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Autore: Alexiel Mihawk    22/02/2016    0 recensioni
«E tu sei felice?» domandò il bambino «Perché Havamama dice sempre che la villa sulla collina è una grossa gabbia e tu sei come un uccellino».
«Ma quella è casa mia» gli fece notare Hina con ovvietà.

Hina è l’unica figlia di una famiglia nobile, cresce in una grande villa su una collina, e viene educata come un’aristocratica, quindi è molto colta ed estremamente intelligente e diligente; il suo problema è che cresce sola e non ha amici. Quando ancora è una bambina conosce Smoker, un ragazzino con qualche anno più di lei, cresciuto in mezzo a una strada e praticamente adottato da metà delle persone della città. Inizia a frequentarlo e a seguirlo nelle sue scorribande, fino a diventare inseparabili; in seguito ad alcuni avvenimenti decidono di arruolarsi ed entrano in marina, dove inizia il lento percorso che li porterà ad essere i personaggi che conosciamo.
[Smoker/Hina]
Genere: Azione, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hina, Smoker
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note: Ok, ci siamo. La storia inizia ad entrare leggermente nel vivo.
Ci tengo a dire che non so perché mi sia uscita la coppia che compare e comunque non è che un accenno, sono fortemente convinta che sia importante per i personaggi conoscere altro oltre a ciò che hanno sempre avuto e tra una cosa l'altra è uscita quella roba. E continuo ad essere così vaga perché non voglio far spoiler a inizio capitolo.
Giusto due cose sulle parentele, Hina è nipote di Akainu e cugina di Bonney, Bonney è quella che diventerà note come Jewelry Bonney "the big eater" in futuro.
Ichariba Chode, nonostante ci siamo incontrati solamente una volta, per puro caso, saremo amici per sempre.




3. Ichariba Chode


«Sei un cretino» borbottò la ragazza armeggiando con aria intenta di fronte alla porta della cella di detenzione «È la terza volta in una settimana, in una settimana, capisci? Klutz eri e Klutz rimani, solo che invece di maturare diventi sempre più mentecatto».
«Vuoi stare zitta?» borbottò il giovane uomo da dietro le sbarre sottili «Apri questa cazzo di porta, piuttosto».
«Oh, non credo proprio. Sai quanto mi ci vuole? Troppo. E stasera sono a cena da mia zia, quindi ti attacchi. In compenso ti ho portato da mangiare, visto che Zephyr ha già dichiarato che saresti rimasto senza cena».
«Hina non fare la stronza, aprimi!»
«Hina è una stronza e Smoker un imbecille, e ora Hina va a cena fuori. Arrangiati e pensaci due volte la prossima volta che ti viene voglia di insultare un tuo superiore!»
La giovane recluta si sistemò il copricapo sui capelli, fece un veloce gesto di saluto a Smoker, agitando la mano a mezz’aria e ignorando volontariamente le sue accorate proteste prima di sparire con grazia oltre la porta.
Non aveva alcuna intenzione di farsi pescare dalla guardia di turno e finire in punizione anche lei, già era una tortura sufficiente dover andare a cena da suo zio; Akainu con il passare degli anni era diventato sempre più insopportabile. Hina era sinceramente affezionata a sua moglie, Anne, e a sua figlia, la piccola Bonney, ma non riusciva a provare alcun tipo di affetto per quello che tra tutti era il suo parente più prossimo; Akainu si era dimostrato dapprima seccato, quindi orgoglioso che la figlia di sua sorella avesse deciso di unirsi alla marina, ma si era presto rivelato una guida assente, parziale e fin troppo severa. Inoltre lui stesso non riusciva ad approvare le frequentazioni della nipote: vedeva in Smoker un giovane piantagrane indisciplinato e incapace di obbedire agli ordini; trovava fastidioso che entrambi i ragazzi si rivolgessero ad Aokiji in caso avessero dei problemi; non amava nemmeno vederla girare con le nuove reclute, era un ambiente promiscuo e informale dal quale non potevano che svilupparsi ulteriori problemi.
Si era abituata a ignorarlo, spesso accondiscendeva per mancanza di voglia di litigare e durante i suoi lunghi discorsi sull’importanza di una giustizia totale si ritrovava spesso ad annuire senza convinzione, troppo seccata per cercare di esprimere la sua opinione. O almeno, all’inizio lo aveva fatto, aveva cercato di dimostrare la sua intelligenza, di far vedere che era perfettamente in grado di pensare e aveva difeso a spada tratta le sue idee, ne erano risultati solo immensi litigi e qualche minaccia di radiazione dal corpo dei marine, così aveva rinunciato, seppur a malincuore, rimpiangendo che di fronte a lei ci fosse suo zio e non sua madre.
In compenso, se non si teneva conto della sua presenza (e comunque lui non rimaneva a lungo perché aveva altro, aveva di meglio da fare), quelle cene settimanali erano per Hina un conforto, le ricordavano i giorni trascorsi a casa sua, con i suoi genitori, nell’affetto che sua zia le dimostrava ogni giorno ritrovava l’abbraccio caldo di sua madre, negli occhi pieni di ammirazione di sua cugina un sostegno.
Non che sentisse davvero nostalgia di casa, aveva trascorso gli ultimi tre anni a Karate Island, l’isola da cui era originaria sua madre e si era abituata a convivere con l’assenza di chi amava; era stata Natsuki stessa a decidere di mandare lei e Smoker lontani.
«Se proprio siete convinti di voler entrare in marina, allora ci andrete preparati» aveva detto, prima di spedirli ad allenarsi nel mare meridionale.
Non era certo stato facile all’inizio, ma la consapevolezza di non essere del tutto da sola aveva aiutato Hina a resistere in quel posto che non conosceva per niente. Se Smoker era con lei allora sapeva che tutto sarebbe andato bene, perché era sempre stato così. Ricordava con divertimento i giorni degli allenamenti, i muscoli doloranti alla fine del giorno, il primo taglio di capelli fatto da sola, la prima distorsione, persino il primo dito rotto; ne era passato di tempo e ora, a 19 anni, era riuscita davvero a realizzare il primo dei suoi obiettivi.
Marineford si era da subito rivelata più grande e insidiosa di quanto Hina non si aspettasse; l’addestramento era cominciato immediatamente e Zephyr, che per anni era stato la guida dei giovani cadetti più promettenti, non si era dimostrato clemente. Hina ringraziava di avere una certa resistenza o si sarebbe arresa dopo la prima settimana di allenamenti estenuanti; anche la presenza di Smoker aveva aiutato, a volte bastava che si guardassero di sbieco, anche da lontano per darsi forza a vicenda.
Borbottò una scusa sommessa, andando a sbattere contro qualcuno nell’oscurità delle strade della città; doveva essere saltata la centralina elettrica, perché quella sera nessuna via era illuminata e l’unico bagliore proveniva dalla fioca luce che emergeva dalle finestre delle case.
Non che Hina fosse preoccupata, probabilmente non esisteva posso più sicuro al mondo di Marineford, non era un caso che tutte le famiglie dei marines vivessero su quell’isola, protette all’ombra del quartier generale. Proseguì in silenzio, mentre il rumore dei suoi passi riecheggiava sul selciato; si fermò di fronte alla porta bianca della casa dell’Ammiraglio e fece un respiro profondo, dopo tutto erano parte della sua famiglia, pensò bussando con educazione.
«Hina onee-san!» esclamò una bambina dai corti capelli rosa arrivandole quasi a sbattere addosso.
«Buonasera Bonney» rispose la maggiore accarezzandole il capo in un gesto di affetto «Sono in ritardo?»
