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Autore: Emphys    09/02/2016    1 recensioni
Alice è una giovane ragazza di 18 anni che a NewYork sta vivendo la vita che chiunque vorrebbe avere : ha un ragazzo perfetto e una migliore amica che farebbe di tutto per lei. Alice però ha un segreto: da qualche anno i suoi occhi le permettono di vedere al buio . Fino a quel momento era facilmente riuscita a tenerlo all'oscuro ai suoi amici ma le cose cambiano quando è costretta a trasferirsi a Londra con suo padre e la sua nuova compagna.
Come se lasciare la sua vita felice non fosse già stressante, Alice si ritrova a dover convivere con Oliver : il suo nuovo fratellastro troppo attraente per lasciarla indifferente, e a dover fare i conti con il passato della madre che non ha mai conosciuto.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CHE LA TORTURA CONTINUI

“ Non puoi sapere che cosa sta succedendo qua!” mi urla Dana dall'altra parte del telefono. 
“ Se tu la smettessi di urlare e me lo dicessi, sarebbe una grande soluzione!” obiettai facendola rimanere in silenzio. 
“ Ok, hai ragione. Sono calma. Calmissima” disse poi dopo aver fatto un respiro profondo. 
“ Parti dalla cosa più importante” la incitai io con voce tranquilla.
 Mi aveva chiamata alle due del mattino e anche se da lei probabilmente non erano nemmeno le dieci di sera mi ero al quanto agitata. 
“ Sei sicura? Allora siediti” 
“ Sono seduta, anzi sdraiata perché qua è notte e io stavo dormendo”
“ Allora... Si tratta di Peter e di..”
“ Di?” chiesi mettendomi dritta a sedere e sentendo già il mio cuore battere all'impazzata.
“ Di Maddie. Lei ne ha approfittato e ho sentito che questa sera si sono presentati alla festa di Dave insieme, mano nella mano.
 Così Giulia mi ha mandato una foto e nella foto si vedono loro due nello sfondo che si baciano. Non potevo resistere quindi ho chiamato
 Pete ma non mi ha risposto, probabilmente si sente in colpa perché è un pezzo di merda” Dopo aver finito riprese fiato, quasi non avesse
 respirato per dirmi tutto il più velocemente possibile ma  le sue parole furono come una coltellata al cuore.
 Maddie era la sua ex ragazza e … ero partita solo da due fottuti giorni. Come aveva potuto?
 Se mi fosse stato possibile avrei preso subito un aereo per andare a prenderlo e per tirargli un calcio dove non batte il sole. 
“ Wow” riuscii solo a rispondere  sentendo già le lacrime rigarmi il volto. 
“ Non piangere , capito? Tu troverai un damerino inglese mille volte meglio di Peter e glielo sbatterai in faccia!” mi incoraggiò Dana. 
Ma non riuscivo a vedere lati positivi in quel momento. Se Pete ci aveva messo così poco a rimpiazzarmi significava che ci aveva già pensato prima. 
“ Alice, se piangi io ti giuro che mi rapo a zero” mi minacciò facendomi scoppiare a ridere fra i singhiozzi. 
“ C'è qualcos'altro che dovresti dirmi?” chiesi tentando di cambiare discorso e di ricacciare le lacrime da dove venivano.
“ Uhm... No direi di no. Solo che mi manchi molto e che ancora aspetto foto provocanti del tuo bellissimo e perfetto fratellastro. Com'è che non mi sono ancora arrivate?” si interruppe qualche secondo e rispose a sua madre qualcosa di incomprensibile “ scusa tesoro ma devo andare. Ti chiamo domani va bene?” 
“ Va bene “ risposi fingendomi tranquilla.
“ Ti voglio bene. Non lasciarti abbattere ok?” 
“ Ok” Riagganciai. 
Rimasi nella mia bolla viola. I miei occhi peggioravano quando piangevo quindi in quel momento più che viola era quasi fucsia. Non riuscivo nemmeno a rimanere triste e al buio, che terribile sfigata. Mi scappò da ridere di me stessa e appoggiai la testa sulle ginocchia nascondendo la camera dalla mia vista. 
Sentii qualcosa graffiare il vetro della mia finestra e sperai fosse il mio assassino oppure uno spirito maligno venuto per portarmi all'inferno. Entrambe le opzioni sembravano più gradevoli del pensiero di Peter e quella sgualdrina di Maddie. La mia non era gelosia, intendiamoci, non ero mai stata una tipa particolarmente gelosa. Era più una rabbia incontrollata che mi avrebbe sicuramente spinto ad ucciderli se non fossi stata ad un oceano di distanza. Pete doveva ritenersi fortunato. Purtroppo per me a raschiare il vetro erano solamente i rami della quercia , mossi dal vento. Diventò fin troppo inquietante per i miei gusti così mi alzai e presi il telecomando del televisore, sperando che mio padre avesse scaricato i miei film come gli avevo chiesto. L'accesi e mi lasciai accecare qualche secondo dalla luce dello schermo che mandò in frantumi la mia bolla viola. Ne fui sollevata, non avevo bisogno di sentirmi strana a tutte le ore del giorno. Passai in rassegna con lo sguardo i titoli dei film e scelsi Colazione Da Tiffany. Un po' perché sentivo la mancanza di New York e un po' perché avevo bisogno di essere contagiata dalla personalità frizzante di Holly Golightly.  Mi immaginai percorrere nuovamente quelle strade che tanto amavo, all'alba quando ancora non c'era la folla a spintonare e urlare. Sarei tornata un giorno, ma non per Peter o Dana, ma per la città. Quella magica città. 
