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Autore: _Cthylla_    08/03/2016    5 recensioni
Ora che gli schieramenti sono stati fatti, i giochi possono iniziare.
Gli Insorti coi loro alleati, nonostante i danni riportati, sono determinati raggiungere i propri obiettivi: l'Uomo nella Luna e Pitch Black devono morire.
L'esercito radunato da Nightlight, che comprende anche quattro dei cinque Guardiani, si rivelerà sufficientemente stabile da non crollare davanti all'unione degli avversari?
Ma quanti sono realmente i giocatori al tavolo? Parti estranee al conflitto mischieranno ancora le carte in tavola...o tenteranno direttamente di bruciare il mazzo?
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, I Cinque Guardiani, Nuovo personaggio, Pitch, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Luna Dorata'
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Capitolo 3
= die die, die my darling, just shut your pretty eyes =




I corvi erano fuori ormai da cinque giorni. Erano serviti a qualcosa? No, o almeno non fino a quel momento. A detta di Baba Yaga non erano riusciti neppure ad arrivare fuori dalla Fabbrica, perché i grifoni-Incubo del fuoco li avevano distrutti prima.

Avevano visto il vecchio quartier generale di Babbo Natale solamente da lontano, e tutto il perimetro circostante era invaso da quei mostri, tanto a terra quanto in aria. Non c’era dubbio che gli Insorti avessero preso possesso della Fabbrica e ne avessero fatto la loro base, ma quel che avevano saputo aveva rimesso in discussione la prospettiva dell’attacco diretto, facendola diventare meno allettante di quanto già non fosse.

L’ideale sarebbe stato che i corvi riuscissero a trovare un ingresso alternativo alla Fabbrica -uno che Ljuba non conoscesse, se c’era!- che riuscissero a penetrare in essa per avere un’idea di dove fosse posizionata la maggioranza degli spiriti ed ex “divinità”, e che poi tutti loro tentassero un attacco improvviso direttamente agli Insorti.

Da quel che in quei giorni aveva raccontato Jack su Conca De El Sol, e sull’atmosfera che vi regnava, i più esperti di incantesimi si erano quasi convinti di una cosa: persone come Zeus, le “divinità” egizie e tutta la compagnia non potevano pendere di propria volontà dalle labbra degli Insorti, non fino a quel punto: c’era sicuramente qualche sortilegio di mezzo.
Avevano iniziato a pensare che, sconfitti gli Insorti, magari tutto il resto del loro esercito avrebbe perso la voglia di uccidere l’Uomo nella Luna.

Ecco, se non altro su di lui c’erano buone notizie: tra il lavoro di Aiko e quello dei guaritori, ormai Manny era solamente spossato, senza più ferite e ossa rotte. Certo, c’era ancora la paura, ed era un male da cui era molto più complicato guarire. Il principe Lunanoff aveva vissuto in quel satellite per circa millecinquecento anni credendo di essere al sicuro, e ora doveva affrontare l’idea di essersi crogiolato un una beata illusione. Non sembrava neppure avere tanta voglia di uscire dall’infermeria, o comunque di farlo prima di essersi completamente ripreso.
Quello però era abbastanza comprensibile: il fatto che gli altri spiriti li stessero aiutando non significava che idolatrassero Manny, cosa che ormai era chiara anche a quest’ultimo.

Oltre a tutto ciò, osservando il letto a due piazze ancora intatto, Dentolina temeva che a breve avrebbe potuto aggiungersi un altro problema. Nell’attesa che arrivassero informazioni concrete si erano stanziati tutti quanti lì, nella locanda, ma la Guardiana iniziava a chiedersi cos’avesse preso a fare una camera matrimoniale, se Jack non c’era mai.
Ovviamente non era il momento adatto per occuparsi di questioni di cuore, lo sapeva benissimo, ma non poteva evitare di chiedersi cosa accidenti stesse passando per la testa del suo fidanzato. Quando si erano rivisti nel regno di Madre Natura -già, chissà se lei e Shu Yin stavano bene!- sembrava tutto a posto, ma le cose avevano iniziato a cambiare già dall’arrivo nella locanda, e nei giorni successivi sembravano essersi ulteriormente raffreddate, specialmente dopo quel che era accaduto in infermeria.

