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Autore: Lelaiah    22/02/2016    2 recensioni
Da diversi anni il genere umano è entrato in contatto con il mondo soprannaturale e la convivenza, nonostante alcuni alti e bassi, sembra essere tranquilla. L'arrivo del branco MacGregor a New York ha creato un grande scompiglio tra gli altri gruppi di licantropi e stuzzicato la curiosità della stampa.
Tutto quello che vuole Evan, figlio dell'Alfa del clan appena arrivato da oltreoceano, è poter vivere la propria vita in pace. Possibilmente evitando la maggior parte dei contatti col padre e ignorando le richieste egoiste della bella ed algida Crystal, sua moglie.
Nella stessa città vive anche Amanda, giovane assistente che condivide l'appartamento con la sorella Frances e il fidanzato di lei, Andrew. La loro vita scorre tranquilla, lontana da qualsiasi coinvolgimento col soprannaturale... almeno fino a quando tutti loro non si ritroveranno nel bel mezzo di un attacco perpetuato da alcuni licantropi di un clan locale.
L'inaspettata trasformazione di Drew porterà questi due mondi ad entrare in collisione. Far collimare stili di vita dissimili sembrerà ancora più difficile quando la città verrà sconvolta da una serie di omicidi, questa volta ai danni della comunità soprannaturale.
Umani e licantropi riusciranno a collaborare? E magari anche ad innamorarsi?
Buona lettura!
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 19 Vincitori..? Il branco sarà riuscito a portare a casa la pelliccia? E la trasformazione di Andrew a che punto sarà?
Date la scalata al capitolo e lo scoprirete.

Buona lettura :)





Cap. 19 Vincitori..?

  Se avesse potuto gridare l’avrebbe fatto, anche col poco fiato che le rimaneva. Ma era ancora in forma animale e l’unica cosa che poté fare fu emettere un uggiolio di terrore.
Osservò impotente il corpo del suo piccolino descrivere un arco in aria e poi sparire nelle acque del fiume Hudson con una cascata di spruzzi.
Spalancò la bocca, tentando ancora di urlare.
  Inutile.
Gli occhi colmi di terrore, restò a fissare i cerchi d’acqua che pian piano scemavano, sperando ardentemente che le corde si fossero allentate e Blake fosse sul punto di riemergere. Percepiva nella propria testa la paura cieca del suo bambino, le sue involontarie richieste d’aiuto telepatico, ma era troppo sconvolta anche solo per rispondergli.
E non sarebbe riuscita ad immergersi per salvarlo, ridotta com’era.
Disperata, girò la testa in cerca di aiuto. Evan era ancora impegnato a fronteggiare Jared e lo scontro sembrava ben lungi dall’essere finito; il nuovo arrivato stava combattendo furiosamente con uno degli ultimi avversari rimasti e non riusciva a vedere Eric.
Ma percepiva la paura e l’ansia di tutti quanti.
Volevano salvare Blake.
  Dovevano salvare Blake, a tutti i costi.


“Ragazzo! Eric!”, Alastair lo chiamò per l’ennesima volta, cercando di ottenere la sua attenzione. Ma il licantropo non si muoveva e l’unico segno di vita era l’alzarsi ed abbassarsi frenetico della sua cassa toracica.
Alst sentì la rabbia montare dentro di sé, simile al ghiaccio che avanza e inghiotte tutto quello che si trovi nei paraggi. Non era mai stato incline a scoppi d’ira violenti, ma sapeva rendersi pericoloso quando voleva.
Arricciò con forza il labbro superiore e puntò gli occhi castani sul lupo che aveva davanti. Se a molti poteva apparire come uno scozzese dall’aspetto un po’ rude, pochi sapevano quanto fosse abile nel controllare i propri impulsi. Era riuscito a raggiungere l’equilibrio interiore e non era più in conflitto con la bestia dentro di sé da parecchio tempo.
Ma questo non voleva dire che aveva perso la capacità di uccidere. Preferiva solo usarla quando era veramente necessario.
  Come in quel momento.
Divaricò le zampe, saggiando con cura l’asfalto consunto sotto i polpastrelli. Il suo avversario sembrava ancora intenzionato ad attaccarlo, pago del risultato ottenuto poco prima.
Li aveva colpiti a tradimento ed Alst aveva reagito troppo lentamente, rischiando di essere preso in pieno. Inaspettatamente Eric si era frapposto tra loro due, intercettando il colpo destinato a lui.
  Ed ora giaceva a terra, praticamente immobile e riverso nel suo stesso sangue.
Non poteva tollerarlo. E non poteva nemmeno permettere che il cucciolo che erano venuti a salvare morisse annegato… quindi doveva liberarsi in fretta di quello scocciatore.
Fece perno su tutte e quattro le zampe e scattò in avanti, coprendo in poco tempo i metri che lo separavano dal suo obiettivo. All’ultimo momento deviò dalla propria traiettoria e si spostò di lato, attaccandolo sul fianco.
Il lupo ringhiò una protesta, cercando di contrattaccare, ma non ne ebbe il tempo. Alastair iniziò a colpirlo da tutte le angolazioni, strappandogli ogni volta un’oncia di carne o qualche schizzo di sangue.
In meno di tre minuti riuscì ad avere la meglio sull’avversario, decretando la parola fine. Osservò il cadavere del lupo, ma poi si girò per concentrare  la propria attenzione su Eric.
