Lost Light 2.0
5 – Dei Verbum
Ancora
un’altra notte calava sulla Nemesi.
Quando
la grande lampada che imitava la luce del sole si spegneva, allora era ora di
andare a letto; il sonno era prezioso, i sopravvissuti lo sapevano e stavano
ben attenti a non fare rumore. Nessuno usciva più la sera, nessuno si attardava
senza motivo.
La
gente aveva paura, un’indescrivibile, aggressiva paura che sfociava nella
nevrosi.
In
una modesta casa nel centro città, due figure passavano tranquillamente la loro
serata davanti al camino; tenevano in mano una tazza di cioccolata calda
ciascuno, il cui fumo creava strane forme alquanto sinistre in aria. Erano
entrambi avvolti in una coperta rossa. Leef e Lance avevano deciso di andare a
convivere due mesi prima e ormai era quasi tradizione passare le gelide sere
d’inverno davanti al camino, lei poggiata al petto di lui, mentre, tra una cioccolata
calda e un pulsare di fiamma, parlavano, si raccontavano ciò che avevano fatto
quel giorno, pensavano al futuro e confrontavano le loro idee, a volte
sfociando in interminabili dibattiti.
Quella
sera, Leef era mezza addormentata.
«Sicura
che non sia ora di andare a dormire?» chiese l’uomo, poggiando sul tappeto la
tazza e cominciando a carezzarle la guancia «Sei davvero stremata.»
«Tranquillo,
è solo che oggi Renoir mi ha fatta lavorare più del solito.» sorrise lei,
mostrando quel delizioso sorriso che riservava solo a lui «Non preoccuparti.»
«Oh,
non cominciamo.» rise lui col suo solito fare premuroso «Altrimenti restiamo
qui fino all’una, come l’altra volta, a dibattere se devo o no preoccuparmi per
te!»
La
ragazza cercava di tenersi sveglia, ma con una voce così bassa nelle orecchie
era molto difficile. Accennò un sorriso, annuendo col capo «Tanto lo sai che ho
sempre ragione io.»
«Sissignora!»
Arrendersi
era inevitabile: per quanto fosse un piacere per gli occhi vederla per una
volta così indifesa e spontanea, di un altro dibattito lungo fino al mattino
non ne aveva proprio voglia.
«La
settimana prossima salirò in superficie. Mi chiedo quanto sia cambiato il mondo
durante la mia assenza.» sarebbe stata per Lance la sua prima missione da
cacciatore: esplorare un ristretto territorio. In caso di attacco da parte
degli Alpha Nominus sarebbe dovuto tornare il più in fretta possibile alla
Nemesi.
«Vorrei
venire con te…» rispose allora Leef, non le andava assolutamente bene saperlo solo
là fuori: le faceva molta paura «Anzi, un giorno verrò con te.»
Lance
le sorrise, carezzandole la guancia «Intanto devi pensare a studiare, mia
piccola scienziata in erba. Lascia tutto il resto ai cacciatori.» quindi, con
un velo di improvvisa determinazione, si voltò ad osservare le fiamme ardere «Ti
proteggerò io, che tu lo voglia o no. È una promessa.»
***
Il
sole tramontava placidamente, come se la peste che stava corrompendo il mondo
non lo turbasse affatto. Un po’ come Dio.
Ma
la stessa cosa non era per le persone che combattevano come animali per
sopravvivere.
Il
centro città era desolato e la Torre Eiffel sembrava più alta del solito. Non
si era mai reso conto di quanto fosse bella, nonostante da bambino passasse
tutti i pomeriggi a giocare ai suoi piedi con la sorella minore. Si trovavano
proprio lì quando i suoi occhi avevano quelli di un Alpha Nominus per la prima
volta, tanto tempo prima…
-
Tre
mesi dopo l’inizio dell’invasione -
«Fratello!
Corri!» la bambina dai lunghi capelli biondi e lo sguardo innocente con cui era
cresciuto non sembrava più la stessa. Non aveva mai visto il suo viso talmente
tanto deturpato dalla paura. Correva verso di lui sobbalzando ad ogni rumore, sporca
di sangue.
«Che
succede, Natalia?» chiese inutilmente Lance; era una domanda retorica. I
Langford erano tra i pochi quelli che non avevano ricevuto i permessi necessari
per scendere nella Nemesi.
Era
chiaro ciò che stava accadendo: erano lì per loro. La bambina continuava ad
avanzare verso di lui, Lance le fu accanto in un batter d’occhio, giusto in
tempo per vedere i cadaveri dei loro genitori abbandonati in strada dietro di
lei. Come tutti gli altri, erano stati assorbiti, di loro non rimanevano che
due cadaveri scarnificati, coi volti allungati in un grido di dolore.
