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Autore: HikariNoShizuku    12/02/2016    4 recensioni
Chiara è una nuotatrice torinese che si ritrova ad affrontare la morte dei suoi genitori all'età di 14 anni. In seguito a questa grave perdita sarà costretta ad abbandonare l'Italia e la sua migliore amica per recarsi in Giappone dove inizierà una nuova vita insieme alla zia che si occuperà di lei e che rappresenta tutto ciò che rimane della sua famiglia.
Genere: Erotico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Ventiquattresimo - Il legame che fa la differenza



-Tsk, che scocciatura...-
Sento Rin borbottare qualcosa di indecifrabile, mentre lo osservo raccogliere la maglietta che pochi minuti fa ha lasciato cadere per terra per poi indossarla con movimenti bruschi e nervosi.
Non oso proferire parola, mentre osservo il tessuto scuro coprire poco alla volta quel fisico così perfettamente allenato ma allo stesso tempo armonioso e per nulla massiccio, ed il mio viso assume inesorabilmente una tonalità scarlatta.
Mi sento vagamente patetica, ma cerco di non darlo a vedere. Ho come il terrore che il Rin che ho conosciuto alla Samezuka possa rispuntare da un momento all'altro, pronto a schernirmi per i pensieri impuri che ora affollano la mia mente. Perchè in fondo me lo aspettavo, giusto? Mi aspettavo che prima o poi avrei ceduto a lui, al suo sguardo, ai suoi baci e alle sue parole. Oppure sono soltanto debole?
Oh, ma insomma Chiara! Smettila con queste paranoie... Rin è fuori di dubbio un ragazzo molto attraente, che c'è di male se ti lasci andare? E poi ha dimostrato più di una volta di tenere a te. Ha fatto cose che probabilmente prima non gli sarebbero mai passate per la mente! Dubito che un atleta che ha deciso persino di allenarsi all'estero pur di diventare qualcuno in ambito natatorio, non si curi di partecipare a gare importanti se non per una causa per lui prioritaria.
Già, prioritaria.
Davvero sono diventata così importante per lui? E dire che qualche mese fa non ci sopportavamo nemmeno.
Lui si divertiva a stuzzicarmi, con comportamenti fin troppo indecenti persino per una ragazza occidentale, mentre io gli rifilavo sempre qualche battuta velenosa giusto per chiudergli quella boccaccia.
Devo dire che siamo cambiati entrambi, molto.
Oppure siamo semplicemente cresciuti? Chi lo sa...
L'unica cosa di cui sono totalmente certa è che non riesco a levargli gli occhi di dosso. Non dopo quello che è successo nemmeno dieci minuti fa.
-Uhm.. forse è meglio se me ne torno in camera mia. Tra poco i ragazzi torneranno in albergo e non mi sembra il caso di farli preoccupare ulteriormente...- provo a dire, alzandomi dal materasso per poi tentare di riagganciarmi il reggiseno che il signorino mi ha allegramente sfilato.
-Preoccupare? E di cosa?- risponde lui da dentro il piccolo bagno della stanza, non senza lasciarsi sfuggire una risatina.
-Mah, non saprei. Forse per il fatto che mi hai letteralmente trascinata via dalla piscina con una spalla dolorante? O forse per la remota possibilità che se non mi trovano in camera potrebbero un tantino allarmarsi dato che non sono rintracciabile? Ti rocordo che le mie cose le ha tua sorella...-
Lo sento scoppiare a ridere di gusto, ma il rumore dell'acqua corrente del rubinetto copre leggermente il suono roco della sua voce.
-Sei così giudiziosa, piccola Chiara. Proprio una brava ragazza!- Lo vedo uscire dal bagno con un piccolo asciugamano sul capo, intento a frizionarsi i capelli color vinaccia mentre mi osserva con aria divertita -anche se non credo che i tuoi amici la penseranno allo stesso modo, quando scopriranno quello che abbiamo fatto poco fa...- sorride malizioso, avvicinandosi a me. La sua maglietta ha una scollatura a barca che mette in risalto i muscoli del petto, le clavicole ed il collo affusolato dal quale pende un sottile laccio di cuoio alla cui estremità è legato un piccolo dente di squalo.
-Volevi dire, quello che stavamo per fare. Io sono ancora casta e pura, sai?- ridacchio, accorgendomi troppo tardi di quello che ho appena detto. Sento il mio sangue congelarsi nelle vene in tempo zero mentre Rin, sbigottito, inizia a fissarmi con un'espressione attonita e per nulla rassicurante stampata in faccia.
-Vuoi... vuoi dire che tu non hai... non hai mai..?-
-...-
-Oh MERDA! Potevi dirmelo, accidenti! Stavamo per... per... IN UNA STANZA D'ALBERGO!"-
-Cristo santo Rin! Abbassa la voce!- esclamo, terrorizzata, cercando di tappargli la bocca con le mani, mentre sento guance, naso e orecchie andare inesorabilmente a fuoco.
-Sei totalmente impazzita?!-
-Ma...-
-Non hai capito proprio nulla allora!-
-N-Non c'è niente da capire, Rin! È tutto okay! Non devi preoccuparti per queste cose...-
-E invece sì che devo. Io sono serio con te, Chiara. Io...- fa una breve pausa in cui distoglie lo sguardo dal mio viso, per poi puntare di nuovo le sue iridi cremisi nelle mie -...io vorrei fare le cose per bene, ecco l'ho detto.-
A quelle parole sento un crack in mezzo al petto, all'altezza del cuore.
Non poteva scegliere parole migliori per mandare in frantumi tutti i dubbi che ancora mi attanagliavano.
Che mi sia davvero innamorata di lui?
Sicuramente.

