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Autore: rossella0806    01/02/2016    2 recensioni
Philippe Soave è uno psicologo infantile che lavora presso il "Centre Arcenciel" di Versailles, una sorta di scuola che ospita bambini e ragazzi disagiati, a causa di dinamiche famigliari non proprio semplici.
Attraverso il suo sguardo appassionato, scopriremo la realtà personale dei piccoli e grandi ospiti, ognuno dei quali troverà un modo per riscattarsi dalle ingiustizie della vita.
Ci sarà anche spazio per sorridere, pensare e amare!
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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UN PIZZICO DI AGITAZIONE PER UNA TONNELLATA DI FELICITA'


I ciottoli del cortile avevano diverse forme e colori: alcuni erano pentagonali, altri esagonali, altri ancora rettangolari o quadrangolari; il grigio e il bianco prevalevano in quella composizione ma, se si guardava con maggiore attenzione, si riusciva ad intravedere anche una sfumatura brunastra correre lungo i bordi.
Philippe aveva contato quelle pietre almeno una ventina di volte, lo sguardo abbassato e opaco, come se in realtà non stesse vedendo quei sassi di chissà quale epoca, ma uno spettacolo a lui solo noto.
In realtà, stava pensando a molte cose, ai suoi ragazzi del Centre, prima di tutto, che il giorno prima gli avevano preparato una meravigliosa festa a sorpresa e gli avevano regalato una cornice con una poesia inventata da loro, tanto da farlo commuovere fino alle lacrime; purtroppo, madame Betancourt non era riuscita ad ottenere i permessi necessari affinchè potessero partecipare almeno alla cerimonia, così aveva promesso di scattare tante fotografie, in modo da mostrargliele, appena tornato dal viaggio di nozze.
Persino Sophie, venuta a conoscenza del grande evento, gli aveva spedito una lettera e una sua fotografia, che la raffigurava cresciuta e sorridente, nel bel mezzo della savana africana, dove si era trasferita insieme alla madre, Aimée, la donna che lo aveva abbagliato, poco più di anno addietro.
Avvertiva i bisbigli e i mormorii degli invitati all'interno della chiesa, lo sbuffare ironico del padre, la presenza rassicurante delle sorelle Claire, Jeanne ed Agnèse con i mariti e i figli, delle colleghe -Mireille, Nicole, Juliette e Gabrielle- sedute accanto alla direttrice, dei suoi amici di Lione, di zia Arianna, di zio Paolo, di Marco e Alessia, del dottor Brice con la famiglia ... mancavano solo loro, i suoi bambini, i suoi ragazzi: Adriene, Chloé, Nicolas, Suzanne, Amal, Fatima e tutti gli altri.
Prima che s'intristisse del tutto, scacciò quei pensieri così tanto cari, eppure insopportabili in quel momento.
Si accorse sbuffando che la camicia bianca a maniche corte gli si stava appiccicando alla schiena: percepiva dei vergognosi rivoli di sudore scendergli dal collo, mentre, con il fazzoletto di stoffa che aveva nel taschino della giacca gessata, tentava inutilmente di acchiappare le goccioline, prima che facessero ulteriore danno.
Si tastò nelle tasche dei pantaloni, alla ricerca di un gingillo con cui passare il tempo che ancora gli rimaneva prima del grande momento; oltre al pezzo di stoffa ormai zuppo con cui si era asciugato, non trovò nulla, neppure il cellulare che era rimasto spento in macchina.
Sospirò rumorosamente, mordendosi le labbra per l’agitazione.
“La vuoi smettere di andare avanti e indietro?! E’ mezz’ora che siamo qui e non sei stato fermo per più di un minuto!”
François, il testimone e amico dello sposo, gli si avvicinò, dandogli una pacca di incoraggiamento su una spalla.
“Scusa, hai ragione. E’ che sono un po’ emozionato … non vedo l’ora che arrivi e che tutto finisca”
“Bravo, per uno che sta per convolare a nozze, non è propriamente una frase felice!”
