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Autore: Melabanana_    15/02/2016    2 recensioni
A un certo punto della storia che conosciamo, in tutto il globo terrestre hanno cominciato a nascere bambini con poteri sovrannaturali, dando inizio alla generazione dei "portatori di doni". Assoldati dalle "Inazuma Agency" come agenti speciali, Midorikawa e i suoi coetanei dovranno lottare contro persone disposte a tutto pur di conservare e accrescere il proprio potere. Ma possono dei ragazzini salvare il mondo?
Avvertimenti: POV in 1a persona, AU, forse OOC, presenza di OC (secondari).
Questa storia è a rating arancione per via delle tematiche trattate (violenza di vario grado, morte, trauma, occasionale turpiloquio). Ho cercato di includere questi temi con la massima sensibilità, ma vi prego comunque di avvicinarvi alla materia trattata con prudenza e delicatezza. -Roby
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Jordan/Ryuuji, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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Quest'anno per me sarà particolarmente ostico, sono stata molto presa dall'università e al momento sono impegnatissima con la mia tesi triennale. Non ho intenzione di abbandonare questa long, alla quale (come ho detto molte volte) sono legatissima, perciò vi chiedo semplicemente di avere pazienza con me. Credetemi, mi dispiace tantissimo per la lentezza con cui aggiorno... :(
Grazie comunque a tutti quelli che seguono la fic; leggere le vostre recensioni mi sprona ad impegnarmi e, quando posso, cerco di rispondere a tutti ;u; 
Un ringraziamento particolare al mio beta (
RaffyRen97 su efp), che sopporta la mia fissa con le virgole XD

 
 
“Ryuuji…!”
Mi chiamava, ma io non capivo da dove provenisse la voce. 
Un attimo prima stavo camminando in un corridoio, mi muovevo a scatti nel buio e con le mani cercavo a tentoni la via da seguire; l’attimo successivo era scomparso tutto e l’unica cosa che avevo tra le mani era un pugno di terra molle, viscida e fangosa.

“Ryuuji… Ryuuji!”
Fuori stava piovendo. Il rumore era distante e si confondeva con quella voce.
 