Sentii il rumore di ruote sulla ghiaia del vialetto. Una macchina stava parcheggiando. Controllai l'ora sul telefono: erano le tre di notte, chi diavolo tornava a quell'ora? Scostai le coperte e corsi verso la finestra; una macchina nera con i finestrini oscurati, degna di una star di Hollywood era ormai ferma davanti alla porta di casa. Scrutai nell'attesa che qualcuno scendesse, passò qualche secondo che mi sembrò interminabile e alla fine la portiera del passeggerò si aprì. Oliver scese dalla macchina e dopo aver detto un'ultima parola a qualcuno che rimaneva ben nascosto alla mia vista , si avviò verso la porta d'ingresso. L'autista della macchia riaccese il motore e si ritirò, andando il più piano possibile per non fare rumore. 
Tornai a sedermi sul letto e rimasi a riflettere qualche istante se cogliere il mio nuovo fratellastro sul fatto o indagare più discretamente la mattina dopo. Scelsi la seconda opzione, perché a quell'ora della notte ero più interessata a vedere se finalmente dopo la ventesima volta che guardavo quel film, Audrey Hepburn avrebbe finalmente dato il nome a quel dannato gatto. E invece ancora una volta lo chiama semplicemente “Gatto”. Mi rimisi sotto le coperte, godendomi il calore sulla mia pelle ormai infreddolita. Dovevo assolutamente comprarmi un pigiama più caldo , Londra non era posto per pantaloncini e maglietta. 
Spensi il televisore, avrei finito il film magari il giorno dopo se la pioggia fosse tornata ad offuscarci il cielo. Quella giornata era stata così faticosa. Kate mi aveva obbligata a stare insieme a lei tutta la mattinata mentre si provava centinaia di vestiti. Io ne avevo trovato solamente uno, con stampa a fiori corto fino a metà coscia ed estremamente primaverile. Non sapevo perché lo avessi comprato prima che arrivasse l'autunno. Quando lo avevo visto sulla stampella non ero riuscita a resistere dal comprarlo. Ovviamente Kate aveva avuto da ridire perché secondo lei mi faceva sembrare ancora una bambina e desiderava che prendessi una minigonna in pelle e una canotta di pizzo. Possibile che una quarantenne desiderasse vestirsi da tipica adolescente in cerca di attenzioni? E che mio padre non si fosse accorto di questo suo lato? 
Sospirai e chiusi gli occhi, lasciando che ogni pensiero lasciasse spazio ai sogni. 
Mi immaginai in un film in bianco e nero, con un vestito lungo di versace e una collana di brillanti da far invidia alla regina Elisabetta. Ero ad un Cocktail party, in mezzo a persone che non avevo mai visto ma che a quanto pareva conoscevano me perché mi sorridevano dolcemente ogni qual volta incontravano il mio sguardo. 
Cominciai a guardarmi intorno tentando di riconoscere qualcuno e alla fine riconobbi Oliver che beveva un martini indossando un bellissimo smoking. Com'era bello. Desideravo baciarlo, non sapevo perché ma era come se il suo sguardo magnetico mi impedisse di pensare a qualcosa che non fossero le sue fantastiche labbra. 
Da quel punto in avanti non ricordai più che avevo sognato, forse perché dormivo così profondamente da non essere nemmeno un minimo cosciente. 
La mattina dopo mi alzai a mezzogiorno, mi vestii con dei pantaloncini ricamati, una maglietta a tinta unita e delle scarpe da ginnastica. Il cielo era di un azzurro intenso e il sole splendeva portando allegria a chiunque mettesse il naso fuori di casa. 
Mi presentai in salotto dove stava avvenendo una pseudo riunione di famiglia a cui non ero stata invitata.
“ Buongiorno” salutai mettendomi a sedere sul divano accanto a mio padre. 
“  Alice, ben alzata. Non ti abbiamo svegliata perché Oliver ci ha detto che ieri notte Oliver ha visto che non riuscivi a dormire” Kate mi accarezzò i capelli e mi sorrise comprensiva. Le sorrisi istintivamente e guardai Oliver, comodamente seduto sulla poltrona davanti a me. Aveva notato che ero sveglia?
“ Come mai eri sveglio anche tu?” mi permisi di chiedergli. 
“ Stavo finendo di fare alcune cose e mi preparavo per il colloquio di oggi” spiegò lui muovendo distrattamente la mano. Balle. Avevo talmente voglia di smascherarlo che decisi di giocare al suo stesso gioco. 
“ Colloquio? Per cosa?”
“ Un'agenzia di modelli” . Trattenni a stento le risate e mi vennero le lacrime agli occhi. 
“ Quindi ieri sera ti preparavi i vari modi in cui ti toglierai la maglietta? O gli sguardi Sexy alla Brad Pitt?” chiesi ridacchiando fra una parola e l'altra. 
Lui sembrò molto offeso dalla mia insinuazione ma un attimo dopo tornò a sorridermi divertito.
“ Vorresti vedere come sono bravo?”. Iniziò a guardarmi intensamente, come se volesse leggermi l'anima, socchiuse leggermente le labbra inumidite e curvò leggermente gli angoli della bocca. 
“ Stai aspettando un croccantino?” scherzai scoppiando a ridere. Era la scena più divertente che vedevo da giorni e non ricordavo l'ultima volta che avevo riso così di gusto. 
“ Dovrò perfezionarlo allora, altrimenti non mi prenderà mai nessuno” disse Oliver tornando serio e prendendo il giornale dal tavolino di quercia.
“ Sono sicuro che tutti vorranno lavorare con te , Oliver. Non ascoltare mia figlia lei tende a criticare qualsiasi cosa ultimamente” lo rassicurò mio padre alzandosi e dandogli una pacca sulla spalla. Grazie mille papà.
Kate si alzò e insieme a mio padre uscirono dalla stanza, parlottando su quali moduli dovessero portare in università e di quanto dispiaceva ad entrambi non poter andare a fare una bella passeggiata al parco. 
“ Mi accompagni?” chiese Oliver dopo che smisi definitivamente di ridacchiare per conto mio.
