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Autore: Scamander    31/01/2016    0 recensioni
" Quella notte, pensai che sarei morto: la pazzia divora quelli della mia specie come un morbo di cui ognuno di noi è portatore. È un morbo latente, un morbo che, in potenza, è in me come in qualunque altro della mia razza: un morbo che distrugge Dillon - ed anche Wendy, seppur ancora umana - e lascia a me e alla cara Lucinda, che ancora ci trasciniamo per questo mondo che ormai ci ricorda solo dolore e sciagure, una esistenza squarciata, ma, per qualche ragione, ancor degna di essere vissuta "
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sanguini
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Contesto generale/vago
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{ 2 anni dopo, Inghilterra - Londra }

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[ ... ]

« Non sento dolore »
Avevo appena fatto tempo ad appendere la camicia, prima che la consapevolezza che vi fosse "qualcosa che non andava" mi riscuotesse da quello stato di torpore che, di sovente, mi coglieva dopo mangiato. Avevo lasciato la porta della mia stanza aperta: la luce delle lampade del corridoio che delineava la figura del letto al centro della camera, dello specchio appeso al muro, del cassettone posto sulla destra. Ma, oltre alla luce, la porta lasciava entrare anche un suono: un sommesso mugugnare, come un lamento.
Presa nuovamente la camicia, me la gettai sulle spalle: un presentimento - un logico muovere della mia mente - mi spinse a muovere in direzione delle stanze di Lucinda. Facevo rumore, pressando i piedi sulle assi lignee del pavimento: desideravo che mi sentisse arrivare.

« Non sento dolore »
Non era quella sua bocca tanto mobile da parere cosa caduca: era una creatura eterna quella che sedeva scompostamente su quella piccola sedia; tanto da renderla simile una bambola alla quale fosse stato assegnato il corredo sbagliato. Era il corredo di un'altra bambola?
Avevo posto qualche passo nella stanza: tra la porta e lo specchio di fianco al quale sedeva, la osservavo fissamente. Non si muoveva espressione sul mio viso. Se qualcosa si fosse mostrato, nel corso del tempo, forse Lucinda avrebbe ancora abitato quella camera: forse sarebbe ancora stata "mia".
« Provereste dolore, se il fuoco avesse già toccato la vostra pelle »
Quelle labbra estranee si piegarono in un sorriso: le avete ascoltate schioccare nel loro muovere? Pietra che sfiora pietra?
« Mi ha già toccata » affermò allungando un braccio verso di me. La pelle era arrossata attorno alla cera che colava, e bruciava « Non vedete? »
« Vedo »
« Non mi prestate aiuto? »
« Ne avete bisogno? »
« Avete sempre solo domande, Monsieur » sul viso della ragazza si mosse un sorriso rassicurante: non era ancora giunta la sua ora, a quanto pareva. Vi era ancora una traccia di vita sotto quella pelle coperta di cera, quella pelle che sembrava colare, e colare.
Con la punta delle dita, afferravo le candele che si agitavano sulle sue spalle, le spegnevo e le adagiavo sulla toeletta. Compievo ogni gesto con mosse lente e pacate: aspettavo che parlasse; era chiaro che volesse continuare. Dopo qualche istante, fu, invero, ciò che fece.
« Spero che Vincent non abbia sofferto » decretò con tono stanco, come se le sue parole fossero la conclusione di un esteso discorso « Bruciare non fa così male »
« Non vorrei che vi ingannaste, Lucinda »
« Cosa intendete, Monsieur? »
« Intendo… » Scostai le dita da una candela avvolta dalla cera bollente, portandomele alle labbra per cercar conforto « Bruciare, come ben sapete, è la maggiore sofferenza che possa toccare ad uno di noi. Deve aver sofferto, il caro Dillon. Chissà che non abbia, addirittura, desiderato perpetuare le proprie sofferenze psicologiche, se atte a placare quel terrificante dolore fisico »
La bocca di Lucinda cadde un poco verso il basso: vi era un ovale rosso, ora, a separare le sue labbra. La lingua era scarlatta e nascosta oltre quelle mura di rossetto: un colore che non le apparteneva, come non le apparteneva quel sangue che scorreva sotto la sua bella lingua.
« Non mi state aiutando, Monsieur » pronunciò con trista sorpresa.
« Non ne avevo intenzione »
La rabbia si mosse lungo le sue vene: ne percepii il rumore. La sentii arrivare prima che si manifestasse nella sua voce squillante, colma di stizza.
« Voi mi odiate! » si alzò in piedi con uno scatto rapido, tanto che le candele che ancora erano ferme sulle sue spalle si staccarono e rovinarono al suolo « Ammettetelo! Ammettete che mi avete sempre odiata! Ammettete che avreste voluto vedere me, al posto del povero Vincent »
Solo in quel momento, quando la ragazza si fu messa ad un livello più paritario alla mia altezza, mi accorsi di avere ancora la camicia sbottonata: le mie dita si mossero per allacciarla.
« Non mi volete neanche un po' di bene? Non mi /amate/ nemmeno un poco? »
« Credevo che sareste morta voi, invece che Dillon »
La rabbia sul viso di Lucinda sfumò in una posa di sorpresa interrogativa « Credevate che… »
« Credevo che vi avesse condannata a morte, con la vostra trasformazione. Invece ha condannato se stesso » continuai chinandomi per raccogliere le candele cadute a terra « Credevo che la vostra mente fosse debole, credevo che le domande vi avrebbero sopraffatta. Invece… » detto questo, mi fermai per un lungo istante, osservando la ragazza in pieno viso: mi stava restituendo uno sguardo intenso; le lacrime che affioravano in quei suoi occhi ora così simili al vetro. Erano lo sguardo chiaro di una bambola? Ma quello non era il suo corredo.
« Invece…? » Mi incalzò.
« Invece la vostra mente distrugge, ma non viene distrutta. Fate parte di questa seconda categoria: la sola che possa abitare il nostro mondo. Dillon si è condannato nel momento in cui vi ha trasformata, ma voi avete condannato Dillon. Voi avete domande, lui credeva di avere risposte. Solo chi domanda può vivere tra noi. Chi domanda riesce a sopravvivere, chi crede di saper rispondere perisce »
A questo punto, Lucinda si sedette di nuovo: una mano che correva al petto e vi ci si posava « Ho--- Ho assassinato Dillon? »
« Era inevitabile. Il vostro ruolo sarà sempre di assassina »
Il suo labbro cominciò a tremare, per questo mi sorpresi quando la sentii pronunciare ancora una ultima domanda: « E voi…? Voi domandate o rispondete? »
A queste parole, il mio viso si piegò in un sorriso arcigno « Io, mia cara, ho sempre /distrutto/ ».

   
 
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