“Alst, il bambino!”, la voce di Evan gli esplose in testa.
“Chi si occuperà del ragazzo?”, domandò, esitante.
“Io. Vai!”, ordinò l’altro.
Senza più esitazioni si gettò a capofitto verso la banchina, superando sia Emily che il suo avversario. Intercettò l’odore del piccolo e piegò leggermente a destra, balzando in acqua poco dopo.
   Perforò la superficie come una freccia e, una volta sott’acqua, riassunse sembianze umane. La bestia permetteva loro di fare molte cose, ma il nuoto non era tra le sue abilità più sviluppate.
Scandagliò le profondità grigiastre del letto del fiume, cercando di individuare la piccola sagoma. Sentiva la sua paura, ma con tutto quel fango era difficile vederlo.
Fino a che notò un piccolo baluginio con la coda dell’occhio. Si avvitò su se stesso e puntò in quella direzione, fendendo la corrente con grandi bracciate.
Più si avvicinava più la sua visione d’insieme si schiariva, rendendogli possibile individuare Blake. Senza troppe cerimonie lo afferrò per le corde che lo legavano per trarlo a sé, poi se lo strinse con cura al petto e, con un colpo di reni, tornò a puntare verso l’alto.
Sentiva il cuoricino del piccolo rallentare la propria corsa e sapeva che doveva sbrigarsi.


-Riuscirete a salvare il marmocchio, a quanto pare.- commentò Jared, sprezzante.
Aveva la spalla sinistra lacerata e non riusciva ad usare il braccio già da un po’ ma, nonostante la ferita, rimaneva sempre un emerito idiota.
-Spera di riuscire a salvare la tua pellaccia, piuttosto.- gli suggerì Evan. Avrebbe voluto risparmiare al piccolo Blake tutti quei traumi, così come ad Emily ed Eric, che giaceva ancora a terra. Vivo, nonostante tutto, ma ancora incapace di muoversi.
“Bel lavoro, Alfa.”, si rimproverò. Detestava che altri pagassero per sue imprudenze.
L’americano tentò un affondo, prontamente bloccato dal suo avversario. –Non ti preoccupare per me: me la sono sempre cavata.- rispose, cercando di forzare la resistenza di Evan.
Lui gli lanciò un’occhiata bieca, prima di torcergli il polso e sferrargli un calcio al menisco. –Non lo metto in dubbio.- replicò. –Ma questa volta te ne andrai con un po’ di lividi.
Dai rumori che riusciva a percepire, Alastair stava riemergendo e avrebbe avuto bisogno di aiuto per gestire la situazione. Quindi doveva metter fine a quello scontro.
Gonfiò i muscoli di spalle e braccia, raccogliendo le ultime forze rimastegli: nonostante la spavalderia, aveva alcune lacerazioni e fratture dall’aspetto preoccupante.
  Jared sembrò vedere qualcosa nei suoi occhi perché cambiò improvvisamente espressione, mentre il sangue gli defluiva dal viso. Provò a contrattaccare per liberarsi l’arto bloccato, ma ottenne solamente una frattura scomposta.
Van lo lasciò andare, permettendogli di arretrare, ma subito dopo lo colpì alla base del collo con la gamba destra, imprimendo al corpo del licantropo una forza di rotazione tale da mandarlo a schiantarsi a terra.
Nel punto di atterraggi l’asfalto si sbriciolò, collassando in un avvallamento creato dall’onda d’urto. Soddisfatto, lo scozzese diede le spalle all’avversario, pronto a metter fuori gioco anche l’ultimo lupo rimasto.
Peccato che Simon, il Gamma del branco, se la fosse data a gambe.
“Codardo.”, pensò disgustato.
Sputò un grumo di sangue, ripulendosi la bocca dai residui e poi si avviò rapidamente verso Eric, per controllare come stesse. Mentre si accosciava accanto al corpo un improvviso brivido freddo gli attraversò la schiena.
Sollevò la testa di scatto, cercando d’individuarne la causa, ma non scorse nulla di sospetto.
“Mi sento osservato.”, pensò, mantenendosi davanti ad Eric per proteggerlo da eventuali attacchi. Scandagliò ogni metro quadro in vista, ma i suoi occhi non videro nulla di anomalo in ciò che lo circondava.
  Stava per iniziare una nuova perlustrazione visiva quando colse un baluginio. Puntò lo sguardo verso l’ingresso di un grosso capannone alla sua destra, scrutando attraverso le ombre della basculante di metallo.
Un paio di occhi comparve nel suo campo visivo. Sbatté le palpebre, confuso e, quando tornò a guardare, quelli erano spariti.
Non avrebbe saputo spiegare il perché, ma era sicuro di averli già visti prima.


 
   Infranse la superficie calma del fiume con violenza, prendendo una grande boccata d’aria.
Si tolse i capelli dal viso e poi percorse i pochi metri che lo separavano dalla banchina, aggrappandosi al bordo con l’ausilio della mano libera.
Blake aveva iniziato a tossire abbondantemente, rischiando di strozzarsi, ma era un buon segno: non avrebbe dovuto rianimarlo.
Fece perno e si issò sul bordo, al sicuro e all’asciutto. Per prima cosa liberò il piccolo dalle corde intessute d’argento, rivelando quanto fossero state più pericolose del bagno fuori programma.