“ Cosa? Dove?” non capivo se mi stava prendendo in giro. Mi guardava come se fosse evidente “ Vuoi che io venga con te per fare il tuo colloquio all'agenzia? Davvero?”. Non smetteva mai di sorprendermi. Che bambinone. 
“ mi farebbe piacere. Vuoi perderti l'occasione di vedere tanti bei ragazzi senza maglietta?” mi sfidò alzando un sopracciglio e sorridendomi complice. Non aveva tutti i torti in effetti. Io di lui avevo visto fin troppo in soli due giorni, ma cosa mi impediva di curiosare un po' in quell'ambiente?
“ Ti accompagno volentieri” sospirai poi abbandonandomi sui morbidi cuscini e tirando fuori il cellulare. Se non mi fossi distratta avrei iniziato a sgranocchiare le gambe del tavolino. Su Facebook non c'era niente di interessante a parte qualche foto della festa dove Pete e Maddie erano stati visti insieme. Li cancellai dagli amici senza nessuna esitazione. Sapevo che poteva essere visto come un comportamento infantile, ma cosa poteva importarmene di quello che avrebbero pensato in America mentre io stavo qui in Inghilterra? Avevo talmente tanta voglia di scrivere a Peter che dovetti praticamente scagliare il telefono dall'altra parte del divano per poter trattenere le mie dita. 
“ Cosa ti ha fatto di male il cellulare?” chiese Oliver divertito. 
“ Niente” risposi sbuffando e coprendomi la faccia con le mani. Era tornata quell'orribile sensazione allo stomaco che mi faceva sentire chiusa in una piccola gabbia, pronta per essere portata al macello. 
“ Sei una pessima bugiarda” Oliver si mise seduto accanto a me e mi guardò con insistenza. Mi faceva minimamente piacere che si preoccupasse per me ma non lo conoscevo abbastanza bene per parlargli della mia vita come se niente fosse. In fondo i conoscevamo da due o tre giorni, quanto potevo essere a mio agio con un completo sconosciuto? 
“ So di esserlo, purtroppo” esitai “ diciamo che adesso sono contenta di essere lontana da New York” ammisi voltandomi a guardarlo. Incontrai subito i suoi occhi. Perché il mio corpo reagiva a lui diversamente da come faceva il mio cervello? 
Sentii il mio cuore accelerare e le guance andarmi a fuoco. Sicuramente ero influenzata dal suo fascino da principe azzurro, doveva essere così. 
“ Ti sei incantata?” chiese passandosi una mano fra i capelli e sollevando un sopracciglio.  Ripresi il controllo delle mie emozioni e mi allontanai lentamente, appoggiando la schiena al bracciolo del divano. 
“ Certo” risposi tentando di sembrare il più naturale possibile. Lui continuò a fissarmi, mettendomi a disagio e creando un fastidiosissimo silenzio. Mi guardai intorno sperando che da un momento all'altro entrasse qualcuno per salvarmi da quell'agonia. Il mio fratellastro mi stava squadrando da testa a piedi senza ritegno e non si preoccupava nemmeno di passare inosservato. 
“ Cos'ho che non va?” sbottai. 
Lui sorrise leggermente e si voltò per nascondere il volto. 
“ Tu sei proprio un mistero per me, Alice” confessò alzandosi e dirigendosi verso la porta scorrevole della sala da pranzo. Il mio stomaco in risposta emise dei suoni che mi ricordarono il mio ultimo pasto la sera prima. Avevo bisogno di cibo, sicuramente poi mi sarei sentita meglio. 
“ Lola sta venendo a chiamarci per il pranzo, precediamola e sediamoci a tavola, probabilmente saremo solo noi due” disse Oliver prima di aprire la porta e ritrovarsi il viso di Lola a pochi centimetri dal suo. 
“ Oh” sobbalzò lei scostandosi per farlo passare e nascondendo il viso per non mostrare il suo rossore. 
“ Lola, è possibile per me avere il pranzo in camera? Non mi sento troppo bene e vorrei rimanere sdraiata per un po'” domandai fingendo uno sguardo da malata terminale. Non avevo nessuna intenzione di passare venti minuti a tavola con Oliver che mi fissava e il mio cuore che impazziva. 
“ Certo , signorina. Glielo porto io tra pochi minuti. Lei vada a mettersi comoda” rispose Lola sorridendomi garbatamente. Com'era carina. Capelli castani raccolti in un morbido chignon; occhi color nocciola che sorridevano e un corpicino piccolo ma tonico. Oliver le si avvicinò all'orecchio e le sussurrò qualcosa, che ovviamente suscitò in Lola la tipica reazione. Una parte di me sussultò, desiderosa di sapere cosa si stavano dicendo. 
Mi voltai e mi diressi su per le scale, verso la mia camera, senza rivolgere la parola a nessuno. Non avrei mai ammesso che il sentimento che provavo in quel momento era fastidio, o peggio gelosia, perché avrebbe significato ammettere che anche io ero una vittima del fascino principesco di Oliver. 
Chiusi la porta e mi lasciai cadere sul letto appena rifatto.  Sentii profumo di rose, un dolcissimo profumo che con tutta probabilità proveniva da una piccola candela sulla mia scrivania. Non l'avevo mai vista, quindi doveva averla messa qui qualcuno mentre io ero nel salone a parlare con Oliver. Mi alzai dal letto e rimasi qualche secondo ad osservarla: aveva la forma di un gatto. Una candela a forma di gatto che profumava di rose in primavera. 
Cercai da qualche parte un biglietto o qualcosa che mi facesse capire da dove poteva venire . Magari era un regalo di Kate o di mio padre. Ma non trovai nulla quindi mi arresi e la posai nuovamente sulla scrivania. Era davvero bella, intagliata con mano leggera , dalle linee morbide e di un colore che andava dal rosato al rossiccio man mano che scendeva. Somigliava molto ad una candela che tenevo da piccola sul comodino vicino al mio letto e che accendevo quando dovevo addormentarmi e mio padre non era ancora tornato dal lavoro. Ogni volta prendevo sonno cullata dal profumo della cera sciolta e dalla danza della fiammella. Sorrisi e la portai sul mio comodino. Doveva per forza essere stato mio padre a regalarmela, per farmi sentire meno sola.  Solo lui poteva sapere. 