Il
ragazzino bloccò per miracolo il conato di vomito che sentì salirgli in gola,
ma la sua mente e in generale tutto il corpo non rispondevano ai suoi stimoli.
Doveva correre. Doveva salvarsi la pelle a qualsiasi costo, anche se
significava abbandonare le carcasse di suo padre e sua madre.
Anche
se significava soccombere all’istinto di sopravvivenza e perdere lucidità.
«Ci
sono i mostri, fratellone!» strillava forte Natalia, mentre intorno a loro la
gente impazziva e si mescolava come una massa informe.
Agli
occhi di Lance era tutto molto sfocato in quel momento; forse per la paura,
forse per il buio che era improvvisamente calato sulla piazza. Le iridi verdi
del bambino però erano ancora puntate su quelli dei genitori che voleva
abbandonare ma non riusciva ad abbandonare.
Quando
avevano sofferto mamma e papà?
«Fratello!»
Non
aveva mai visto nessuno assorbito: perché proprio loro?
«Fratello!»
la piccola Natalia si era nascosta sotto la sua giacca per disperazione,
tremando come una foglia, mentre con le mani stringeva i jeans del ragazzino
spasmodicamente. Lei forse non aveva neppure capito che proprio quelle persone
erano i suoi genitori, forse non aveva capito proprio niente.
«Fratello!»
Lance
si risvegliò dalla sua trance nel momento in cui il suo sguardo fu intercettato
da una luminescenza giallastra.
«Lance!»
Agì
il più in fretta possibile. Prese in braccio la sorella, giusto in tempo per
evitare che tre artigli neri gli si conficcassero nella schiena. L’Alpha
Nominus lanciò un urlo d’ira per aver mancato la preda, ma Lance e Natalia
erano già piuttosto lontani.
Il
bambino ordinò alla sorella di tacere, così avrebbero avuto una possibilità di
passare inosservati in mezzo alla folla urlante. Una possibilità su mille di
farcela: tra tutte, quella possibilità doveva essere la loro.
Non
ce n’era solo uno, di mostro, ma moltissimi; i due fratelli ne potevano contare
una decina nella piazza. La strada era scivolosa, putrida di qualsiasi tipo di
orrore che un bambino non dovrebbe conoscere.
Ormai
Lance non ragionava, si limitava a correre in direzione dell’entrata della
Nemesi più vicina, come tutti del resto. Sentiva dietro di lui lo stesso Alpha
Nominus di poco prima: li stava inseguendo. Cosa potevano fare?
La
mente del giovane cominciò a rielaborare idee; dovevano trovare una strada
alternativa. Le entrate della Nemesi erano una sotto la Torre Eiffel, distrutta
dall’arrivo degli Alpha Nominus, l’altra poco lontana dall’Arco di Trionfo,
un’altra alle Champs Elysées, una a Palais Royal e l’ultima, la meno
conosciuta… a Notre Dame.
Correndo
come un pazzo attraverso il Pont d’léna e tenendo stretta la sorella,
prefigurava già una cartina per raggiungere la meta parecchio lontana. Quattro
chilometri! Non potevano farcela!
«Lance,
dove stiamo andando?!» strillò la bimba, ma non ottenne ancora una volta
risposta; sentiva solo il respiro affannato del fratello e il mescolarsi di
grida tanto fitte da disperdere la differenza tra quelle umane e disumane.
«Dobbiamo
nasconderci, vieni!»
Lance
la trascinò via, in direzione delle case ai lati della strada: se si fossero rifugiati
in una di quelle già distrutte forse avrebbero avuto qualche possibilità,
almeno di sfuggire allo scempio in corso.
Notò
di sfuggita due persone entrare in un edificio che sembrava pubblico, così
corse verso di loro, che però, con gli occhi sbarrati, gli chiusero la porta in
faccia.
«Fermi!
Aprite!» urlò il bambino, e una volta raggiunto il portone lo tempestò di
pugni; teneva la sorellina ancora nascosta, bloccata tra lui e la porta, in
modo da coprirla, ma da dentro non proveniva nessun suono. Lance cominciava ad
avere paura di essere stato tradito dalla sua stessa razza. Volevano lasciarli
morire? Avevano il cuore di lasciar morire una bambina piccola come Natalia?
«Aprite,
maledetti!»
A
quel punto però un altro urlo riecheggiò, e non proveniva dai due fratelli. Il
pugno si bloccò a mezz’aria, mentre Lance, con la mente in tilt, si voltava lentamente,
scorgendo di fianco a loro uno dei mostri.
L’Alpha
Nominus si lanciò addosso ai due con una corsa sfrenata, da lì in poi per Lance
era stato buio assoluto. Ricordava solo l’urlo di sua sorella Natalia, impresso
col fuoco nella sua mente. Per sempre.
