Premessa: Prima di
tutto, grazie per aver anche solo aperto questa storia.
È stata scritta tra il 2010 e il 2011 e quindi, quando per
puro caso qualche giorno fa l’ho ri-aperta, sono morta di orrore.
Una pena.
Personaggi andati totalmente OOC, una Marie Sue senza
precedenti e tanti altri dettagli che vi risparmio.
Per questo e tanti altri motivi, la storia andava
cancellata.
Però era la mia prima ff, quella che ti rimane un po’ nel
cuore e che vorresti sistemare.
Quindi, perché non farlo?
Ho cinquanta sei capitoli da mettere a posto e almeno una
decina da scrivere per darle una conclusione e ho intenzione di farlo, ogni
volta che ne avrò il tempo.
Ho cambiato molte cose, a partire dai nomi dei miei
personaggi e in particolare della protagonista, che da Kailey Drake è diventata
Dahlia Blake (perché, lo spiegherò strada facendo)
Sono state rimosse scene che rovinavano l’atmosfera e
aggiunti plot twist strani ed eventuali.
In altre parole, sono diventata radical chic (??) e mi sono
data al recupero di questa storia.
Spero di ottenere un buon risultato, perché trecentocinque
recensioni a quella di prima erano sprecate.
Spero in questa!
Ci sentiamo presto, cercherò di caricare celermente i primi
capitoli.
Buona lettura,
NN.
Tell me, who you kill,
to save your life?
Prologue: the End of the
Journey.
Il mio sangue
era caldo, la sua consistenza era fastidiosa.
In qualche modo, ero riuscita
a praticarmi un incantesimo
di guarigione, ma la sensazione che provavo, quella perdita di calore
dal corpo verso l’esterno, rimaneva.
La gamba faceva
male, un male dannato, mentre
sentivo una strana pressione sul petto.
Forse era una
costola rotta, forse era il dolore
che era così forte da diventare fisico.
La pausa tra
un atto e l’altro di quella barbara
battaglia teneva col fiato sospeso
tutti, ma una volta rientrati nella sala Grande, ora adibita a macabro
rifugio dove avevamo sistemato i caduti,
la paura aveva lasciato il posto
a un grande sconforto.
Mi sentivo strana, chiusa in una bolla, come se tutto attorno a me mi fosse improvvisamente estraneo.
Seduta su
quella brandina, accanto al corpo senza vita del mio tutore, il tempo si dilatò tanto
che parve fermarsi per qualche minuto.
Doveva essere
così, quindi, la morte?
Un’attensa lunga
una vita, nella quale si protende
verso la negazione? Assurdo.
Ero così
stanca che non riuscivo nemmeno a piangere la perdita dell’ennesimo membro di quella che,
ormai, era diventata la mia famiglia.
Semplicemente, appoggiai
una mano sulla spalla di
Lupin, guardando il suo volto
rilassato nel sonno eterno e domandandomi cosa avesse provato.
Forse aveva
pensato a suo figlio, alla sua
vita, al fatto che non avrebbe potuto offrirgli più quel
sostegno che ogni padre desidera dare al proprio pargolo.
Quanti orfani.
La Guerra aveva generato più orfani
che scontri, più abbandoni che
vittorie.
Bisogna essere
davvero stupidi, mi dissi, per permettere un tale scempio e anzi, farne parte.
Quanta morte.
Quanta paura.
Anche la speranza,
ultima guardiana e spinta motrice della nostra determinazione, aveva abbandonato il mio cuore.
Negli occhi
dei miei compagni potevo leggere solamente questo sentimento, una pacata e muta
rassegnazione.
A fatica feci
leva sulla gamba sana, alzandomi
e zoppicando qualche passo, prima di riuscire a piegare di nuovo il
ginocchio.
Per quanto fossi sfinita, sapevo però che
l’epilogo era ancora lontano, così mi avvicinai al ragazzo che mi aveva chiamata
una, due, cento volte. Non sapevo
dirlo.
Ci scambiammo
uno sguardo e lui non disse nulla.
Fui io
a parlare, dopo aver mestamente annuito, come per confermare quelle parole a me stessa e non al mio interlocutore.