“Ma io … insomma, non intendevo dire questo …”
“Lo so, stupido! Stai tranquillo, vedrai che la tua Liliane non ti lascerà da solo sull’altare!”
Lo psicologo abbracciò l’altro ragazzo, restituendogli la pacca di poco prima.
“Che ore sono? Nella fretta mi sono dimenticato di mettere l’orologio” continuò, toccandosi i polsi nudi.
“Le undici e quaranta. Siamo arrivati troppo presto, te l’ho detto che dovevamo aspettare ancora un po’ prima di uscire di casa!” lo punzecchiò François, appoggiandosi a una colonna di basalto, posta all'entrata del grande portone di legno massiccio.
“D’accordo, hai ragione, la prossima volta ti darò retta!”
“La prossima volta che ti sposerai?!” lo canzonò l’amico, sistemandosi gli occhiali da sole sul naso.
“Sei davvero insopportabile! Non ti sceglierò mai più come testimone … oh, accidenti, che cosa mi fai dire?! Uffa, lasciami camminare, così almeno mi sembrerà di essere meno nervoso”
“Philippe …”
“Che c’è?”
“Dal momento che la sposa, si sa, per tradizione è sempre in ritardo, che ne dici di cambiarti la camicia? Sembra che sei appena uscito da una nuoata in piscina!”
Il futuro marito aprì la bocca per replicare: in effetti, il 16 giugno, con il sole di mezzogiorno che pulsava sulla testa, l’idea di sua madre Nadine di fargli indossare una camicia che, per quanto avesse le maniche corte, pesava almeno il doppio di una maglia normale, non era stato quello che si definisce un buon consiglio.
“Non posso andare a casa! Devo attraversare mezza città e, così facendo, arriverò in ritardo …!”
“Ehi, calmati! A cosa servono gli amici e, in questo caso, il fedele testimone di nozze, se non ad andare in macchina e recuperare una camicia decente, adatta per la stagione e l’occasione?!”
François scoppiò in un sorriso a trentadue denti e, le chiavi in mano, si affrettò ad andare verso il parcheggio, a pochi metri dallo spiazzo della chiesa.
Ritornò dopo una manciata di secondi, la salvezza in una mano e la riconoscenza perpetua di Philippe che, nascosto sul retro dell'edificio sacro, compì lo spogliarello più liberatorio della Storia dello streptease mondiale.




Liliane non aveva dormito molto quella notte: aveva festeggiato l'addio al nubilato insieme alle colleghe, alle cognate e a Vivianne, ma era dovuta rientrare a casa presto, anzi, per lei era fin troppo tardi.
In realtà, non aveva voluto lasciare Estelle, la sua bambina, da sola con i suoceri: non perché non si fidasse, tutt’altro, il problema era più suo che di altri, non sapeva spiegarlo bene.
Nutriva una sorta di gelosa ancestrale, di senso di possesso nei confronti delle persone che stavano con la figlia per più di un minuto, perlomeno quando lei non era lì a controllare che tutto stesse andando come voleva.
Nonostante la piccola avesse quattro mesi e fosse stata, fin dai primi giorni, abituata agli estranei, ai rumori, alle voci, ai suoni in generale, la madre si sentiva scioccamente e incredibilmente possessiva della sua cucciola.
Philippe la rimproverava di essere troppo apprensiva ma, lei stessa, più di una volta, lo aveva sentito bisbigliare alla figlia di essere contento di poter stare da soli, senza nessuno intorno, per spupazzarsela a proprio piacimento.
Adesso, quando mancava meno di mezz’ora al fatidico sì, Liliane era in piedi davanti allo specchio dell’armadio della camera da letto, che le rimandava l’immagine felice e radiosa di futura sposa.
Non riusciva a vedersi completamente la figura, ma solo metà busto, quindi si avvicinò al letto e vi salì, facendo attenzione a non calpestare il risvolto dell’abito e a sollevarlo con delicatezza.