***
La
notte calò silenziosa e amara. Si trovava ancora lì, davanti alla torre, in
attesa.
L’uomo
stringeva col forza la gamba dolorante, che bruciava così tanto da sembrare
pronta a staccarsi di netto.
A
un certo punto, stanco di quel dolore massacrante, aveva strappato il pantalone,
raggelando alla vista di ciò che gli stava realmente accadendo: la pelle era
nera, dura e gelida.
Buffo,
sorrideva amaramente ora, che proprio a lui, un cacciatore di Alpha Nominus,
fosse toccato questo destino crudele. Ma lo aveva capito nel momento in cui si
era svegliato in ospedale: non sapeva come e perché, ma lo aveva capito davvero.
L’importante era essere riuscito a star un altro po’ con Leef.
Ed
ora, con gli occhi spenti che contemplavano la grande torre, Lance ripercorreva
con la mente la sua vita, ponendosi nuovi interrogativi che sarebbero rimasti
senza risposta. Si augurava con tutto il cuore che Leef riuscisse a superare lo
shock di aver perso anche lui; ormai ne era sicuro, per chi come lui aveva
intrapreso quel processo di mutazione non v’era scampo.
Una
fitta allo stomaco lo costrinse a piegarsi in due, mentre sentiva in bocca il
sapore del sangue. Cadendo rovinosamente per terra, lottò contro un terribile
senso di stanchezza che lo aveva assalito.
Che
fine penosa… mentre cercava di trattenersi dall’urlare sperava di morire in
fretta, prima di trasformarsi. L’unica cosa che ancora desiderava era non
essere costretto in futuro, cedendo a istinti famelici, ad attaccare altri
esseri umani.
Non
voleva… sarebbe stato troppo…
Proprio
mentre chiudeva gli occhi, ora di un verde tendente al giallo, gli parve di
udire poco lontani versi divertiti. Riusciva a capire quello che dicevano. Non
erano più semplici versi striduli: erano parole. Dio, riusciva a comprendere la
loro lingua.
«Te
l’avevo detto che ci saremmo rivisti.»
***
Dopo
la fuga del Cacciatore Lance Langford dall’ospedale e la nuova, agghiacciante
scoperta sugli Alpha Nominus, la Nemesi era caduta preda del caos. Nessuno era
più al sicuro, nessuno poteva più salire in superficie senza provocare delirio
e panico. E, in fondo, non si poteva dar torto a nessuno.
La
gente aveva paura, la reazione più naturale del mondo.
Leef
non era più uscita di casa. Da due giorni compilava richieste su richieste, ma
nessuno voleva accordarle il permesso per uscire in superficie, e di certo non
poteva andare nel mondo di sopra senza le dovute armi, che solo attraverso la
Nemesi avrebbe ottenuto. Non riusciva a dormire, ogni volta che chiudeva gli
occhi rivedeva il volto di Lance, ora là fuori, probabilmente in procinto di
trasformarsi.
Abbandonata
alla disperazione e alla solitudine, si trascinava per casa in cerca di
qualcosa che potesse anche lontanamente somigliare a un’arma. Sperava con tutto
il cuore che Lance avesse con sé la piccola scheggia di cristallo di Berg che
era stata consegnata ad ogni membro della Nemesi; magari, visto che ormai tutta
quella faccenda rasentava il sovrannaturale, premerlo sulla pelle o chissà cosa
avrebbe rallentato la trasformazione.
Gli
occhi blu della donna capitarono su un pacchetto rosso messo in bella vista sul
tavolo: non aveva ancora avuto il coraggio di aprirlo, era ormai una specie di
reliquia nel suo immaginario. Il sorriso di Lance le ingombrò la mente e non fu
più in grado di reprimere urla e lacrime.
Era
incredibile, si ripeteva, che adesso pure l’unica persona rimastale le fosse
stata strappata dagli Alpha Nominus. Che cosa avrebbe fatto? Che cosa poteva fare?
Ore 21.36.
«Signorina
Leef! Apra la porta!»
La
voce di Jonathan costrinse Leef a riaprire gli occhi, scoprendo così di essersi
miseramente addormentata contro il muro; con la testa che le faceva male e la
nausea di chi mangia poco da tempo, osservò l’orologio, notando che aveva
passato ben sei ore in quello stato.
Barcollando
si rialzò, andando poi verso la porta dell’appartamento. Inciampò sul tappeto e
cadde a terra, ma spinta dal pensiero di dover aprire quella dannata porta si
rimise in piedi e finalmente la raggiunse.
«Jonathan…»
mormorò a pezzi, quando si trovò davanti il capo dei profughi.
«Signorina
Leef.» l’uomo appariva molto provato, quasi quanto lei. La perdita del loro
compagno doveva aver causato moltissimo dolore all’interno del gruppo dei
profughi.