“Sono pronta.”
Mentii ed Harry, con la stessa bugia nel
cuore, disse d’esserlo anche lui.
Ma ora, fermiamoci
qui.
Perchè partire
a narrare una storia dalla fine?
Ci sono
giorni in cui mi sembra tutto così cupo
e oscuro, che riportare alla mente quando tutto
era ancora bello e felice fa troppo
male, per questo la memoria
solida di quella giornata mi tiene ancorata alla realtà.
Tutt’oggi, ci
sono ferite che non possono guarire, cicatrici così profonde che
rimangono indelebili per l’eternità.
Tutt’oggi, mi interrogo
su quanto ho fatto e mi domando, cercando una risposta
sincera, se non avessi potuto in qualche modo evitare un po’ di sofferenza
a coloro che amo.
Purtroppo, ogni
risposta, è una coltellata al cuore.
Riaffronto ora,
di nuovo, questo percorso, mettendo in fila ciò che è stata
la mia vita, le cui memorie
sono come fili di lana annodati
in un canestro di gomitoli.
Come ricordi spezzati al centro di un Pensatoio, che aspettano solo che qualcuno li
rimetta in fila, da capo…
Sono nata
in un freddo pomeriggio di gennaio, in un appartamento piccolo che non era una casa, ma un rifugio per tenere me e la mia famiglia nascosti. Lì siamo rimasti,
fino a che un giorno la luce ha trionfato sul male, dipanandone la contre fumosa e liberando così un cielo stellato.
Quello fu il
giorno in cui Colui che non Deve Essere
Nominato venne sconfitto. Quel giorno io non avevo
nemmeno due anni, per cui
non ho ricordo del nostro trasferimento in quella che era stata la casa dei genitori di
mia madre.
La mia famiglia è sempre stata molto numerosa e la casa, di conseguenza, rumorosa e piena di vita.
Ero la quarta di cinque sorelle, tutte figlie femmine.
La maggiore, Linnea, aveva dieci anni tondi più di me ed era, in un certo
senso, la causa del matrimonio dei nostri genitori. Niente fraintendimenti,
però; Margaret e Peter Blake si amavano molto quando hanno concepito Linnea, il
sesto anno di corso ad Hogwarts, nonostante le pessime voci che trapelarono dal
fatto decisero comunque di creare questa famiglia. Una famiglia nata quasi per
incindente, ma che era destinata a progredire, nonostante la giovane età dei miei genitori. Linnea è sempre stata
un po’ una mamma per tutte noi, la più dotta e di certo la più mite di tutte
con un grande cuore e un cervello da vera Corvonero. È entrata a far parte del
Ministero della Magia poco tempo dopo aver terminato la scuola, luogo di lavoro
anche dei nostri genitori, lavorando sodo per entrare a far parte degli Auron.
La seconda in ordina era Primerose, Serpeverde come papà e molto
più acuta e scaltra della maggiore. Da lei andavo sempre quando avevo un
problema da risolvere il prima possibile, era la sorella maggiore che dava
consigli e aiutava ad organizzare piccole cospirazioni domestiche ai danni un
po’ di tutti i residenti della casa. La sua gemella, Iris, invece è sempre
stata più propensa a farsi i fatti suoi. Era uguale alla mamma e come lei della
casata di Corvonero.
Due anni dopo di loro
nacqui io, la quarta per l’appunto, ed infine mia sorella minore, Violet,
un anno più giovane. Eravamo tutte piuttosto simili nell’aspetto fisico, tanto
che gli amici di papà lo prendevano in giro quando eravamo piccole, sostenendo
che si vedeva che venivamo tutte dallo stesso calderone. Nostra
madre, Margaret, dava tutta se stessa nel suo lavoro al Ministero della
Magia, sezione dedicata ai rapporti con i Babbani, così tanto che noi non
la vedevamo mai. Di lei non ricordo molto, purtroppo, ma a casa abbiamo sempre
avuto un intero ripieno pieno di sue foto. Aveva due bellissimi occhi di un
verde così smeraldino da farli sembrare due pietre preziose, perennemente
piegati in una virgola seria, e teneva i capelli lisci e biondi sempre stretti
in un ciglion alto sulla nuca. Aveva un indole molto rigida, ma
quando guardava le sue figlie si scioglieva sempre in un dolce sorriso. Di lei
ricordo soprattutto questo. Un bellissimo sorriso, che mi dava calore e asciugava
le mie lacrime. Non ho memoria della sua voce, del suo profumo o selle sue
carezze, ma quel sorriso non abbandonerà mai la mia mente.
