Alabasta c’erano usanze piuttosto strane). Per un solo
momento Hina allentò la presa sulla giacca di Smoker e
quello fu sufficiente
perché il commodoro le acchiappasse un braccio per portarla
lontano dal bar.
«Hina
non
vuole un
taxi, vuole tornare alla nave a piedi.» Questo soprattutto
perché il cammello
lì di fianco al bar sembrava ammiccarle. Era molto
inquietante, insomma.
Smoker
giurò che,
se Tashigi fosse diventata volitiva come Hina, avrebbe chiesto il
trasferimento
molto, molto lontano, ai confini del Nuovo Mondo, tanto per fare un
esempio.
Forse non lo pensava davvero, perché tutto sommato lui e
Hina erano ancora
amici e Tashigi era come una sorella minore o una figlia, se
così si può dire,
ma comunque poteva ancora formulare minacce a quelle due, almeno nella
propria
testa.
«Ce
l’hai un
accendino?»
Ecco
l’ennesima
carica di nicotina e catrame della serata, consumata stavolta durante
la
passeggiata verso la nave di Hina. Il capitano tirò fuori
una sigaretta dalla
borsetta e Smoker le diede l’accendino. Il fumo di sigaro e
sigaretta si
arricciò in lunghe volute e si mescolò agli odori
forti che, in tutta Alabasta,
sembravano nuvole invisibili di spezie.
Per
quello che
Smoker ricordava, Hina aveva la sbornia triste – o meglio,
quella pensierosa e
umorale allo stesso tempo. Il commodoro ebbe la sensazione che quel
silenzio
sarebbe stato il respiro prima del salto, o la bonaccia prima di una
tempesta.
«Hina
è stanca.»
Disse la donna, dopo un profondo tiro di sigaretta.
Smoker
stava per
risponderle con una battuta cattiva, ma poi evitò di
parlare. Il discorso di
Hina sembrava appena cominciato e, se l’avesse interrotta,
non avrebbe mai
saputo nulla di quello che le frullava nella testa. Era già
difficile capire
Hina quando discutevano, figuriamoci capirla quando rimaneva zitta o si
sentiva
offesa.
«Tutto
il
lavoro
che Hina ha svolto negli ultimi tempi è stato mandato a
monte. Ma non è quello
che dà fastidio a Hina: crede che avrebbe bisogno di
sfogarsi un po’.
Sull’isola di Kyuka avrebbe voluto rilassarsi ma non ci
è riuscita.»
Camminando
di
qualche passo avanti a Smoker – in modo tale che il commodoro
potesse
correggere la rotta in caso di collisione con oggetti o persone
–, Hina si
voltò per guardare l’amico negli occhi.
«Hina avrebbe bisogno di prendere a
pugni qualcuno per sentirsi meglio.»
«Hai
sempre
avuto
strani gusti per il relax.»
«Qualcuno
che poi
non sta male se viene colpito troppo forte.»
«Per
ora
sarà già
un ottimo risultato se riusciremo a portarti alla nave, quindi continua
a
camminare. Ai pugni ci penseremo domani.»
L’altra
sbuffò,
schiacciando la cicca di sigaretta sotto il tacco con una precisione
incredibile, per una che ondeggiava mettendo un piede davanti
al’altro. «Hina è
arrabbiata anche perché Smoker ha la pessima abitudine di
dare ordini.»
«Non
è rabbia,
sarà esasperazione, piuttosto.»
«Hina
pensa
che se
Hina dice una cosa Smoker non dovrebbe puntualizzare dicendo quello di
cui non
sa nulla.»
Smoker
stava per
ribattere – non puntualizzare,
precisiamo! – quando Hina, recuperato un pizzico di
lucidità, aggiunse: «Non
hai saputo del capitano Canac?»
«Che
cosa
gli è
successo?»
«È
finito nello
scrigno di Davy Jones.»
La
stradina del
bar si aprì su una piazzetta con muretti, panchine e palme;
il vento leggero
scuoteva le foglie delle palme e le lasciava suonare come un flauto di
pan
malcostruito.
Hina,
ancheggiando
un po’ più del dovuto, si arrampicò sul
muretto e finì la sigaretta. Smoker
appoggiò la schiena al muro e si sistemò accanto
all’amica, che si era tolta le
scarpe buttandole a terra.