La pioggia scendeva dritta e fitta contro il davanzale della finestra.
Aveva cominciato a cadere da un cielo plumbeo durante la mattinata e non si era più fermata, impedendo la possibilità di esercitazioni all’aperto. Natsumi non ne era stata contenta.
-Mi scusi per l’attesa. Ora se vuole può entrare.
La voce ferma dell’infermiera mi fece sussultare, strappandomi ai miei pensieri.
Staccai gli occhi dalla finestra e mi voltai, dando le spalle alle gocce di pioggia che scivolavano lentamente sul vetro. Aveva piovuto tutta la mattina e ancora non aveva smesso.
-La ringrazio- risposi sommessamente, cercando di ignorare il ronzio nelle mie orecchie.
La donna annuì e rimase ferma. Capii che stava aspettando che io entrassi, perciò mi affrettai a raggiungerla; lei mi rivolse un sorriso di cortesia, poi si girò e svoltò l’angolo. Lasciai andare un sospiro di sollievo al pensiero che Gazel ed io saremmo rimasti soli.
Chiusi la porta alle mie spalle facendola scorrere dolcemente verso il muro e alzai lo sguardo verso il ragazzo seduto sul letto d’ospedale. Stava leggendo un libro e, almeno apparentemente, non aveva fatto caso alla porta che s’apriva e chiudeva.
Anche se non aveva più bisogno della flebo, Gazel sembrava ancora debole: era dimagrito e la vestaglia verde dell’ospedale gli cadeva addosso come un sacco. Il colletto era così largo da scivolare su una spalla, lasciando che s’intravedesse parte della fasciatura che gli cingeva il petto.
-Ciao- lo salutai per primo e attesi, titubante, la sua reazione.
Gazel chiuse il libro rapidamente e lo ripose sul davanzale della finestra.
-Finalmente qualcuno viene a farmi visita- disse, seccato. –Come sta Afuro? Mi ha fatto recapitare un messaggio dicendo che è scoppiato un casino con il caso e che quindi non poteva venire a trovarmi. Lui dice di star bene, ma io non ci credo, quindi ora lo chiedo a te, secondo te come sta?
Sbattei le palpebre, colto alla sprovvista.
-Uhm… mi pare che stia bene, almeno fisicamente. Non ha ricevuto danni gravi, ma credo sia piuttosto stanco- risposi. Dopo la disastrosa missione con i Fubuki, avevo intravisto Afuro solo per un momento, nell’infermeria, e mi era parso esausto. Mi aveva rivolto un sorriso triste e aveva accennato un saluto con la mano, poi era uscito senza voltarsi verso il fondo dell’infermeria, dove c’erano i letti di Atsuya e Shirou Fubuki.
Gazel mi scrutò per un lungo minuto, valutando la sincerità della mia risposta, poi annuì.
-Si sta probabilmente dando un gran da fare, anche se è esausto- borbottò. –E Haruya… voglio dire, Burn, Burn come sta? Non viene mai a trovarmi.- Abbassò lo sguardo e si mise a torturare nervosamente le lenzuola con le dita. Sembrava molto contrariato.
-Credo che Burn abbia deciso di non vederti finché non avrà portato a termine il suo compito…
-Quale compito?- scattò Gazel, nervoso.
-Sta raccogliendo informazioni sul team di Garshield… ciò che stavi facendo tu- replicai, feci una pausa. Mi morsi il labbro inferiore, esitante, poi aggiunsi, cauto:- Penso che si senta in colpa.
Gazel continuò a stringere le lenzuola tra le dita.
-È proprio il tipo da sentirsi in colpa in una situazione del genere- brontolò. Per alcuni secondi parve in conflitto con se stesso, ma alla fine scosse il capo e sbuffò.
-Lasciamo perdere. Vieni qui, Midorikawa, siediti. Sei venuto per parlarmi, no?
Rincuorato, accettai al volo il suo invito e mi sedetti sul bordo del letto. Da così vicino, potevo osservare meglio il suo volto: Gazel aveva delle pesanti occhiaie violacee, le labbra screpolate, i capelli più spettinati del solito. Era evidente che nemmeno lui stava passando notti serene.
-Ho problemi di insonnia- ammise Gazel, intuendo i miei pensieri. –Faccio sogni che… Al diavolo, rivedo sempre le stesse cose, mille volte, ma non trovo le risposte che cerco.- Sospirò e si ravviò i capelli con una mano.
-Vorrei fare qualche ricerca sul mio passato, o almeno riprendere a lavorare al caso Garshield, ma non mi lasciano toccare un telefono, figuriamoci un portatile- disse, frustrato. -Mi hanno detto che potrò tornare alla base in una settimana, ma è probabile che non mi faranno lavorare ancora per un po’… Dannazione, mi sento così inutile! Odio stare in questa sorta di vacanza forzata.
Vacanza forzata. Mi chiesi se la reclusione di Hiroto potesse essere chiamata così, sebbene ci si fosse messo da solo.
-Ti capisco, ma credimi se ti dico che noi non stiamo ottenendo maggiori risultati- commentai, amareggiato, poi gli raccontai quello che era successo.
Sembrava impossibile che fosse accaduto solo due giorni prima.
Avevo impiegato un giorno intero a riprendermi dallo stato di stanchezza in cui ero precipitato dopo aver toccato la pietra. Non mi era mai successo prima, di sentirmi tanto esausto dopo aver usato le mie capacità empatiche. Ancora avevo fitte di dolore in diverse parti del corpo, come alle giunture degli arti e al petto. Soprattutto al petto. Solo grazie alla mia determinazione avevo trovato la forza di alzarmi, quella mattina, e andare in ospedale a trovare Gazel.
Mi ascoltò in silenzio, sistemandosi di tanto in tanto i cuscini dietro lo schiena o aggiustando le coperte sul letto in modo che non gli dessero impiccio.
-Okay, eliminiamo subito tutte le considerazioni inutili. Tu cosa vuoi fare?- chiese alla fine.
-Voglio aiutare Hiroto- dissi subito –e voglio sconfiggere Garshield.
-Chi non vorrebbe liberarsi di quello stronzo- ribatté Gazel, amaro. –Dovresti farlo, comunque. Aiutare Hiroto, intendo. Sei l’unico che potrebbe farlo in questo momento.
-Non so come fare- dissi e lo guardai crucciato. –Speravo in un consiglio…
-Non conosco Hiroto così bene, ma per esperienza personale il mio consiglio è: parlagli. Anche se ti sembra che lui non ascolti, continua a parlargli. Se vuoi che Hiroto si apra con te, devi fare lo stesso con lui. Alcune persone nascondono il proprio dolore per non essere un peso, o anche solo perché ci sono abituate. Dovresti capire di cosa parlo, perché anche tu sei fatto così.
-Anch’io sono sempre stato così. Io e te abbiamo avuto la fortuna di incontrare qualcuno che non si è mai arreso con noi. Hiroto non si è mai veramente aperto con nessuno, nemmeno con Endou, ma ho il presentimento che…- Gazel s’interruppe e mi guardò con serietà.
–Voglio dire, è solo una sensazione, ma… penso che con te lo farà. Con te vorrà aprirsi, quindi non arrenderti.
Rimasi a fissare Gazel immobile, sorpreso. Aveva ragione. Sebbene Hiroto non sembrasse disposto ad ascoltarmi, dovevo continuare a provare, finché non si fosse aperto uno spiraglio. Non ero sicuro di riuscire ad essere bravo come Kazemaru, che aveva provato ad aiutarmi anche a rischio di farsi odiare e perdere la nostra amicizia, però ci avrei provato.
-Va bene, lo farò. Grazie- mormorai, pieno di gratitudine, ed istintivamente mi avvicinai a lui per abbracciarlo. Mi fermai a metà del movimento ricordandomi che Gazel non amava il contatto fisico.
-Ehm… posso?- chiesi, incerto, e Gazel alzò gli occhi al cielo.
-Se proprio devi- rispose, apparentemente seccato, ma poi lui stesso mi attirò tra le sue braccia e sentii le sue dita stringere forte il retro della mia maglia. Piegando la testa per poggiarla sulla sua spalla, non riuscii a trattenere un sorriso.
 