Leef
inclinò in capo davanti alle occhiaie dell’uomo, il quale riprese a parlare,
ora con voce ora più ferma.
«Ahh…
questo è difficile. Da dove posso cominciare?»
«Dall’inizio.»
fu la gelida risposta dell’altra, mentre incrociava le braccia al petto «Vuoi
entrare?» domandò poi con voce non molto gentile, ma quale gentilezza si poteva
pretendere in un momento simile?
«No,
no…» rispose prontamente lui «Sono venuto a chiederti se vuoi venire con noi.»
Non
le sembrava proprio il caso di uscire, specialmente nelle condizioni in cui
era, perciò domandò «Dove?»
Ed
egli, sottovoce come se stesse confessando un segreto, mormorò «Sopra.»
Leef
sgranò gli occhi, per lo stupore sciolse senza rendersene conto le braccia e la
sua voce tradì tutta la sua incredulità «Avete i permessi?»
Sempre
con discrezione, e stavolta anche con un po’ d’imbarazzo, quello disse «No. Ma
abbiamo le armi. Non chiedere come le abbiamo recuperate.»
Americani.
Tipico di loro. Non avevano il permesso ma hanno le armi. E le armi erano
quello che serviva, al diavolo il permesso! Al diavolo la Nemesi, al diavolo
tutto ciò per cui aveva creduto di lottare fino a quel momento: ciò per cui
aveva lottato fino a quel momento in realtà era in superficie.
«Mi
unisco a voi.» fu la pronta risposta della scienziata, accompagnata da un
sorriso nervoso «Datemi mezz’ora per prepararmi.»
La
conversazione era stata molto breve, ma era riuscita a infondere nella donna
una nuova energia: si sentiva tremare, era così carica che avrebbe potuto
combattere anche a mani nude! Finalmente poteva andarsene da lì!
Concordò
con Jonathan il luogo dove incontrarsi mezz’ora dopo, una volta entrata in casa
si gettò a fare tutto ciò che non aveva fatto in due giorni: una doccia,
mangiare e rifocillarsi, preparare lo zaino con provviste, medicine, una torcia
e ogni cosa che le sarebbe potuta servire. Prese anche il regalo di Lance, e
dopo aver scoccato un ultimo sguardo alla sua piccola casa, nella quale era
sicura che non sarebbe più tornata, lo scartò con mani insicure e occhi timidi
come quelli di una bambina.
Quando
raggiunse il gruppo di Jonathan, aveva all’anulare sinistro un anello bianco.
Ore 22.48.
La
battaglia che in seguito si consumò venne ricordata per sempre. Mai si sarebbe
detto che quegli uomini sarebbero anche solo riusciti a uscire dalla Nemesi,
eppure così fu. La paura degli Alpha Nominus, mista alla paura delle armi
portate in mano dai rivoltosi – molto più numerosi di quanto si pensasse - e
alla consapevolezza che o per mano loro o per mano dei mostri sarebbero morti
comunque, convinse le guardie a lasciarli passare.
Era
piena notte quando il gruppo raggiunse terra. Avevano usato uno degli ascensori
che portavano direttamente al centro di Parigi, dove sapevano essere annidati i
mostri.
Leef
aveva pensato a lungo. Si era posta molte domande e alcune le aveva pure condivise
col resto del gruppo.
«Che
fine ha fatto il primo Alpha Nominus?» aveva chiesto a Jonathan.
La
fine del primo Alpha Nominus era sempre stata un mistero; nemmeno lei, che
aveva cominciato ad operare solo anni dopo quella storia seppure in sfere
relativamente alte, aveva accesso a dati ormai censurati da tempo.
L’uomo
aveva impiegato diversi secondi a rispondere, troppo occupato a guardarsi
intorno. Il gruppo camminava compatto: erano in molti e ognuno aveva una gran
scorta di cristallo di Berg sia sui vestiti che nelle armi.
Leef
aveva ricevuto una spada molto pesante, che le ricordava un po’ quella di Lance.
«È
stato trasferito. Ma non so dove…» rispose infine Jonathan, col suo marcato
accento americano e difficoltà nel trovare alcune parole «L’ho letto in un…
err, an article.»
«Un
articolo?» gli suggerì la donna, che gli camminava a fianco.
«Bingo!»
esclamò allora lui; non aveva problemi ad alzare la voce, il loro scopo era
farsi sentire e attirarli mentre si addentravano sempre più dentro Parigi, la
loro destinazione era la piazza della Torre Eiffel «La teoria più accreditata
era che fosse un… un coso, uhm… un nesso, ecco.»
Leef
si fermò, guardandolo accigliata «Un nesso?»
«Corretto.
Un nesso che li tiene in vita tutti. Ma sono solo leggende ormai.»
