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Autore: claws    24/01/2016    3 recensioni
Raccolta di shots riguardo pairing vari ed eventuali.
I) Zoro/Robin: «Robin aveva imparato a sfruttare il proprio potere fin da bambina: prima per gesti quotidiani, come spazzare e ripulire in casa; poi per farsi strada nel mondo degli adulti, che aveva imparato essere un brulichio di mostri dagli occhi più o meno buoni.»
II) Robin/Nami: «Nami non aveva mai avuto nessun problema con la propria altezza, visto che era perfettamente nella media essere alta un metro e settanta.»
III) Bibi/Rebecca: «Mia figlia Bibi? Oggi non è in casa, era attesa alla fiera di fumetti e videogiochi che si tiene appena fuori dalla città.»
IV) Smoker/Hina: «Hina invece pensa che Smoker dovrebbe smettere di parlare in terza persona! È irritante!»
V) Smoker/Ace: «Ti sei tagliato i capelli?»
VI) Zoro/Tashigi: «Tu cominci da un punto avvantaggiato, e non credo nemmeno che tu te ne sia accorto, Roronoa: se io adesso sono debole, non lo sarò in futuro.»
[Storia partecipante alla challenge SCEGLI IL PAIRING, SCEGLI L’IMMAGINE indetta da Nami93 sul forum di EFP]
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Noticine: Hina, nell’edizione giapponese, parla spesso in terza persona. Per me è un mistero il motivo per cui non è stato mantenuto nella traduzione italiana, per cui sappiate che qua sotto Hina parlerà così. Perché Hina non se ne accorge nemmeno (???).

A un certo punto verrà nominato un OMC, un personaggio maschile originale (di nome Canac), non presente nell’opera di Oda: non abbiate paura, non stravolgerà nulla. Il nome Canac mi fa venire in mente il vino ed è questo il motivo per cui l'ho scelto. Poi ha cinque lettere, mentre Hina ne ha quattro e Smoker sei; ed è un nome palindromo. Boh, so che non ha senso, ma io mi diverto da matti con queste cose. C:

Se vi va, ascoltate questa canzone durante la lettura (qui il testo): si chiama Roman Holiday ed è la canzone che mi ha accompagnato nella stesura della shot.

Buona lettura! C:





De Saturis Lancibus



 

Vacanze romane




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«Hina è arrabbiata!»

«Non l’avevo capito.» Disse Smoker, pensando che Hina sarebbe riuscita a cogliere il sarcasmo del suo tono, ma evidentemente il capitano non se n’era accorta. Oppure lo aveva bellamente ignorato. In ogni caso, Hina si era tolta la sigaretta di bocca per gridare addosso a Smoker senza farla finire per terra.

«Hina adesso è arrabbiata ancora di più! Muoviti!»

«Smoker pensa che sia il caso che Hina smetta di fare la bambina e si muova a tornare sulla propria nave.»

«Hina invece pensa che Smoker dovrebbe smettere di parlare in terza persona! È irritante!»

«Sono d’accordo, è proprio irritante.»

Di nuovo, Hina ignorò il suo sarcasmo.

«Bene. Adesso che tutto è sistemato, Hina vuole tornare al bar.»

Ragionare con una Hina un po’ brilla (un po’?) sembrava essere una battaglia persa in partenza. L’ultima missione doveva averle consumato tutte le energie se quello era lo stato in cui era ridotta: certo, combattere contro gli agenti latitanti della Baroque Works non era stato facile, e aver ricevuto la notizia dell’evasione di alcuni di loro non era stato un buon modo per cominciare la giornata. Il tono che Hina aveva usato per parlare con Smoker con il lumacofono aveva messo in guardia il commodoro, ma non pensava che i nervi d’acciaio di Hina potessero saltare dopo così poche birre. Rispetto agli anni d’addestramento, in cui la Gabbia Nera aveva sempre dimostrato di reggere benissimo l’alcol, quella sera sembrava essere fuori allenamento. In compenso, Hina aveva fumato tutta la serata come se lei si chiamasse fumatrice di cognome – e detto da uno che poteva condensare in fumo, questo era tutt’altro che un eufemismo.

«Hina al bar non ci torna,» ripeté Smoker.

Un’altra cosa per cui Hina era sempre stata famosa, oltre che per la capacità di bere birra e di rimanere lucida, era la sua micidiale stretta di ferro. Guarda caso, Hina la stava sfruttando per riportare il suo compare di bevute dentro al bar. «Invece sì. E Hina ci torna con Smoker, volente o nolente.»