«Certo che no, tesoro» rispose Anne affacciandosi dalla cucina e gettando un’occhiata di rimprovero alla figlia «Come sei conciata! Ancora con quei vecchi stracci vai a cambiarti di corsa prima che arrivi tuo padre e lavati le mani!»
«Posso aiutarvi a fare qualcosa zia?» domandò Hina osservando la cugina mentre correva su per le scale, si fermava a metà strada e faceva una boccaccia nella loro direzione.
«Oh, ti ho già detto di darmi del tu quando Akainu non è in casa, piuttosto pensavo sareste arrivati assieme».
Dio me ne scampi, pensò la giovane senza cambiare minimamente espressione e allungando le mani per afferrare i piatti che sua zia andava porgendole.
«Purtroppo oggi non l’ho visto, credo avesse una riunione tutto il pomeriggio».
«È un lavoro impegnativo, sai? Piuttosto come sta andando l’addestramento?»
Hina esitò un istante, domandandosi se le domande retoriche di Anne non fossero più che altro un modo come un altro per convincersi che il suo matrimonio fosse normale e che il rapporto che aveva con suo marito fosse perfettamente sano ed equilibrato.
«Niente di particolare, sai, le solite cose. Smoker si è fatto mettere in punizione di nuovo, il nuovo arrivato, quello con cui Smoker si rifiuta di parlare, pare essere incredibilmente forte, anche se continua a presentarsi con pezzi di cibo in faccia e credo che prima o poi a Zephyr verrà una sincope. Si chiama Vergo se non sbaglio, ma dubito che a lui l’addestramento serva davvero».
«Vergo, eh? Ho sentito parlare di lui» esordì una voce dall’ingresso e Hina si trattenne dal roteare gli occhi verso l’alto, certo, lui sapeva sempre tutto.
«Non sono sicura di aver capito da dove provenga, ma è dotato di una forza non indifferente».
«Potresti prendere esempio, Hina. La forza fisica è necessaria, non da sola chiaramente, servono anche uno spirito adamantino e una forza di volontà ferrea. Anche se sono i frutti del diavolo che aprono davvero le porte per la carriera» borbottò Akainu andando a sedersi in sala da pranzo.
Non si scomodò nemmeno a salutare sua moglie, fu lei, invece, ad avvicinarsi e deporre un bacio leggero sulla sua guancia, passandogli allo stesso tempo un bicchiere di saké.
«Bonney, vieni a salutare tuo padre» esclamò sporgendosi sulle scale.
Hina fece appena in tempo ad afferrare la cugina per un braccio e sistemarle i capelli arruffati, mentre la bambina si precipitava verso il salone; voleva evitare di trascorrere un’altra serata ascoltando i discorsi di suo zio sull’importanza dell’apparenza. Ogni tanto le sembrava di sentire suo padre e si ricordava che c’era stato un periodo in cui anche lui era stato a quel modo.
«Ho sentito che il tuo amico, il ragazzo di strada, è stato messo in punizione di nuovo».
«Smoker» lo corresse la nipote, senza particolare inflessione nella voce.
«Sì, esatto. Quello Smoker rischia l’espulsione, spero che tu ne sia consapevole. Non è la compagnia adatta alla nipote di un Ammiraglio».
Hina strinse i pugni sotto il tavolo, lasciando che le unghie penetrassero leggermente nella carne, come ad invitarsi a non perdere la pazienza.
«Sarebbe alquanto disdicevole» cominciò cercando di non far trapelare quanto fosse seccata «Se venisse espulso ora, non credete, Zio? Con tutto il tempo e i trascorsi che ci sono tra noi questo non getterebbe del fango anche sulla mia persona e di conseguenza sull’intera famiglia?»
Akainu masticò una bestemmia, versandosi dell’altro sakè nel bicchiere, quindi annuì; sì, sarebbe stato peggio, avrebbe dovuto sopportare quel ridicolo ragazzino finché non fosse diventato un marine. In fondo aveva ben chiaro il destino di quelli come lui, preda dell’orgoglio e testardi fin nel midollo, sarebbe stato assegnato a qualche divisione minore e sarebbe stato spedito a farsi ammazzare dove più desiderava.
«Vedrò di metterci una buona parola» sbottò.
La serata trascorse più velocemente del previsto e senza particolari discussioni. Era una di quelle sere in cui Hina si convinceva che suo zio non fosse un uomo cattivo, ma solo una persona triste che si era lasciata accecare dalla sete di potere e aveva dato maggiore priorità alla salita della scala gerarchica piuttosto che alla sua famiglia; Bonney da parte sua cercava come poteva di attirare le attenzioni del padre, in parte, proprio come aveva fatto lei da bambina, cercava di utilizzare un linguaggio che lo infastidisse, termini da scaricatori di porto e frasi sgrammaticate, ma spesso otteneva solo di riuscire a innervosirlo.
Accettò di buon grado i biscotti che sua zia le aveva preparato e salutò sua cugina con un bacio, invitandola a venire a seguire gli allenamenti, quindi si dileguò nella notte, fisicamente provata dall’ennesimo incontro con la sua famiglia. C’era quel detto che le veniva in mente in queste situazioni, solo che più che parenti serpenti i suoi erano parenti da ansia di vivere e con i quali doveva stare attenta a non usare mai la terza persona o avrebbe rischiato di finire a sollevar pesi fino al mattino successivo.
Scivolò silenziosamente nel dormitorio e, cercando di fare meno rumore possibile, si avvicinò ai letti delle altre reclute.
«Cancer sei sveglio?» mormorò a mezza voce «Io vado a tirare fuori Smoker».
«Non mi sembra un’idea brillante» borbottò una voce assonnata dal letto superiore «Se ti scoprissero?»
«Ho dei biscotti, Brandnew» fu la brillante risposta «E una faccia carina».
«Peccato che tu non abbia dei limoni» borbottò Cancer mettendosi a sedere ed evitando un cazzotto in faccia «Eddai, mica vuoi svegliare l’intero dormitorio».
«Mi accompagni o no?»
«Mi fai vestire?» sibilò il ragazzo infilandosi la divisa nel buio.
«Se vi beccano io non vengo a tirarvi fuori».
«Grazie, Stainless, tu sì che sei un amico» continuò Cancer allacciandosi le scarpe.
«Senti bello, io e te siamo al secondo anno, loro al primo. Se beccano loro possono cavarsela con una lavata di capo e qualche pulizia dei cessi in più, noi invece finiamo assegnati a qualche posto di merda».
«Stainless, se non stai zitto giuro su Dio che stanotte ti taglio quei ridicoli baffi che stai cercando di farti crescere».
«Vaffanculo, Cancer».
«No, vaffanculo tu!»
«Fanculo a tutti e due» sibilò la ragazza «Hina si sta scocciando, fate quello che volete».
«Aspettami, ci vengo io con te. Smoker è anche amico io» mormorò qualcuno due letti più in là, alzandosi e rischiando subito dopo di inciampare nei suoi piedi.
«Ecco» borbottò Cancer «Siamo fottuti».
Hina sollevò le spalle, come a dire che a lei proprio non importava niente, purché stesserò zitti e, senza mollare i suoi biscotti, uscì dalla stanza seguita dai suoi compagni. Cancer era una giovane recluta al secondo anno di addestramento, aveva ventitré anni, due più di Smoker e quattro più di lei, e si era presentato il primo giorno in cui erano arrivati lì con un sorrisetto sghembo stampato in faccia e gli occhiali da sole calati sul viso, aveva fatto una battuta un po’ troppo sessista per i gusti di Smoker e si era ritrovato con gli occhiali rotti e un occhio nero; l’altro si chiamava Verygood, ma i più lo chiamavano semplicemente Berry, era un gigante grande e grosso con la mascella squadrata e i pugni delle stesse dimensioni di quelli di un gorilla, peccato che di uno scimmione avesse anche l’intelligenza. Insomma non era un genio e non si distingueva per astuzia, ma aveva dimostrato di essere una brava persona che credeva fermamente in quello che faceva e, soprattutto, un buon amico.
