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Autore: Nocticula_Nott    09/02/2016    1 recensioni
Fanfiction revisionata e ripostata
Doveva essere così, quindi, la morte?
Un’attensa lunga una vita, nella quale si protende verso la negazione? Assurdo.La Guerra aveva generato più orfani che scontri, più abbandoni che vittorie.
Bisogna essere davvero stupidi, mi dissi, per permettere un tale scempio e anzi, farne parte.
Quanta morte.
Quanta paura.
Anche la speranza, ultima guardiana e spinta motrice della nostra determinazione, aveva abbandonato il mio cuore.
***
Nuovo personaggio originale. Pairing Draco/OC
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
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Premessa: Prima di tutto, grazie per aver anche solo aperto questa storia.

È stata scritta tra il 2010 e il 2011 e quindi, quando per puro caso qualche giorno fa l’ho ri-aperta, sono morta di orrore.

Una pena.

Personaggi andati totalmente OOC, una Marie Sue senza precedenti e tanti altri dettagli che vi risparmio.

Per questo e tanti altri motivi, la storia andava cancellata.

Però era la mia prima ff, quella che ti rimane un po’ nel cuore e che vorresti sistemare.

Quindi, perché non farlo?

Ho cinquanta sei capitoli da mettere a posto e almeno una decina da scrivere per darle una conclusione e ho intenzione di farlo, ogni volta che ne avrò il tempo.

Ho cambiato molte cose, a partire dai nomi dei miei personaggi e in particolare della protagonista, che da Kailey Drake è diventata Dahlia Blake (perché, lo spiegherò strada facendo)

Sono state rimosse scene che rovinavano l’atmosfera e aggiunti plot twist strani ed eventuali.

In altre parole, sono diventata radical chic (??) e mi sono data al recupero di questa storia.

Spero di ottenere un buon risultato, perché trecentocinque recensioni a quella di prima erano sprecate.

Spero in questa!

Ci sentiamo presto, cercherò di caricare celermente i primi capitoli.


Buona lettura,

NN.

 

 




Tell me, who you kill,

to save your life?

                                                                                                                                                                                                      

 

Prologue: the End of the Journey.

 

 

 

Il mio sangue era caldo,  la sua consistenza era fastidiosa.

In qualche modo, ero riuscita a praticarmi un incantesimo di guarigione, ma la sensazione che provavo, quella perdita di calore dal corpo verso l’esterno, rimaneva.

La gamba faceva male, un male dannato, mentre sentivo una strana pressione sul petto.

Forse era una costola rotta, forse era il dolore che era così forte da diventare fisico.

La pausa tra un atto e l’altro di quella barbara battaglia teneva col fiato sospeso tutti, ma una volta rientrati nella sala Grande, ora adibita a macabro rifugio dove avevamo sistemato i caduti, la paura aveva lasciato il posto a un grande sconforto.

Mi sentivo strana, chiusa in una bolla, come se tutto attorno a me mi fosse improvvisamente estraneo.

Seduta su quella brandina, accanto al corpo senza vita del mio tutore, il tempo si dilatò tanto che parve fermarsi per qualche minuto.

Doveva essere così, quindi, la morte?

Un’attensa lunga una vita, nella quale si protende verso la negazione? Assurdo.

Ero così stanca che non riuscivo nemmeno a piangere la perdita dell’ennesimo membro di quella che, ormai, era diventata la mia famiglia.

Semplicemente, appoggiai una mano sulla spalla di Lupin, guardando il suo volto rilassato nel sonno eterno e domandandomi cosa avesse provato.

Forse aveva pensato a suo figlio, alla sua vita, al fatto che non avrebbe potuto offrirgli più quel sostegno che ogni padre desidera dare al proprio pargolo.

Quanti orfani.

La Guerra aveva generato più orfani che scontri, più abbandoni che vittorie.

Bisogna essere davvero stupidi, mi dissi, per permettere un tale scempio e anzi, farne parte.

Quanta morte.

Quanta paura.

Anche la speranza, ultima guardiana e spinta motrice della nostra determinazione, aveva abbandonato il mio cuore.