«Hai bevuto abbastanza per questa sera, donna.»

«Hina non è ubriaca!»

«Non ho detto questo.»

«Allora torniamo dentro.»

«No.»

Fu allora che Hina, con il viso un po’ arrossato per l’alcol in circolo, strinse con più forza la giacca nera di Smoker e lo fissò con uno sguardo minaccioso – sapete, quegli sguardi che potrebbero uccidere, se esistesse un Frutto del Diavolo con quel potere –, che avrebbe intimidito un buon numero di persone. Mentre altri come Jango e Fullbody con quell’occhiata sarebbero capitolati, ad esempio. In ogni caso, su Smoker ebbe solo l’effetto di farlo sbuffare e di fargli accendere un altro sigaro.

«Hina, torniamo alla tua nave.»

«Hina non ci pensa proprio!»

«Hai avuto una giornataccia che non è il caso di concludere con un post-sbornia da adolescenti, quindi levati dall’ingresso e torniamo alla nave.»

La donna sembrò riflettere su quelle parole: forse in un momento di lucidità avrebbe smesso di puntare i piedi e si sarebbe lasciata condurre su quel cammello che, in quella cittadina nel deserto, le persone amavano chiamare taxi (ad Alabasta c’erano usanze piuttosto strane). Per un solo momento Hina allentò la presa sulla giacca di Smoker e quello fu sufficiente perché il commodoro le acchiappasse un braccio per portarla lontano dal bar.

«Hina non vuole un taxi, vuole tornare alla nave a piedi.» Questo soprattutto perché il cammello lì di fianco al bar sembrava ammiccarle. Era molto inquietante, insomma.

Smoker giurò che, se Tashigi fosse diventata volitiva come Hina, avrebbe chiesto il trasferimento molto, molto lontano, ai confini del Nuovo Mondo, tanto per fare un esempio. Forse non lo pensava davvero, perché tutto sommato lui e Hina erano ancora amici e Tashigi era come una sorella minore o una figlia, se così si può dire, ma comunque poteva ancora formulare minacce a quelle due, almeno nella propria testa.

«Ce l’hai un accendino?»

Ecco l’ennesima carica di nicotina e catrame della serata, consumata stavolta durante la passeggiata verso la nave di Hina. Il capitano tirò fuori una sigaretta dalla borsetta e Smoker le diede l’accendino. Il fumo di sigaro e sigaretta si arricciò in lunghe volute e si mescolò agli odori forti che, in tutta Alabasta, sembravano nuvole invisibili di spezie.

Per quello che Smoker ricordava, Hina aveva la sbornia triste – o meglio, quella pensierosa e umorale allo stesso tempo. Il commodoro ebbe la sensazione che quel silenzio sarebbe stato il respiro prima del salto, o la bonaccia prima di una tempesta.

«Hina è stanca.» Disse la donna, dopo un profondo tiro di sigaretta.

Smoker stava per risponderle con una battuta cattiva, ma poi evitò di parlare. Il discorso di Hina sembrava appena cominciato e, se l’avesse interrotta, non avrebbe mai saputo nulla di quello che le frullava nella testa. Era già difficile capire Hina quando discutevano, figuriamoci capirla quando rimaneva zitta o si sentiva offesa.

«Tutto il lavoro che Hina ha svolto negli ultimi tempi è stato mandato a monte. Ma non è quello che dà fastidio a Hina: crede che avrebbe bisogno di sfogarsi un po’. Sull’isola di Kyuka avrebbe voluto rilassarsi ma non ci è riuscita.»

Camminando di qualche passo avanti a Smoker – in modo tale che il commodoro potesse correggere la rotta in caso di collisione con oggetti o persone –, Hina si voltò per guardare l’amico negli occhi. «Hina avrebbe bisogno di prendere a pugni qualcuno per sentirsi meglio.»

«Hai sempre avuto strani gusti per il relax.»

«Qualcuno che poi non sta male se viene colpito troppo forte.»

«Per ora sarà già un ottimo risultato se riusciremo a portarti alla nave, quindi continua a camminare. Ai pugni ci penseremo domani.»

L’altra sbuffò, schiacciando la cicca di sigaretta sotto il tacco con una precisione incredibile, per una che ondeggiava mettendo un piede davanti al’altro. «Hina è arrabbiata anche perché Smoker ha la pessima abitudine di dare ordini.»

«Non è rabbia, sarà esasperazione, piuttosto.»