Sentii bussare alla porta. 
“ Avanti” dissi sdraiandomi frettolosamente sul letto. 
“ Signorina, ho portato il suo pranzo” Lola entrò con un carrello in camera dove erano appoggiati vari piatti. Un carrello... lo aveva portato su per le scale?
“ Puoi chiamarmi Alice e darmi pure del tu” dissi sorridendole affettuosamente. Non volevo essere trattata da principessina, non lo ero affatto e non mi si addiceva come ruolo. 
“ Va bene, come desideri” rispose lei sorridendomi a sua volta e facendomi capire che le faceva molto piacer potersi rivolgere in modo amichevole con qualcuno della casa che non fosse la cuoca. 
“ Posso farti una domanda?” esitai vedendola annuire “ come cavolo hai fatto a portare il carrello fino a quassù? Mi sarei accontentata di un piatto di pasta fredda”.
Lola rise, rise davvero di gusto. La divertiva l'idea di poter portare su per le scale un carrello così pesante?
“ Abbiamo un piccolo ascensore, non l'hai visto?” mi confessò quando fu in grado di parlare. Probabilmente erano giorni che doveva farsi una bella risata perché sicuramente non stava solo ridendo per me . 
“ Mai notato, ma fa comodo sapere che c'è, nel caso di una mia fuga improvvisa da questa gabbia di matti”
“ Oh, qui non è mica così male. Il signore e la signora sono estremamente gentili e il tuo fratellastro è...” probabilmente si vergognava a confessare quello che davvero provava per Oliver quindi decisi di dirlo io “ estremamente affascinante ma spocchioso” decretai portandomi una mano alla fronte e facendo finta che l'altra fosse un ventaglio. 
Scoppiammo entrambe a ridere come bambine. 
“ Di cosa parlate?” Oliver fece capolino dalla stanza con un vassoio in mano, doveva aver deciso di mangiare in camera anche lui. 
“ Niente” tagliai corto io mentre Lola si stirava con le mani il vestito e usciva con la coda fra le gambe dalla stanza. 
“ Vi ho sentite ridere. Qualcosa di divertente immagino” scherzò lui sedendosi sul letto accanto a me. 
“ Già... Ma ora ho davvero tanta fame” dissi guardando lui poi il carrello, sperando che intuisse il mio desiderio di essere lasciata in pace almeno durante il pranzo. 
“ Fantastico anche io, ti va se nel frattempo ci guardiamo un film?” propose lui andando a prendere una sedia dalla scrivania e usandola come tavolino per il vassoio. 
Sospirai arrendendomi e portai il carrello all'estremità del letto , in modo da poter vedere la televisione senza dover storcere il collo. Oliver prese il telecomando e scelse un canale dove davano dei vecchi episodi dei Simpson.
Io sollevai i coperchi in argento sopra i piatti e ammirai le prelibatezze che mi stavano davanti: insalata con carote, mais e pomodori, la mia preferita; un piattino con pasta fredda ed in fine un budino a forma di cuore alla crema. 
“ Oh che bontà !” mi lasciai sfuggire prima di infilarmi una forchettata di pasta in bocca. Avevo davvero bisogno di mangiare, perché sentii di nuovo la positività tornare a far da padrona nel mio statto d'animo. Non avrei più pensato a Pete o a Maddie o al fatto che la mia migliore amica al posto di consolarmi aveva preferito stare con Giulia. Giulia?! Davvero?
“ Eri parecchio affamata, eh?” constatò Oliver facendo una risatina divertita per poi prendere un'altra forchettata di pasta.
“ Tu non dovresti essere a dieta ferrea , signor modello?” lo canzonai io dandogli una gomitata scherzosa.
Era strano come ci comportassimo naturalmente anche se in realtà ci conoscevamo da così poco tempo, quasi come fossimo veri fratelli. Ma i fratelli non provano le farfalle allo stomaco quando si vedono, ne ero quasi certa. 
“ Sono già perfettamente in forma. Poi quello del modello sarebbe solo un lavoro secondario. Io ho già un impiego” mi spiegò senza distogliere lo sguardo dal televisore. Homer Simpson era rimasto incastrato in un reattore atomico. Come poteva quell'uomo sopravvivere a così tante sventure?
“ E quale sarebbe?” chiesi con disinteresse passando all'insalata. 
“ Faccio da insegnante di ginnastica della tua scuola. O meglio, io sono l'assistente dell'insegnante” . L'insalata quasi non mi andò per traverso quando capii che avrei dovuto vederlo pure durante la scuola. 
“ Ah” non sapevo cosa dire. 
“ Tu non sei emozionata all'idea della nuova scuola?” bevve un sorso d'acqua “ sai, scuola nuova. Gente nuova. Senza dimenticare che lì ormai si conosceranno già tutti e tu sarai l'ultima arrivata”. Non capii se tentava di rassicurarmi o di farmi entrare in paranoia. Lo guardai corrucciata e misi in bocca un'altra forchettata di insalata, senza smetterla di lanciargli occhiate in cagnesco. 
“ Che c'è?” mi chiese sorridendo.
“ Non sei d'aiuto, sto cercando di essere positiva” lo rimproverai. Per poco non riuscii a pronunciare le parole, perdendomi per l'ennesima volta nei suoi occhi. Sembravano risplendere di luce propria. 
“ Scusami, ci vediamo più tardi allora” e com'era entrato velocemente uscì altrettanto veloce, chiudendosi la porta alle spalle. Che tipo strano. 
Alzai il volume della televisione e mi sdraiai tenendomi il budino sulle gambe. 