Dopotutto poteva andare molto peggio, Hina aveva sentito storie sulle vecchie reclute, storie che principalmente arrivavano da Zephyr stesso e che raccontavano di scherzi meschini che i cadetti si facevano tra loro. Era stato un sollievo vedere che nessuno dei suoi compagni aveva intenzione di farsi picchiare da lei fin dalla prima settimana, come invece non si era fatto scrupolo a fare Smoker.
«Vuoi spegnere quel coso?» sibilò girandosi verso Cancer e lanciandogli un’occhiataccia.
«Cosa? Cosa c’è? Che problema hai? Mica devi fumarlo tu!»
«Puzza» continuò la ragazza «A Hina fanno schifo le cose che puzzano».
«Che palle» borbottò Cancer, spegnendo il sigaro e guardandolo con aria desolata.
«Fa male alla salute» commentò Verygood in tono preoccupato.
«E tu non iniziare allora».
Smoker non stava dormendo, sdraiato nella cella di detenzione osservava il cielo attraverso le grate della finestra, perso nei suoi pensieri; il primo biscotto lo mancò, ma il secondo arrivò dritto in faccia, colpendolo sulla tempia e frantumandosi a metà.
«Ma che cazzo!?»
«Hina è seccata, andiamo» borbottò una voce fin troppo nota da dietro la porta «Non ho mica tutta la notte, sai?»
«Vorrai mica dormire, principessina sul pisello?»
L’amica parve pensarci qualche secondo, quindi sibilò: «Ti lascio qui».
«Scherzavo, apri questa porta, cretina!»
L’uscio si aprì cigolando rivelando al giovane i tre amici che lo aspettavano dietro di esso; borbottò un grazie masticato tra i denti a cui Hina rispose con una scrollata di spalle. Oramai era abituata, l’ultima volta che lo aveva sentito ringraziare come Dio comandava Havamama era ancora viva, col tempo aveva fatto il callo ai suoi borbottii sommessi e aveva imparato a riconoscere la gratitudine nei suoi sguardi.
«Ti sei portata dietro il comitato di benvenuto?» domandò sarcastico.
«Anche io sono felice di vederti fuori amico, e pensare che ti avevo anche portato un sigaro e tu mi spezzi il cuore così» celiò Cancer agitando un secondo sigaro davanti al naso del ragazzo.
«Due idioti» rimarcò Hina scivolando lungo il corridoio e affacciandosi sul cortile interno.
«Dove andiamo adesso?» domando Verygood grattandosi il mento e trattenendo uno sbadiglio.
«Venite, sfigatelli» Cancer superò Hina in una falcata e senza tanti preamboli le afferrò il polso e cominciò a trascinarsela dietro, oltre gli edifici delle palestre, verso una delle colline «C’è una meravigliosa catapecchia che dà ad est, si vede persino l’alba se è bel tempo, una gran figata. L’abbiamo scoperta lo scorso anno io e Stainless, venivamo qui a sbronzarci quando avevamo tempo libero».
«Edificante» commentò Hina, trattenendo un sorriso e seguendolo cercando di non inciampare «Muovetevi voi due o Hina vi lascia qui».
«Sai che roba» borbottò Smoker, fissando male Cancer e accelerando il passo.
La catapecchia c’era davvero, era stata, in passato, una palestra di karate, ma ora un grosso foro al centro del pavimento la rendeva impraticabile, il tatami non era mai stato sostituito e il tempo e gli elementi avevano fatto il resto. Sulla parete nord c’era un leggero strato di muffa e dalle pareti penetravano leggeri spifferi d’aria, ma nel complesso non era poi così mal messa, sì, certo era polverosa, ma c’erano posti peggiori in cui nascondersi durante una fuga notturna dai superiori.
«Bella roba» Smoker spostò con un calcio un’asse mezza marcia e aprì il pannello scorrevole che dava su una piccola terrazza affacciata sull’oceano «Troppo bella per un cazzone come te, Cancer».
«So che riesci a capirmi, fratello».
«Non sono tuo fratello, prima di tutto e -»
«Lo so benissimo, mio fratello ha le tette e canta in un locale di lap-dance».
Silenzio.
«Credo di voler accettare quel sigaro ora» borbottò Smoker cercando di cancellare l’immagine di Cancer con le tette mentre si strusciava contro un palo.
«Hina è sempre più affascinata dalla tua famiglia, i tuoi genitori hanno anche dei figli normali?»
«Chiaramente no» continuò per lei Verygood «Voglio dire, hai visto la sua faccia? Sembra che ci sia passato sopra un tir».
«Parla quello con una palla al posto della mascella, dì ti sei mai visto allo specchio?»
«Almeno non ho un taglio su un occhio!»
«Già, Cancer, non ci hai ancora detto come te lo sei fatto» disse Smoker accedendosi il sigaro; si sedette per terra, appoggiandosi pigramente allo stipite della porta che dava sulla terrazza e fece segno agli altri di sedersi accanto a lui.
«Credimi, non è divertente» fu la risposta pacata.
Cancer si lasciò cadere a sedere di fronte a Smoker e afferrata Hina per un braccio, se la tirò sulle ginocchia, ignorando le proteste della ragazza che, dopo avergli tirato una gomitata nelle costato, andò a sedersi a fianco all’amico.
«È la prima volta che te lo sento dire e sono quasi turbato» celiò Verygood sedendosi a sua volta e allungando una mano per ricevere un biscotto.
«Hina è curiosa» borbottò la ragazza iniziando a distribuire i dolci preparati da sua zia «Questi godeteveli, l’unica altra persona che se li può mangiare è Akainu».
«L’Ammiraglio?» Verygood quasi si strozzò.
«È suo zio, non lo sapevi?» Cancer sbadigliò leggermente «Ma tornando ad un argomento più interessante, si parlava di me».
«Cancer sappi che sto per gettarti giù dalla collina».
«Che piaga, Smoker».
«Ma quindi ce lo dici o no come te la sei fatta quella cicatrice?»
«Avevo circa dieci anni e mi ero messo in testa di aiutare mio padre. Mio padre era un brav’uomo, non si arrendeva mai davanti a niente, nemmeno davanti a tre figli senza speranza come eravamo noi all’epoca».
«Sei ancora senza speranza, Cancer».
«Grazie Principessa, sei sempre la più gentile. Comunque mi ero messo in testa di aiutarlo, faceva l’operaio e si occupava principalmente di costruire case; come potete immaginare non era esattamente l’ambiente più sicuro per un bambino, soprattutto per un bambino iperattivo e disubbidiente com’ero».
«Ti prego, dimmi che sei caduto da un’impalcatura» ridacchiò Verygood.
«Ti piacerebbe, mentone. No, sono saltato da una pila di mattoni su una carriola che ovviamente si è rovesciata e mi ha mandato a sbattere contro un pilastro da cui sporgevano alcuni chiodi».
«Eri un genio anche da piccolo, insomma» fece notare Smoker espirando una nuvola di fumo grigio e lasciando che Hina si sdraiasse usando la sua gamba come cuscino.
«Ehi, guarda che sarebbe bastato scivolare nel modo sbagliato e invece di un graffio in faccia avrei perso l’occhio!»
«Magari saresti diventato più simpatico» fece notare la ragazza.