Un
nuovo barlume di speranza si accese in Leef, come una luce alla fine di un
tunnel buio e stretto: non si sarebbe stupita se, dopo l’allergia al cristallo
di Berg, anche quella diceria si fosse rivelata vera. Forse sarebbe stato
troppo facile, troppo vantaggioso… ma anche ingegnoso, se i fautori di questo
legame fossero stati proprio coloro che lo avevano creato. Un’assicurazione
sulla vita, insomma, la certezza di poterli eliminare tutti uccidendone uno.
Ricordava
bene la notte della creazione del primo Alpha Nominus, o meglio, ricordava le
registrazioni fatte e poi mostratele: era stato creato negli Stati Uniti, dove
aveva vissuto i suoi primi dieci anni di vita, per poi essere trasferito in
Germania; dagli ultimi rapporti effettuati prima che gli Alpha Nominus prendessero
il controllo, risultava che numero uno fosse fuggito dal suo laboratorio, e
l’ultima notizia su di lui affermava la sua presenza a Parigi, per combattere
la Nemesi, che lì aveva sede e quindi vi era una grande affluenza di umani.
Ma
un interrogativo restava… era ancora a Parigi?
Ore 23.51.
Quando
Leef vide gli Alpha Nominus venirle addosso in massa ebbe davvero paura.
Dapprima utilizzò una pistola – caricata a proiettili fatti di cristallo di
Berg -, riuscendo senza difficoltà a ucciderne molti in breve tempo. Il
risultato la lasciò semplicemente stupefatta, tanto da farle credere di essere
in un sogno.
«Siete
dannatamente deboli, ora!» esclamò con goliardia, soddisfatta davanti ai
cadaveri di quei mostri che le avevano rovinato la vita. La vendetta aveva un
sapore così dolce… eppure lasciava un retrogusto amaro in bocca.
Dopo
il primo scontro avevano scoperto di essere vicini alla zona più colma di
mostri dell’intera città, considerata un po’ il loro covo.
Attraversarono
con difficoltà la Avenue de La Motte-Picquet, la lunghissima strada
perpendicolare alla piazza della Torre Eiffel, che sapevano per esperienza
essere uno dei pochi luoghi non densamente popolati dai nemici. Nonostante ciò,
non fu un’impresa facile.
Leef
fu seriamente in pericolo quando, concentrandosi su un lato da cui due mostri
la stavano raggiungendo, non si accorse di un altro che l’aveva presa alle
spalle, colpendola con violenza alla schiena. La ragazza cadde sull’asfalto
polveroso e pieno di fosse come un peso morto, senza però perdersi d’animo,
quindi alzò la pistola, sparando al mostro dritto in faccia.
Si
ritrovò poi addosso gli altri e per un attimo rivide la scena durante la quale Lance
l’aveva salvata da tre Alpha Nominus a costo della sua stessa vita.
Fu
questo pensiero a spingerla ad estrarre la spada e tranciare di netto vari arti
dei mostri che le si erano buttati addosso, con la forza della disperazione.
Un
odio sconfinato aveva poi guidato la truppa, che fin ora aveva perso cinque
elementi, fino alla Anatole France, e poi alla Charles Risler e su, sempre più
su.
Fin
quando Leef si trovò innanzi alla torre.
Da
quanto tempo non la vedeva? Anni, da quando l’aveva visitata prima che i suoi
genitori venissero uccisi. Il quartiere era troppo denso di Alpha Nominus per
permettersi di avvicinarsi.
Era
stata bellissima un tempo, ma ora era uno spettacolo tanto macabro quanto
violento; evidentemente, infatti, i mostri l’avevano scambiata per una casa
comune, e si trovavano tutti lì, attorno ad essa, stipati come mobili in un
garage.
Quanti
erano? Più di una cinquantina, sicuramente. Pensare che quella era solo una
piccola parte di quelli che si erano sostituiti al genere umano fece rivoltare
lo stomaco di Leef.
Gli
umani si mossero. Cinquanta uomini contro una sessantina di Alpha Nominus: una
battaglia impari, che sembrava persa in partenza. Le urla dei mostri erano tanto
assordanti, Leef si convinse di una cosa: se mai fosse sopravvissuta, ipotesi
piuttosto remota, sarebbe rimasta sorda.
Non
c’era più paura nell’aria, solo rabbia repressa, talmente tanta che sembrava
essere l’unico sentimento rimasto al mondo, pronto ad assistere a quella che
poteva l’ultima guerra della storia.
«È
la resa dei conti, bastardi…» sussurrò Leef, e la sua flebile voce si perse nelle
profondità della notte buia.
Nonostante
il buio però la visibilità era ottima, infatti l’impianto luminoso della torre
funzionava ancora, garantendo un’illuminazione piuttosto decente alla piazza
che era il campo di battaglia.