Negli occhi dei miei compagni potevo leggere solamente questo sentimento, una pacata e muta rassegnazione.

A fatica feci leva sulla gamba sana, alzandomi e zoppicando qualche passo, prima di riuscire a piegare di nuovo il ginocchio.

Per quanto fossi sfinita, sapevo però che l’epilogo era ancora lontano, così mi avvicinai al ragazzo che mi aveva chiamata una, due, cento volte. Non sapevo dirlo.

Ci scambiammo uno sguardo e lui non disse nulla.

Fui io a parlare, dopo aver mestamente annuito, come per confermare quelle parole a me stessa e non al mio interlocutore.

Sono pronta.” Mentii ed Harry, con la stessa bugia nel cuore, disse d’esserlo anche lui.

 

 

 

 

 

Ma ora, fermiamoci qui.

Perchè partire a narrare una storia dalla fine?

Ci sono giorni in cui mi sembra tutto così cupo e oscuro, che riportare alla mente quando tutto era ancora bello e felice fa troppo male, per questo la memoria solida di quella giornata mi tiene ancorata alla realtà.

Tutt’oggi, ci sono ferite che non possono guarire, cicatrici così profonde che rimangono indelebili per l’eternità.

Tutt’oggi, mi interrogo su quanto ho fatto e mi domando, cercando una risposta sincera, se non avessi potuto in qualche modo evitare un podi sofferenza a coloro che amo.

Purtroppo, ogni risposta, è una coltellata al cuore.

Riaffronto ora, di nuovo, questo percorso, mettendo in fila ciò che è stata la mia vita, le cui memorie sono come fili di lana annodati in un canestro di gomitoli.

Come ricordi spezzati al centro di un Pensatoio, che aspettano solo che qualcuno li rimetta in fila, da capo…

 

 

 

Sono nata in un freddo pomeriggio di gennaio, in un appartamento piccolo che non era una casa, ma un rifugio per tenere me e la mia famiglia nascosti. siamo rimasti, fino a che un giorno la luce ha trionfato sul male, dipanandone la contre fumosa e liberando così un cielo stellato.

Quello fu il giorno in cui Colui che non Deve Essere Nominato venne sconfitto. Quel giorno io non avevo nemmeno due anni, per cui non ho ricordo del nostro trasferimento in quella che era stata la casa dei genitori di mia madre.
La mia famiglia è sempre stata molto numerosa e la casa, di conseguenza, rumorosa e piena di vita.

Ero la  quarta di cinque sorelle, tutte figlie femmine. La maggiore, Linnea, aveva dieci anni tondi più di me ed era, in un certo senso, la causa del matrimonio dei nostri genitori. Niente fraintendimenti, però; Margaret e Peter Blake si amavano molto quando hanno concepito Linnea, il sesto anno di corso ad Hogwarts, nonostante le pessime voci che trapelarono dal fatto decisero comunque di creare questa famiglia. Una famiglia nata quasi per incindente, ma che era destinata a progredire, nonostante la giovane  età dei miei genitori. Linnea è sempre stata un po’ una mamma per tutte noi, la più dotta e di certo la più mite di tutte con un grande cuore e un cervello da vera Corvonero. È entrata a far parte del Ministero della Magia poco tempo dopo aver terminato la scuola, luogo di lavoro anche dei nostri genitori, lavorando sodo per entrare a far parte degli Auron. La seconda in ordina era Primerose, Serpeverde come papà e molto più acuta e scaltra della maggiore. Da lei andavo sempre quando avevo un problema da risolvere il prima possibile, era la sorella maggiore che dava consigli e aiutava ad organizzare piccole cospirazioni domestiche ai danni un po’ di tutti i residenti della casa. La sua gemella, Iris, invece è sempre stata più propensa a farsi i fatti suoi. Era uguale alla mamma e come lei della casata di Corvonero.