«Tsk, ma se mi adorano tutti».
«Adorano anche il tuo ego?»
«Quella è la parte migliore, tesoro».
Smoker trattenne una smorfia di disgusto, Cancer gli provocava sensazioni contrastanti: a tratti era anche simpatico, ma c’erano delle volte in cui sentiva prepotente la voglia di prenderlo a pugni.
«Piuttosto, cosa ti farà domani Zephyr quando si accorgerà che non sei più nella tua cella?» domando Verygood sbadigliando.
«Niente direi, anzi probabilmente si stupirebbe se mi trovasse ancora dentro. È da quando sono arrivato che me la filo ogni volta che mi sbatte in punizione».
«Secondo me in parte gli fa piacere, sai com’è ci addestra alla vita e puttanate simili, sarà una soddisfazione vedere che anche se ti dovessero catturare sapresti levarti dalle palle».
«Come no» celiò Hina ridacchiando «Sarà entusiasta, proprio».
Ovviamente Zephyr non lo fu.

«Come sarebbe a dire che si è fatto trasferire?»
«Come “Come sarebbe a dire?”, ce la fai? Nel senso che ha chiesto un trasferimento a Sengoku e l’ha ottenuto, mi sembra semplice».
«Alla G-5?» domandò ancora il ragazzo ritirando la vela «Che scelta di merda!»
«Perché me lo dici come se l’avessi scelto io per lui? Saranno problemi suoi o no?»
«Oh, beh, tanto mi è sempre stato sul cazzo».
«Si può sapere che mai ti ha fatto Vergo? Non gli hai mai rivolto la parola, nemmeno una volta!» sbottò Hina sistemando le sartie della nave.
«Che vuoi farci, ho problemi con la gente scema» celiò Smoker espirando il fumo del sigaro «E non è che lui mi abbia mai dato dimostrazione di non esserlo, seriamente chi è che va in giro perennemente con pezzi di cibo attaccati alla faccia?»
«Se ti fossi sprecato anche solo a parlarci forse avresti cambiato opinione».
Un’onda fece rollare la nave, inclinandola più del solito e Hina trattenne una bestemmia, cercando di non perdere l’equilibrio.
«Non sono tutti deficienti solo perché non piacciono a te».
Smoker rimase leggermente interdetto, fissando l’amica di sottecchi, e cogliendo un lampo di irritazione sul suo viso.
«Stiamo ancora parlando di Vergo?»
La ragazza non rispose, allontanandosi a passo spedito verso la cambusa; si erano imbarcati da tre mesi a bordo della nave del vice ammiraglio Yamakiji, un uomo buono, dalla personalità tranquilla e l’aspetto semplice. Non era un assegnamento impegnativo, anzi, Yamakiji era una figura tranquilla, che cercava di evitare lo scontro là dove fosse possibile; amava il buon vino e i sigari costosi e cercava sempre di non passare troppo tempo senza fare scalo su un’isola.
In quei giorni procedevano lentamente, sospinti da una brezza lieve, in direzione di Water Seven e, a quanto pareva, nemmeno la prospettiva di giungere su un’isola tanto affascinante era servita a placare l’amica.
«Se sei ancora arrabbiata per quanto accaduto l’ultima volta, beh fattela passare».
«Ugh. Sei impossibile, te ne rendi conto? Sei tu che devi farti passare questa mania di prende a cazzotti chiunque abbia una faccia che non ti piace!»
«Mica l’ho pestato per quello!»
«No? E allora come mai?»
«Ti aveva insultato» borbottò Smoker nicchiando.
«Ma se non è mai vero! Come se fossi mai venuto in mio soccorso durante una rissa, sai benissimo che Hina sa pestare forte quanto te! Non hai mai pensato che avessi bisogno di aiuto!»
«Ok, forse non mi piaceva e basta, va bene? Si può sapere perché te la prendi tanto? Era un pirata, era feccia dell’umanità».
«Noi li arrestiamo i pirati Smoker, non li pestiamo a sangue» sibilò la ragazza «E Hina non può continuare a trovare scuse con il Vice Ammiraglio per giustificare la tua testa di cazzo».
«Ma chi te lo ha chiesto!»
«Sai cosa c’è? Hina è seccata, non le parlare» sibilò la ragazza uscendo dalla cambusa e chiudendosi la porta alle spalle con forza.
Le faceva saltare i nervi quando si comportava così, le sembrava di ritrovarsi davanti al bambino che aveva conosciuto quando era piccola, eppure ora erano cresciuti e anche Smoker avrebbe dovuto imparare che ci sono cose che vanno lasciate alle spalle: l’ira era una di queste. Razionalmente sapeva anche lei che i pirati erano feccia, che quello che facevano i marine era fermarli e che era proprio la pirateria la causa maggiore di morti nel mondo, ma pestare a sangue chiunque gli si fosse parato di fronte non era la soluzione. Non volevano, non dovevano essere quel tipo di marine, ce n’erano già troppi così, troppo impegnati a far vedere quanto fossero potenti per pensare davvero a ciò di cui la gente aveva bisogno, troppo impegnati a usare la forza per usare la testa; no, loro dovevano essere migliori, dovevano essere ciò di cui le persone avevano bisogno.
Hina sbuffò, osservando con irritazione il ponte inferiore e l’uomo e che chiacchierava di malavoglia con i compagni; ultimamente le cose tra di loro erano peggiorate, o meglio, si era resa conto che non parlavano più come prima. In parte era colpa sua, sentiva come un blocco ogni tanto, aveva quasi paura a dirgli le cose, a dirgli tutto quello che le passava per la testa; una volta non si sarebbe fatta certe paranoie, ma ora? Ora le cose iniziavano davvero ad essere diverse, più passava il tempo e più Hina iniziava a rendersi conto di quanto fosse fondamentale per lei il rapporto con Smoker, di quanto davvero fosse forte quel legame che si era creato con gli anni. Ma era normale? Ogni tanto si ritrovava a osservare il soffitto e a domandarsi se questo rapporto che avevano costruito fosse sano. Bastava loro una sola occhiata per capirsi, un gesto per comunicare, una parola per sottointendere un discorso. Continuavano a spostarsi in coppia sia nell’addestramento che nelle esercitazioni ed era quasi come se vivessero in simbiosi, però mancava qualcosa e durante le sue notti insonni Hina aveva cominciato a domandarsi cosa fosse quel vuoto che sentiva all’altezza dello sterno, quel fastidio che le attanagliava lo stomaco e le impediva di dormire.
Poi aveva capito e si era messa il cuore in pace, con la placida consapevolezza che quella che stava vivendo era solo adolescenza arrivata in ritardo. Non poteva e non voleva permettere che i suoi ormoni interferissero con la sua vita e non aveva intenzione di lasciare che questi sentimenti che iniziava a provare rovinassero il rapporto che lei e Smoker avevano costruito in quindici anni.
«Che seccatura» sbottò saltando giù dal ponte e salutando con un gesto i ragazzi rimasti di turno sulla nave.
Water Seven era più grande e bella di quanto si aspettasse, immensi canali d’acqua attraversati da piccole imbarcazioni, case che si alzavano verso il cielo estendendosi in altezza più che in larghezza, ponti in pietra a unire piccole strade lastricate ad arte; Water Seven era un capolavoro dell’edilizia.
«Sembra quasi una fontana» borbottò calandosi gli occhiali da sole sul viso e avviandosi verso la base, salvo poi rendersi conto che non aveva idea di dove fosse.
«Non sembra, lo è, non lo vedi?» esclamò una voce alle sue spalle con tono saccente «Se guardi in alto dovresti rendertene conto».