Gli
umani erano stati portati lì dall’esasperazione. Sapevano che era una follia,
che probabilmente anche uccidendo tutti gli Alpha Nominus di Parigi il giorno
dopo ne sarebbero arrivati dei nuovi, ma tra colui che aspetta la morte o colui
che va incontro alla morte, chi è il più pazzo?
Forse
fu proprio il coraggio di questi ultimi a smuovere gli animi di quelli che
erano rimasti nella Nemesi, ed ecco perché, a battaglia già iniziata, mentre Leef
combatteva con tutta se stessa, sentì delle urla umane in lontananza.
Voltandosi
avvertì una stretta al cuore.
Una
nuova onda di umani era uscita dalla Nemesi, armata fino ai denti, pronti ad
unirsi alla battaglia. Adesso gli umani erano in netta maggioranza, tanto che
persino qualche Alpha Nominus se la diede a gambe.
I
bagliori dei cristalli di Berg illuminavano la notte, come un ultimo barlume di
speranza contro il nero dei corpi dei mostri.
Leef
si sentì felice: gli uomini rimasti sul pianeta Terra si erano unificati come
un’unica enorme forza distruttrice, assetata di vendetta e di nuova vita,
combattendo il nemico artificiale. Quella notte si faceva la storia.
Leef
attraversò a grandi falcate il campo di battaglia, il quale sembrava davvero
uno spettacolo di luci. L’azzurro dei cristalli di Berg si mescolava al buio e
al bianco dei fari, creando sfumature e giochi di colori senza senso, intrisi
di pazzia, che si concludevano irrimediabilmente con la morte di uno dei
combattenti. Ne cadevano tanti, così tanti da non poterli contare; corpi che si
mescolavano, sangue che sgorgava dalle ferite, cadaveri che si accasciavano e
rumore di armi che si infrangevano, questo era ciò che si scatenava intorno a
Leef.
Le
facevano male le gambe, aveva il fiato pesante e il cuore che batteva per
l’emozione; ma, in mezzo al tripudio di suoni indefiniti, trovò la forza di
elevarsi al di sopra di tutti e tutto, urlando l’inno di battaglia del genere
umano «Umani! Combattiamo per il nostro futuro!»
Nuove
grida, emozionate quanto le sue, l’accompagnarono nel caos generale. Leef sentì
di star davvero rasentando la pazzia, eppure aveva ancora una cosa da dire, che
però non poté far altro che mormorare: era più un augurio che una certezza,
mentre l’immagine di Lance diventava sempre più forte nei suoi pensieri «E che
Dio ci aiuti…»
Ore 05.59.
La
battaglia era stata a dir poco terribile e ancora non accennava a finire. La
notte stava abbandonando la scena, lasciando che il cielo si schiarisse pian
piano, con l’avanzare delle ore. Presto il sole sarebbe sorto.
Le
perdite erano state gravi da entrambe le parti: se da una schiera rimanevano
una ventina di Alpha Nominus, almeno un centinaio umani erano morti. Ognuno si
arrangiava come poteva, mostro o uomo.
Leef
era stancamente alla ricerca di Jonathan – ammesso che egli fosse ancora vivo.
Tra le file dei sopravvissuti si sentiva la stanchezza, molti faticavano addirittura
a reggersi in piedi, ma ormai erano vicinissimi alla vittoria ed era vitale distruggere
tutti gli Alpha Nominus prima che questi avessero il tempo di riprodursi. La
situazione era a dir poco disperata, ma ancora intrisa di quella folle speranza
che animava i combattenti.
«Jonathan!»
urlò Leef con quel po’ di fiato che le rimaneva in gola quando scorse l’uomo
«Resisti!»
Il
capo dei profughi se la stava cavando bene. La sua furia continuava a mietere
vittime a colpi di spada. Fece un cenno affermativo con il capo, senza però
voltarsi verso Leef, troppo concentrato sullo scontro.
La
ragazza si voltò invece per correre di nuovo verso la torre, stavolta senza
fermarsi; aveva intenzione di giungere sotto di essa per controllare la situazione.
Percorse lesta la piazza, evitando i corpi e stando attenta a non scivolare sul
sangue, ignorando il ribrezzo che provava ogni volta che le si prospettava
davanti un arto staccato o un cadavere umano. Non era il momento di fare gli
schizzinosi. Ormai gli Alpha Nominus non provavano più ad attaccarla, avevano
capito di essere spacciati e molti di loro tentavano di allontanarsi, dunque
non ebbe problemi a passare in mezzo a loro mentre ne affettava qualcuno con la
spada ormai irrimediabilmente danneggiata.
Era
irriconoscibile. Completamente sporca di sangue, coi vestiti strappati e gli
occhi spiritati, rossa in viso per gli sforzi che stava compiendo.