«Canac
era
l’unico
che riusciva a tenermi testa nelle gare di birra, quando eravamo di
stanza a
Loguetown,» disse Hina, senza cambiare tono, senza sbattere
le palpebre. «È
stato sbalzato fuori bordo nell’ultimo attacco a due navi di
pirati dalle parti
di Water Seven: è andato a fondo prima che qualcuno potesse
buttarsi in acqua
per salvarlo.»
Ci
voleva un altro
sigaro, decisamente. Un altro sigaro, e un altro silenzio, per
accogliere la
notizia senza rimanerne vittime. Canac aveva prestato servizio con Hina
e
Smoker quando erano ancora tutti e tre nel Mare Orientale: era stato
l’ultimo
ad arrivare e il primo a ripartire. Tutti loro erano rimasti capitani
di
vascello per diversi anni, ma ora Canac non avrebbe più
visto una promozione
(che, molto probabilmente, avrebbe rifiutato su due piedi).
«Hina—»
«Non
cominciare
con i tuoi discorsi, Smoker, sta’ zitto.»
Avevamo
detto che
Hina aveva la sbornia pensierosa e umorale, non è vero?
Smoker non si offese,
come sempre: con calma attese che lei ricominciasse a tirar fuori tutto
quello
che doveva tirar fuori. Hina era brava a non farsi capire –
il che tornava
spesso utile, a dire il vero – e quello che sentiva rimaneva
chiuso dentro la
sua gabbia di professionalità. Non si sentiva in alcun modo
oppressa dal proprio
lavoro: al contrario, sapeva che la Marina era il suo posto nel mondo.
A volte,
però, c’era bisogno di una giornata di pausa, di
evasione dalle preoccupazioni
della realtà.
Lo
stesso
principio funzionava per Smoker: se se ne stava per dei giorni in
silenzio e
per proprio conto era semplicemente perché ne aveva bisogno,
altrimenti non
sarebbe sopravvissuto all’ulcera dovuta allo stress di troppi
contatti con
altre persone.
Anche
con Canac la
situazione era stata simile, solo che Canac stava a metà tra
Hina e Smoker e
contemporaneamente si trovava agli estremi dei loro comportamenti: da
un lato
aveva sempre avuto la mania di sparire per giorni prima di tornare ad
essere il
collante del loro trio, dall’altro il suo lavoro in Marina
era macchiato da
continui sbalzi di fede – Giustizia Assoluta e Giustizia
Morale, in un
ottovolante che non piaceva né a Smoker e Hina né
ai loro superiori.
Hina,
che aveva
tenuto in borsetta l’accendino di Smoker, cominciò
quella che sarebbe stata la
penultima sigaretta della nottata. Con una nuova messa in circolo di
nicotina
tornò anche la necessità di parlare.
«Saperlo così, per caso, è stato
orribile.
Da uno dei miei sottoposti che era in contatto con uno degli uomini di
Canac,
poi. Non lo vedo per un paio d’anni e poi vengo a sapere che
è morto annegato.»
«Due
anni
trascorrono abbastanza in fretta perché non ci si accorga di
nulla, Hina.»
«Lo
so.»
Ci
fu un altro
silenzio che coprì lo sciabordio delle palme. Quando Smoker
fu abbastanza
sicuro che i pensieri nella testa di Hina potessero essere sostituiti
con
qualcosa di più leggero, come quando si beve lo shot e poi
si manda giù del
succo di pera per ammorbidire il gusto feroce dell’alcol,
disse: «Ti sei messa
un profumo che ho già sentito.»
«L’hai
riconosciuto nonostante la birra? Hina lo metteva quando eravamo a
Loguetown
per evitare di sentire la puzza di quelli che non si lavavano dopo gli
allenamenti.»
Smoker
sbuffò.
«Sono trascorsi più di dieci anni. La prossima
volta che proverai a dirmi che
non sento più niente con tutto quello che fumo, ricordati di
stasera.»
Hina
tirò
fuori
uno dei sorrisi serafici che le riusciva meglio. «Dieci anni,
Smoker? Stai
diventando vecchio.»
«Ultimamente
me lo
dice un sacco di gente.»
«Che
cosa
rispondi, allora?»
«Che
si
dovrebbero
fare i fatti loro.»
«Tutta
colpa
dei
tuoi capelli.» Disse Hina, stropicciando la testa di Smoker
con una mano, come
se fosse la testa ispida di un cane – come aveva sempre
fatto, insomma.
«Smetti
subito con
questo gioco, è vecchio di anni.»