«Guardassi» fu la risposta automatica della ragazza, che si girò distrattamente a osservare il giovane dai capelli celesti che le aveva parlato «Non ce li hai dei pantaloni?»
«Ti crea problemi il mio modo di vestire?»
«Facciamo così tu mi dici dove trovo la base della marina e io non ti arresto per oltraggio alla decenza».
Il giovane borbottò qualcosa tra i denti, ma le indicò esattamente che strada imboccare, quindi continuò per la sua strada, dirigendosi verso il porto e trascinandosi dietro un carico di legna.
«Tutti io li trovo gli spostati» sbottò Hina incamminandosi per i fatti suoi.
Se avesse continuato così, prima o poi, avrebbe di sicuro cominciato a fumare anche lei, se non altro per scaricare lo stress. Prima Smoker, poi il demente in mutande, e ora cosa? Cos’altro?
«Ciao principessa, che coincidenza!»
Era maledetta. Non c’era altra spiegazione logica, pensò, bestemmiando interiormente nel vedere Stainless e Cancer avvicinarsi agitando una mano.
«Tuo marito non l’hai portato?»
«Vaffanculo, Cancer. Non siamo sposati, se lo vuoi cercatelo».
«E io che pensavo sapessi sempre dove trovarlo!»
«Hina ti sembra la sua segretaria? Che vada al diavolo, anzi, sai che ti dico? Andateci entrambi» sbottò afferrando Stainless per una manica e trascinandoselo dietro «Noi andiamo a bere».
«Non sono sicuro di avere capito, ma a me va benissimo» replicò Stainless ridacchiando e facendo ciao ciao con la mano a Cancer che era rimasto fermo impalato di fronte alla risposta al vetriolo dell’amica.
«Si può sapere che ti prende?» domandò una volta ripresosi, tenendo aperta la porta della locanda per farla passare.
«Niente di che, sono solo seccata».
«Sì, beh, tu sei sempre seccata» fece notare Stainless sedendosi al bancone e ordinando tre birre.
«Già il tuo “sono seccata” è come il “va tutto bene” delle persone normali, solo che in questo momento sembri davvero irritata».
«E allora tu evita di fare domande» borbottò la marine afferrando con decisione il suo boccale.
Cancer scoppiò a ridere e le accarezzò con affetto i capelli; il lato positivo dell’essere l’unica recluta donna del suo anno era stato che tutti l’avevano presa in simpatia, dopo un iniziale tentativo di prenderla sotto la propria ala protettrice i ragazzi si erano resi conto che Hina non aveva alcun bisogno di protezione, in compenso non aveva mai respinto alcun gesto d’affetto, sebbene avesse da subito dimostrato una certa riluttanza nei confronti del contatto fisico. Tuttavia, dopo più di un anno che la conoscevano, potevano dire, con un certo grado di sicurezza (nonché di soddisfazione), che persino la principessina della marina era riuscita ad addolcirsi nei loro confronti.
«Se è di nuovo colpa di Smoker non ci pensare troppo» le fece notare Stainless girandosi verso di lei «Credimi, ne ho viste di persone come lui e dopo un po’ tutti riescono a trovare un loro equilibrio».
«Non esistono altre persone come lui» borbottò Hina «Grazie al cielo o diventerei scema».
«Ci mancherebbe altro» celiò Cancer ridendo «Me ne basta uno che mi prenda a pugni».
«Piuttosto, come sta andando con Yamakiji? Avete poi capito perché gira sempre con gli occhi chiusi?»
«Non ne ho idea, ma non è male, è un brav’uomo».
«E cos’è venuto a fare il brav’uomo a Water Seven?» continuò Stainless accarezzandosi i piccoli baffi che iniziavano a crescere sopra il labbro superiore.
«Credo che debba fare un controllo sullo status di avanzamento dei lavori della ferrovia. Dovrebbero finire quest’anno, no?»
«No, hanno voluto che Tom desse la priorità alla linea diretta verso Eneis Lobby, mancano ancora da finire tutte le altre, ma il tratto di ferrovia è decisamente più breve» esordì Cancer, con tono più serio «Le alte sfere hanno intenzione di sfruttare il vecchio Tom finché campa e dopo…»
«Dopo cosa?» domandò Hina sollevando appena un sopracciglio.
«Credi davvero che abbiano intenzione di tenersi tra i piedi il carpentiere che ha costruito la Oro Jackson?»
«Non ci avevo mai pensato… Però non è giusto».
«È la marina, Hina, non un’associazione di benefattori per poveri derelitti» fece notare Stainless accendendosi un sigaro e passandone uno a Cancer.
«Non si tratta di fare la carità, ma si rispettare degli accordi. Non stiamo parlando di un rifiuto della società, ma della persona che ha contribuito a migliorare l’economia e il tenore di vita di intere isole!»
«Hina, quello che dici è indubbiamente vero, ma cosa accadrebbe se un domani dovesse presentarsi un futuro aspirante re dei pirati a chiedere che gli venga costruita una nave?»
«Su questa stessa base potremmo arrestare chiunque qui dentro perché da sbronzo potrebbe scatenare una rissa…»
«Hai capito cosa voglio dire» continuò Cancer espirando il fumo del suo sigaro.
«Il fatto che capisca non significa che condivida o che approvi».
«Lo sappiamo, principessa» scoppiò a ridere Stainless, mettendosi in piedi «Ah – Ah, prima che lo dica tu, lo so “Non chiamarmi così”».
«Si può sapere perché lo fai se sai che lo detesto?»
«Mi diverte la tua faccia» rispose l’uomo allontanandosi «Io devo rientrare, ci vediamo più tardi gente».
Hina sospirò lasciandosi andare contro il bancone e masticando un insulto tra i denti.
«Ne vuoi parlare?» domandò Cancer gettandole un’occhiata di sbieco.
«Non lo so» mormorò la ragazza tirandosi su e girandosi verso di lui «Hina non sa nemmeno cosa ci sia da dire».
L’uomo la fissò negli occhi per qualche istante, quindi allungò un braccio e se la tirò vicina; Hina appoggiò il capo contro la sua spalla e socchiuse leggermente gli occhi, persa in un pensiero troppo rapido perché potesse afferrarlo.
«Si può sapere qual è il vostro problema?» domandò Cancer, giocando con i capelli legati dell’amica.
«Non capisco».
«Lascia stare, allora me ne vuoi parlare o no?»
«Non so cosa dirti, Cancer, non so quale sia il problema e quindi non so risolverlo».
«Credo il problema sia che siete stati insieme troppo tempo e ora non riuscite a capire quello che è ovvio per tutti gli altri».
«Continuo a non capire» borbottò la ragazza tirandosi su e fissandolo negli occhi con un lampo di irritazione.
Cancer sogghignò, lanciando un’occhiata alla sala e soffermandosi qualche secondo sulla figura seduta in un angolo; sapeva di base di non essere una persona cattiva e non lo faceva per dispetto (ok, forse un pochino anche per quello), solo era profondamente convinto che Hina avesse bisogno di darsi una svegliata e di sicuro non era la sola.
«Puoi darmi un pugno se vuoi, dopo» celiò sorridendo.
Hina lo osservò senza capire, finché Cancer non si piegò verso di lei e attirandola verso di sé con un braccio non appoggiò le sue labbra su quelle dell’amica, strappandole un leggero gemito di protesta. L’uomo esercitò una leggera pressione, facendosi strada verso l’interno della bocca della ragazza e si stupì di trovare una resistenza solo iniziale; Hina sussultò di fronte al gesto inatteso e il suo primo istinto fu quello di opporsi a quel contatto fisico indesiderato, ma le labbra di Cancer erano più morbide di quanto si aspettasse e per un breve istante desiderò che quel bacio continuasse, nonostante fossero in un luogo pubblico e la decenza imponesse altrimenti.