Mio padre, Peter Blake,
aveva dedicato tutta la sua vita a perseguire il mestiere dei suoi padri:
allevatori di draghi. Era un mestiere che la nostra famiglia portava avanti da
più di cinque secoli, destinato a passare per la prima volta nelle mani di una
signorina, come ci ricordava sempre papà, visto che non aveva avuto figli
maschi. Non che ne avesse mai voluti, sosteneva che noi fossimo più che portate
per il lavoro.
Però, anche lui a casa
non c’era mai.
Di lui ho moltissimi
ricordi. Era un bel uomo, con il corpo temprato dal duro lavoro e la mente
aperta dai lunghi viaggi che lo tenevano perennemente impegnato all’estero. Bulgaria,
Cina, Americhe,Giappone e molti altri posti alle nostre orecchie
irraggiungibili ed esotici. Adoravamo sederci tutte attorno a lui appena
rincasava e ascoltare le sue storie strette sul divano. Viveva una eccitante che non pareva voler sacrificare
solo perché aveva messo su, forse ingenuamente, una famiglia tanto numerosa.
Portava i capelli corti e di un castano chiaro quasi ramato e aveva due occhi
azzurri molto espressivi, che aveva trasmesso a tutte le sue figlie.
Durante le loro frequenti
assenze, noi venivamo affidate alla nostra adorata bambinaia, una donna incredibilmente
dolce e comprensiva che ci allevò all’interno del grande maniero di casa Blake,
lontano da ogni etichetta sociale. Per gli altri, noi eravamo una famiglia nobile
di maghi purosangue ben nota e rispettata, ma fra le mura domestiche questi
argomenti non potevano venire affrontati per volontà di mia madre, che
detestava di riferirsi alla nostra famiglia come membri di una casta. Diceva
sempre che le ricordava troppo i ‘giorni oscuri’, ma noi non sapevamo cosa
significasse. Non le importava se le persone le dicevano che doveva guardare
meglio le sue amicizie o se papà le ricordava che avevano una reputazione. Lei
amava passare del tempo in compagnia delle persone normali, i Babbani. Diceva
di ammirarne la cultura e la storia. Passava molto tempo in ufficio con un suo
colleva, Arthur Weasley, a fare teorie su manufatti strani, ma di uso comune, a
parlare e a ridere di coloro che sostenevano che entrambi stavano perdendo del
tutto la loro credibilità.
Papà non aveva ‘troppi
pregiudizi’, però ci teneva molto alla reputazione. Nonostante questo, amava
troppo mia madre per impedirle di far ciò che riteneva opportuno. O iscrivere
noi a una scuola Babbana. O di riempire la casa di strani oggetti, curiosi ma inutili
per un mago.
Come ho già detto, crebbi
assieme a Laureen, la mia balia. Lei era una nata Babbana, quindi fu molto
brava a crescerci così, in bilico fra due mondi. Mi diede lezioni di
pianoforte, sia a me che a Iris, mentre le altre si dilettavano in altre
attività. Crebbi circondata da persone provenienti da tutte le realtà che
potevo vivere. Nonostante la mancanza costante dei miei genitori potevo dirmi felice.
A spezzare quella
fragile armonia, costruita in bilico su sottili gambe di cristallo, bastò un
soffio di vento contrario.
Avevo otto anni quando
nostra madre morì in seguito alla complicazioni di una bruttissima forma
influenzale che aveva contratto in un viaggio in Cambogia, una di quelle rare
volte in che decise di accompagnare papà.
Fu straziante per tutti
noi, visto che ciò accadde in un tempo brevissimo.
Papà si strinse attorno
a tutte noi, sconvolto da quel avvenimento e dal nostro modo di reagire a quella
tragedia.