Dentolina era rimasta di sasso. Aveva creduto che Jack avesse superato la cosa, ormai, e non si aspettava che andasse a mettere in discussione l’operato di Manny proprio in quei frangenti tanto delicati. Ammetteva che diverse cose erano assai contestabili, ma…proprio ora?
Lei l’aveva zittito e poi rimproverato per questo motivo -evitando a Manny di dover rispondere- e la reazione non era stata buona.
Nord e Sandman la pensavano allo stesso modo, neppure a loro era piaciuta la replica di Jack -tanto da aver appoggiato Dentolina durante quel breve scontro- e temevano anche ciò che temeva lei, ossia qualcosa di simile a un altro Calmoniglio. Per ovvi motivi difficilmente Jack si sarebbe schierato dalla parte degli Insorti -a meno di perdere il senno un’altra volta- ma Dentolina non voleva che il loro gruppo subisse un’altra frattura.

Non era servito a molto dire a Jack che sì, certamente era degno di fare domande, non era da meno di tutti loro, solo che semplicemente non era il momento adatto. Cos’aveva risposto lui? “mi piacerebbe che fosse così, ma qualche dubbio comincio ad averlo!”, e da quel momento aveva iniziato a stare più con gli altri spiriti che con lei e gli altri Guardiani. Proprio adesso che Sandman, sconvolto per ciò che era successo a Sandelle -quell’Ephemeride era veramente un mostro maligno come pochi!- avrebbe avuto più bisogno del sostegno di tutti!

A volte il suo fidanzato si rivelava un po’più egocentrico del dovuto, doveva ammetterlo.

Una questione che non sapeva se definire positiva o negativa, invece, era rappresentata dal fatto che Pitch, nei cinque giorni trascorsi, non si era più visto. Non che in caso contrario la Guardiana sarebbe stata lieta di averlo attorno, e per tutti gli altri valeva lo stesso discorso, ma il punto era un altro: l’Uomo Nero era con Eve Hallows, ovviamente assieme alla suddetta, e quella era tutto tranne una bella accoppiata. Forse la stava giudicando male troppo in fretta, Dentolina non aveva difficoltà ad ammetterlo, ma quello spirito non aveva esattamente fatto chissà cosa per farsi prendere in simpatia.

Qualcuno bussò alla porta. 

«avanti!»

Dalla porta fece capolino Nord. «io salgo sopra per sentire se Baba Yaga ha qualche novità. Sandy è già su, credo. Tu vieni?»

«sì, tanto stare qui è inutile» sospirò la fata, facendo spallucce. Raggiunto Nord nel corridoio, chiuse accuratamente a chiave la porta della stanza.

«Jack si calmerà presto, vedrai. Non ci lascerà soli in momento del bisogno».

«pensavamo lo stesso anche di Calmoniglio, ma abbiamo bisogno di lui, e lui non c’è. Preferisce stare con chi ci ha quasi uccisi».

Nord non replicò. Quando aveva rivisto Ljuba al Polo Nord, e l’aveva pregata di non mandare avanti quel conflitto, le aveva anche detto che l’amava ancora più della sua stessa vita, e non aveva detto una bugia. Quindi non era strano che ripensare a come si era dimostrata pronta a sacrificarlo scagliandogli contro quei grifoni mostruosi lo facesse soffrire.
“Saresti capace di uccidermi, Ljuba?”, le aveva chiesto, e niente da dire, sembrava proprio di sì; invece lui, nonostante tutto quel che era accaduto, non era ancora certo che sarebbe riuscito a farle del male, e non era esattamente il miglior presupposto per arrivare alla vittoria. «tu pensi di riuscire a combattere seriamente contro Atticus, se…ehm…è vivo?»