«Hina pensa che se Hina dice una cosa Smoker non dovrebbe puntualizzare dicendo quello di cui non sa nulla.»

Smoker stava per ribattere – non puntualizzare, precisiamo! – quando Hina, recuperato un pizzico di lucidità, aggiunse: «Non hai saputo del capitano Canac?»

«Che cosa gli è successo?»

«È finito nello scrigno di Davy Jones.»

La stradina del bar si aprì su una piazzetta con muretti, panchine e palme; il vento leggero scuoteva le foglie delle palme e le lasciava suonare come un flauto di pan malcostruito.

Hina, ancheggiando un po’ più del dovuto, si arrampicò sul muretto e finì la sigaretta. Smoker appoggiò la schiena al muro e si sistemò accanto all’amica, che si era tolta le scarpe buttandole a terra.

«Canac era l’unico che riusciva a tenermi testa nelle gare di birra, quando eravamo di stanza a Loguetown,» disse Hina, senza cambiare tono, senza sbattere le palpebre. «È stato sbalzato fuori bordo nell’ultimo attacco a due navi di pirati dalle parti di Water Seven: è andato a fondo prima che qualcuno potesse buttarsi in acqua per salvarlo.»

Ci voleva un altro sigaro, decisamente. Un altro sigaro, e un altro silenzio, per accogliere la notizia senza rimanerne vittime. Canac aveva prestato servizio con Hina e Smoker quando erano ancora tutti e tre nel Mare Orientale: era stato l’ultimo ad arrivare e il primo a ripartire. Tutti loro erano rimasti capitani di vascello per diversi anni, ma ora Canac non avrebbe più visto una promozione (che, molto probabilmente, avrebbe rifiutato su due piedi).

«Hina—»

«Non cominciare con i tuoi discorsi, Smoker, sta’ zitto.»

Avevamo detto che Hina aveva la sbornia pensierosa e umorale, non è vero? Smoker non si offese, come sempre: con calma attese che lei ricominciasse a tirar fuori tutto quello che doveva tirar fuori. Hina era brava a non farsi capire – il che tornava spesso utile, a dire il vero – e quello che sentiva rimaneva chiuso dentro la sua gabbia di professionalità. Non si sentiva in alcun modo oppressa dal proprio lavoro: al contrario, sapeva che la Marina era il suo posto nel mondo. A volte, però, c’era bisogno di una giornata di pausa, di evasione dalle preoccupazioni della realtà.

Lo stesso principio funzionava per Smoker: se se ne stava per dei giorni in silenzio e per proprio conto era semplicemente perché ne aveva bisogno, altrimenti non sarebbe sopravvissuto all’ulcera dovuta allo stress di troppi contatti con altre persone.

Anche con Canac la situazione era stata simile, solo che Canac stava a metà tra Hina e Smoker e contemporaneamente si trovava agli estremi dei loro comportamenti: da un lato aveva sempre avuto la mania di sparire per giorni prima di tornare ad essere il collante del loro trio, dall’altro il suo lavoro in Marina era macchiato da continui sbalzi di fede – Giustizia Assoluta e Giustizia Morale, in un ottovolante che non piaceva né a Smoker e Hina né ai loro superiori.

Hina, che aveva tenuto in borsetta l’accendino di Smoker, cominciò quella che sarebbe stata la penultima sigaretta della nottata. Con una nuova messa in circolo di nicotina tornò anche la necessità di parlare. «Saperlo così, per caso, è stato orribile. Da uno dei miei sottoposti che era in contatto con uno degli uomini di Canac, poi. Non lo vedo per un paio d’anni e poi vengo a sapere che è morto annegato.»

«Due anni trascorrono abbastanza in fretta perché non ci si accorga di nulla, Hina.»

«Lo so.»

Ci fu un altro silenzio che coprì lo sciabordio delle palme. Quando Smoker fu abbastanza sicuro che i pensieri nella testa di Hina potessero essere sostituiti con qualcosa di più leggero, come quando si beve lo shot e poi si manda giù del succo di pera per ammorbidire il gusto feroce dell’alcol, disse: «Ti sei messa un profumo che ho già sentito.»

«L’hai riconosciuto nonostante la birra? Hina lo metteva quando eravamo a Loguetown per evitare di sentire la puzza di quelli che non si lavavano dopo gli allenamenti.»

Smoker sbuffò. «Sono trascorsi più di dieci anni. La prossima volta che proverai a dirmi che non sento più niente con tutto quello che fumo, ricordati di stasera.»