Lasciai passare un'ora, guardando passivamente qualche episodio dei Griffin, un altro prodotto della demenza degli americani. Ma un prodotto divertente. 
Guardai fuori dalla finestra: erano le tre meno venti e il sole era nascosto da una sottile coltre di nubi. Mi ricordò una frase del libro  “ Storia di una ladra di libri”: Il sole sembra un'ostrica d'argento. Ora la capivo, perché era davvero come l'avrei descritto io in quel preciso istante. Certo, forse non sarebbero state le mie precise parole, probabilmente le mie sarebbero state estremamente meno … fantasiose. Mi sarebbe piaciuto avere fantasia.
In quel momento mi ricordai del casting da modello di Oliver e mi preparai, non sapendo di preciso a che ora dovessimo uscire. Scesi le scale di marmo ma lui non c'era né all'ingresso né in salotto. Diedi un'occhiata in giro , non trovai nessuno e decisi di mettermi le scarpe e uscire per prendere una boccata d'aria fresca.  Aprii la porta e me la richiusi alle spalle. Inspirai profondamente e lasciai che l'aria pulita mi rinfrescasse i polmoni. C'era ancora aria di pioggia ma il clima era mite, tipico della fine dell'estate. Peccato che a NewYork in quel momento la gente andasse ancora in giro in infradito e pantaloncini corti. 
Mi guardai intorno: potevo scegliere se percorrere il vialetto fino al cancello o andare a vedere il giardino. Non che fosse un parco, anzi , riuscivo a vedere la recinzione che si separava dal giardino del vicino. La quercia si stagliava imponente nel cielo grigio, con le foglie che ormai stavano iniziando a cadere a terra, creando un sottile tappeto di fogliame.  Mi avvicinai e appoggiai la mano sul tronco, lasciando che la ruvida corteccia mi graffiasse delicatamente la pelle. Chissà quanti anni poteva avere un albero così immenso e maestoso. Desiderai arrampicarmici e guardare il mondo dall'alto rimanendo per sempre su quei rami.  Guardai attorno al tronco per trovare un appiglio e alla fine individuai un ramo più basso degli altri a cui potevo facilmente arrivare senza dover usare la scala o mettere alla prova le mie capacità atletiche. 
Con un po' di sforzo mi tirai su e misi un piede sopra il ramo, passando con le mani a quello più alto. Feci lo stesso passaggio altre tre volte fino a quando non trovai un ramo che mi sembrasse abbastanza robusto e comodo da potermici sedere. 
Mi strofinai le mani sulle gambe e chiusi gli occhi, tenendomi al tronco. Quando mi tornò il coraggio aprii gli occhi e guardai sotto di me. Ero davvero salita più in alto di quanto pensassi, ma stranamente non sentivo le vertigini, anzi, mi sentivo perfettamente a mio agio con l'altezza. 
In quel momento sentii la porta di casa chiudersi e vidi attraverso i rami Oliver che si fermava per guardarsi intorno. Probabilmente cercava me. 
“ Ehi” urlai tentando di attirare la sua attenzione. Lui si girò e dopo qualche secondo mi trovò con lo sguardo. Feci una risatina divertita. 
“ Cosa stai facendo sull'albero?” mi chiese dopo essersi avvicinato e senza che il sorriso gli sparisse dalla faccia.  Il mio cuore saltò un battito. Ovviamente non riuscivo ad essere indifferente al suo fascino, per quanto provassi a negarlo a me stessa. Ma in fondo quante probabilità c'erano di avere un fratellastro così? 
“ Volevo provare a vedere se ne ero in grado” spiegai iniziando a guardare dove mettere i piedi per scendere. 
“ Aspetta non scendere!” mi disse lui tirando fuori il cellulare dalla tasca.
“ Cosa fai?” 
“ Ti faccio una foto, sono sicuro che un giorno vorrai rivederla. Ora sorridi”. Dominai l'imbarazzo e sorrisi guardando verso di lui. Oliver scattò la foto poi si concentrò su un messaggio che gli era arrivato. Sembrò irritato e senza dire niente si voltò e iniziò ad incamminarsi verso il garage.
Quando capii che stava per andarsene senza di me tentai di scendere il più velocemente possibile ma lui mi passò accanto con la sua moto senza fermarsi. Rimasi a guardarlo accelerare lungo il vialetto e sparire. Tirai un calcio alla ghiaia e rientrai in casa , ancora sconcertata dal comportamento di Oliver. 
Trovai Lola che spolverava nel salotto i mobili e mi sedetti sul divano in silenzio. 
“ Tu hai una famiglia numerosa, Lola?” le chiesi dopo qualche istante. 
“ Ho quattro sorelle più grandi e un fratellino più piccolo” mi raccontò senza distogliere l'attenzione dal vaso cinese che stava accuratamente pulendo. 
“ E ogni tanto i fratelli si comportano in modo strano?” sembrò divertita da quello che le stavo chiedendo.
“ Ovviamente, è quello che sanno fare meglio. Parla del signorino Oliver?” 
“ Dovevo accompagnarlo al suo colloquio ma se n'è andato senza di me e senza dirmi niente. Ma noi non siamo fratelli quindi...” 
“ Non lo siete ma dovrete diventarlo. Non so come farai, è troppo carino.” 
Scoppiai a ridere e le feci l'occhiolino in segno d'intesa. Ero in qualche modo contenta di aver trovato qualcuno con cui parlare liberamente senza dovermi preoccupare di quello che avrebbe pensato. 

“ In qualsiasi caso, si comporta in modo strano” continuai torturando un cuscino del divano dov'era stato ricamato un coniglio grigio dagli occhi neri. 
“ Stai tranquilla, hai solo bisogno di svagarti un po'. Potresti prendere la bicicletta e fare un giro in città” mi consigliò Lola. Aveva ragione, perché mai dovevo sprecare la giornata in casa quando avevo un'intera città da visitare. 