xxx
 
Tornai all’edificio dell’agency. Tornai davanti alla porta della camera di Hiroto.
Inspirai profondamente e mi dissi, deciso: Non tornerò indietro, qualunque cosa succeda. Non tornerò indietro finché non vedrò Hiroto e non gli parlerò e non saprò come sta. Poi bussai forte contro la porta, una, due, tre volte.
-Hiroto, sono Midorikawa. Sono venuto a trovarti. Vorrei parlare con te. puoi farmi entrare?- dissi allora, scandendo bene e a voce alta. Dall’altra parte non arrivò alcune risposta: chiaramente Hiroto continuava a far finta di non esistere, o forse si era addormentato. Comunque fosse, non potevo averne la certezza, perciò non mi restava che continuare dando per scontato che potesse sentirmi.
Stavo rimuginando su cosa avrei potuto dire per convincere Hiroto ad aprirmi quando mi parve di sentire qualcosa all’interno della stanza.
Subito mi appiccicai con l’orecchio destro alla superficie della porta, concentrandomi intensamente per cogliere un qualsiasi cenno di vita. Pochi istanti dopo udii un leggero, ma distinto, rumore di passi strascicati.
-Non posso farti entrare- sospirò Hiroto. La sua voce era bassa e roca e sembrava davvero, davvero stanco, ma il solo fatto che avesse interrotto il suo silenzio per me era un progresso.
Mi addossai ancora di più alla porta e mi schiarii la voce.
-Perché?- chiesi. Seguì un minuto (interminabile) di silenzio, poi un altro sospiro.
-È… pericoloso… stare vicino a me- disse Hiroto, strascicando le parole come se parlare gli costasse fatica.
–L’altro giorno, io ero... Non volevo…- S’interruppe, respirando affannosamente. Nonostante le sue frasi spezzate ed apparentemente insensate, avevo capito a cosa si riferiva; dovevo interrompere subito quella linea di pensiero, che non era solo infruttuosa, ma anche nociva.
-La sera del ballo… te la ricordi, Hiroto?- esclamai, così in fretta che parve improvviso anche a me. Non ero ben sicuro di come procedere. Non sapevo cosa potesse spingere Hiroto a fidarsi di me, l’unica cosa che sapevo era che dovevo essere sincero. E quindi gli dissi quello: la verità.
-Quella sera mi hai baciato per la prima volta… non sapevo perché l’avessi fatto ed ero arrabbiato con te. Ero già innamorato di te, ma non volevo ammetterlo. Forse perché ero spaventato. Perché non riuscivo a capirti, a capire chi eri davvero. Ancora ora non capisco molte cose di te. Non so perché mi hai baciato, quella sera, ma ho deciso di credere in te. Ho deciso di non arrendermi. Forse innamorarmi di te non è stata una mia scelta, ma ho scelto di continuare a stare al tuo fianco.
Mi fermai e presi fiato, in ansia. Dall’altro lato seguì un rumore improvviso, che mi fece sussultare; poi capii che Hiroto aveva semplicemente poggiato la testa contro la porta.
–Se ti facessi del male, non potrei perdonarmelo- confessò con un fil di voce. -Perché non sei arrabbiato con me?
-Oh, Hiroto- sospirai -è stato un incidente e io sto bene! Ho avuto paura, certo, ma so che non l’hai fatto apposta. Magari non ti conosco così bene, ma so che non faresti mai intenzionalmente male a qualcuno, quindi non voglio che tu ti nasconda da me. Puoi essere completamente sincero, voglio che tu sia te stesso quando sei con me. Per favore, credimi.
Dopo un attimo di silenzio, la serratura schioccò. Sussultai e fissai la porta incredulo, chiedendomi se non mi fossi immaginato il rumore della chiave che girava. Appoggiai l’orecchio alla porta, esitante, e udii i passi strascicati di Hiroto che si allontanava; solo a quel punto mi decisi ad entrare.
Quando tirai giù la maniglia, la porta si mosse senza resistenze. Aprii solo un pochino e, attraverso lo spiraglio, vidi che Hiroto si era seduto sul letto, con le ginocchia tirate contro il petto e il viso sepolto nelle braccia.
La stanza era buia e puzzava di stantio, di polvere e sudore.
Entrai e chiusi la porta dietro di me, poi mi fermai, in piedi e in silenzio, ad osservare il ragazzo che avevo davanti.