Il
capitano
sembrava essere tornata di un umore se non buono, almeno tranquillo. Le
sue
gambe si agitavano e i talloni sbattevano contro il muretto, come se
fosse
tornata un po’ più giovane e un po’ meno
disillusa. «Hina ha bisogno di una
vacanza e di qualcuno da prendere a pugni,»
ripeté, tornando seria.
«Guarda
che
da
domattina sarai di nuovo in servizio.»
Hina
smise di
dondolare le gambe avanti e indietro. Nello spegnere la sigaretta
contro la
pietra, si ricordò di una sera imbarazzante e rise, a bassa
voce, per conto
proprio. «Ti ricordi, qualche giorno prima della fine
dell’addestramento a
Loguetown? Eravamo usciti con Canac, non mi ricordo il nome del
bar.»
Smoker
capì
a che
cosa Hina si stesse riferendo. La mattina dopo avrebbe giurato che non
era mai
stata colpa dell’alcol o dell’imbarazzo, ma divenne
un po’ rosso in viso
comunque. «Non voglio ricordarmelo.»
«Perché
no? A
distanza di dieci anni ti imbarazza ancora? Non è che
avessimo fatto chissà che
cosa. Dovresti ridere, non piangere.»
«Non
si
piange per
delle idiozie.»
Hina
tirò
un
calcio sulla spalla di Smoker con il collo del piede, come per
prenderlo in
giro. «Non era un’idiozia né essere
ubriachi fradici, né farlo con te, né
scoprire che non siamo etero. Sarebbe stato stupido continuare a essere
convinti di essere etero che funzionano male, invece.»
Un
problema di
quella donna era che proprio non stava mai zitta. O meglio: anche
quando stava
zitta riusciva ad essere un problema.
«Hina
è un po’
troppo brilla e un po’ troppo sincera per i miei
gusti.»
«Smetti
di
parlare
di Hina come se non ci fosse, ti ho già detto che
è irritante. E poi tu sei
sempre troppo sincero, quindi senti chi parla.»
Smoker
si
allontanò dal muretto e si mise di fronte a Hina, che ancora
sedeva lì sopra.
Le offrì una mano per evitare che, con tutto
l’alcol in circolo, finisse con la
faccia per terra – certo, sarebbe stato divertente, ma poi
Hina glielo avrebbe
rinfacciato per tutta la vita, se se ne fosse ricordata, quindi meglio
evitare
qualsiasi macello.
«Hina
ha
bisogno
delle scarpe, prima. Fa’ il cavaliere, per una volta, e
passamele.»
(Che
poi entrambi
si lamentavano sempre del fatto che uno dava ordini all’altra
e viceversa,
evidentemente non si ascoltavano mai, quando parlavano.)
Sbuffando
e
soffiando un anello di fumo, Smoker raccolse le scarpe che il capitano
aveva
lanciato lontano e, sfidando tutte le leggi della fisica e della
metafisica,
addirittura gliele infilò ai piedi lui stesso, con le
proprie mani. Caso più
unico che raro in tutta la storia umana.
«Hai
proprio
dei
piedini di fata, eh, Hina.»
Ah,
ecco il motivo
di tutto quello spirito cavalleresco! Hina gli tirò una
pedata sul naso, tanto
per sottolineare che quel commento non era stato per nulla gradito.
«Hina
è
arrabbiata.»
«Ma
non mi
dire.»
Con
l’aiuto
di
Smoker scese dal muretto senza troppe difficoltà. Una volta
che Hina fu a terra
ripresero a camminare, stavolta fianco a fianco.
«Come
ci
siamo
finiti in questa situazione?»
«È
colpa di Canac.»
«Sicuro.
Hina, tu
dai sempre la colpa a quello che, tra me e Canac, non è al
momento presente?»
Domandò Smoker: stavolta Hina doveva aver capito il
sarcasmo, visto che la sua
mano bianca, che per un po’ aveva tranquillamente accarezzato
i capelli di
Smoker, finì con lo stringergli i ciuffi sulla nuca nella
famosa stretta
d’acciaio della Gabbia Nera. «Ehi!»
«Non
è vero. Io ho
sempre ragione.»
«E
quando
non hai
ragione, fai in modo di rigirare la storia in modo da
averla.» Un’altra stretta
sui capelli grigi. «Smettila, Hina, guarda che fa
male.»
«Pensi
che
non lo
farei, se non ti facesse male?» E prima che Smoker potesse
risponderle,
aggiunse: «È una domanda retorica.