Signore e signori, il Wall Chiara è ufficialmente stato abbattuto.




*




Saluto Rin pochi minuti più tardi, cercando di uscire furtiva dalla sua camera, ma non appena faccio capolino dalla porta in legno per sbirciare in corridoio mi ritrovo faccia a faccia con un Makoto piuttosto stupito ed altamente confuso.
-Chiara-chan.. ma cosa..?- domanda, incredulo, facendo scorrere lo sguardo dai miei capelli in disordine, fino alla maglietta stropicciata ed indossata al contrario, per poi tornare a fissarmi dritta negli occhi.
-Ah... e-ecco...- non faccio in tempo a finire la frase che sento la mano di Rin sfiorarmi la spalla ferita mentre un brivido mi percorre da capo a piedi. Potrei giurare di leggere un lampo di rabbia negli occhi del dorsista ma un'altro pensiero mi attanaglia la mente.
Sono fottuta.
-...comunque non metterci il ghiaccio quando torni in camera. Prova piuttosto a rilassarti con un bagno caldo, dovrebbe aiutarti di più.- non ascolto nemmeno una sillaba di quello che mi sta dicendo il rosso, poichè ho un paio di occhi smeraldini che mi guardano fisso in cerca di spiegazioni.
-Oh, Makoto. Finite le gare del pomeriggio?- il ragazzo nemmeno lo degna di risposta, mentre azzera la distanza tra loro due afferrando lo squalo per il bavero della giacca.
-Tu, grandissimo idiota. Che le hai fatto, eh?!- esclama, furioso come non l'ho mai visto prima di quel momento, mentre leggo nel suo sguardo il desiderio ardente di prendere a pugni in faccia il ragazzo che ha di fronte.
-No, Makoto! Fermati!!- mi aggrappo al suo braccio, cercando di dividerli, ma Rin sembra riuscire a gestire perfettamente la situazione poichè lo vedo liberarsi da quella presa in un secondo per poi dare le spalle al dorsista.
-Non ho fatto niente che lei non volesse. E adesso scusami ma ho bisogno di riposarmi e concentrarmi per le gare di domani mattina!- lo liquida freddamente, dandogli una risposta (a mio parere) piuttosto ambigua.
Restiamo entrambi a fissare il legno scuro della porta, mentre un silenzio piuttosto imbarazzante cala tra noi due.
Non voglio nemmeno immaginare a cosa penseranno gli altri ragazzi quando si accorgeranno che il loro ex capitano è diventato livido di rabbia.
Già.
Makoto... furioso.
Due parole che stridono come unghie che grattano su una lavagna.
Ed è stata tutta colpa mia.
Vorrei potergli dire qualcosa, spiegargi come stanno davvero le cose. Che io Rin lo amo sul serio.
Ma è come se le mie corde vocali avessero smesso di funzionare.
Per un attimo mi sembra di tornare a quel maledetto giorno di inverno. Quel giorno in cui mi sono risvegliata ed ho visto Rebecca in lacrime al mio capezzale.
Per un istante avevo creduto di essere morta.
Ma la sua mano era calda e mi stringeva le dita con dolcezza.
Piangeva.
Piangeva e io avrei soltanto voluto dirle che stavo bene e che non doveva essere triste per me, se non fosse stato per quel maledetto tubo di plastica che mi attraversava la trachea per permettermi di respirare mentre ero ancora in coma.
Ecco, in questo momento mi sembra di essere tornata su quello schifo di letto.
Muta e impaurita.
-Makoto io...- provo a dire, voltandomi improvvisamente verso di lui, ma il castano mi ha già dato le spalle per poi raggiungere la sua stanza a grandi falcate. Quelle parole escono a fatica dal mio petto, raschiandomi dolorosamente la gola.
Chissà.
Chissà se riuscirà mai a perdonarmi.