Si staccò quasi con riluttanza, senza riuscire a smettere di pensare che era stato molto più piacevole di quanto avrebbe mai potuto pensare. Cancer aprì un occhio, quindi vedendo che non stavano volando né ceffoni né cazzotti nella sua direzione, aprì anche l’altro, sorridendo con fare divertito.
«Fuori» borbottò Hina con voce asciutta, afferrandolo per una manica e trascinandoselo dietro, senza nemmeno notare l’occhiata penetrante che Smoker le stava rivolgendo dal fondo della locanda: era la prima volta che non si accorgeva nemmeno della sua presenza.

Yamakiji aveva fatto il giro dell’intera isola prima di andare a visitare il famoso carpentiere Tom. L’uomo, o meglio, l’uomo pesce di fronte a lui non assomigliava per niente al pericoloso criminale di cui i giovani marine avevano sentito parlare al quartier generale ed Hina rimase quasi stupita di trovarsi davanti un individuo perfettamente normale, forse anche più normale di molti dei suoi colleghi.
«Non sembra pericoloso» borbottò la donna, sbirciando oltre il Vice Ammiraglio e cercando di individuare qualcuno che potesse effettivamente costituire una minaccia.
Alle spalle di Tom si trovavano solo due ragazzi che potevano avere all’incirca l’età di Smoker, forse di poco più vecchi, in uno dei quali riconobbe il giovane senza pudore che le aveva indicato dove trovare la base della marina.
«Signore?» chiese in quel momento Smoker «Chiedo il permesso di congedarmi se non sono di alcuna utilità».
Yamakiji, fin troppo buono per un individuo nella sua posizione, sollevò le spalle e sorrise appena.
«A pensarci bene siete tutti congedati, non è necessario che rimaniate ad ascoltare quello che io e Tom abbiamo da dirci» concesse l’uomo ritirandosi nella casa del falegname.
Hina annuì, compitamente, prima di afferrare Smoker per una manica e guardarlo storto.
«Non potevi aspettare che ci congedasse lui?»
«Che ti frega?» borbottò l’uomo, allontanandosi con uno strattone e dandole le spalle.
«Sai che mi frega» ribatté Hina, sollevando un sopracciglio «Hina sarà anche sempre seccata, ma ci tiene a non vederti perennemente in punizione, chi pensi che finisca con l’aiutarti ogni volta che devi lavare i cessi? E chi pensi che poi passi ore a tirarti fuori dalla cella di detenzione?»
«Come se ti avessi mai chiesto niente!»
«Si può sapere perché ti comporti così? Sai che fatica ho fatto da quando ci siamo arruolati per non farti espellere? La quantità di favori che ho chiesto a mio zio? Puoi, per piacere, cercare almeno di comportarti civilmente?»
Smoker si bloccò di scatto e tornò a guardarla, sibilando piano, senza dimenticare di scandire per bene le parole.
«Non ti ho mai chiesto io di farlo, Hina, anzi, sai che ti dico? Perché non ti trovi qualcosa di meglio da fare? Visto che hai già trovato come occupare il tuo tempo libero».
«Che?»
«Non sei mia madre, non sei la mia balia, non sei in alcun modo responsabile per me, quindi fammi un favore e torna a farti fare la tracheotomia da Cancer» sbottò Smoker in tono freddo.
Lo schiaffo riecheggiò per la baia, ma nessuno parve farci caso.
«Sei uno stronzo» disse la giovane, senza inflessione nella voce e senza espressione sul viso, con lo stesso sguardo che normalmente riservava agli sconosciuti.
Smoker non rispose, la osservò per qualche secondo mentre si girava e se ne andava camminando a lunghe falcate, quindi senza esitare le girò le spalle anche lui e si incamminò verso la nave.
Hina avanzò di una decina di metri, prima di fermarsi dietro a un muro per cercare di regolarizzare il respiro; era più irritata di quanto non fosse mai stata e non riusciva a capire se a farla incazzare fosse il fatto che Smoker aveva visto effettivamente quella scena (nemmeno fossero una coppia) o per le parole che le aveva rivolto, come ad evidenziare quanto il loro rapporto non valesse poi tanto quanto lei aveva creduto.
«Signorina, sta bene?»
Sollevò lo sguardo di scatto, da dietro le lenti scure degli occhiali da sole apparve un ragazzo di qualche anno più grande di lei, uno dei due che aveva notato in piedi a fianco a Tom.
«Sì, tutto a posto».
«Il suo collega le ha dato fastidio? Ha bisogno di che la accompagni in città?»
Hina scoppiò a ridere, divertita.
«Grazie, ma sono abbastanza sicura di essere in grado di accompagnarmi da sola. Il mio compagno è solo un testardo impulsivo, spero sinceramente che scivoli in acqua, sia mai che gli si rinfreschi il cervello».
Il giovane di fronte a lei scoppiò a ridere a sua volta.
«Testardo e impulsivo, eh? Credo di capire come si senta» esclamò lanciando un’occhiata al ragazzo semi svestito che cercava di sbirciare dalla finestra ciò che Tom e il Vice Ammiraglio stavano facendo all’interno della casa.
«Oh, il tizio che non ha idea di cosa siano i pantaloni» borbottò Hina seguendo il suo sguardo «Puoi darmi del tu se vuoi».
«Lo conosci? Non è una cattiva persona, è solo strano, bisogna saperlo prendere. Piacere, comunque, sono Iceburg».
«Hina, sei un falegname anche tu?»
Il giovane annuì appoggiandosi accanto a lei contro il muro.
«Sono uno degli apprendisti di Tom».
«Oh, quindi la ferrovia è anche merito tuo?» esclamò la ragazza con una nota leggera di ammirazione nella voce «È un lavoro portentoso!»
«E se continuiamo di questo passo anche infinito» commentò il giovane.
«Oh, giusto, vi hanno obbligato a cominciare da Eneis Lobby e ora manca il resto».
«Immagino che il governo abbia le sue esigenze» borbottò con una nota amara nella voce «In ogni caso siamo i migliori che ci siano in giro, al massimo altri quattro anni e vedrai, sarà la migliore ferrovia che tu abbia mai visto».
«Non mi dire» scoppiò a ridere la marine.
«Vorrà dire che dovrai tornare qui prima o poi».
«Se non mi avranno arrestato prima per avere brutalmente ucciso e fatto a pezzi qualche collega volentieri» ridacchiò la ragazza allontanandosi e salutando il giovane con la mano.
In fondo che senso aveva prendersela? Smoker voleva comportarsi da stronzo? Facesse pure, non si sarebbe fatta rovinare il soggiorno su un’isola così bella dagli sbalzi d’umore di un demente, anche se il demente in questione era il suo migliore amico.
La base della marina era più grande di quanto non immaginasse, e non le ci volle molto per perdersi quando tentò di farlo; non aveva intenzione di stare vicino a nessuno, tantomeno a persone conosciuta. Non voleva vedere la faccia di Smoker, né quella di Cancer e a dirla tutta non voleva vedere nessun volto noto, consapevole che le ci sarebbe voluto molto poco per picchiare qualcuno.
Era capitato in passato che lei e Smoker avessero delle discussioni, era capitato persino che si dicessero cattiverie, era più che normale avendo loro convissuto così a lungo in stretta vicinanza, ma nessuna delle volte precedenti c’era stata una così evidente intenzione di ferirla, di farle pesare qualcosa che non sarebbe dovuto nemmeno essere affar suo.