Hina tirò fuori uno dei sorrisi serafici che le riusciva meglio. «Dieci anni, Smoker? Stai diventando vecchio.»

«Ultimamente me lo dice un sacco di gente.»

«Che cosa rispondi, allora?»

«Che si dovrebbero fare i fatti loro.»

«Tutta colpa dei tuoi capelli.» Disse Hina, stropicciando la testa di Smoker con una mano, come se fosse la testa ispida di un cane – come aveva sempre fatto, insomma.

«Smetti subito con questo gioco, è vecchio di anni.»

Il capitano sembrava essere tornata di un umore se non buono, almeno tranquillo. Le sue gambe si agitavano e i talloni sbattevano contro il muretto, come se fosse tornata un po’ più giovane e un po’ meno disillusa. «Hina ha bisogno di una vacanza e di qualcuno da prendere a pugni,» ripeté, tornando seria.

«Guarda che da domattina sarai di nuovo in servizio.»

Hina smise di dondolare le gambe avanti e indietro. Nello spegnere la sigaretta contro la pietra, si ricordò di una sera imbarazzante e rise, a bassa voce, per conto proprio. «Ti ricordi, qualche giorno prima della fine dell’addestramento a Loguetown? Eravamo usciti con Canac, non mi ricordo il nome del bar.»

Smoker capì a che cosa Hina si stesse riferendo. La mattina dopo avrebbe giurato che non era mai stata colpa dell’alcol o dell’imbarazzo, ma divenne un po’ rosso in viso comunque. «Non voglio ricordarmelo.»

«Perché no? A distanza di dieci anni ti imbarazza ancora? Non è che avessimo fatto chissà che cosa. Dovresti ridere, non piangere.»

«Non si piange per delle idiozie.»

Hina tirò un calcio sulla spalla di Smoker con il collo del piede, come per prenderlo in giro. «Non era un’idiozia né essere ubriachi fradici, né farlo con te, né scoprire che non siamo etero. Sarebbe stato stupido continuare a essere convinti di essere etero che funzionano male, invece.»

Un problema di quella donna era che proprio non stava mai zitta. O meglio: anche quando stava zitta riusciva ad essere un problema.

«Hina è un po’ troppo brilla e un po’ troppo sincera per i miei gusti.»

«Smetti di parlare di Hina come se non ci fosse, ti ho già detto che è irritante. E poi tu sei sempre troppo sincero, quindi senti chi parla.»

Smoker si allontanò dal muretto e si mise di fronte a Hina, che ancora sedeva lì sopra. Le offrì una mano per evitare che, con tutto l’alcol in circolo, finisse con la faccia per terra – certo, sarebbe stato divertente, ma poi Hina glielo avrebbe rinfacciato per tutta la vita, se se ne fosse ricordata, quindi meglio evitare qualsiasi macello.

«Hina ha bisogno delle scarpe, prima. Fa’ il cavaliere, per una volta, e passamele.»

(Che poi entrambi si lamentavano sempre del fatto che uno dava ordini all’altra e viceversa, evidentemente non si ascoltavano mai, quando parlavano.)

Sbuffando e soffiando un anello di fumo, Smoker raccolse le scarpe che il capitano aveva lanciato lontano e, sfidando tutte le leggi della fisica e della metafisica, addirittura gliele infilò ai piedi lui stesso, con le proprie mani. Caso più unico che raro in tutta la storia umana.

«Hai proprio dei piedini di fata, eh, Hina.»

Ah, ecco il motivo di tutto quello spirito cavalleresco! Hina gli tirò una pedata sul naso, tanto per sottolineare che quel commento non era stato per nulla gradito.

«Hina è arrabbiata.»

«Ma non mi dire.»

Con l’aiuto di Smoker scese dal muretto senza troppe difficoltà. Una volta che Hina fu a terra ripresero a camminare, stavolta fianco a fianco.


 

«Come ci siamo finiti in questa situazione?»

«È colpa di Canac.»

«Sicuro. Hina, tu dai sempre la colpa a quello che, tra me e Canac, non è al momento presente?» Domandò Smoker: stavolta Hina doveva aver capito il sarcasmo, visto che la sua mano bianca, che per un po’ aveva tranquillamente accarezzato i capelli di Smoker, finì con lo stringergli i ciuffi sulla nuca nella famosa stretta d’acciaio della Gabbia Nera. «Ehi!»

«Non è vero. Io ho sempre ragione.»