-Figliolo…- Alastair cercò di attirare la sua attenzione. Blake, il viso completamente congestionato a causa dei colpi di tosse, alzò la testa e lo fissò confuso. –Sono un amico di tua madre. Come ti senti?
Il bambino si fece un rapido esame e poi gli mostrò i polsi. –Bruciano…- disse con voce roca.
-Lo so. Ma guariranno, non ti preoccupare. Senti male da qualche altra parte?- s’informò, paziente. Ci pensò su e poi scosse la testa. –Bene. Ti porto da tua madre.
Lo prese in braccio senza sforzo e raggiunse Emily, che nel frattempo era riuscita a sedersi. Ansimava pesantemente e teneva una mano premuta sul fianco per tentare di fermare l’emorragia in corso. Quando sentì i passi dello scozzese sollevò il capo e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Senza più pensare al dolore o ad altro allungò entrambe le braccia, incitando Alastair ad affrettare il passo.
  Quando la distanza che li separava fu annullata, zia e nipote si strinsero forte, quasi come se volessero diventare una cosa sola.
Blake scoppiò a piangere di colpo, dando libero sfogo a tutta la paura che aveva provato in quelle ore di prigionia.
Emily fece lo stesso, anche se con un po’ più di contegno. Che si sgretolò non appena vide la carne viva messa a nudo dalle corde d’argento. Accentuò ancor di più la presa e seppellì il viso nei capelli scuri del bambino.
Alst rimase ad osservare la scena, memore di momenti simili nel proprio passato. Poi, come ricordandosi di dove fosse e perché si trovasse lì, si riscosse e si scrollò di dosso l’acqua. Passò una mano tra i capelli e, dopo un’ultima occhiata al quadretto familiare, raggiunge Evan.
S’accostò al suo pupillo e cercò di capire quanto fosse grave la situazione. Non l’avrebbe mai detto a voce alta ma, considerando lo svantaggio numerico, era un miracolo che non ci fossero state vittime tra le loro fila.
Almeno, non ancora.
-Lasciami controllare il ragazzo.- scostò Van, gentilmente ma con mano decisa. Nel farlo, però, arrischiò una rapida occhiata indagatrice del corpo dello scozzese, prendendo nota delle sue ferite. Alcune sembravano più serie di altre, ma nessuna aveva un aspetto mortale.
  Eric non se la passava altrettanto bene, invece. Spostò gli occhi su di lui e prese a tastargli il corpo alla ricerca delle ferite. Trovò un brutto squarcio all’altezza dello sterno che necessitava di punti di sutura, punti che non poteva assicurargli dato che non aveva con sé l’attrezzatura medica. Gli si erano rotte alcune costole, ma le fratture erano pulite e sarebbero guarite abbastanza velocemente.
La ferita più preoccupante, però, era quella che aveva alla testa e che grondava sangue di un rosso brillante, talmente intenso da sembrare finto.
“Speriamo non abbia subito danni cerebrali.”, si augurò, analizzando con tutti i sensi a disposizione ciò che aveva davanti.
-E’ molto grave…?- la voce di Evan suonò vagamente esitante.
-Lasciami lavorare, per favore.- replicò, un po’ brusco. Non poteva permettersi distrazioni, non in quel momento. –Va’ da Emily.
Non aveva nulla che potesse essergli d’aiuto, con sé, ma poteva controllare tutti i parametri vitali del ragazzo per poter escludere alcune diagnosi. Prima, però, doveva svegliarlo.
Facendo attenzione a non scrollarlo iniziò a richiamarlo alla coscienza usando la telepatia. Sfiorò la bestia di Eric, stuzzicandola e quella rispose abbastanza velocemente da fargli ben sperare. Dovette fare numerosi tentativi prima di svegliarlo, ma alla fine ci riuscì.
-Non ti muovere, ragazzo.- gl’intimò.
Gli controllò le pupille per verificare se ci fosse asimmetria e quindi una possibile emorragia interna. Quando quelle si presentarono uguali e sensibili alla luce, sentì la tensione allentare un po’ la presa.
Fece per chiedergli come si sentisse quando colse il suono di sirene in lontananza.
Confuso, si voltò per cercare lo sguardo di Evan. “Ho avvertito il mio dipartimento circa possibili scontri violenti in questa zona.”, gli disse. “Volevo avere un piano di riserva… anche se intempestivo.”, diede in una scrollata di spalle che doveva apparire noncurante, ma che fece capire quanto fosse stata rischiosa quella retata.
“Ma David…”
“Non l’ho detto a Dave perché non immaginavo avrei chiesto aiuto.”, rivelò.
“Grazie a Dio non sei così sconsiderato come ho temuto.”, Alastair sollevò gli occhi al cielo, prima di tornare a concentrarsi sulle autovetture in arrivo. “Farò ricoverare Eric, per sicurezza. Potrebbe avere un edema cerebrale.”, aggiunse subito dopo.
Percepì, più che vederla, la scossa che attraversò il corpo del giovane MacGregor. Senza rendersene conto, tutti quei cambiamenti che stavano avendo luogo lo stavano trascinando a forza fuori dal suo guscio protettivo.
  Avrebbe potuto essere doloroso, anzi lo sarebbe stato di sicuro, ma sperava che potesse servire a ridargli il ragazzo passionale ed estroverso che aveva visto crescere e a cui aveva insegnato ad amare l’arte del tiro con l’arco.