Due anni dopo di loro nacqui io, la quarta per l’appunto, ed infine mia sorella minore, Violet, un anno più giovane. Eravamo tutte piuttosto simili nell’aspetto fisico, tanto che gli amici di papà lo prendevano in giro quando eravamo piccole, sostenendo che si vedeva che venivamo tutte dallo stesso calderone. Nostra madre, Margaret, dava tutta se stessa nel suo lavoro al Ministero della Magia, sezione dedicata ai rapporti con i Babbani, così tanto che noi non la vedevamo mai. Di lei non ricordo molto, purtroppo, ma a casa abbiamo sempre avuto un intero ripieno pieno di sue foto. Aveva due bellissimi occhi di un verde così smeraldino da farli sembrare due pietre preziose, perennemente piegati in una virgola seria, e teneva i capelli lisci e biondi sempre stretti in un ciglion alto sulla nuca. Aveva un indole molto rigida, ma quando guardava le sue figlie si scioglieva sempre in un dolce sorriso. Di lei ricordo soprattutto questo. Un bellissimo sorriso, che mi dava calore e asciugava le mie lacrime. Non ho memoria della sua voce, del suo profumo o selle sue carezze, ma quel sorriso non abbandonerà mai la mia mente.

Mio padre, Peter Blake, aveva dedicato tutta la sua vita a perseguire il mestiere dei suoi padri: allevatori di draghi. Era un mestiere che la nostra famiglia portava avanti da più di cinque secoli, destinato a passare per la prima volta nelle mani di una signorina, come ci ricordava sempre papà, visto che non aveva avuto figli maschi. Non che ne avesse mai voluti, sosteneva che noi fossimo più che portate per il lavoro.

Però, anche lui a casa non c’era mai.

Di lui ho moltissimi ricordi. Era un bel uomo, con il corpo temprato dal duro lavoro e la mente aperta dai lunghi viaggi che lo tenevano perennemente impegnato all’estero. Bulgaria, Cina, Americhe,Giappone e molti altri posti alle nostre orecchie irraggiungibili ed esotici. Adoravamo sederci tutte attorno a lui appena rincasava e ascoltare le sue storie strette sul divano. Viveva una  eccitante che non pareva voler sacrificare solo perché aveva messo su, forse ingenuamente, una famiglia tanto numerosa. Portava i capelli corti e di un castano chiaro quasi ramato e aveva due occhi azzurri molto espressivi, che aveva trasmesso a tutte le sue figlie.

Durante le loro frequenti assenze, noi venivamo affidate alla nostra adorata bambinaia, una donna incredibilmente dolce e comprensiva che ci allevò all’interno del grande maniero di casa Blake, lontano da ogni etichetta sociale. Per gli altri, noi eravamo una famiglia nobile di maghi purosangue ben nota e rispettata, ma fra le mura domestiche questi argomenti non potevano venire affrontati per volontà di mia madre, che detestava di riferirsi alla nostra famiglia come membri di una casta. Diceva sempre che le ricordava troppo i ‘giorni oscuri’, ma noi non sapevamo cosa significasse. Non le importava se le persone le dicevano che doveva guardare meglio le sue amicizie o se papà le ricordava che avevano una reputazione. Lei amava passare del tempo in compagnia delle persone normali, i Babbani. Diceva di ammirarne la cultura e la storia. Passava molto tempo in ufficio con un suo colleva, Arthur Weasley, a fare teorie su manufatti strani, ma di uso comune, a parlare e a ridere di coloro che sostenevano che entrambi stavano perdendo del tutto la loro credibilità.

Papà non aveva ‘troppi pregiudizi’, però ci teneva molto alla reputazione. Nonostante questo, amava troppo mia madre per impedirle di far ciò che riteneva opportuno. O iscrivere noi a una scuola Babbana. O di riempire la casa di strani oggetti, curiosi ma inutili per un mago.

Come ho già detto, crebbi assieme a Laureen, la mia balia. Lei era una nata Babbana, quindi fu molto brava a crescerci così, in bilico fra due mondi. Mi diede lezioni di pianoforte, sia a me che a Iris, mentre le altre si dilettavano in altre attività. Crebbi circondata da persone provenienti da tutte le realtà che potevo vivere. Nonostante la mancanza costante dei miei genitori potevo dirmi felice.

A spezzare quella fragile armonia, costruita in bilico su sottili gambe di cristallo, bastò un soffio di vento contrario.