Ringraziai Lola e corsi in garage, cercando la bicicletta di cui mi aveva parlato. Quando la trovai feci una smorfia: era una bicicletta ormai vecchia, verniciata di un azzurro cielo e con il sellino in pelle consumato. Posai la borsa nel cestino di vimini sperando che non si disintegrasse e la portai fuori. Fortunatamente avevano gonfiato le gomme quindi dopo aver fatto un po' di fatica a prender la mano sulla ghiaia, riuscii a pedalare facilmente lungo la strada che conduceva in centro. 
Era strabiliante come Londra potesse cambiare così radicalmente da un quartiere all'altro. Quando ormai non riuscivo più a pedalare a causa della folla di persone che popolava le strade legai la bicicletta ad un palo rosso che avrei facilmente riconosciuto e mi incamminai verso Oxford Street. Tutti sembravano andare di fretta, ma ero talmente abituata al ritmo frenetico di New York da non accorgermi nemmeno dei colpi che ricevevo. Un uomo dall'aspetto curato e elegante finì per venirmi addosso e farmi vacillare ma non mi chiese nemmeno scusa e continuò imperterrito a parlare al cellulare. A New York almeno erano gentili. Alzai gli occhi al cielo e mi infilai in un piccolo vicolo che non era stato preso di mira dai turisti. Camminai osservando le vetrine dei negozi e mi fermai davanti ad una libreria. L'insegna ormai antica diceva L'imperatore di Giada, nome che io avrei visto più adatto sicuramente ad un ristorante cinese che ad una libreria. Spinsi la porticina ed entrai nel negozio accompagnata dal suono di una campanella. Come si poteva intuire dall'esterno, dentro non era molto spaziosa: c'erano scaffali in legno che riempivano completamente le pareti e altri più bassi al centro della stanza stracolmi di libri.
Si sentiva odore di polvere, e la luce era così fioca da permettere a malapena di leggere i titoli dei libri. 
“ C'è nessuno?” chiesi appoggiando una mano sul bancone in legno e aspettando di ricevere una qualsiasi risposta.  Dopo quasi un minuto intuii che il proprietario doveva essere sul retro, quindi iniziai a guardare fra gli scaffali. I libri non erano catalogati per nome o per autore quindi c'erano volumi sulla seconda guerra mondiale accanto a racconti per bambini. Passai in rassegna centinaia di titoli e mi fermai davanti ad un libro dalla copertina rigida e riccamente decorata. Lo presi in mano e quasi non mi cadde a terra da quanto era pesante. Soffiai per levare la polvere e ammirai i disegni in oro che decoravano la copertina. 
Stavo per aprirlo quando sentii un rumore accanto a me e subito dopo una voce: “ Tu chi sei?”. Sobbalzai così violentemente da farmi sfuggire il libro dalle mani che cadde a terra rumorosamente. Lo raccolsi subito e tenendo la testa bassa balbettai “ Sono entrata poco fa, ho avvertito ma nessuno ha risposto”.
Alzai gli occhi e vidi un ragazzo della mia età che mi guardava incuriosito. Era alto, con un fisico asciutto ma atletico; capelli corti biondi e occhi color nocciola. Aveva le braccia coperte di tatuaggi e un piercing al labbro. 
“ Non ti avevo sentita... Beh. Ti serve aiuto?” mi chiese appoggiandosi allo scaffale.
Mi sentivo in qualche modo intimorita da quel ragazzo quindi non volevo rimanere troppo a conversare. 
“ In realtà no, stavo solo dando un'occhiata e ho trovato questo libro” dissi tentando di passargli accanto.
“ Allora ti faccio lo scontrino. Ottima scelta, quel libro lo abbiamo da un'eternità perchè nessuno si era mai accorto della sua presenza” sembrava entusiasta del fatto che qualcuno volesse comprarlo quindi non si preoccupò di prendermelo dalle mani e di dirigersi con passo svelto verso il registratore di cassa. 
Provai a spiegargli che non ero sicuro di volerlo comprare dato che non sapevo nemmeno di cosa parlava ma non mi lasciò il tempo. Mi mise subito lo scontrino davanti e chiese venti sterline iniziando a mordicchiarsi il piercing. Dovevo ammettere che non era così male visto alla luce che arrivava dalla vetrina. L'aria da cattivo ragazzo gli si addiceva in un modo particolare. Si accorse che lo stavo osservando e si passò una mano fra i capelli, guardandomi storto.
“ Ehi ragazzina, allora? Non ho tutto il giorno” mi rimproverò. 
Presi il portafogli dalla borsa, tirai fuori una banconota da venti e gliela porsi tentando di nascondere il rossore delle mie guance.
“ Arrivederci” mi salutò facendomi intuire che la mia presenza non era più gradita. Salutai con la mano e uscii , dirigendomi verso dove avevo lasciato la bici. Quando fui abbastanza lontana dalla libreria tirai un sospiro di sollievo e guardai il pesante libro che ancora tenevo in mano: non c'era nemmeno un titolo in copertina che potesse aiutarmi a capire che cosa avevo comprato per un prezzo così improponibile. 
Purtroppo la folla mi impedì di fermarmi per sfogliare le prime pagine, quindi decisi che me ne sarei occupata a casa e lo riposi con cura nella borsa. 
Arrivai alla bicicletta che ormai il sole era tramontato e ci volle tutta la mia buona volontà per ricordare la strada di casa dato che non mi ero minimamente preoccupata all'andata di memorizzare i cartelli o il nome delle vie. 
Stavo pedalando quando per poco non travolsi un ragazzino che stava uscendo di corsa dalla porta , feci una brusca frenata e imprecai silenziosamente.
“ Attenta!” mi urlò il ragazzino quando gli passai accanto. Il mio istinto gli avrebbe risposto per bene dicendogli che la prossima volta lo avrei investito più che volentieri. 