“Stagli accanto e avvertimi non appena sai qualcosa.”, si raccomandò il giovane, allontanandosi.
Un gemito di protesta lo fece voltare nuovamente verso Eric, che stava tentando di tenere gli occhi aperti per capire cosa gli fosse successo. –Non sforzarti.- disse Alastair. –Sta arrivando l’ambulanza. Verrò con te.- aggiunse, pratico.
La nuova recluta si lappò le labbra, cercando di inumidirle un po’ per poter parlare. –Il… bimbo..?- riuscì a chiedere.
-Scosso, ma salvo.
Eric si concesse un breve sorriso prima che un fremito lo scuotesse e tornasse nuovamente nell’incoscienza.

  Van avvertì la bestia di Eric chetarsi, quasi dissolversi, stremata dal combattimento. Il corpo del ragazzo stava combattendo contro i colpi subiti, cercando di ritrovare il proprio equilibrio.
“E il mio, di equilibrio?”, gli venne da chiedersi.
Ancora non si capacitava di come fossero riusciti a sopravvivere a quell’incursione né di come si sarebbe evoluta la situazione da lì in avanti. Quello che contava, in quel momento, era portare Blake in un posto sicuro e tranquillo, dove potesse riprendersi dallo shock.
Annullò la distanza che lo separava da zia e nipote e si fermò, colpito fisicamente dal miscuglio di emozioni che emanava dai due. Erano così forti da poterne sentire il calore, avvolgente e soffocante al tempo stesso.
Si sentì stranamente a disagio, senza sapere bene come affrontare la situazione.
Gli venne in aiuto il piccolo, che lo guardò con uno sguardo di supplica negli occhi chiari. Evan capì al volo la sua richiesta e, schiarendosi la voce, disse:-Emily, lo stai stritolando.
La lupa spalancò gli occhi e si staccò di colpo dal corpo tremante del nipote, guardandolo come fosse un alieno. –C-cosa..?- balbettò.
-Mi stavi facendo male…- piagnucolò in risposta Blake.
-Oddio, scusami!- fece per riabbracciarlo, ma si rese conto della presenza di Evan. Si bloccò e si guardò intorno, evitando di incontrare lo sguardo dello scozzese.
-Abbiamo vinto. Per ora.- la informò. –Ma Eric ha incassato parecchi colpi e deve essere ricoverato. Voi avete bisogno di un controllo?- chiese subito dopo.
Emily allora si rialzò lentamente in piedi, decidendosi ad alzare gli occhi. –Forse dovresti farti vedere da un medico.- rispose di contro.
-Sciocchezze.- Evan liquidò la questione con una piccola smorfia. –Gli agenti che sono appena arrivati fanno parte della mia squadra. Venite con me: credo avranno bisogno di farci alcune domande.
A quelle parole il piccolo Blake si allarmò ed arretrò di qualche passo. Emily se ne accorse e lo afferrò prontamente per un polso. –Cosa succede, tesoro?- gli chiese, preoccupata.
Lui scosse energicamente la testa. –Non posso! Se dico qualcosa… se… papà si arrabbierà!- farfugliò, ora visibilmente spaventato. Apparve subito chiaro che Jared aveva giocato con la mente del suo stesso figlio, minacciandolo di fargli del male se avesse fatto o detto qualcosa contro di lui.
La bestia dentro Emily digrignò i denti, indignata, ma il suo capobranco fu lesto a fermarla. –Lascia perdere. Abbiamo bisogno di cure, quindi sbrighiamo questa faccenda ed andiamo a casa.- la fissò intensamente per alcuni istanti, sfidandola ad opporsi. Lentamente, anche se riluttante, l’americana rilassò i muscoli della mascella ed annuì.
-Bene. Andiamo.


  Non aveva notizie da parecchie ore, ormai. Né Andrew né David si erano fatti vivi per aggiornarla sulla situazione. Anzi, sulle situazioni, dato che parte del branco era andata in missione.
Sentiva le budella attorcigliate ed aveva un’ansia tale che le mani non smettevano di tremarle. Senza considerare la fastidiosa pulsazione alle ferite che si era procurata quando era stata coinvolta in una partita mortale di guardie e ladri.
  Osservò il proprio riflesso allo specchio e tentò di non spaventarsi. Tutti i muscoli del suo viso erano contratti e sembrava sul punto di esplodere in un grido isterico. Si passò lentamente una mano tra i capelli e si inumidì la base del collo.
“Perché nessuno mi dice niente?”, si chiese, vagamente irritata. Continuava ad oscillare tra l’irritazione e la preoccupazione come un pendolo impazzito.
-Ehi, Mandy, la cliente delle…- Gabrielle spalancò la porta all’improvviso, interrompendosi però subito dopo. –Oddio, stai bene?- chiese preoccupata.
Amanda tentò un sorriso. –Sì. Tutto bene… tranquilla.- mentì spudoratamente. Ed anche male, a giudicare dallo sguardo dell’amica. –Ci sono dei problemi a casa. Con Drew.- confessò con voce stanca.
Gabbie si appoggiò allo stipite della porta e la soppesò in silenzio. –Termina questo appuntamento e poi vai a casa.- le disse.
L’altra alzò la testa di scatto. –Ma… il mio permesso non mi permette di uscire prima di due ore!- protestò.