Capì che lui e la mamma,
per noi, erano quasi al pari di due estranei e si ripromise di
starci accanto affinché anche noi potessimo sentire il calore famigliare che ci
mancava dalla nascita.
Iniziò ritirdando tutte
noi dalla scuola Babbana e pagandoci un maestro privato, mentre dietro le
nostre spalle riprendeva a ricostruire un po’ il suo nome. Detta così, può
sembrare crudele, ma da adulta ho capito le motivazioni che l’hanno portato a
ripristinare quel muro tra noi e il regno non magico che la mamma aveva
abbattuto.
Gli serviva sostegno e i
soli amici che aveva coltivato, erano coloro che non devevano di buon occhi le
manie ‘babbanofile’ della signore Blake. I soli con i quali non perse mai i
contatti rimasero, comunque, i signori Weasley, che aiutarono molto quando la
mamma se ne andò.
Tutto ciò, papà lo fece
continuando, però, il suo mestiere e quindi trasferendolo a casa. Ci
trasferimmo in un paese più piccolo, non troppo lontano da quello in cui
vivevamo prima, fuori Reading. La villa era grande, ma mi sembrava fredda e
sempre troppo silenziosa. Dietro c’era un gigantesco bosco, di nostra
proprietà, che papà incantò per renderlo utile al suo scopo.
Mi svegliai una mattina
con un Norvegese che mi fissava dalla finestra della mia stanza, e quello fu il
mio primo incontro con un drago. Urlai, più sorpresa che spaventata e mio padre
corse da me. Aprì la finestra, tenendomi la mano mentre la appoggiavo sul muso
della bestia, chiuso con pesanti lacci di cuoio per impedirgli di aprire le fauci.
Non mi pervero necessarie, però, perché sembrava tranquillo. Molto più di me,
per lo meno.
“Non devi temere mai
quando sono con te, Dahlia” furono le parole che papà mi sussurrò in quel
momento, prima di richiudere la finestra e andare ad aiutare i suoi assistenti.
Papà è sempre stato l’eroe leggendario nella mia mente, la persona che più
stimavonella vita, anche quando organizzava grandi feste per ritornare a
integrarsi nella società e io ero costretta a starmene tutta la sera impomatata
in mezzo a maghi dall’aria cenciosa, che mi guardavano dall’alto verso il
basso. Uno fra questi era Lucius Malfoy, che era cresciuto con mio
padre e di cui era molto amico. Fin da piccola, mi dava sensazioni strane e
contrastanti, così come suo figlio Draco.
Il ragazzo, così ossequoso e spavaldo, aveva la mia stessa età, così mi
rassegnai in fretta al fatto che saremmo diventati compagni di scuola.
Il primo anno alla
scuola di magia e stregoneria di Hogwarts finalmente arrivò anche per
me.
Ero stanca di vedere le mie
sorelle partire senza di me, quello era il mio anno.
Il giorno in cui papà mi
portà a Diagon Alley per prendere la mia prima bacchetta ero elettrizzata.
Legno di cigliegio, nove pollici e mezzo, con anima in crine di unicorno.
Chiesi a papà se mai avesse avuto l’occasione di vederne uno a Hogwarts e la
sua risposta fu un sorrisetto divertito e un no al quale non credetti per
nulla.
Comprai tutto il
necessario, libri di testo e divise, ma papà si oppose all’acquisto di un
manico di scopa. La cosa non mi turbò molto, non avevo mai volato se non su un
drago e accettai il fatto che almeno per il primo anno, avrei usato quelle
della scuola. Il calderone pesava, pieno di libri e calamai, ma non me ne
curai, perché avevo anche io un animale domestico personale, ora. Una piccola
gattina, tutta nera, che divenne sin da subito una compagnia inestimabile.
Il primo settembre
arrivò in fretta. Attraversato il binario nove e tra quarti mi ritrovai di
fronte, per la prima volta, all’Espresso di Hogwarts. Sedetti in uno dei vagoni
insieme ad una mia vecchia amica, Fay Murray e alle mie due sorelle
gemelle, fino ad arrivare a destinazione e non mi staccai da loro nemmeno per
il tragitto in barca, dove solo quelli del primo anno potevano andare.