Raggiunse
la torre col cuore che galoppava, fermandosi giusto un attimo per riprendere
fiato. Stranamente non v’era nessuno, né umano né mostro. Leef si guardava
intorno sospettando che fosse un agguato. Ma non lo era affatto, anzi il nemico
venne alla luce da solo.
Un
suono terribile si espanse nell’aria, mentre tre metri di Alpha Nominus
leggermente diverso dagli altri avanzava verso la ragazza.
Era
completamente nero come tutti gli altri, a parte per gli occhi gialli, ma a
differenza degli altri Alpha Nominus aveva delle lame sulle braccia e
grandissime ali di almeno tre metri spalancate in orizzontale. Emetteva un
suono orribile, come un ringhio.
Leef
sentì le ginocchia minacciare di cedere.
Il
Nesso. Non poteva essere nient’altro. Quello era davvero il Nesso. Era a Parigi
ed era lì, davanti a lei: l’occasione di mettere fine a quell’inferno era a
portata di mano.
Il
mondo a quel punto sparì: c’erano solo lei e il Nesso.
«Vostra
altezza…» sorrise, percorsa da un’adrenalina incontrastabile comandarle di non
perdere altro tempo. Prima dell’alba il re sarebbe caduto giù dal trono «Pronto
ad abdicare?»
Alzò
la spada, pronta ad affondarla, quindi si lanciò contro il mostro.
Nonostante
sembrasse goffo, il Nesso era furbo e soprattutto forte. Parò senza problemi il
colpo di Leef, incrociando le sue lame con quella della spada, e i loro occhi
potettero specchiarsi gli uni negli altri per un attimo.
La
scienziata non era mai stata tanto vicina a uno di loro senza poterlo uccidere.
Capendo
che non aveva speranze contro un mostro con quella forza, si tirò indietro con
disappunto. Il cristallo di Berg non lo aveva scalfito più di tanto.
«Quindi
sei forte, bastardo.»
Pensò
di puntare sulla velocità, quindi estrasse la pistola, ma non riuscì a sparare
nemmeno un colpo che dovette scansarsi per non essere colpita dal contrattacco
del mostro, che aveva fatto un santo in avanti per afferrarla. Rivelando una
velocità che lei non gli avrebbe mai attribuito a causa della stazza, la seguì poi
agitando le braccia, cercando di colpirla con fendenti che più di una volta la
presero, ferendola.
Leef
venne colpita alla testa, procurandosi l’ennesimo taglio. Finita a terra, notò
con orrore che la ferita sanguinava abbastanza copiosamente; ben presto si
ritrovò l’occhio destro coperto da un velo rosso e fu costretta a fermarsi un
attimo per pulirselo, altrimenti sarebbe rimasta per metà cieca. Grave errore.
Il
Nesso la raggiunse in fretta, nonostante ella si fosse trascinata più lontano
che poteva, inchiodandola al pavimento con un’ala appuntita, che passò da parte
a parte la gamba sinistra della giovane. Ella lanciò un urlo, sentendo il
sangue salirle lungo la gola e i muscoli della parte inferiore del corpo
abbandonarla. Alzò con la forza della disperazione la pistola e sparò uno, due,
tre colpi contro il mostro. Solo al quarto però riuscì a provocare una sua
reazione, forse perché i primi tre non l’avevano neanche colpito. Leef non lo
sapeva, non riusciva più a vedere niente e la testa le faceva troppo male per
ragionare.
Il
mostro urlò con tutta la voce che aveva, alzando lo sguardo. Leef sentì sotto
la camicia, tra un battito e l’altro del cuore, la collana che le aveva
regalato Lance muoversi piano, scivolando sulla pelle bagnata di sudore fino a
poggiarsi a terra, senza però slacciarsi.
L’Alpha
Nominus continuò a urlare, alzò un braccio per finire la sua avversaria e lo abbatté
con violenza contro il suo viso.
In
quel momento Leef sorrise. Il mondo divenne nebbia attorno a lei e finalmente
sentì un calore ristoratore che da anni non provava, lo stesso di quando sua
madre la stringeva. Sentiva la sua voce chiamarla e il papà esclamare di
scendere a fare colazione, altrimenti avrebbe fatto tardi a scuola. Rivide la
sua piccola mano stretta a quella del padre, rivide il sorriso degli amici,
rivide se stessa concentrata sui cartoni animati in tv, ignorando i compiti che
il giorno dopo avrebbe dovuto portare. Sentì il buon odore dei dolci che la
mamma amava cucinare, rivide la sua cameretta disordinata e piena di peluche.
Riprese in mano Ann, la sua bambola preferita. Sentì la voce di Lance chiamarla
e scrutò ancora una volta il suo viso pensieroso, rimproverandogli di avere
sempre la testa tra le nuvole.