Non avrei saputo dire quanto tempo restammo in quella posizione, separati da pochi metri di spazio, senza che nessuno dei due facesse nulla per accorciare la distanza. Hiroto non aveva detto nulla in proposito, eppure in qualche modo sentivo che la distanza era importante. Hiroto sembrava… fragile, esausto. Così diverso dalla persona a cui ero abituato, quella che si sforzava sempre per nascondere la propria debolezza. Probabilmente aveva paura del contatto fisico. Il suo potere spaventava molto più lui che me, benché io ne avessi sperimentato gli effetti sulla mia pelle.
Mentre riflettevo, Hiroto sollevò leggermente il volto dalle ginocchia. Non riuscivo a vedere bene i suoi occhi, nascosti dalla frangia, però ero certo che mi stesse osservando. Poi d’un tratto la sua mano destra si sollevò, tremante, e si tese verso di me. Respirando a fondo, mi avvicinai, mi fermai davanti a lui e aspettai. Le sue dita cercarono le mie: erano fredde come ghiaccio.
-Va bene così?- mormorai, stringendo la sua mano per riscaldarla.
Hiroto annuì e si passò il dorso del braccio libero sugli occhi, strofinando via le lacrime. Tremava, ma gradualmente il suo respiro stava tornando ad essere quieto e regolare. Pensai di spostarmi un po’ e sedermi in modo più comodo, ma quando provai a muovermi Hiroto strinse la mia mano con urgenza.
-Non andare- esclamò, allarmato.
-Cosa? Io non… ah, no, hai frainteso- Dopo un iniziale istante di sorpresa, capii che aveva interpretato in modo sbagliato il mio movimento e mi affrettai a rassicurarlo.
-Non vado da nessuna parte. Qualunque cosa ti spaventi, la affronteremo insieme- dissi dolcemente. Mi dondolai in avanti, toccando il pavimento con le ginocchia, e con la mano libera gli sfiorai il viso. Hiroto sussultò e, quando lo attirai in un abbraccio di conforto, nascose il volto nella mia spalla come un bambino.
Vorrei tanto sapere cosa prova in questo momento.
Quel pensiero aveva attraversato la mia mente all’improvviso e mi lasciò interdetto. Ogni tanto mi era capitato di dirlo, ma non sul serio; dopotutto, l’unica persona in grado di eludere la mia abilità empatica era Diam e anche lui non poteva farlo a lungo, era costretto ad abbassare la guardia proprio mentre usava i suoi poteri. Diam era un caso isolato, comunque. Su Hiroto l’empatia aveva sempre funzionato perfettamente. Questa volta, però, per quanto mi concentrassi e frugassi nell’atmosfera della stanza, percepivo soltanto la presenza fisica di Hiroto, i suoi respiri, i suoi battiti, il suo corpo premuto contro il mio; tutto ciò che i miei cinque sensi riuscivano ad afferrare, e nulla di più. Ero abituato ad assorbire le emozioni altrui come una spugna, invece ora provavo solo emozioni mie. Tutto ciò che provavo mi apparteneva. Avrebbe dovuto essere normale, invece per me era una sensazione stranissima, fuori posto.
Mi accigliai e arricciai le labbra in un broncio. Come era successo? E da quando? Avevo l’impressione che la risposta fosse vicina, che mi sarebbe bastato poco per trovarla, ma in quel momento Hiroto si mosse leggermente e attirò la mia attenzione.
-Voglio stendermi- sussurrò, mi tirò dolcemente per le braccia. Annuii e mi arrampicai sul letto, mentre lui si rannicchiava su un bordo per farmi spazio; una volta sistemati, Hiroto avvolse un braccio intorno alla mia vita e si strinse a me, affondando il viso nella mia clavicola. Sentivo il suo respiro caldo e bagnato contro la pelle scoperta del collo.
-Midorikawa- mormorò, sfiorandomi con le labbra –Grazie.
-Sì- dissi, piano. Poco dopo, Hiroto sospirò e parve rilassarsi. Gli poggiai una mano sul petto e lo sentii sollevarsi e abbassarsi con regolarità: si era addormentato in un batter d’occhio. Probabilmente non aveva riposato granché, pur essendo rimasto chiuso in camera tutto quel tempo.
Afferrai la sua mano libera e, delicatamente, intrecciai le dita con le sue, poi anch’io chiusi gli occhi e mi lasciai cullare in un breve sonno.
 