Avevo otto anni quando nostra madre morì in seguito alla complicazioni di una bruttissima forma influenzale che aveva contratto in un viaggio in Cambogia, una di quelle rare volte in che decise di accompagnare papà.

Fu straziante per tutti noi, visto che ciò accadde in un tempo brevissimo.

Papà si strinse attorno a tutte noi, sconvolto da quel avvenimento e dal nostro modo di reagire a quella tragedia.

Capì che lui e la mamma, per noi, erano quasi al pari  di due estranei e si ripromise di starci accanto affinché anche noi potessimo sentire il calore famigliare che ci mancava dalla nascita.

Iniziò ritirdando tutte noi dalla scuola Babbana e pagandoci un maestro privato, mentre dietro le nostre spalle riprendeva a ricostruire un po’ il suo nome. Detta così, può sembrare crudele, ma da adulta ho capito le motivazioni che l’hanno portato a ripristinare quel muro tra noi e il regno non magico che la mamma aveva abbattuto.

Gli serviva sostegno e i soli amici che aveva coltivato, erano coloro che non devevano di buon occhi le manie ‘babbanofile’ della signore Blake. I soli con i quali non perse mai i contatti rimasero, comunque, i signori Weasley, che aiutarono molto quando la mamma se ne andò.

Tutto ciò, papà lo fece continuando, però,  il suo mestiere e quindi trasferendolo a casa. Ci trasferimmo in un paese più piccolo, non troppo lontano da quello in cui vivevamo prima, fuori Reading. La villa era grande, ma mi sembrava fredda e sempre troppo silenziosa. Dietro c’era un gigantesco bosco, di nostra proprietà, che papà incantò per renderlo utile al suo scopo.

Mi svegliai una mattina con un Norvegese che mi fissava dalla finestra della mia stanza, e quello fu il mio primo incontro con un drago. Urlai, più sorpresa che spaventata e mio padre corse da me. Aprì la finestra, tenendomi la mano mentre la appoggiavo sul muso della bestia, chiuso con pesanti lacci di cuoio per impedirgli di aprire le fauci. Non mi pervero necessarie, però, perché sembrava tranquillo. Molto più di me, per lo meno.

“Non devi temere mai quando sono con te, Dahlia” furono le parole che papà mi sussurrò in quel momento, prima di richiudere la finestra e andare ad aiutare i suoi assistenti. Papà è sempre stato l’eroe leggendario nella mia mente, la persona che più stimavonella vita, anche quando organizzava grandi feste per ritornare a integrarsi nella società e io ero costretta a starmene tutta la sera impomatata in mezzo a maghi dall’aria cenciosa, che mi guardavano dall’alto verso il basso. Uno fra questi era Lucius Malfoy, che era cresciuto con mio padre e di cui era molto amico. Fin da piccola, mi dava sensazioni strane e contrastanti, così come suo figlio Draco.  Il ragazzo, così ossequoso e spavaldo, aveva la mia stessa età, così mi rassegnai in fretta al fatto che saremmo diventati compagni di scuola.

 

 

 

Il primo anno alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts finalmente arrivò anche per me.

Ero stanca di vedere le mie sorelle partire senza di me, quello era il mio anno.

Il giorno in cui papà mi portà a Diagon Alley per prendere la mia prima bacchetta ero elettrizzata. Legno di cigliegio, nove pollici e mezzo, con anima in crine di unicorno. Chiesi a papà se mai avesse avuto l’occasione di vederne uno a Hogwarts e la sua risposta fu un sorrisetto divertito e un no al quale non credetti per nulla.

Comprai tutto il necessario, libri di testo e divise, ma papà si oppose all’acquisto di un manico di scopa. La cosa non mi turbò molto, non avevo mai volato se non su un drago e accettai il fatto che almeno per il primo anno, avrei usato quelle della scuola. Il calderone pesava, pieno di libri e calamai, ma non me ne curai, perché avevo anche io un animale domestico personale, ora. Una piccola gattina, tutta nera, che divenne sin da subito una compagnia inestimabile. 