Lasciò
cadere le sue fide pistole per terra. Sapeva che ormai non le servivano più. Il
mondo nuovo era giunto.
“Il
mondo che abbiamo costruito con le nostre mani… È tutto nostro… E sarà
bellissimo…”
Ore 6.30.
Un
sibilo rabbioso si propagava ai piedi della Torre Eiffel. Eppure quell’Alpha
Nominus non stava ringhiando, stava facendo qualcosa di strano, anomalo per uno
della sua razza.
Scansò
con un violento calcio il corpo senza più vita del Nesso, usando una tale
violenza da spaccargli il cranio. Una rabbia immensa accomunava gli umani e gli
Alpha Nominus alla stessa maniero. Ma la rabbia di quello in particolare li
batteva tutti.
Tremava
violentemente mentre osservava il nuovo mondo con occhi color dello smeraldo,
tenendo tra le braccia un piccolo corpo, minuscolo rispetto al suo: una giovane
donna ormai morta da molti minuti, che non aveva potuto assistere all’ultimo
duello. Il duello tra il capo dei mostri e il mostro in cui si era trasformato
l’uomo che l’aveva amata con tutto se stesso, e che alla fine non era riuscito
a proteggerla.
Uno
dopo l’altro, tutti i Nominus si stavano accasciando a terra, spirando. Ormai
pochi oltre lui rimanevano in piedi.
Chiamarlo
Alpha Nominus sembrerebbe riduttivo, quindi potremmo definirlo un’ultima volta
col suo vero nome.
Il
sole sorgeva, annunciando una nuova era, l’era in cui gli uomini si erano
conquistati con l’unione e l’aiuto reciproco il loro diritto a esistere. Alle
spalle della Torre Eiffel, l’astro illuminava di nuova vita i sopravvissuti
umani, concedendo loro una nuova possibilità. L’ultimo Alpha Nominus che si
trovava in piazza morì. Senza il loro re non resistevano a lungo.
Lance
Langford camminò con le sue nuove scheletriche gambe nere, tenendo in braccio
il corpo dell’amata Leef.
La
luce lo illuminava da dietro, oscurando la sua figura, rendendolo simile a una
divinità. Né uomo né Alpha Nominus, i suoi occhi smeraldini lo attestavano. Lanciò
un urlo, un urlo intriso di dolore, a metà tra quello umano e quello mostruoso
che caratterizzava gli esseri che fin ora aveva sempre combattuto. Lacrime
amare rigarono gli viso nero come la pece, mentre il pendaglio di Leef brillava
in controluce. Gli umani rimasero a fissarlo sgomenti, incapaci di comprendere
la scena che avevano davanti.
Ma
il Nesso era morto. Dunque infine anche Lancelot Langford, l’ultimo Alpha
Nominus della storia, cadde a terra stringendo ancora al petto l’amata donna.
Ce
l’avevano fatta. Il nuovo mondo era stato creato, e ora… potevano godersi il
meritato risposo insieme. Dio li aveva aiutati.
Comunicato
stampa del 17 dicembre 2070.
“Ai
superstiti della guerra contro gli Alpha Nominus.
Amici,
compagni di lotta e di vita, ovunque e chiunque voi siate in questo momento, è
con immensa gioia che annuncio la vittoria dell’umanità.
Amici
umani, guardatevi intorno: il mondo non è più nostro nemico. Tuttavia vi
pregherei di non considerarlo vostro, perciò vi invito alla riflessione.
Il
genere umano si è sempre distinto per la sua intelligenza e per la capacità di evolversi,
una genialità che ci è stata fatale.
Si
sa: gli uomini sono imperfetti, e peccano di superbia. Vi invito ad affrontare
la realtà, perché la guerra che ha distrutto il mondo e spezzato miliardi di
vite non finisca nel dimenticatoio degli orrori dell’umanità ricordati solo sui
libri di storia.
Questa
è la nostra punizione per aver giocato a fare dio.
Nella
guerra, in questa guerra che spero sia l’ultima che il nostro mondo debba
conoscere, ho avuto l’onore di incontrare una persona, una donna, la quale non
si è mai arresa fino alla fine. Ella è morta durante lo scontro, combattendo
contro il primo Alpha Nominus, il Nesso.
Voglio
che l’intero mondo, o quel che ne è rimasto, conosca il suo nome e quello della
persona senza la quale ella non avrebbe mai trovato la forza di andare avanti: Leef
Leroy e Lance Langford, coloro che riportarono alla luce il cristallo di Berg.
Vi
chiedo di non dimenticarli.
Ma
ora, amici miei, è il nostro momento, il momento di lasciarci alle spalle il
passato e guardare con rinnovata speranza al futuro.
Un
mondo nuovo ci aspetta, lo costruiremo tutti insieme. Il mondo nuovo inizia con
noi.
Jonathan Thompson.”