“Quello con Weasley chi
è?” chiesi a Fay, visto che stava fissando il moro da più di cinque minuti e
lei subito mi guardò stupita, come se quella mancanza fosse incolmabile.
“Come chi è? È Harry
Potter!”
Ovviamente conoscevo la
storia prodigiosa del ragazzo e mi ritrovai a fissarlo stupita con gli occhi
sgranati. Persi però subito l’interesse, perché non potevo non guardarmi
attorno mentre ci incamminavano verso la sala grande del castello. Mi
incuriosiva molto quel Potter e, come tutti quanti, nutrivo dentro di me il
desidero di scoprire quanto fosse davvero speciale, ma ero appena arriva nel
luogo in cui avrei trascorso sette anni della mia vita ed era tutto così grande
e incantevole che non riuscii a concentrarmi su altro.
Il momento più
importante di tutti arrivò: lo Smistamento, ovvero il momento in cui sarei
stata mandata in quella che sarebbe stata la mia Casa da lì a sette anni. Era
davvero importante, quindi, che la
scelta del cappello parlante fosse ben studiata. Allora non lo sapevo, ma il
Cappello Parlante non era solo un ottimo compositore di finastrocche. Non
sbagliava mai la collocazione.
“Blake, Dahlia”
Fay mi sorrise per
incoraggiarmi, ma io di certo non ne
avevo bisogno di essere ulteriormente esortata. Mi sentivo come se tutta la mia
vita dipendesse da quell’unico istante. Andai a sedermi sullo sgabello, di
fronte a tutti quegli studenti e di spalle ai professori e un senso di
inadeguata paura mi colse. Però era solo il cambiamento, papà l’aveva detto che
sarebbe successo, così concentrandomi su quelle parole, attesi che la
professoressa McGrannit appoggiasse il
vecchio e liso copricato sul mio capo biondo.
“Mhm… Vediamo un po’
dove collocare questa giovane.” Iniziò a brontolare subito il magico
oggetto, mentre io attendevo “Vedo fierezza, determinazione e intelligenza.
Vedo una testa che non ha paura di fare ciò che la sua stessa coscienza le
dice, anche a discapito delle regole. Vedo astuzia, ma anche una certa, velata
insicurezza.” Mi morsi il labbro, chiedendomi se io fossi davvero così come mi
stava descrivendo “C’è gentilezza, in te, spirito di iniziativa, ma la tua
ambizione offusca un po’ il tuo giudizio. Vuoi diventare importante, come tuo
padre e tua madre prima di te, vuoi che tutti sappiano di chi sei figlia… Non penso ci sia un posto più
azzeccato di… Serpeverde!”
Fu come se un grosso
peso da novanta mi fosse appena stato levato dalle spalle. Ero finita nella
Casata di Prime, di mio padre e di suo padre prima di lui. Il luogo in cui
avevo sperato di appartenere.
Al tavolo venni accolta
da applausi e un abbraccio di mia sorella, mentre Fay veniva smistata a
Tassorosso. Persi quindi quella momentanea compagna di viaggio, sicura che ne
avrei però acquistati molti altri. Lì, seduti attorno a me, c’erano già alcuni
volti conosciuti, come quello di Theodore Nott e Draco Malfoy, ma anche altri
nuovi che conobbi appena seduta, come Blaise Zabini o Pansy Parsons. Per me, ai
tempi, erano solo volti, ma presto sarebbero diventati figure importanti, nella
mia vita.
La cerimonia terminò e
il cibo apparve non appena Silente lo chiamò.
Divorammo tutti quel
banchetto sfizioso con entusiasmo poi lasciammo alzare i ragazzi più
grandi affinchè si ritirassero nel dormitorio, come ci chiesero di
fare i Prefetti, che poi ci scortarono verso i sotterranei.
L’accesso era dietro a
un corridoio lungo, di fronte a una parete di roccia all’apparenza spoglia. La
parola d’ingresso ci venne comunicata, così come fare
Per reperire quella
nuova di volta in volta che essa veniva cambiata.