 

 

Il primo settembre arrivò in fretta. Attraversato il binario nove e tra quarti mi ritrovai di fronte, per la prima volta, all’Espresso di Hogwarts. Sedetti in uno dei vagoni insieme ad una mia vecchia amica, Fay Murray e alle mie due sorelle gemelle, fino ad arrivare a destinazione e non mi staccai da loro nemmeno per il tragitto in barca, dove solo quelli del primo anno potevano andare.

“Quello con Weasley chi è?” chiesi a Fay, visto che stava fissando il moro da più di cinque minuti e lei subito mi guardò stupita, come se quella mancanza fosse incolmabile.

“Come chi è? È Harry Potter!”

Ovviamente conoscevo la storia prodigiosa del ragazzo e mi ritrovai a fissarlo stupita con gli occhi sgranati. Persi però subito l’interesse, perché non potevo non guardarmi attorno mentre ci incamminavano verso la sala grande del castello. Mi incuriosiva molto quel Potter e, come tutti quanti, nutrivo dentro di me il desidero di scoprire quanto fosse davvero speciale, ma ero appena arriva nel luogo in cui avrei trascorso sette anni della mia vita ed era tutto così grande e incantevole che non riuscii a concentrarmi su altro.

Il momento più importante di tutti arrivò: lo Smistamento, ovvero il momento in cui sarei stata mandata in quella che sarebbe stata la mia Casa da lì a sette anni. Era davvero importante, quindi,  che la scelta del cappello parlante fosse ben studiata. Allora non lo sapevo, ma il Cappello Parlante non era solo un ottimo compositore di finastrocche. Non sbagliava mai la collocazione.

“Blake, Dahlia”

Fay mi sorrise per incoraggiarmi,  ma io di certo non ne avevo bisogno di essere ulteriormente esortata. Mi sentivo come se tutta la mia vita dipendesse da quell’unico istante. Andai a sedermi sullo sgabello, di fronte a tutti quegli studenti e di spalle ai professori e un senso di inadeguata paura mi colse. Però era solo il cambiamento, papà l’aveva detto che sarebbe successo, così concentrandomi su quelle parole, attesi che la professoressa McGrannit appoggiasse  il vecchio e liso copricato sul mio capo biondo.

“Mhm… Vediamo un po’ dove collocare questa giovane.” Iniziò a brontolare subito il magico oggetto, mentre io attendevo “Vedo fierezza, determinazione e intelligenza. Vedo una testa che non ha paura di fare ciò che la sua stessa coscienza le dice, anche a discapito delle regole. Vedo astuzia, ma anche una certa, velata insicurezza.” Mi morsi il labbro, chiedendomi se io fossi davvero così come mi stava descrivendo “C’è gentilezza, in te, spirito di iniziativa, ma la tua ambizione offusca un po’ il tuo giudizio. Vuoi diventare importante, come tuo padre e tua madre prima di te, vuoi che tutti sappiano di chi sei figlia…  Non penso ci sia un posto più azzeccato di… Serpeverde!”

Fu come se un grosso peso da novanta mi fosse appena stato levato dalle spalle. Ero finita nella Casata di Prime, di mio padre e di suo padre prima di lui. Il luogo in cui avevo sperato di appartenere.

Al tavolo venni accolta da applausi e un abbraccio di mia sorella, mentre Fay veniva smistata a Tassorosso. Persi quindi quella momentanea compagna di viaggio, sicura che ne avrei però acquistati molti altri. Lì, seduti attorno a me, c’erano già alcuni volti conosciuti, come quello di Theodore Nott e Draco Malfoy, ma anche altri nuovi che conobbi appena seduta, come Blaise Zabini o Pansy Parsons. Per me, ai tempi, erano solo volti, ma presto sarebbero diventati figure importanti, nella mia vita.

La cerimonia terminò e il cibo apparve non appena Silente lo chiamò.

Divorammo tutti quel banchetto sfizioso con entusiasmo poi lasciammo alzare i ragazzi più grandi affinchè si ritirassero nel dormitorio, come ci chiesero di fare i Prefetti, che poi ci scortarono verso i sotterranei.

L’accesso era dietro a un corridoio lungo, di fronte a una parete di roccia all’apparenza spoglia. La parola d’ingresso ci venne comunicata, così come fare

Per reperire quella nuova di volta in volta che essa veniva cambiata.