xxx
 
Mi svegliai e la stanza era ancora buia, ma certamente fuori era già spuntato il sole: attraverso le persiane si erano infiltrate delle linee di luce che, allungandosi e strisciando sul pavimento come serpenti, erano arrivate fino ai piedi del letto.
Era mattina, ma sapere l’ora precisa era impossibile, a meno di non liberare il polso su cui avevo l’orologio. Nel fare il movimento, mi resi conto che le dita strette a quelle di Hiroto avevano perso la sensibilità, al punto che quasi non le percepivo come parte del mio corpo; nonostante ciò, le agitai per toglierle dalla presa e sbirciare l’orologio.
Le nove e quindici. Non era poi così tardi, ma gli allenamenti giù dovevano essere cominciati già da un paio d’ore. Non che avessi pensato di andarci, visto che avevo scelto di restare con Hiroto, ma non avevo ancora partecipato a mezzo allenamento da quando Natsumi aveva rifatto il programma di esercizi e sinceramente il pensiero mi turbava un po’. Pensai a Diam e Kazemaru che, come sapevo, prendevano parte alle esercitazioni insieme, per dare modo a Kazemaru di affinare il suo dono. Mi avevano invitato a raggiungerli qualche volta, ma non l’avevo mai fatto, troppo preso da Hiroto e dai miei problemi.
Quando mi girai verso di lui, vidi che Hiroto aveva gli occhi semi-aperti e mi stava fissando, apparentemente tranquillo. I suoi occhi erano lucidi e cerchiati di rosso per il pianto, la sua pelle così pallida da sembrare porcellana, ma il suo respiro era stabile.
-Sono cresciuto qui, sai- disse, girandosi d’un tratto in modo da stare steso sulla schiena.
-Quando ero molto piccolo, stavo in orfanatrofio. Mi hanno raccontato che i miei genitori erano morti in un incidente mentre andavano all'ospedale, che mia madre mi aveva partorito con tutte le forze che le erano rimaste e poi era morta- spiegò. -Non li ho mai conosciuti, perciò non posso dire di averne sentito la mancanza, ma penso di essermi sempre sentito… smarrito. Come se fossi incompleto, capisci. L’orfanatrofio era un bel posto, ma non era una “casa”. Non riuscivo a vederlo come tale. Ero molto timido, non facevo amicizia facilmente.
Trattenni il respiro e sgranai gli occhi per la sorpresa quando mi resi conto, incredulo, che Hiroto si stava confidando con me. Non mi aspettavo che l'avrebbe fatto. Affondai la guancia nel cuscino mentre ascoltavo, attentissimo a non fare gesti bruschi per non interromperlo; non sapevo quando avrei avuto un'altra opportunità del genere. Comunque, Hiroto non parve notare il mio nervosismo: stava fissando il soffitto con uno sguardo distante, come se non si trovasse più nella sua stanza, ma in un posto lontano, in un tempo lontano.
-Mio padre… suo padre era diventato da poco una Spy Eleven- continuò -ed era uno dei benefattori dell’orfanatrofio. Ogni tanto sua moglie veniva a farci visita portando con sé Hiroto... Hiro-chan, il mio primo amico. Ci somigliavamo molto di aspetto, avevamo persino lo stesso nome, ma non potevano esserci persone più diverse. Lui era positivo, coraggioso, un vulcano di idee. A volte quando c'era mio padre giocavamo qui, in questo stesso edificio. Correvamo nei corridoi, nella sala riunioni. Immaginavamo di essere supereroi, o agenti segreti… quando eravamo insieme, potevamo essere qualsiasi cosa. Io l’avrei seguito dappertutto-. Hiroto parve perdersi per un attimo nei ricordi più felici della sua infanzia, ma il sorriso che era appena comparso sulle sue labbra scomparve subito.
-Naturalmente, non poteva durare per sempre. Non potevo seguirlo davvero ovunque andasse e, un giorno, lui morì mentre era lontano da me. Nessuno mi disse nulla, lo scoprii da solo su internet… fu abbastanza traumatico. I Kira smisero di venire all’orfanatrofio e io pensavo che non li avrei visti mai più, invece… loro tornarono.
-Eri felice?- mormorai, osservandolo con attenzione per non lasciarmi sfuggire niente. Lui corrugò la fronte e arricciò lievemente le labbra in un broncio: la sua espressione si era rabbuiata di colpo.