*





-MALEDIZIONE!- il calcio del dorsista colpisce in pieno il borsone scuro, sporcando la scritta bianca "Iwatobi" con la suola della sua scarpa da ginnastica.
-Makoto, calmati...- la voce pacata di Haruka pare quasi un sussurro in confronto al tono roco e profondo della voce del castano.
-Come fai a dirmi di calmarmi, Haru?! Tu dovresti essere il primo ad essere furioso!- ribatte l'altro, lasciandosi cadere pesantemente sul letto della sua stanza e passandosi con rabbia le mani sul volto. Un silenzio carico di imbarazzo cala sui quattro ragazzi, mentre Nagisa e Rei si lanciano un triste sguardo d'intesa.
-E perchè dovrei?- parla infine il moro, senza però osare alzare lo sguardo dalla moquette.
-Non fingere. Lo so che lei ti piace!- ribatte il dorsista, stringendo con forza il pugno della mano destra.
-Makoto-senpai...- tenta di intervenire Rei, rendendosi però subito conto che il suo intervento potrebbe soltanto peggiorare la situazione. Anche lui infatti si era accanito tempo prima contro Rin, quindi perchè mai dovrebbe avere l'autorevolezza di imporre al compagno un comportamento diverso?
-Questo non ti riguarda...- ribatte Haruka, piantando finalmente le sue iridi in quelle del suo migliore amico, leggendovi però soltanto ira.
-FINISCILA HARU! Non ne posso più del tuo continuo farti da parte! Chiara è il nostro capitano, non è giusto che lui ce la porti via! LEI È NOSTRA!- sbraita il dorsista, alzandosi in piedi di scatto per poi accanirsi di nuovo contro il suo povero borsone.
-Non trattarla come una bambola... lei ha il diritto di scegliere liberamente chi amare- le parole sfuggono dalle labbra di Nagisa quasi per sbaglio, ma sono abbastanza taglienti da perforare la barriera di ostilità che Makoto ha innalzato intorno a sè, toccandolo nel vivo.

La reazione del castano, però, lascia tutti di stucco.