Quando per la prima
volta entrai nella sala comune, me ne innamorai. Essa era una stanza molto
ampia, ma dal soffitto piuttosto basso. Tutto attorno ad essa c’erano molto
archi che condicevano ai corridoi dove erano situati i dormitori, il tutto
illuminato da lanterne che irradiavamo una cupa luce verdognola. Attorno a me
c’erano alcune teche, contenenti dei serpenti vivi e vegeti che strisciavamo
tra foglie e rami secchi, mi avvicinai curiosa ad una di esse e un pitone
albino mi ricambiò lo sguardo vitreo.
Il corridoio degli
alloggi del primo e del secondo anno era il primo sulla sinistra. Lo imboccai
per prima, appena i Prefetti ci mandarono a letto, curiosa di visitare quel
luogo per me ancora inesplorato. Riconobbi subito il mio baule appena aperta la
porta e corsi a liberare Ophelia, la mia gattina, dalla gabbia.
Questa, riconoscente, si strusciò contro al mio fianco mentre mi sedevo sul
copriletto verde e trapuntato del letto a baldacchino. Faceva un po’ freddo,
nonostante il focolare al centro della stanza e c’era molta umidità. Sapevo il
motivo, però, Prime mi aveva messa al corrente del fatto che il dormitorio
fosse sotto al lago nero.
I letti erano quattro in
tutto, visto che avevo da spartire la stanza con appena tre compagne di classe
del primo anno. La prima che nella stanza, si
chiamava Adrianne Dixon e strinsi sin da subito amicizia molto
bella con lei, trovandola una persona frizzante e divertente. Suo padre gestiva
una delle più grosse fabbriche di calderoni esistenti ed era piuttosto famoso.
Un’altra era Jenna Bell,
la figlia di Thomas Bell, vice segretario del Dipartimento sulle Catastrofi e
gli Incidenti Magici. Era una ragazza strana, con lunghi capelli biondo cenere
e grandi occhi grigi che scrutavano quasi assenti tutto ciò che le capitava
attorno. Non era molto estroversa ed anzi, preferiva isolarsi chiudendo le
tende verde smeraldo del letto a baldacchino, passando le sue serate a leggere.
Ci misi molto più tempo a conquistarla, ma una volta fatto, divenne
inseparabile da me e Adrianne.
Infine
veniva Pansy Parkinson, che aveva il problema inverso: la troppa
voglia di parlarci di cose totalmente noiose ed inutili. Fin dalla prima sera
iniziai a covare sentimenti poco gentili nei suoi riguardi, fino ad arrivare al
non poterla vedere proprio.
Altre tre ragazze del
nostro anno avevano la stanza di fronte alla nostra. Tracy Davis non era male,
ma tendeva a vantarsi un po’ troppo. Lo stesso valeva per Daphne Greengrass,
che oltre al vantarsi, aveva l’insopportabile mania di lanciare velatissimi
insulti a tutte le altre ragazze che la circondavano. Ovviamente alle spalle.
L’altra era Millicent, una nerboluta ragazzona che, fra tutte, era la meno
antipatica. Almeno non parlava quasi con nessuno. Avrei preferito mille volte
avere lei in camerata, rispetto alla Parsons.
Il primo anno volò
velocemente e mi trovai con eccellenti doti in Pozioni e un quasi disastro in Trasfigurazione.
Il mio rapporto con Adrianne e Jenna crebbe e assieme ci coalizzammo
in modo piuttosto evidente per tenere la Parkison il più lontano
possibile e fuori dai nostra affari, visto che tutte e tre avevamo di meglio da
fare che sentirla sproloquiare dal mattino alla sera su Draco Malfoy.
Mi stupii molto nel
conoscere Harry Potter, lo trovavo un ragazzo particolare ma interessante,
anche se la nostra amicizia non fu nulla di più di una banale conoscenza dovuta
al passare quasi ogni giorno agli stessi corsi. Poi con lui c’era sempre
un’altra persona, che sopportavo davvero a piccole dosi, ovvero Hermione Granger, la so tutto
di turno che ogni anno ha.
Avevo molti amici nelle
altre casate, così come diversi altri del mio corso, ma naturalmente c’è sempre
chi si crede migliore degli altri e deve sempre parlare e dire la sua.