La direttrice di sala fece spallucce. –Non mi interessa. Ci vediamo di là.- e detto questo la lasciò sola.
Mandy restò a fissare la porta, basita, ma poi si lasciò sfuggire un sorriso. –Grazie.- sussurrò. Per quanto Gabrielle potesse sembrava superficiale (e spesso ce la metteva davvero tutta per dare quell’impressione), aveva un cuore d’oro.
Trasse un respiro profondo, ritrovò un po’ di calma interiore ed indossò il suo miglior sorriso professionale. Un rapido aggiustamento ai pantaloni palazzo che aveva scelto per quella giornata di lavoro ed uscì, diretta verso la sposa delle quindici.
  Fortunatamente la ragazza che le era stata assegnata si rivelò essere pacata e tranquilla. E, cosa molto importante, per nulla sovversiva in merito alle scelte d’abito che le proponeva. Così in meno di un’ora si ritrovarono davanti alla cassa, entrambe sorridenti e soddisfatte.
Amanda si congedò con una stretta di mano e poi si avviò a passo sostenuto verso i camerini, grata a Gabrielle per averla congedata in anticipò. Indossò la giacca con gesti misurati per evitare di riaprire la ferita al fianco, stranamente meno impegnativa di quella alla gamba.
Controllò brevemente entrambe le fasciature e poi si diresse verso l’uscita, salutando con rapidi gesti della mano le colleghe ancora al lavoro.
Una volta fuori venne investita dall’aria carica di odori e storse il naso, infastidita dalla presenza elevata di smog. Sistemò la sciarpa che si era avvolta attorno al collo e si incamminò il più velocemente possibile verso l’entrata della metropolitana.
Il motivo principale era che voleva tornare a casa per vedere come stesse Andrew, ma aveva anche il terrore di incontrare un altro di quei giornalisti insistenti e cafoni. Da quando la signorina Forbes aveva fatto quella scenata davanti l’entrata di Kleinfeld si era ritrovata spesso alle calcagna uno o due sciacalli a caccia di scoop. Anche se nemmeno lei sapeva bene a quale tipo di scoop stessero mirando, dato che si era ritrovata a vivere con Evan per cause assolutamente accidentali.
  Con la mente temporaneamente distratta da quel tipo di elucubrazioni raggiunse la metropolitana e trovò posto presso un seggiolino isolato, accanto al finestrino. Prese un respiro profondo ed iniziò a concentrarsi per mantenere la calma. Non bastava l’ansia, il vagone le ricordava anche della sua paura per gli spazi circoscritti ed affollati.


-Eric è fuori pericolo. Aveva un leggero edema cerebrale, ma si è praticamente già riassorbito.- Evan prese la notizia con grande disinvoltura, nonostante dentro di sé provasse una fitta di sollievo nell’apprendere che il giovane si sarebbe ripreso senza conseguenze.
Osservò il traffico oltre la finestra e continuò ad ascoltare Alastair. Con la mente stava ripercorrendo lo scontro appena concluso e non gli stava prestando la giusta attenzione.
-Evan…- si sentì chiamare.
Spostò lo sguardo dai palazzi oltre la strada e si raddrizzò sulla sedia. –Per quando credi potrete rientrare?- domandò, ignorando il brontolio del suo mentore.
-Preferisco che stia in osservazione, per stanotte.- rispose. –Ma se hai bisogno di me, dammi il tempo di trovare un taxi e sarò a tua disposizione.- aggiunse.
-D’accordo. Noi stiamo finendo di trascrivere le testimonianze relative allo scontro. Ci vediamo a casa.- disse. Fece per chiudere la chiamata, ma poi ci ripensò. –Alst… grazie.
Sentì distintamente l’altro sorridere e salutarlo poco dopo, senza rispondere. Alastair sapeva che, in quei casi, una sua risposta avrebbe messo Evan in imbarazzo.
Il giovane MacGregor fece scivolare il telefono in tasca e si alzò, raggiungendo i colleghi ed Emily. Blake se ne stava addormentato su una panchina poco distante.
“Dev’essere esausto. E sconvolto.”, ragionò, osservando la posizione difensiva che aveva assunto nel sonno.
-Capitano MacGregor, noi abbiamo finito.- annunciò la voce del tenente Simmons. Van si voltò a guardarla e le fece un rapido cenno del capo.
-Ti ringrazio.- disse solamente. Emily si alzò, scarmigliata e sporca di sangue, e lo guardò in attesa di ordini. –Torniamo a casa. Prendi Blake.- le comunicò.
Iniziava a sentire il peso degli avvenimenti su di sé e aveva solamente voglia di strisciare in doccia e lavarsi di dosso il sangue raggrumato. Prima avrebbe dovuto controllare la gravità delle ferite che gli erano state inferte, ma era quasi certo che nessuna di esse fosse mortale.
-Ci sono…- sentì mormorare alla propria destra. Abbassò lo sguardo sulla sua nuova affiliata e notò che stava reggendo il nipote con una stretta d’acciaio, forse nel timore che potesse cadere. Si sarebbe proposto di aiutarla, se tutto in lei non avesse espresso opinione contraria.
Decise allora di lasciarla fare e si avviò verso l’uscita, ringraziando ancora una volta Simmons ed i colleghi per l’intervento tempestivo.