«E quando non hai ragione, fai in modo di rigirare la storia in modo da averla.» Un’altra stretta sui capelli grigi. «Smettila, Hina, guarda che fa male.»

«Pensi che non lo farei, se non ti facesse male?» E prima che Smoker potesse risponderle, aggiunse: «È una domanda retorica. Zitto.»

Smoker rimase in silenzio (erano rari i momenti in cui gli veniva detto di tacere: quando a farlo era Hina, Smoker si tappava la bocca prima che quella gli tirasse i capelli o uno scappellotto).

«Avevamo bisogno di una pausa.»

«Potevo trovarmi qualcuno che mi piace di più, per una pausa.»

«Lo stesso vale per Hina, che cosa credi? Sappiamo benissimo perché finisce sempre così.»

La presa ferrea tornò a essere una carezza sovrappensiero: nessuno dei due ci fece poi molto caso, dal momento che il movimento delle dita di Hina era diventato automatico e la sensazione delle sue mani, ormai molli, per lui era familiare – come se fosse un’estensione del corpo di Smoker. Era una carezza amorevole? Forse. A loro andava bene lo stesso, anche un amore un po’ storto e sempre in vacanza.


 

Finiva sempre così perché non riuscivano ancora a mostrarsi fragili o stanchi davanti ad altri. Era un blocco non per umiliazione, ma (forse) per dovere nei confronti dei loro sottoposti e della Marina.

Almeno, questo fu il pensiero di Smoker, molto tempo dopo, quando a Punk Hazard la vita dei suoi uomini fu in estremo pericolo. Nello stesso momento, una consapevolezza lo avrebbe colpito – Hina già lo sapeva, accidenti a quella donna.











 

 

Note Autrice:

Ok, diciamo che non doveva finire così, questa shot. Pace. Sapevo che sarei finita fuori dalla traccia che mi ero prefissata, succede molto spesso! Tutta colpa dei personaggi che fanno solo i loro comodi! XD

Scherzi a parte, qualcuno dirà “E la SmoLaw? Ci avevi rotto l’anima l’ultima volta!”. Ehm. Questa shot mi è venuta in mente a partire dalla canzone di cui ho dato il link nelle note a inizio pagina. Sta andando in ripetizione da giorni sul mio mp3 ed è scoccata la scintilla con la SmoHina. Non l’ho fatto appositamente: solo che la canzone mi dà sempre l’idea di una storia del tipo “da amici ad amanti e poi di nuovo separati, ognuno per conto proprio”, con annessi e connessi ricordi vari. Due persone un po’ “avanti” e indipendenti, una cosa del genere.

Perché su internet esistono pochissime SmoHina? È ingiusto, sono due pg bellissimi che insieme fanno scintille. Piango.

Il bar all’inizio avrebbe dovuto essere il nuovo Spiders Cafe, ma poi avrei complicato troppo le cose, anche se mi vien facile complicarmi la vita.

Lo scrigno di Davy Jones è il fondo del mare.

Il titolo, Vacanze romane, riprende il titolo della canzone: sono come una pausa da una vita stressante e piena di impegni e responsabilità. In tedesco l’equivalente dell’inglese Roman holiday è Schadenfreude, il cui significato è qualcosa tipo: il piacere derivato dalle sfortune di altri.

Il motivo per cui questa viene pubblicata così, di fila dopo la Bibi/Rebecca? Perché mi sento vecchietta, e Hina e Smoker, che sono più vecchi di me, mi fan sentire meno vecchietta. Ok, la ragione vera è un’altra, ma io amo scrivere note inutili. XD

Poi io preferisco la SmoAce, ma Hina mi piace tanto tantissimo. Ce li vedo bene in questa situazione un po’ ambigua: in un limbo tra amici e altro, ma—irrimediabilmente gay uno e lesbica l’altra (non lo so, io me li sento così, sti due! XD). Il che può generare situazioni esilaranti e quando ci sono figuracce o altro io son sempre da quelle parti. LOL.

Vabbè, chiudo queste note per la maggior parte insensate. Spero vi sia piaciuta – vi giuro, parlare di due dei miei pg preferiti in tutto OP è sempre una soddisfazione e un divertimento. Se vi vengono in mente dubbi o altro avete sempre la possibilità di mandarmi un messaggio, anche privato.

Grazie per aver letto. Ringrazio in particolare Akemichan e Mariaace per le loro parole: grazie infinite! ;)

Alla prossima! Stay safe!

claws_Jo





Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

  
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