-Sì- rispose, cauto. -Ma avevo anche paura. Ero confuso. Era giusto prendere il loro cognome? Avrei preso il posto del mio amico? Era questo che mio padre voleva da me? Somigliavo così tanto a suo figlio, che non sapevo cosa pensare. Volevo a tutti i costi restare me stesso, ma allo stesso tempo non riuscivo a staccarmi da lui. Non mi lamentavo mai, reprimevo me stesso e mi comportavo sempre da bravo bambino per non essere abbandonato... Detestavo gli specchi, non riuscivo neppure a toccare un computer. Mi odiavo...
-E poi… poi ho scoperto di avere un dono. Finalmente, finalmente avevo qualcosa che mi rendeva speciale! Ero così emozionato… così ingenuamente felice, perché avrei potuto rendere mio padre fiero di me...- La sua voce ebbe un fremito. Per un attimo pensai che stesse per piangere, ma Hiroto prese semplicemente un profondo, tremante respiro.  
-Ma non era così semplice. Non sapevo come controllare il mio potere, e cominciai ad averne paura. Mio padre voleva che mi allenassi per diventare un agente. Hitomiko era convinta che imparando a controllarlo avrei avuto meno paura, perciò mi sono buttato anima e corpo nel mio allenamento, lasciandomi alle spalle tutto il resto, ma stavo soltanto scappando...
-In quel periodo ho conosciuto anche Endou. Lui mi è sempre stato vicino, mi ha aiutato a uscire dal mio guscio e fare amicizia con altre persone. Senza di lui, sarei rimasto sempre chiuso nelle mie paure. Mi piaceva per questo, sai. Perché lui non ha paura dei cambiamenti, né del futuro, e affronta tutto a testa alta. Perché non si arrende mai ed è sempre onesto. E perché mi accetta al di là dei miei meriti, mentre io non sono capace di farlo. Non vedevo il mio valore, perciò non riuscivo a credere nemmeno in Endou, non sono mai riuscito a confidarmi completamente. Temevo che lui mi avrebbe abbandonato, e non sarei riuscito a sopportarlo...
-Capisci, la possibilità… la possibilità di sbagliare e non poter più rimediare… la possibilità di fare male a qualcuno per sbaglio… non mi appare meno orribile ora di quanto non lo fosse quando ero bambino. Per quanto mi sia sforzato di andare avanti, in realtà non mi sono mosso di un passo, in tutto questo tempo. Non riuscivo a essere me stesso, ma nemmeno a essere all'altezza delle aspettative di mio padre, perciò sono scappato… ed è quello che ho sempre fatto. Ogni volta che pensavo fosse troppo difficile, ho voltato le spalle agli altri e sono scappato. Ho paura di restare ferito, di aprire il mio cuore e rivelare l’oscurità che si nasconde dentro... in fin dei conti, sono solo un codardo.
Hiroto rimase in silenzio per un attimo. Capii che stava piangendo.
-Il pensiero di uscire da qui e affrontare gli sguardi degli altri… il pensiero di affrontare mio padre… mi terrorizza- sussurrò. Si girò verso di me e nella penombra le sue iridi mi parvero scurissime; mi parve una richiesta di aiuto. Ricambiai il suo sguardo con altrettanta intensità.
-Non ti lascerò solo- dissi.
Lui annuì e si asciugò le lacrime con la manica della maglia.
-Sì… Quando sei con me, mi sento diverso. Tu mi rendi più forte, per questo non voglio più nascondermi- rispose. Il suo viso si rabbuiò all’improvviso e aggiunse, in tono amaro: -Anche se… non sono ancora certo di poter fare… ciò che devo.
Lo guardai confuso, lui sospirò.
-Io… C’è una cosa che posso fare solo io. L’ho capito nel momento in cui ho saputo…- esitò, ma non perché non volesse dirmelo. Sembrava stesse lottando con se stesso per trovare le parole.
-Mio padre… lui non me l’ha detto, ma io l’ho capito lo stesso.
-Cosa, Hiroto? Di cosa stai parlando?
Hiroto mi guardò e i suoi occhi si velarono di lacrime, ma lui non distolse lo sguardo. La sua mano cercò di nuovo la mia e la strinse forte. La sua voce s’incrinò.
-Devo addormentare Hiro-chan- bisbigliò, inconsolabile -e questa volta per sempre.
 