Erano quasi fuori quando Rogers attirò la sua attenzione. Si fermò ed attese di essere raggiunto, mostrandosi calmo e disponibile nonostante le sue energie fisiche e mentali fossero ormai agli sgoccioli.
–Prenditi la giornata di domani.- gli suggerì il suo capo. Fece per ribattere, ma l’altro aggiunse:-Non appena sarai tornato, vorrei che aiutassi la squadra omicidi con la questione dell’Ammenda.
Evan si accigliò. –Non ho molto altro da offrire a parte le informazioni che le ho già riferito.- fece presente.
-Non importa. Sei sicuramente più avvezzo a questo genere di usanze, dato che il branco ha origini irlandesi ed è ancora legato alle vecchie tradizioni.- rispose l’altro, convinto. Alla luce di ciò non gli restò che annuire e promettere il proprio supporto.


-Stanno tornando… - sospirò David.
Andrew, alle sue spalle, si sporse per sbirciare lo schermo del cellulare e controllare di persona il testo del messaggio. –Eric è stato ferito?- si accigliò, preoccupato.
Dave si voltò a guardarlo. –Sì, ma per fortuna Alst ha saputo contenere i danni.- rispose, concedendosi un sorriso sollevato. Subito dopo, però, si fece di nuovo serio. –Non dovresti distrarti. Sento la tua aurea crepitare come se ci avessero gettato sopra della benzina!- lo rimproverò.
L’americano alzò le mani in segno di scusa. –Mi dispiace, ma l’ansia mi stava uccidendo.- disse. –Ora che so che stanno bene mi sento meglio. E posso concentrarmi sul mio personale problema.- aggiunse, tornando a sedersi sul divano. Sprofondò tra i cuscini e ne strinse uno al petto in un gesto istintivo.
David prese un respiro profondo e si mise a girare per il soggiorno. –Ok… devo capire come gestire al meglio tutta quanta la situazione…- mormorò tra sé, le mani intrecciate tra i ricci scuri.
Drew lo osservò in silenzio, perdendosi momentaneamente dietro al via vai del suo Beta. La presenza dell’inglese lo metteva a proprio agio e quasi non gli sembrava d’essere una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. “Non fosse per il continuo e sordo brontolio che sento nella mia testa.”, pensò.
Poteva percepire la bestia senza difficoltà, ora. E la cosa lo angustiava parecchio, dato che non era sicuramente un buon segno. –Non credi che sia meglio che io vada di sotto…?- domandò, interrompendo i pensieri del compagno di branco.
-Come…?- fece quello.
-Ehm… la luna piena. Ricordi?- tentò di scherzare. –Ormai sento la bestia senza bisogno di concentrarmi. È come se fosse acquattata sottopelle ed aspettasse solo di poter balzare fuori.- ammise, reprimendo un brivido al pensiero.
“Giusto. Come hai fatto a dimenticarti di questo piccolo, insignificante dettaglio?”, si rimproverò l’inglese. –Scusami, hai perfettamente ragione. Meglio se ci avviamo di sotto.- abbozzò un sorriso, cercando di suonare incoraggiante.
Andrew annuì un paio di volte. –La cantina è sicura, vero?- s’informò.
-Certo. Non potrai uscire fino a domani mattina.- assicurò l’altro. Fece per dirigersi verso la porta quando un odore familiare attirò la sua attenzione. –Aspetta!
Drew lo fissò perplesso per poi rendersi conto che i passi che sentiva lungo le scale appartenevano ad Evan. Scambiò uno sguardo stupito con il compare e poi si precipitò ad aprire la porta, affacciandosi al pianerottolo.
-Perché sei ancora libero?- lo apostrofò il suo Alfa. Pentito della propria mossa, l’americano incassò la testa nelle spalle, abbassando gli occhi. Restarono immobili per alcuni lunghi istanti. –Stiamo tutti bene.- aggiunse in un sussurro l’altro.
-Mi fa piacere.- rispose lui, lo stesso tono sommesso e sollevato. –Bentornati.
-Van! Grazie a Dio!- Dave sbucò sul pianerottolo e si avvicinò subito allo scozzese, cercando di determinare l’entità delle sue ferite.
MacGregor, ben conscio del tentativo, si sottrasse all’ispezione facendo cenno ad Emily di raggiungerli. –Blake ha bisogno di cure. È stato a contatto con l’argento.- disse solamente.
Al che i due uomini fecero caso, per la prima volta, al piccolo licantropo che se ne stava strettamente avvinghiato al collo di Emily.
Il suo sconcerto era tale e tanto che anche la bestia dentro di lui stava tremando. Andrew fece per avvicinarsi, pratico nella gestione dei bambini, ma l’odore del sangue lo investì come un maglio. Si bloccò, irrigidendosi e per un attimo non ebbe altra sensazione se non il sapore del ferro sulla lingua.
  La prese di Evan sulla sua spalla, salda ma rassicurante, lo fece rinsavire con un singulto. Si lappò le labbra e lo guardò senza realmente vederlo. –E’ meglio che tu vada di sotto. Gli effetti della luna e dello stress si stanno facendo sentire.- gli disse. Non era un ordine, ma il tono non ammetteva comunque discussioni.
Annuì meccanicamente e, dopo un attimo di esitazione, si avviò lungo le scale. Quando passò accanto al piccolo, il suo istinto gli disse di accudirlo ma sapeva che il sangue gli avrebbe dato alla testa. Strinse i pugni e con uno sforzo di volontà proseguì la discesa.