Nel mio caso, questa
fantomatica figura era Draco Malfoy.
Il primo anno non
eravamo amici, non parlavamo e nessuno dei due evitava l’altra. Semplicemente
non avevamo niente a che spartire. Papà mi scriveva spesso chiedendomi di fare
amicizia con lui, con il figlio del suo vecchio amico, ma io non ci ho mai
davvero provato e nemmeno Draco pareva interessato alla mia esistenza. Di tutte
le volte che abbiamo avuto a che fare, ricordo solo una con precisione.
Questo fatto avvenne
verso la fine del primo anno, ed è davvero il solo degno di nota in cui parlai
sia con Harry Potter che con Draco Malfoy. Al secondo, fra l’altro, per
cantagliele….
“Ciao Lia, come stai?” alzai gli occhi dal
libro di Incantesimi, scontrandoli con quelli chiari di Harry. Si sedette sotto
all’albero dove io stavo studiando, stupendomi di quella strana intrusione. Non
si era mai seduto accanto a me prima, ne per una lezione, né a natale quando il
castello si era svuotato ed eravamo rimasti in pochi.
Curiosa, appoggiai il
libro contro la mia coscia, guardandola come ogni dodicenne curiosa poteva
fare.
Il leggendario bambino
che era sopravvissuto alla morte voleva parlare con me, doveva esserci un
motivo, no?
A quanto pare no.
“Non male, anche se sono
un po’ preoccupata per la verifica finale ce ci farà domani il
professor Vitious.” Fu la mia risposta tranquilla. Lui annuì appena
osservando il mio libro “Ho sentito cosa hai combinato nei sotterranei della
scuola” insistetti. Tutti lo sapevano e lui sorrise appena un po’ intimidito
per tutta quell’ulteriore popolarità.
“Sicuramente le persone
stanno esagerando. Se non fosse stato per Hermione e Ron io
non avrei mai…”
“Ma bene! Cosa vedo!”
alzammo gli occhi in contemporanea trovandoci davanti Malfoy che
sogghignava “Non dovresti socializzare
con certi scarti della società, Blake, oppure ti abbasserai al
loro livello e la gente inizierà a parlare.”
A quell’età, non sapevo
bene cosa rispondere a una simile provocazione.
Non ero cresciuta come
lui, in un mondo di regole non scritte e facciate che valevano più della
realtà.
Semplicemente mi
aggiustai il mantello della divisa, prima di guardare il biondo di rimando “Non temere Draco” iniziai con tono
leggero, eppure provocatorio “So scegliere da sola chi è uno scarto e chi non
lo è” detto ciò, tornai ad aprire il libro e finsi di leggere con non curanza
una formula, come facevo da bambina quando Laureen mi chiamava e io mi mostravo
indaffarata verso altro. Il biondo mi riservò uno sguardo fortemente risentito
e dopo aver esternato con un’orrenda
espressione il suo disappunto, se ne andò via. Senza Tiger e Goyle non osava
troppo “Non devi farci caso” dissi ad Harry, che mi guardò stupito
“Draco si crede superiore a tutto e tutti.”
Harry ridacchiò appena,
annuendo alle mie parole “Grazie.” Disse alla fine, per ciò che avevo detto.
“Quando sono arrivato credevo che tutti i Serpeverde fossero come lui, ma
sbagliavo.”
“Pensavi male, Potter.”
Risposi, prima di sistemarmi con la schiena contro al tronco dell’albero “Draco appartiene
ad una casa tutta sua, dove può burlarsi di tutto e tutti. Perché sei venuto a
cercarmi?”
Harry iniziò,
imbarazzato, a chiedermi un paio di cose su una lezione di pozioni che per ovvi
motivi lui e i suoi due amici avevano saltato e io fui ben contenta di passargli
i miei appunti, pensando nella mia testa che sarebbe potuta diventare
un’amicizia producente quella con lui.
Non intendevo
sicuramente entrare nei suoi affari, ma quello era Harry Potter e tutti avevano
un debole per lui.
Incredibile la piega che avrebbe preso la mia
vita da quel momento in poi.
Continua.