Quando per la prima volta entrai nella sala comune, me ne innamorai. Essa era una stanza molto ampia, ma dal soffitto piuttosto basso. Tutto attorno ad essa c’erano molto archi che condicevano ai corridoi dove erano situati i dormitori, il tutto illuminato da lanterne che irradiavamo una cupa luce verdognola. Attorno a me c’erano alcune teche, contenenti dei serpenti vivi e vegeti che strisciavamo tra foglie e rami secchi, mi avvicinai curiosa ad una di esse e un pitone albino mi ricambiò lo sguardo vitreo.

Il corridoio degli alloggi del primo e del secondo anno era il primo sulla sinistra. Lo imboccai per prima, appena i Prefetti ci mandarono a letto, curiosa di visitare quel luogo per me ancora inesplorato. Riconobbi subito il mio baule appena aperta la porta e corsi a liberare Ophelia, la mia gattina, dalla gabbia. Questa, riconoscente, si strusciò contro al mio fianco mentre mi sedevo sul copriletto verde e trapuntato del letto a baldacchino. Faceva un po’ freddo, nonostante il focolare al centro della stanza e c’era molta umidità. Sapevo il motivo, però, Prime mi aveva messa al corrente del fatto che il dormitorio fosse sotto al lago nero.

I letti erano quattro in tutto, visto che avevo da spartire la stanza con appena tre compagne di classe del primo anno. La prima che nella stanza, si chiamava Adrianne Dixon e strinsi sin da subito amicizia molto bella con lei, trovandola una persona frizzante e divertente. Suo padre gestiva una delle più grosse fabbriche di calderoni esistenti ed era piuttosto famoso.

Un’altra era Jenna Bell, la figlia di Thomas Bell, vice segretario del Dipartimento sulle Catastrofi e gli Incidenti Magici. Era una ragazza strana, con lunghi capelli biondo cenere e grandi occhi grigi che scrutavano quasi assenti tutto ciò che le capitava attorno. Non era molto estroversa ed anzi, preferiva isolarsi chiudendo le tende verde smeraldo del letto a baldacchino, passando le sue serate a leggere. Ci misi molto più tempo a conquistarla, ma una volta fatto, divenne inseparabile da me e Adrianne.

Infine veniva Pansy Parkinson, che aveva il problema inverso: la troppa voglia di parlarci di cose totalmente noiose ed inutili. Fin dalla prima sera iniziai a covare sentimenti poco gentili nei suoi riguardi, fino ad arrivare al non poterla vedere proprio.

Altre tre ragazze del nostro anno avevano la stanza di fronte alla nostra. Tracy Davis non era male, ma tendeva a vantarsi un po’ troppo. Lo stesso valeva per Daphne Greengrass, che oltre al vantarsi, aveva l’insopportabile mania di lanciare velatissimi insulti a tutte le altre ragazze che la circondavano. Ovviamente alle spalle. L’altra era Millicent, una nerboluta ragazzona che, fra tutte, era la meno antipatica. Almeno non parlava quasi con nessuno. Avrei preferito mille volte avere lei in camerata, rispetto alla Parsons.

 

 

 

Il primo anno volò velocemente e mi trovai con eccellenti doti in Pozioni e un quasi disastro in Trasfigurazione. Il mio rapporto con Adrianne e Jenna crebbe e assieme ci coalizzammo in modo piuttosto evidente per tenere la Parkison il più lontano possibile e fuori dai nostra affari, visto che tutte e tre avevamo di meglio da fare che sentirla sproloquiare dal mattino alla sera su Draco Malfoy.

Mi stupii molto nel conoscere Harry Potter, lo trovavo un ragazzo particolare ma interessante, anche se la nostra amicizia non fu nulla di più di una banale conoscenza dovuta al passare quasi ogni giorno agli stessi corsi. Poi con lui c’era sempre un’altra persona, che sopportavo davvero a piccole dosi,  ovvero Hermione Granger, la so tutto di turno che ogni anno ha.