Arrivai al vialetto di ghiaia e scesi dalla bicicletta, spingendola poi fino al garage. Oliver doveva essere tornato perchè la sua moto era parcheggiata e il casco era appoggiato sul ripiano. 
Presi la borsa dal cesto di vimini, ed entrai in casa. Attesi in silenzio di sentire segni di vita, ma l'unico rumore percepibile era il fischiettio di Lola che preparava la tavola. Mi legai i capelli con l'elastico che avevo al polso, tolsi le scarpe mettendole accanto alla porta e salii lo scalone per andare in camera mia tenendo ben stretta la borsa. La curiosità di scoprire di più su quel libro mi stava divorando in un modo che non avrei potuto spiegare. 
Percorsi a passo svelto il corridoio ma prima che potessi accorgermene andai a sbattere contro qualcosa, o meglio, qualcuno. Alzai la testa e trovai il viso di Oliver a pochi centimetri dal mio. Non mi spostai, come se i miei piedi fossero stati momentaneamente incollati al pavimento. 
“ Ciao” mi salutò lui quasi con un sussurro. Rimasi in silenzio e alzai un sopracciglio. Potevo ancora rimanere qualche secondo stregata dalla sua bellezza, ma non avrei facilmente dimenticato il suo  comportamento di quel pomeriggio. 
“ Ti dovrei qualcosa riguardo ad oggi immagino...” cominciò lui facendo un passo indietro e abbassando la testa con aria colpevole. 
“ No, sei libero di fare come meglio credi” lo bloccai io passandogli accanto e aprendo la porta di camera mia. 
“ Va bene ma” sembrò esitare davanti al mio disinteresse. Mi girai per guardare ancora una volta quegli occhi azzurri e gli feci il sorriso falso che da anni ero abituata ad usare nelle situazioni scomode. 
“ Ora vado un po' in camera mia a leggere. Ci vediamo a cena” lo salutai e richiusi la porta alle mie spalle. La luce della lampada sul comodino era accesa, quindi mi appoggiai alla scrivania e tirai fuori il libro. Non avevo tempo di pensare  a Oliver e non volevo averne. Accarezzai la copertina ruvida e la aprii. La prima pagina consisteva in una sola frase “ La leggenda dell'imperatore di giada”. Che coincidenza. Avevo comprato il libro da cui probabilmente si era ispirato il nome della libreria. 
Cominciai a leggere, assaporando ogni parola e ogni descrizione di quanto fosse bello il regno dell'imperatore , nei cieli. Ne avevo sentito parlare, alle elementari, mi ricordavo quando la maestra ci aveva insegnato l'origine dei segni zodiacali cinesi. 
Veniva descritto un posto talmente bello che me ne innamorai: piante mai viste prima, fiori di colori improbabili, fiumi limpidi e silenzio perenne.  Dovevano aver avuto una fantasia particolare per inventare un posto tanto perfetto e incantato. 
La mia curiosità sembrava volerne sempre di più, ma il mio corpo invece iniziava a dare segni di sonnolenza. Le palpebre mi si fecero pesanti e le parole più lunghe. In pochi secondi ero crollata sulle pagine lasciandomi trasportare dalla stanchezza accumulata durante la giornata. 



“ Non sei abbastanza” continuava a ripetere la voce. 
Ero seduta su un prato, l'erba mi solleticava i palmi della mano e un venticello primaverile mi scompigliava i capelli. 
Conoscevo quella voce, sembrava provenire dal fitto bosco che distava pochi passi da me, ma non riuscivo a ricordare a chi potesse appartenere.
“ Non sei abbastanza” disse un'altra volta la voce. 
Sentii una fitta alla testa, come se qualcuno mi stesse premendo con forza sulle tempie, cercando di entrarci. Quella sensazione era talmente dolorosa da costringermi a raggomitolarmi in posizione fetale e urlare. Nessuno però poteva sentirmi, lo sapevo. Ero praticamente in un bosco, chissà quanto lontana dalla città.
“ Non sei abbastanza” tuonò per l'ennesima volta la voce.
“ Basta” urlai di rimando mentre le lacrime continuavano a rigarmi il viso. La morsa che sentivo alle tempie era sempre più dolorosa e non riuscivo a trovare la forza per contrastarla. Tentai di alzarmi e quando ci riuscii barcollai verso il bosco. Dovevo trovare la fonte del mio dolore altrimenti sapevo che non sarebbe mai finito. 
Sentii una risata malefica, una di quelle che farebbero accapponare la pelle a chiunque. Gemetti per il troppo dolore e mi accasciai nuovamente in ginocchio, a pochi passi dagli alberi. 
“Ti prego, Basta” implorai portandomi le mani alla testa e serrando gli occhi. 
“ Devi scegliere, Alice. Scegli” ringhiò la voce. 
“ Cosa devo scegliere?” chiesi ormai allo stremo delle mie possibilità.
Sentii la terra mancarmi sotto le ginocchia, e la sensazione di caduta fu così intensa da farmi salire il cuore in gola. 
Iniziai ad urlare con quanta più voce avevo in corpo, terrorizzata all'idea di continuare a cadere senza riuscire più a fermarmi. 
Il dolore alle tempie era sparito, rimaneva solo più la paura.
Sentii un leggero toccò sulla mia spalla, che poi si fece più intenso fino a diventare uno strattone.

“ Alice!” mi sussurrò Oliver tenendomi per le spalle e scuotendomi leggermente.
Aprii gli occhi e mi leccai le labbra, sentendo un sapore salato. Avevo pianto?
Guardai Oliver con gli occhi sgranati e lui mi lasciò andare, permettendomi di mettermi seduta sul letto. 
Mi passai una mano sulle guance bagnate e mi guardai intorno. Ero nella mia camera. 
Tirai un sospiro di sollievo all'idea di non essere davvero intrappolata in quell'incubo terrificante. Olvier era ancora in piedi che mi fissava spaventato. 