 

**Angolo dell'Autrice**
Questo capitolo è stato difficile per me da scrivere. Il rapporto tra Hiroto e Midorikawa è ad un punto di svolta importante: stanno imparando a conoscersi a vicenda, a conoscersi davvero. Finora abbiamo visto Hiroto solo attraverso gli occhi di Midorikawa, che sono gli occhi di una persona innamorata (e perciò, di fatto imparziale). È importante per me sottolineare che, benché Midorikawa sia certamente aiutato dalla sua empatia, questo non significa che sappia leggere le persone in modo infallibile. La sua empatia gli permette di condividere le emozioni di un altro, ma non di conoscere le ragioni o la storia di quella persona. Quindi, quando Hiroto decide per la prima volta di confidarsi con lui, Midorikawa accetta tutto quello che Hiroto ha da dargli semplicemente ascoltandolo: non ha la sua empatia ad aiutarlo e può solo immaginare come Hiroto si senta, ma lo accetta così com'è. Ed è un'accettazione reciproca, perché Hiroto a sua volta sta riponendo una completa fiducia in Midorikawa; gli sta donando il suo cuore intero, con tutte le sue ombre ed imperfezioni. Questa è la rappresentazione della Hiromido che volevo dare, e non è affatto finita qui. La loro relazione si sta ancora sviluppando, loro stanno ancora crescendo. Hiroto e Midorikawa saranno i protagonisti indiscussi di questo arc, anche se altri pg hanno un ruolo più o meno importante. Come avrete intuito, non li aspettano cose molto belle...
È stato bello poter aggiungere un'altra scena con Gazel e Midorikawa! Chi mi conosce sa che mi piace la GazeMido, sia in modo romantico che non, e in questa fic hanno molto in comune su cui legare *brotp intensifies* 
Ah, mi sono dilungata troppo! Spero di non essere stata noiosa :') 
Al prossimo capitolo,
Roby

P.S. Mentre scrivo, spesso mi piace dare delle "ost" ai personaggi, quindi ecco alcune che ho usato per questo capitolo:  
Touch, Mattia Cupelli // Hiroto Kiyama & 비오는 밤, Donawhale // Midorikawa Ryuuji. Prima o poi farò una playlist come si deve :'D
 
 
   
 
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