-Ah si? Allora forse avrebbe dovuto pensarci bene prima di farci affezionare a lei con le sue parole dolci, i suoi abbracci ed i suoi sorrisi. L'avete vista no? NON HA FATTO ALTRO CHE PRENDERCI IN GIRO! Alla fine ci traditi tutt..- non termina la frase che le nocche di Haruka lo colpiscono dritto sul mento, lasciandogli quattro profondi segni rossi ed un'espressione di stupore stampata sul volto.
Il pugno lo stordisce al punto da non capacitarsi nemmeno del fatto che è la prima volta che il suo amico di infanzia alza un dito su di lui.
E che è anche la prima volta che lo vede piangere.
-Haru-chan! Ma cosa ..?!- esclama allarmato il biondo, facendo un passo verso i suoi compagni ma subito fermato dal delfinista.
-Non... non permetterti mai più di dire certe cose su di lei, Makoto Tachibana.- il moro osserva il compagno, mentre si massaggia il viso arrossato, attraverso lo spesso velo di lacrime che gli offusca la vista.
-Haru, io.. mi dispiace tanto... non so che mi è preso...- balbetta l'altro, cadendo sulle ginocchia come se improvvisamente il peso delle sue accuse gratuite nei confronti della ragazza gli fossero gravate sulle spalle come un macigno -d-davvero... mi sento un perfetto idiota... scusami... perdonami, Haru!- la voce rotta dai singhiozzi.
-Non è con me che devi scusarti, lo sai. Chiara sarà distrutta dopo la tua reazione di questo pomeriggio!- ribatte secco il moro, distogliendo lo sguardo.
-Già...-
-Secondo me, tutti quanti dovremmo andare a parlarle- aggiunge Nagisa, raggiungendo Haruka e appoggiandogli una mano sulla spalla.
-Sì, credo sia la cosa più giusta. Siamo una squadra, no?- esclama Rei, raggiungendo gli altri e tendendo una mano a Makoto -siamo suoi amici, come potremmo abbandonarla?-




Il chiasso era assordante.
Tra le urla concitate degli atleti sugli spalti e degli allenatori a bordo vasca, il rumore sordo e continuo dell'acqua rotta dalle bracciate violente delle atlete e la voce metallica dello speaker che annunciava l'ingresso delle ragazze che avrebbero gareggiato di lì a pochi istanti, Chiara, Sara, Rebecca e Stefania facevano persino fatica a capirsi.
Si erano precipitate all'addetto ai concorrenti una buona mezzora prima dell'orario stabilito dal programma. Così, giusto per stare tranquille.
Ma solo in quel momento si erano rese conto di quanto fossero emozionate. Era la prima volta che gareggiavano ai nazionali in staffetta e, anche se si trattava della piscina di Riccione e non di quella enorme di Roma, la tensione iniziava a farsi sentire ugualmente.
-Rebe, dammi una mano con il costume. Mi sa che si è tutto attorcigliato sulla schiena...- le lamentele di Sara ormai erano diventate un rito. Era incredibile come quella ragazza non si facesse mai nessun problema a farsi forare le orecchie, ma riuscisse a rompere le scatole costantemente per un cavolo di costume.
-Non è attorcigliato, scema. È soltanto più stretto del solito dato che l'abbiamo comprato due giorni fa!- come per scaramanzia, infatti, le quattro ragazze avevano deciso di indossare gli stessi identici costumi da competizione, neri e talmente stretti da doverli tenere abbassati all'altezza del petto per lasciare libere le spalle, altrimenti si sarebbero ritrovate in pochi minuti con i muscoli tutti indolenziti.
-Sarà, ma a me sta uccidendo. Non vedo l'ora di buttarmi in acqua...- ribattè Stefania, accasciandosi mollemente contro il muro e sedendosi per terra in modo da poter distendere le gambe e far circolare meglio il sangue.
Presto le altre tre staffettiste imitarono la compagna e si sedettero a cerchio in modo da guardarsi tutte negli occhi.
Erano agitate, si vedeva. Ma non era il momento di distrarsi e perdere la concentrazione.
In quel momento non dovevano esserci nè costumi, nè lamentela, nè nulla.
Dovevano esserci soltanto loro.
E quella maledetta piscina.
-Ragazze, mi raccomando non perdiamo di vista l'obiettivo. Concentriamoci e vedrete che andrà tutto alla grande. Ci siamo allenate duramente, no? Possiamo farcela, possiamo giocarci il podio- Chiara e quella determinazione che non l'abbandonava mai.
Le altre annuirono, improvvisamente rincuorate da quelle parole, e si presero per mano come facevano sempre quando sentivano di dover condividere qualcosa di davvero importante.
Il contatto tiepido delle loro dita era come in grado di trasmettere loro una sorta di energia positiva.
Erano legate.
E questo le faceva sentire forti. Sicure. Unite.
Lo stesso non sembrava valere per le altre atlete che ora iniziavano ad affollarsi intorno a loro, intente a riattivarsi i muscoli, aggiustarsi la cuffia e gli occhialini sul capo, roteare le braccia mentre si lasciavano trasportare dalla musica che risuonava dai loro auricolari.
Non sembravano appartenere a nulla.
I vari quartetti si riuscivano a riconoscere soltanto perchè le atlete indossavano la stessa tuta, o la stessa cuffia. Ma non parevano legate.
O meglio quella era la sensazione che avevano le ragazze, nel guardarsi intorno.
Istintivamente ognuna strinse maggiormente la presa sulle mani delle altre, per poi scambiarsi uno sguardo d'intesa.
Già, perchè a loro alla fin fine bastava.