Sapeva che stavano tutti aspettando con ansia una sua reazione violenta e non voleva assolutamente che ciò avvenisse. Non voleva uccidere nessuno.
Con quel pensiero in mente trattenne il fiato e percorse altre due rampe di scale, sempre più vicino al basamento dell’edificio.
-Rimani concentrato.- la voce di David suonò poco distante e, con la coda dell’occhio, lo vide tre gradini dietro di sé. Annuì rapidamente ed imboccò la porta che conduceva alle cantine.
La semioscurità che regnava nel corridoio di cemento lo spiazzò per alcuni istanti, ma ben presto i suoi occhi presero a distinguere forme e contorni senza problema.
-L’ultima in fondo.- suggerì Dave. Andrew s’incamminò con passo rigido, il tumulto che aveva dentro sempre più crescente.
Digrignò i denti. –David… la sento…- riuscì a dire.
L’altro annuì, comprensivo. –Lo so. La sento anche io.- gli disse, aiutandolo con la propria aura a contenere la bestia.
-E’ sempre così?- l’americano raggiunse la porta indicatagli. La osservò per qualche istante, stupendosi del materiale con cui era stata fatta e dei rinforzi che si scorgevano sui cardini.
-Questo è solo l’inizio.- dovette ammettere il moro. –Peggiorerà con l’avanzare della notte.
Andrew si lasciò sfuggire un mezzo singulto. –Perfetto…
-Entra.- David afferrò con attenzione la maniglia di acciaio e fece pressione. La porta si aprì senza far rumore, ben oliata. Drew non poté fare a meno di chiedersi di che materiale fosse fatta. –E’ acciaio additivato con polvere d’argento. All’interno corre una rete di fili di vischio intrecciato, in modo che ti sia difficile uscire.- spiegò, notando lo sguardo dell’amico.
-Oh. Immagino che non fosse già così.- commentò, sentendosi stupido. Era ovvio che nessun essere umano avrebbe mai progettato una cantina in modo da essere a prova di licantropo.
-No. L’ho modificata non appena abbiamo traslocato.- rispose l’inglese. –Devo ancora fare gli ultimi ritocchi.
Lentamente e con circospezione, il giovane entrò in quella che sarebbe stata la sua personale cella per quella notte. E per molte a venire, probabilmente. –Come saprete quando…?- iniziò, nella voce una leggera nota distorta.
-Non ti preoccupare. Lo sapremo.- lo rassicurò. –C’è un interfono. Se dovessi aver bisogno di qualcosa, usalo.
Andrew ruotò su se stesso, concedendosi una breve esplorazione visiva. Concentrarsi sui dettagli lo aiutava a mantenere la concentrazione. Quel briciolo rimastogli, almeno. –Grazie…- mormorò.
-Vedremo se domani mi ringrazierai o mi maledirai per averti chiuso qua dentro.- sorrise spiacente David.
-Meglio questo che uccidere qualcuno.- gli fece notare l’altro, sedendosi sull’unico oggetto di arredamento presente, ossia una brandina.
L’architetto esitò qualche istante, ma poi si decise a chiudere. –Buona fortuna, Andrew.- sussurrò.


  Era sopravvissuta abbastanza egregiamente alla metropolitana. Ora sperava solo di non trovare la Terza Guerra Mondiale una volta arrivata a casa.
“Perché nessuno mi dice cosa sta succedendo? Nemmeno un messaggio! Niente!”, inveì silenziosamente mentre saliva le scale del sottopassaggio.
Non le avevano dato nessun tipo di notizia o aggiornamento da quando era uscita di casa quella mattina. Ed ora ne aveva abbastanza di restare nell’ignoranza: voleva esser resa partecipe della situazione.
-Situazione che verificherai coi tuoi occhi tra poco, cara.- si disse a mezza voce. Una volta fuori fece per dirigersi verso casa, ma si rese conto di aver sbagliato fermata. Si bloccò sul marciapiedi e si guardò attorno, perplessa. –Dove..?
Con la coda dell’occhio vide una lunga cancellata di ferro e si voltò di scatto verso quella vista, improvvisamente allarmata. Fece per cacciare un urlo, memore dell’inseguimento cui era stata la sfortunata partecipante, ma si trattenne mordendosi forte il labbro inferiore.
  Nel pieno del panico percorse febbrilmente tutto il perimetro del cimitero in cerca del suo aggressore. Poi, di colpo, la sua mente realizzò che il luogo non era lo stesso e che stava in realtà proiettando un brutto ricordo.
Prese un respiro profondo e lesse la targa a lato del cancello. Trinity Cemetery.
Si trovava nel suo quartiere, nella parte alta a confine con Washington Heights. Non troppo lontana da casa, per fortuna.
Rafforzò la presa sulla borsa e si mise a camminare a fianco della lunga recinzione metallica, cercando di non gettare sguardi all’interno, tra le lapidi. Non era mai stata superstiziosa, ma da quando era stata inseguita per mezza Alphabet City rischiando di rimanere impalata su una lancia di ferro aveva sviluppato una certa soggezione per luoghi del genere.
Affrettò il passo, sperando di arrivare il prima possibile sulla via principale e lasciarsi alle spalle le tombe.