«Ehi, tutto bene? Ti abbiamo cercata ovunque?»
«Cancer? Che vuoi?» borbottò la ragazza, spostando il bicchiere di vino che aveva di fianco per lasciargli lo spazio per sedersi.
«Oh, niente di che, solo che eri sparita».
«Non me ne frega niente, demente. Intendevo cosa vuoi in generale».
«Oh, quello. Niente di che, diciamo che mi andava di farlo?»
Hina non rispose, soppesando quella risposta, come a decidere se la cosa le stesse bene o meno e, in realtà, le sarebbe anche stato bene così se Cancer non avesse continuato a parlare.
«E volevo infastidire Smoker».
«Ti eri accorto che c’era?» domando la giovane irrigidendosi impercettibilmente.
«Certo che sì».
Hina si tirò in piedi e gli piazzò in mano il bicchiere da cui stava bevendo.
«Si può sapere che razza di problema al cervello avete tutti quanti?» sbottò allontanandosi più irritata che mai.
«Eddai! Hina!»
«No, Hina il cazzo. Hina è furibonda, lasciatela stare» fu l’ultima cosa che disse prima di sparire dalla sua vista.
Cancer sospirò, osservando con aria dispiaciuta il bicchiere che si ritrovava in mano.
«Questa volta siamo morti» commentò bevendolo tutto d’un sorso.
Hina uscì dalla base ignorando i richiami dei suoi compagni, incamminandosi per le strade della città, senza nemmeno sapere bene dove stesse andando; la luce soffusa illuminava le pietre grigie, a tratti piccole pozzanghere sporche rifrangevano la luce riflettendola verso il cielo, lo scorrere regolare dell’acqua nei canali accompagnava il suo passo leggero e la giovane si ritrovò ben presto a desiderare di non essere lì. Water Seven era troppo bella, troppo affascinante e troppo piena di mistero per lei quella sera; sembrava una città magica che la richiamava verso il suo centro nel tentativo di inglobarla tra le sue calli e i suoi ponti sospesi su canali troppo stretti.
«Ma che sto facendo?» sbottò osservando il suo riflesso nell’acqua.
Non che avesse una risposta, continuò a camminare, cercando di pensare il meno possibile, fermandosi solo una volta per affacciarsi a una piccola locanda in una zona fin troppo malfamata della città.
Si fermò soltanto quando arrivò ai cantieri navali, rendendosi conto di essersi allontanata troppo; in lontananza riusciva a vedere la stazione del treno che connetteva Water Seven a Eneis Lobby.
Si strinse le ginocchia al petto, sentendosi improvvisamente molto piccola; il vento le scompigliò i capelli, portando fino a lei l’odore salmastro del mare e Hina sentì improvvisa nostalgia della vita su una nave. Prima sarebbero ripartiti meglio sarebbe stato per tutti, così magari si sarebbero lasciati quella storia alle spalle.
Strizzò gli occhi, cercando di evitare di scoppiare a piangere e tirò fuori dalla tasca uno striminzito pacchetto di sigarette, comprate poco prima; la prima boccata fu tanto fastidiosa quanto amara, il fumo acre della sigaretta scese lungo i polmoni bruciando come il diavolo, scacciando la voglia di scoppiare a piangere.
Rimase qualche istante immobile, a osservare le leggere volute di fumo grigio che si sollevavano dalla sigaretta, finché una voce non la richiamò alla realtà.
«Ti sei persa?»
Era rimasta così assorta nei suoi pensieri che non lo aveva nemmeno sentito arrivare, il ragazzo era in piedi a pochi passi da lei e sorrideva.
«Posso sedermi?»
«Iceburg, giusto?»
«Esatto, che ci fai qui? Non è una zona molto frequentata questa, a meno che tu non sia qui per farti costruire una nave, anche se credo di doverti avvisare: il treno marino ha la precedenza».
Hina sorrise, senza guardarlo, ma lasciando che le si sedesse a fianco.
«Camminavo e sono finita qui, niente di che» rispose a bassa voce «Come vanno i lavori del vostro treno?»
«Se non consideri la scarsità di materiali e gli intoppi costanti, bene. Ma come dicevo oggi dacci tempo quattro anni».
«Quattro anni, già» Hina si accese una seconda sigaretta.
«Brutta giornata?» domandò Iceburg, appoggiandosi con i gomiti ai gradini retrostanti e rimanendo a fissarla.
«Un incubo, di quelle in cui ti domandi come mai tu ti sia alzata la mattina» borbottò la ragazza, stringendosi di più le gambe contro il petto e affondando il viso nelle ginocchia.
«Vuoi parlare? Tom dice sempre che parlare fa bene e credo abbia ragione, anche se, quando ero piccolo, odiavo tremendamente sentirmelo dire».
Hina scosse il capo, percependo che qualcosa andava incrinandosi dentro di lei; non fece nemmeno in tempo a chiedergli di andarsene, a dirgli che avrebbe voluto rimanere sola, che già la prima lacrima aveva iniziato a scendere e una seconda e una terza. E la cosa più irritante, per una come lei, non era tanto l’essere vista, ma il non aver nemmeno la forza di spiegare quanto quelle fossero lacrime di rabbia e frustrazione e non lo sfogo improvviso di una ragazza troppo debole per fare il marine.
Iceburg non disse niente, continuò a guardarla, ascoltando i singhiozzi trattenuti appena, non cercò di consolarla con frasi di circostanza, né di trovare parole adatte che sentiva di non conoscere. Si limitò a prenderle la mano e la tenne stretta, finché non si fu calmata, quando, dopo pochi minuti, il respiro della ragazza tornò a farsi più regolare e la vide asciugarsi le lacrime con la manica della divisa, finalmente Iceburg parlò.
«Vieni, ti porto a vedere una cosa».
Hina non fece storie, sollevò appena un sopracciglio, incerta se seguire un perfetto sconosciuto tra i rottami sconnessi della falegnameria, ma allo stesso tempo intrigata. Aveva sempre pensato di essere piuttosto brava nel riconoscere il carattere delle persone e, fin dal loro primo incontro, l’impressione che aveva avuto di Iceburg era stata più che positiva, le era parso una persona matura, intelligente, perfino brillante e, soprattutto, le era parso una persona gentile.
«Credo che sia mio dovere avvisarti che se hai cattive intenzioni non esiterò a prenderti a pugni, anche se mi hai tenuto la mano fino a sei secondi fa».
«Mi sembra legittimo, dai vieni».
Le assi di legno e di metallo costituivano un vero e proprio labirinto, superarle e passarci attraverso era come superare un percorso a ostacoli e ad Hina ricordò vagamente l’addestramento.
«Ok, se sai mantenere un segreto ti faccio vedere una cosa, pronta?»
«Come no» fu la sarcastica risposta, mentre cercava di non andare a sbattere contro un palo troppo sporgente.
«Ecco il primo prototipo di treno marino! Quello che viaggia ora sui binari è più stabile e definitivo, ma questo è stato il primo. La prima locomotiva a spostarsi sull’acqua».
Hina rimase senza parole, ammirando per qualche istante l’enorme macchina a vapore.
«Hina è affascinata» mormorò piano.
Iceburg si girò a osservarla, divertito, senza trovare il coraggio di ribattere con qualcosa di arguto, così la ragazza continuò, sedendosi a terra e rimanendo ferma a osservare la locomotiva.
«Ti va ancora di ascoltarmi?» domandò.