Era quello il legame che faceva la differenza.




Lo sguardo di Gou si posa lentamente sulla piccola immagine che tengo tra le dita e che poco alla volta si sta inumidendo di piccole gocce salate. La fotografia del nostro podio ai Campionati Nazionali.
Io, Rebecca, Sara e Stefania.
Tutte e quattro con quei costumi neri e le mani intrecciate in segno di amicizia. Anche di vittoria, certo. Ma soprattutto di amicizia.
Le medaglie d'oro splendenti al collo.
Davvero speravo di poter creare un legame del genere anche con loro?
Mi sono davvero illusa di poter far parte di quel gruppo di ragazzi che era già affiatato ancora prima che arrivassi in Giappone? Io non sono indispensabile, sono soltanto una spettatrice.
Come potrei mai pensare di inserirmi in un gruppo di atleti che si conoscono fin da quando erano bambini?
-Chiara-chan...- la voce flebile della rossa mi riscuote dai miei pensieri e le sue esili braccia mi cingono le spalle, come per consolarmi.
-Gou, tu mi vuoi bene?- chiedo, con la voce rotta dai singhiozzi. Però... non voglio restare sola. Non voglio.
-
Ma certo tesoro, come potrei non volertene? Sei la mia più cara amica. Non chiedermi mai più una cosa del genere!-
-Grazie, anche io te ne voglio- le rispondo quasi meccanicamente, abbozzando un sorriso.
Tuttavia la rossa non fa in tempo a dirmi altro, che sentiamo bussare alla porta. Mi strofino malamente il viso con la manica della felpa e corro ad aprire senza pensarci.

Inutile dire che per l'ennesima volta mi do della stupida per aver pensato di non far parte di nulla.
Di non appartenere a niente.
Di non essere all'altezza dei miei compagni di squadra.
Di non avere alcun legame con loro.
Mi sento una vera ingrata, meschina e debole nell'aver pensato che per loro non contassi nulla.
La me del passato probabilmente mi avrebbe dato un sonoro schiaffo.

Inutile dire che Makoto, Nagisa, Rei e Haruka sono qui davanti a me.
E io non posso fare altro che chiedere loro, tra le lacrime, di perdonarmi.







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Angolo dell'autrice:

SANTODDIO RAGAZZI SCUSATEEEEEE!!! Ci ho messo un secolo ad aggiornare ed è pure venuto fuori uno schifo di capitolo x_x spero possiate perdonarmi ma l'università mi sta ammazzando.. non sono abituata a questi ritmi stranissimi :(
Vi prego di perdonare anche eventuali errori grammaticali e/o ripetizioni ma non ho avuto il tempo di rileggere perchè avevo fretta di pubblicare!
Le correzioni avverranno nei prossimi giorni <3











  
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