Zitto.»
Smoker
rimase
in silenzio (erano rari i momenti in cui gli veniva detto di tacere: quando a
farlo
era Hina, Smoker si tappava la bocca prima che quella gli tirasse i
capelli o
uno scappellotto).
«Avevamo
bisogno
di una pausa.»
«Potevo
trovarmi
qualcuno che mi piace di più, per una pausa.»
«Lo
stesso
vale
per Hina, che cosa credi? Sappiamo benissimo perché finisce
sempre così.»
La
presa ferrea
tornò a essere una carezza sovrappensiero: nessuno dei due
ci fece poi molto
caso, dal momento che il movimento delle dita di Hina era diventato
automatico
e la sensazione delle sue mani, ormai molli, per lui era familiare
– come se
fosse un’estensione del corpo di Smoker. Era una carezza
amorevole? Forse. A
loro andava bene lo stesso, anche un amore un po’ storto e
sempre in vacanza.
Finiva
sempre
così
perché non riuscivano ancora a mostrarsi fragili o stanchi
davanti ad altri.
Era un blocco non per umiliazione, ma (forse) per dovere nei confronti
dei loro
sottoposti e della Marina.
Almeno,
questo fu
il pensiero di Smoker, molto tempo dopo, quando a Punk Hazard la vita
dei suoi
uomini fu in estremo pericolo. Nello stesso momento, una consapevolezza
lo
avrebbe colpito – Hina
già lo sapeva,
accidenti a quella donna.
Note Autrice:
Ok,
diciamo che
non doveva finire così, questa shot. Pace. Sapevo che sarei
finita fuori dalla
traccia che mi ero prefissata, succede molto spesso! Tutta colpa dei
personaggi
che fanno solo i loro comodi! XD
Scherzi
a parte,
qualcuno dirà “E la SmoLaw? Ci avevi rotto
l’anima l’ultima volta!”. Ehm.
Questa shot mi è venuta in mente a partire dalla canzone di
cui ho dato il link
nelle note a inizio pagina. Sta andando in ripetizione da giorni sul
mio mp3 ed
è scoccata la scintilla con la SmoHina. Non l’ho
fatto appositamente: solo che
la canzone mi dà sempre l’idea di una storia del
tipo “da amici ad amanti e poi
di nuovo separati, ognuno per conto proprio”, con annessi e
connessi ricordi
vari. Due persone un po’ “avanti” e
indipendenti, una cosa del genere.
Perché
su
internet
esistono pochissime SmoHina? È ingiusto, sono due pg
bellissimi che insieme fanno
scintille. Piango.
Il
bar
all’inizio
avrebbe dovuto essere il nuovo Spiders
Cafe, ma poi
avrei complicato troppo le
cose, anche se mi vien facile complicarmi la vita.
Lo
scrigno di Davy
Jones è il fondo del mare.
Il
titolo, Vacanze romane, riprende il
titolo della
canzone: sono come una pausa da una vita stressante e piena di impegni
e
responsabilità. In tedesco l’equivalente
dell’inglese Roman holiday
è Schadenfreude,
il cui significato è qualcosa tipo: il piacere derivato
dalle sfortune di
altri.
Il
motivo per cui
questa viene pubblicata così, di fila dopo la Bibi/Rebecca?
Perché mi sento
vecchietta, e Hina e Smoker, che sono più vecchi di me, mi
fan sentire meno
vecchietta. Ok, la ragione vera è un’altra, ma io
amo scrivere note inutili. XD
Poi
io preferisco
la SmoAce, ma Hina mi piace tanto tantissimo. Ce li vedo bene in questa
situazione un po’ ambigua: in un limbo tra amici e altro,
ma—irrimediabilmente gay
uno e lesbica l’altra (non lo so, io me li sento
così, sti due! XD). Il che può
generare situazioni esilaranti e quando ci sono figuracce o altro io
son sempre
da quelle parti. LOL.
Vabbè,
chiudo
queste note per la maggior parte insensate. Spero vi sia piaciuta
– vi giuro,
parlare di due dei miei pg preferiti in tutto OP è sempre
una soddisfazione e
un divertimento. Se vi vengono in mente dubbi o altro avete sempre la
possibilità di mandarmi un messaggio, anche privato.
Grazie
per aver
letto. Ringrazio in particolare Akemichan
e Mariaace per le loro parole:
grazie
infinite! ;)
Alla
prossima!
Stay safe!
claws_Jo
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.