E così Hina iniziò a parlare, cercando di trovare la forza per aprirsi a un completo estraneo, per riuscire, nel raccontare i suoi problemi a uno sconosciuto, a dipanare quella matassa di ansie e incognite che era andata creandosi di fronte ai suoi occhi e che ora, mano a mano che parlava, sembrava essere così semplice da sciogliere. Ben presto le frasi sconnesse si trasformarono in discorsi compiuti, le sue parole dapprima incerte divennero più ferme e sicure, e, ad indicare che a parlare fosse la stessa persona dallo sguardo freddo e la lingua tagliente a cui i suoi compagni erano abituati, rimasero solo le frasi in terza persona. Iceburg ascoltò in silenzio, intervenendo solo dove necessario, cercando di farle capire cosa volesse e cosa fossero quelle nuove esigenze che andavano crescendo in lei. Seppure non la conoscesse percepì in quel momento una sensazione di particolare affinità nei confronti di quell’estranea; sentì che quello Smoker di cui parlava non era così diverso da Franky e sentì di capirla, almeno in parte.
«Non stupirti» le disse «Hai passato la gran parte della tua adolescenza tra allenamenti e autocontrollo. Sei maturata in fretta, ma nel farlo hai messo da parte i tuoi ormoni. Nessuno ti vieta di essere forte e di essere anche una donna. Amare e vivere i propri sentimenti e le proprie esigenze fisiche non è sbagliato».
Parlarono così tanto che quasi non si accorsero del trascorrere delle ore e quando Iceburg si chinò per baciarla Hina non si sottrasse, quando le sfilò con delicatezza la casacca, non glielo impedì, né lo fermò quando l'uomo le chiese se fosse sicura di quello che stava facendo perché pentirsene all'indomani sarebbe stato peggio che fermarsi in quel momento.
Hina non si fermò, lo fissò per qualche istante e decise che non si sarebbe pentita e, in effetti, non lo fece.

«Hai iniziato a fumare?»
Hina era seduta sul parapetto della nave, in attesa di allontanarsi dall’isola; osservava la città con aria distratta, senza pensare a niente di preciso. Quando Cancer le si avvicinò si accorse a malapena della sua presenza e se l’uomo non le avesse rivolto la parola forse nemmeno l’avrebbe notato.
«Hina ha pensato che fosse meglio iniziare a fumare che farsi venire un’ulcera» disse con voce pacata.
Cancer si appoggiò al parapetto, fissandola per qualche istante con un sorriso sornione; i suoi occhiali scuri riflettevano la luce del sole e Hina si domandò se fosse quello l’effetto che facevano anche su di lei.
«Non mi dire, hai così tanti problemi che hai perso il conto?»
«Smoker, degli amici deficienti, un viso troppo carino per questo mondo e un’avversione per le persone» rispose la ragazza sollevando le dita una ad una «Sono quattro. Tu rientri tra gli amici deficienti».
«Lusingato. Allora, va meglio?»
«Sai, vero che non dovresti proprio essere tu a chiedermelo?»
«Forse no» concesse l’uomo «Ma almeno mi stai parlando. Sono io o sei più rilassata del solito?»
«Forse» borbottò la ragazza «E comunque sì, mi è passata, però ti sarei grata se non lo rifacessi. Sicuramente non per dar fastidio a Smoker».
«È un modo carino per dirmi che se avessi semplicemente voglia di baciarti potrei farlo?»
«No, demente, è un modo per dirti che a questo giro Hina non ti affoga, ma se lo rifai non si farà alcun problema a prenderti a pugni».
Cancer piegò le labbra in una finta smorfia e le appoggiò il mento su una spalla.
«Così mi uccidi! Pensa a che figli bellissimi potremmo avere, pensa a che futuro brillante».
«La finisci, beota?» scoppiò a ridere la ragazza scollandoselo di dosso e rimettendosi in piedi.
«Nemmeno uno scappellotto? Hina deve essere proprio di buon umore oggi? Cos’è hai fatto qualcosa che non so?»
«Cancer hai tre secondi per sparire prima che Hina si secchi».
«Hina è molto carina quando è seccata, ma me ne vado lo stesso» celiò allontanandosi e agitando la mano «Ma non pensare che mi dimentichi di questo tuo buon umore del tutto fuori luogo».
«Sai cos’altro è fuori luogo?» sbottò la giovane sporgendosi dal parapetto per farsi sentire da Cancer, oramai sulla banchina del porto «La tua vita!»
L’uomo sventolò con grazia un dito medio, prima di sparire per le strade della città, non aveva fatto che pochi metri che si ritrovò ad andare a sbattere contro l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento.
«Vuoi un occhio nero?» sbottò Smoker fissandolo con astio.
«Oh, ma che palle che siete tutti quanti! Riunitevi e fate il gruppo prendiamo a cazzotti Cancer!»
«Tutti chi? Levati da davanti che la tua faccia mi irrita».
«Tu e Hina, genio. Non mi dire che te la sei presa per quanto accaduto ieri!»
«Cosa? Non è un problema mio con chi Hina passa il suo tempo» borbottò il ragazzo con una nota di astio nella voce.
«Oh, non mi dire che sei davvero geloso» celiò l’amico scoppiando a ridere ed evitando un calcio negli stinchi per pura fortuna.
«Non sono geloso» sibilò Smoker.
«E invece sì, cosa ti turba? Dai, seriamente, sii onesto con te stesso per una volta, potrò anche darti i nervi, e non nego di divertirmi moltissimo a farlo, ma siamo amici, Smoker, e non sono un idiota, ti conosco abbastanza bene da capire che ti dia fastidio il mio comportamento con Hina».
«Non è quello, ti piace e vuoi provarci? Sentiti libero di farlo, non sono geloso» sbottò nuovamente il ragazzo aspirando il fumo del sigaro e lanciando all’amico un’occhiata in tralice.
«E allora si può sapere quale sia il problema?»
«Cosa vuoi che ti dica, Cancer? Io e Hina siamo cresciuti assieme, abbiamo trascorso gli ultimi dieci anni della nostra vita assieme, è così strano che ora mi dia fastidio vederla allontanarsi? Non sono geloso di lei in quel senso -»
«Ma hai paura di passare in secondo piano? O di diventare l’amico di scorta?» Cancer scoppiò a ridere, divertito dall’espressione scocciata sul viso di Smoker «Dovresti avere più fiducia in lei».
«E tu dovresti farti i cazzi tuoi» sibilò prima di allontanarsi a grandi falcate, rimpiangendo di essersi fermato a parlare.
Sperò di riuscire a lasciarsi Water Seven alle spalle il più prima possibile e quando la nave salpò dal porto tirò un sospiro di sollievo; non che le cose fossero in procinto di migliorare, Hina sembrava evitarlo e non ci volle molto perché Smoker si rendesse conto di avere tirato un po’ troppo la corda durante la loro ultima discussione.
Per tutta la durata del viaggio non si rivolsero la parola, anche se, se ne rendeva conto lui per primo, sarebbe bastato scusarsi e le cose sarebbero tornare come prima, Hina lo avrebbe insultato, gli avrebbe dato dell’idiota e poi lo avrebbe obbligato ad ascoltarla mentre gli raccontava cosa fosse effettivamente accaduto.
Quando giunsero a Marineford, tuttavia, non ebbe nemmeno la possibilità di avvicinarsi, pareva che la ragazza facesse di tutto per non trovarsi nella stessa stanza con lui; era spesso in visita da sua zia, ad allenarsi da qualche parte, a fare da segretaria ad Aokiji, a portare messaggi inutili a Sakazuki.
E quando, dopo circa un mese, Smoker si rese conto di non riuscire più a reggere la situazione, oramai era troppo tardi. Non seppe mai bene come, ma Hina venne imbarcata su una delle navi satellite della flotta comandata da Tsuru e, per qualche tempo, sparì.


   
 
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