  Era quasi arrivata a destinazione quando le scivolò la borsa dalla spalla. Incespicò nei propri piedi, rischiando di cadere e si chinò a raccoglierla. Quando si raddrizzò si ritrovò a fissare oltre le sbarre di ferro, attraverso il prato ben curato punteggiato di lapidi.
Senza che potesse impedirselo il suo sguardo vagò tra i monumenti fino a quando non scorse un piccolo baluginio di luce azzurrastra. Da principio credette di esserselo immaginato, ma poi eccola riapparire al limite del suo campo visivo.
Basita, osservò il piccolo globo evanescente fluttuare nell’aria, incorporeo.
All’improvviso sembrava che tutta la città si fosse acquietata e che non esistesse null’altro al di fuori di quel minuscolo fuoco.
Amanda restò a guardarlo rapita, seguendone la lenta danza aerea come ipnotizzata.
Non seppe dire quanto tempo fosse passato da che si era fermata, fatto sta che la fiammella si eclissò improvvisamente dietro una lapide e fu come se l’incantesimo si fosse rotto.
Mandy ritornò alla coscienza, vagamente confusa.
Si guardò intorno, controllando che fosse tutto normale. Poi un brivido freddo le scese giù lungo la schiena ed una sgradevole sensazione le strinse lo stomaco in una morsa ferrea.
Non sapeva a cosa avesse appena assistito, ma il suo istinto le stava dicendo che non era nulla di beneaugurante.
  Ulteriormente preoccupata, voltò le spalle al cimitero ed attraversò la strada di corsa, diretta verso la prima fermata dell’autobus utile.


-L’hai rinchiuso?- s’informò.
David chiuse lentamente la porta di casa e poi alzò lo sguardo. –Sì. Si è comportato egregiamente, considerato cosa sta passando.- disse con voce stanca.
La realtà dei fatti l’aveva colto all’improvviso e tutto lo stress emotivo che aveva tenuto a bada nel corso di quelle lunghe ore stava chiedendo il conto. Non sapeva se buttarsi a peso morto sul divano per poter dormire oppure sfogarsi verbalmente con Evan per averlo tenuto in panchina.
Mentre valutava le varie opzioni si rese conto che non sapeva che fine avessero fatto i Blacks. Si avvicinò al suo migliore amico e chiese:-Jared e compagnia?
-In fuga. Per ora.- fu la risposta sbrigativa.
David si rese conto che Evan non gli stava prestando veramente attenzione e allora gli chiese cosa lo turbasse. –Il piccolo Blake.- disse lo scozzese. Non convinto, il Beta si sedette sul davanzale della finestra e puntò il proprio sguardo indagatore sul volto del suo Alfa. Quello allora roteò gli occhi in un gesto d’esasperazione e si decise a guardarlo in faccia. –C’era qualcun altro al porto…- rivelò infine.
Dave s’accigliò. –Intendi un altro branco…?
Van scosse la testa. –No. Non credo appartenesse né ai Blacks né ad un altro branco. Era una presenza estranea, quasi si trovasse nel posto sbagliato al momento sbagliato.- cercò di spiegarsi. Non sapeva come esprimere al meglio la sensazione che aveva provato: era stata breve, ma intensa. Come se si trovasse di fronte ad un pezzo di storia che doveva essere stata dimenticata da un bel pezzo.
-Intendi dire che…- iniziò l’inglese, visibilmente confuso dalle dichiarazioni dell’amico.
-Probabilmente a New York c’è un lupo molto antico.- lo interruppe.
-Nel Nuovo Mondo?- fece l’altro, scettico. –E perché mai? Quel tipo di creature tende ad essere legata al proprio luogo di origine.
Evan annuì lentamente. –Lo so. Per questo non capisco.- ammise. –Ma non sono nemmeno sicuro di quello che ho percepito.- dovette aggiungere subito dopo.
L’inglese fece per chiedergli altro, ma venne interrotto dalla comparsa di Emily. I due si voltarono a guardarla, in attesa.
-Vi ringrazio.- disse solamente. Sul viso aveva una strana espressione, a metà tra la gratitudine e l’imbarazzo.
-Il branco protegge i suoi membri.- fu il commento di Evan.
Lei si lasciò sfuggire una smorfia. –Non in tutti i branchi. Fidati.- replicò. –Ma sono contenta che in questo le cose funzionino così.
Van le concesse un rapido cenno del capo come risposta. Poi David chiese:-Blake come sta?
Al che sua zia sospirò e si strinse nelle spalle. –Per ora non bene. Sono sicura che gli ci vorrà un bel po’ per superare quest’esperienza. Le ferite ci metteranno meno tempo a guarire, invece.- considerò.
Le parole dell’americana rimasero sospese nell’aria per alcuni istanti e poi tra loro cadde il silenzio.
David si schiarì la gola, imbarazzato. –Tu… come stai, invece?- si azzardò a chiedere.
Emily lo guardò, stupita. –Sto bene. Niente che un po’ di sonno non possa sistemare.- rispose. La sua aura, però, smentì le sue parole. Sembrava fosse sul punto di spegnersi, anche se ogni tanto un guizzo improvviso la riportava in vita. Dave stava per farglielo notare quando con la coda dell’occhio notò Evan irrigidirsi.
Fece per chiedergliene il motivo, ma il cellulare dello scozzese decise di suonare proprio in quel momento. Così come il campanello di casa.
 
  
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