“ Scusa, io... Ho fatto un brutto sogno” spiegai tentando di giustificare il mio comportamento. 
“ Mi hai fatto preoccupare da morire! Stavi urlando come una pazza e piangevi. Non riuscivo a svegliarti” mi raccontò tenendo lo sguardo fisso sui miei occhi arrossati. 
Mi sentii terribilmente in colpa, anche se in teoria non avevo fatto niente di male. 
“ Mi dispiace...” esitai “ Che ora è?” chiesi tentando di cambiare discorso.
“ Sono ormai le undici passate” disse lui dopo aver guardato l'orologio. Avevo saltato la cena. Il mio stomaco mi fece capire che non era assolutamente d'accordo , facendo rumori di protesta. 
“ Hai fame?” mi chiese Oliver sorridendo divertito. Arrossii e abbassando lo sguardo annuii. 
“ Sono sicuro che Lola avrà lasciato qualcosa da mangiare giù in cucina. Io ora torno a dormire, perfavore , se puoi evita di farmi prendere un infarto alle tre” scherzò passandosi una mano fra i capelli e dirigendosi verso la porta.
“ Ehi” lo chiamai, pur non sapendo perché desideravo così tanto che non mi lasciasse da sola.
Quando si girò e incontrai i suoi occhi scordai quello che dovevo dire e rimasi in silenzio. “ Si?” chiese qualche istante dopo, notando la mia esitazione.
“ Sotto è buio..” iniziai, non sapendo bene come finire la frase senza sembrare una bambina disperata e terrorizzata dal buio. Non che lo fossi. Sentivo però che non volevo rimanere per conto mio con i miei pensieri. Quell'incubo mi aveva profondamente turbata, potevo sentire ancora tutte le orribili sensazioni che avevo provato. 
“ Hai davvero paura del buio?” mi prese in giro. Lo guardai intensamente, cercando di trasmettergli tutto il mio disagio. 
“ Va bene.. Ti accompagno. Ma sbrigati che domani ho da fare” sbuffò facendomi segno di seguirlo.
Rimasi dietro di lui tutto il tempo, a pochi centimetri dalla sua schiena. Notai solo allora che indossava solamente una canottiera e dei pantaloncini da basket. Potevo vedere i muscoli ben definiti delle sue braccia e delle gambe e sentire il profumo della sua acqua di colonia. Per le scale si fermò di colpo e andai a sbattergli contro. Gli appoggiai le mani sulle spalle e sentii i suoi muscoli irrigidirsi sotto il mio tocco. 
“ Che succede?” chiesi sporgendomi verso il fondo delle scale ma non c'era niente.
Oliver non rispose, continuò a guardare un punto oltre alla finestra che non mi era possibile vedere. Strinsi un po' più la presa sulle sue spalle per ricordare la mia presenza. Sembrò finalmente accorgersi di me e si girò, mettendo un gradino di distanza tra noi. 
“ Torna in camera tua te lo porto io da mangiare. Non ha senso che andiamo in due” disse senza guardarmi negli occhi. 
Non risposi, lo guardai tentando di incontrare il suo sguardo.  Mi girai e mi avviai verso la mia camera, sentendo quell'orribile morsa allo stomaco sempre più forte ogni passo che facevo. 
Chiusi la porta alle mie spalle e mi accasciai sul letto, tentando di riprendere il controllo del mio corpo. Quella voce terrificante tornò a far capolino tra i miei pensieri “ Devi scegliere” aveva detto. Cosa poteva aver provocato in me dei sogni tanto terrificanti?
Guardai il grosso libro appoggiato dal lato opposto del letto e lo presi tra le braccia. La copertina fresca mi provocò un brivido quando entrò a contatto con la mia pelle , mi alzai e lo appoggiai con cura sulla scrivania. 
Oliver ci stava mettendo più tempo del previsto. E io che speravo di non rimanere da sola. Mi guardai intorno, i rami della quercia davanti alla mia finestra rendevano l'atmosfera ancora più inquietante. 
Tornai nel letto  e mi portai la coperta fin sotto il mento. Aspettai immobile per un periodo che mi sembrò infinito, poi sentii dei passi delicati provenire dal corridoio e la porta aprirsi silenziosamente.
“ Alice?” mi chiamò Oliver con un sussurro. 
“ Sono sveglia” bisbigliai scostando un po' le coperte e mettendomi seduta per poterlo vedere meglio.  Non aveva portato cibo, quindi perchè era stato via così a lungo?
“ Non c'era niente di commestibile in cucina. Mi dispiace” si scusò abbassando lo sguardo. Sapevo che mi stava mentendo, probabilmente non c'era nemmeno entrato in cucina. 
“ Fa niente” risposi sorridendogli. La morsa allo stomaco scomparve quando mi guardò. Era come se il mio corpo reagisse in modo positivo alla vicinanza di Oliver.
Non volevo che se ne andasse, ma senza la scusa del cibo non aveva più ragione di rimanere insieme a me. 
“ Sto ancora qui con te, non sembri avere una bella cera” disse quasi intuendo i miei pensieri e dirigendosi verso l'altro lato del letto. Si sistemò i cuscini e si sdraiò accanto a me, prendendo poi il telecomando dal comodino. 
“ Puoi scegliere” disse sorridendomi “ Possiamo guardare un film, o darci ai reality scadenti”. Sapevo che stava cercando di alleviare la tensione, e ci era riuscito. 
Gli sorrisi a mia volta e alzai le spalle per fargli capire che per me era assolutamente indifferente. 
“ Vada per i reality scadenti, il mio cervello non è abbastanza sveglio per potermi concentrare su un film” decise alla fine, mettendo MTV. Mi accoccolai fra i cuscini, sapevo che Oliver era nel mio letto, a pochi centimetri da me. Avevo la sensazione di essere protetta, che lentamente si trasformò in sonnolenza e alla fine mi addormentai accompagnata dal suo profumo. 
  
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