Rimase piacevolmente stupita dell’effetto generale: aveva scelto un vestito poco pretenzioso, senza lunghi strascichi o pesanti balze, ma che fosse il più lineare possibile.
I capelli biondi, morbidamente arricciati e tenuti fermi da qualche rosa di campo, erano freschi di lacca; gli occhi azzurri vantavano un filo di ombretto scuro e di mascara, mentre le guance erano state imporporate da un sottile strato di cipria, appena accennato.
La ragazza si passò una mano sulla bocca, adombrata da un rossetto color lillà: si sentiva veramente felice, orgogliosa, appagata, in pace con se stessa.
Dopo anni di sofferenze, di indecisioni, aveva raggiunto un equilibrio duraturo e, di questo era convinta, completo, che mai avrebbe pensato di ottenere.
Scese dal letto con un balzo, reggendosi l'abito con entrambe le mani.
Poi, andò a recuperare la scatola con le scarpe, bianche e con poco tacco, che aveva abbandonato vicino al calorifero: una volta indossate, si guardò ancora una volta allo specchio, quindi, con la borsa del cambio e della pappa per Estelle, già pronta tra le braccia di nonna Nadine, aprì la porta della camera, pronta per andare incontro al suo destino di madre e moglie.



Vivianne temeva di arrivare in ritardo, proprio il giorno del suo matrimonio: per la prima volta, da quando aveva deciso la data insieme ad Alexis, otto mesi prima, si stava pentendo di aver scelto di sposarsi insieme a Philippe.
Che poi, a pensarci bene, era lui che aveva fissato la data dopo di loro, quindi, se bisognava dare la colpa a qualcuno, era del suo amico.
Beh, forse era esagerato parlare di colpe, ognuno è libero di fare quello che vuole, pensò la ragazza, tanto più che i preparativi sono stati ancora più eccitanti.
Lei e Liliane si erano consigliate ed aiutate in moltissime occasioni, durante quel periodo di organizzazioni, dalla location per il banchetto, al menù, alle canzoni da suonare in chiesa a quelle da ballare nel pomeriggio.
Solo per la scelta dell’abito erano state entrambe d’accordo sull' essere autonome, di non lasciarsi influenzare l’una con l’altra né, tantomeno, dai rispettivi partner.
Il vestito era una cosa privata, una decisione che andava presa singolarmente, intimamente, senza condizionamenti esterni.
Persa in quel mare di ricordi appena trascorsi, la fisioterapista si accorse che il tempo, ormai, stava pericolosamente incalzando, rischiando di mandare a monte la sua scaletta di priorità.
“Scusi, non può andare un po’ più veloce?”
“Non è colpa mia se la gente non è in grado di guidare e se i semafori diventano subito tutti rossi” esclamò monocorde l’autista della Mercedes in affitto, senza degnarla di uno sguardo.
Ci mancava solo la simpatia di questo rincitrullito! pensò Vivianne, sbuffando irritata.
Guardò fuori dal finestrino: il traffico di certo non abbondava, tanto più se si pensava che era un sabato di metà mattina, alle porte dell’estate, quando la gente cominciava a riempire le piscine comunali e a passare le prime vacanze fuori città, alla ricerca di un minimo di refrigerio.
Si passò le mani sull’organza del vestito, sistemando pieghe invisibili.
“Senta, tra dieci minuti mi dovrei sposare, lo capisce questo? Se non preme un minimo sull’acceleratore, rischio di arrivare in ritardo!” piagnucolò la ragazza, protraendosi verso l’uomo, un cappellino blu calato sulla fronte.
“Adesso non è più usanza che la sposa arrivi in ritardo? Mia moglie, cara signorina, è arrivata all’altare con quasi due ore di ritardo!”
“Due ore?!” ribatté, sperando di aver compreso male.
“Sì, ma solo perché aveva le doglie. Falso allarme, per fortuna, altrimenti non sarebbe mai arrivata in chiesa, nemmeno il giorno dopo!”
L’autista si lasciò andare ad una risata sguaiata, battendo entusiasta le mani sul volante.