Avevo molti amici nelle altre casate, così come diversi altri del mio corso, ma naturalmente c’è sempre chi si crede migliore degli altri e deve sempre parlare e dire la sua.

Nel mio caso, questa fantomatica figura era Draco Malfoy.

Il primo anno non eravamo amici, non parlavamo e nessuno dei due evitava l’altra. Semplicemente non avevamo niente a che spartire. Papà mi scriveva spesso chiedendomi di fare amicizia con lui, con il figlio del suo vecchio amico, ma io non ci ho mai davvero provato e nemmeno Draco pareva interessato alla mia esistenza. Di tutte le volte che abbiamo avuto a che fare, ricordo solo una con precisione.

Questo fatto avvenne verso la fine del primo anno, ed è davvero il solo degno di nota in cui parlai sia con Harry Potter che con Draco Malfoy. Al secondo, fra l’altro, per cantagliele….

 

 

 

 

 “Ciao Lia, come stai?” alzai gli occhi dal libro di Incantesimi, scontrandoli con quelli chiari di Harry. Si sedette sotto all’albero dove io stavo studiando, stupendomi di quella strana intrusione. Non si era mai seduto accanto a me prima, ne per una lezione, né a natale quando il castello si era svuotato ed eravamo rimasti in pochi.

Curiosa, appoggiai il libro contro la mia coscia, guardandola come ogni dodicenne curiosa poteva fare.

Il leggendario bambino che era sopravvissuto alla morte voleva parlare con me, doveva esserci un motivo, no?

A quanto pare no.

“Non male, anche se sono un po’ preoccupata per la verifica finale ce ci farà domani il professor Vitious.” Fu la mia risposta tranquilla. Lui annuì appena osservando il mio libro “Ho sentito cosa hai combinato nei sotterranei della scuola” insistetti. Tutti lo sapevano e lui sorrise appena un po’ intimidito per tutta quell’ulteriore popolarità.

“Sicuramente le persone stanno esagerando. Se non fosse stato per Hermione e Ron io non avrei mai…”

“Ma bene! Cosa vedo!” alzammo gli occhi in contemporanea trovandoci davanti Malfoy che sogghignava  “Non dovresti socializzare con certi scarti della società, Blake, oppure ti abbasserai al loro livello e la gente inizierà a parlare.”

A quell’età, non sapevo bene cosa rispondere a una simile provocazione.

Non ero cresciuta come lui, in un mondo di regole non scritte e facciate che valevano più della realtà.

Semplicemente mi aggiustai il mantello della divisa, prima di guardare il biondo di rimando  “Non temere Draco” iniziai con tono leggero, eppure provocatorio “So scegliere da sola chi è uno scarto e chi non lo è” detto ciò, tornai ad aprire il libro e finsi di leggere con non curanza una formula, come facevo da bambina quando Laureen mi chiamava e io mi mostravo indaffarata verso altro. Il biondo mi riservò uno sguardo fortemente risentito e dopo aver esternato  con un’orrenda espressione il suo disappunto, se ne andò via. Senza Tiger e Goyle non osava troppo “Non devi farci caso” dissi ad Harry, che mi guardò stupito “Draco si crede superiore a tutto e tutti.”

Harry ridacchiò appena, annuendo alle mie parole “Grazie.” Disse alla fine, per ciò che avevo detto. “Quando sono arrivato credevo che tutti i Serpeverde fossero come lui, ma sbagliavo.”

“Pensavi male, Potter.” Risposi, prima di sistemarmi con la schiena contro al tronco dell’albero  “Draco appartiene ad una casa tutta sua, dove può burlarsi di tutto e tutti. Perché sei venuto a cercarmi?”

Harry iniziò, imbarazzato, a chiedermi un paio di cose su una lezione di pozioni che per ovvi motivi lui e i suoi due amici avevano saltato e io fui ben contenta di passargli i miei appunti, pensando nella mia testa che sarebbe potuta diventare un’amicizia producente quella con lui.

Non intendevo sicuramente entrare nei suoi affari, ma quello era Harry Potter e tutti avevano un debole per lui.

Incredibile la piega che avrebbe preso la mia vita da quel momento in poi.

 

Continua.



 




 

   
 
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