La quasi neosposa si abbandonò allo schienale della costosa automobile: chiuse gli occhi per qualche istante, pregando che ogni cosa andasse per il verso giusto.
Non conosceva le strade che stavano percorrendo, perché di Versailles era pratica solo della zona in cui lavorava, esattamente all’opposto del loro percorso, altrimenti sarebbe scesa dalla Mercedes senza troppe storie, andando a piedi fin dal suo Alexis, trascinandosi dietro la coda di tulle e sballottando il bouquet di girasoli e violaciocche.
Abbassò il finestrino, per respirare un po’ d’aria fresca, ma subito si pentì, perché la raggiunse un’ondata di vento caldo.
Ritornò ai suoi tristi pensieri, immaginando che non sarebbe mai riuscita ad arrivare in orario per la cerimonia di mezzogiorno.
Nei suoi piani, non avrebbe fatto aspettare il suo amore neppure per un secondo, sebbene la tradizione volesse altrimenti: la sola idea di far soffrire quel patatino che sarebbe presto diventato l’altra metà della mela per l’eternità, le provocava una fitta dolorosa alla bocca dello stomaco, facendola agitare ancora più del necessario.
Poi, finalmente, come un miraggio in mezzo al deserto, Vivianne la vide: la guglia del campanile stava svettando proprio davanti a lei, a un centinaio di metri dal traguardo.
Appena l’autista bloccò la Mercedes, lei scese, felice di essere giunta alla tanto sospirata meta.
E, quasi, non si accorse che le sue meravigliose tulle stavano rischiando di rimanere impigliate nella portiera.   




I polsini gli stavano dando un fastidio terribile: si era slacciato e riallacciato i bottoni una dozzina di volte, ma non riusciva a trovare una soluzione che gli permettesse di lasciare in pace l’estremità delle maniche della camicia di seta, rischiando di rovinare i gemelli in oro bianco, regalo della madre per il grande evento.
Tossì nervosamente per l’ennesima volta, allentando il nodo del cravattino rosso, quindi si ritrovò a fissare le lancette sul suo Rolex, silenziose ma veloci: constatò a metà tra il soddisfatto e l’agitato che mancava ancora una manciata di minuti all’inizio di quella grandiosa giornata, per questo avvertì l’adrenalina aumentare nelle vene, scorrere ancora più rapidamente.
Philippe era appena entrato in chiesa, dopo avergli fatto un cenno di saluto: quel giorno si stavano accuratamente evitando, seppure la cosa gli dispiaceva alquanto, dal momento che stimava e trovava simpatico quel buffo e strampalato psicologo.
Vivianne aveva un’alta considerazione di lui, ne parlava sempre bene e sapeva che, se c’era una persona a cui avrebbe chiesto un consiglio, di qualsiasi tipo, quella sarebbe stata proprio il vicino di casa, ormai ancora per pochi minuti, precisò gongolante, fino a quando la sua cocchina non sarebbe diventata madame Duval.
Alexis si grattò una guancia e cominciò a contare fino a dieci, decidendo che, dopo il countdown, sarebbe entrato anche lui.
Quando stava per finire, Sebastien, il suo testimone, collega e braccio destro dell’azienda edile di cui la sua famiglia era proprietaria, tornò all’attacco, invitandolo a sbrigarsi.
“Le campane stanno suonando! Tra poco Vivianne arriverà e ti troverà ancora qui! Dai, muoviti, vieni dentro!”
Il quasi novello sposo annuì a vuoto, ma non si mosse di un millimetro: quando sentì il rombo di una macchina, riconobbe il motore della Mercedes, l’automobile su cui avrebbe dovuto viaggiare il suo tesoruccio, la futura regina dei mattoni del suo cuore.
Diede un’ultima occhiata dietro di sé, sistemandosi i polsini che, inspiegabilmente, avevano smesso di tormentarlo.
Reclinò la testa in avanti e indietro, poi di lato, infine sorrise, pronto ad affrontare il grande sì.
   
 
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