«sì, se penso a tutto quel che mi ha fatto, e poi non è che abbia scelta. Visto come si sono messe le cose l’ultima volta, ormai è diventato un “o noi o loro”» senza pensarci troppo, afferrò con delicatezza la mano dell’amico, e la strinse. «lo so, è difficile».

«non è solo difficile, è di più. Fino a ultimo io pensavo che lei si fermava».

Dentolina non fece commenti, neppure quando entrarono in ascensore. La maggior parte dell’edificio, incluse le camere da letto a loro assegnate, si estendeva al di sotto del piano terra, benché grazie a svariati incantesimi si avesse tutt’altra impressione. Ad un livello superiore rispetto al piano principale c’erano solamente l’appartamento del Leprecauno e, da quel che aveva sentito, la suite dove alloggiava Eve Hallows. Se quest’ultima non lo stava stuzzicando di continuo con strani atteggiamenti e provocazioni varie, probabilmente Pitch se la stava passando bene, lassù.

Chi di sicuro se la stava passando discretamente, invece, era April Saturnali. Harlequin aveva legato con Jack Frost, ma a lei si era accostato uno spirito di tutt’altro carattere. «ho capito che sei un gentiluomo, e lo apprezzo molto, ma non c’è bisogno che sia sempre tu ad offrirmi da bere».

“è il minino, sono io che ti ho invitata”.

Sandy non aveva dimenticato Sandelle e le sue povere mani amputate, tanto che i primi tre giorni aveva passato molto tempo solo nella propria stanza o a parlarne con gli altri Guardiani più vecchi, ma aveva infine concluso che struggersi e strapparsi i capelli per l’accaduto non sarebbe servito né a lui né a lei, e che era costretto a cercare di accantonare temporaneamente l’accaduto.
Dunque aveva pensato che valesse la pena cominciare a conoscere un po’meglio qualcuno dei suoi alleati, e per iniziare aveva scelto April I.
Le si era avvicinato perché cinque giorni prima aveva apprezzato la sua discrezione e perché, contrariamente a come poteva suggerire il suo nome, gli era sembrata una persona seria e dai modi gentili, e fino a quel momento lei non gli aveva dato motivo di pensare di essersi sbagliato. I suoi poteri mentali, inoltre, rendevano la comunicazione tra loro molto semplice.

“ti secca se torniamo al discorso di prima? Dicevi di essere indecisa se partecipare o meno alla battaglia”.

«lo ero. Prima c’era anche l’Uomo Nero versione overpower in gioco, ma ora che lui non rappresenta una vera minaccia non ho quasi» sottolineò delicatamente l’ultima parola «più remore a fare la mia parte nella contesa».

“non ritengo Pitch un nemico da poco, ad aprile dell’anno scorso mi ha persino ucciso, ma penso che ci sia un motivo temi più lui di un esercito di circa duecento persone”.

April giocherellò un po’col bicchiere colmo di Bellini, osservando un punto indefinito con aria assente. Ovviamente Sandman non aveva sbagliato, ed era lieta che Pitch non l’avesse ancora riconosciuta -complice anche il fatto che in quei giorni lui ed Eve si fossero rinchiusi nella suite a fare chissà cosa, senza mai sortirne- ma se le cose fossero cambiate, se quella situazione di stasi si fosse interrotta, quanto avrebbe potuto durare? Quanto avrebbe impiegato l’Uomo Nero a fare due più due, dopo averla guardata meglio e aver riflettuto sul fatto che viaggiasse con Harlequin?

«c’è».

La ragazza si chiuse nel silenzio per qualche attimo, e Sandman, seppur curioso, decise di non incalzarla: sicuramente si trattava di ricordi dolorosi, se le serviva tempo era giusto aspettare.

«se io ti racconto di me, poi tu farai lo stesso?» gli chiese lei, dopo un po’.

“certo, non c’è problema. Ma tu parlane solo se te la senti, non sei obbligata a farlo” la tranquillizzò il Guardiano.

«me la sento, e voglio. Pensandoci bene non vedo perché dovrei tenertelo nascosto. Non sono io ad avere di che rimproverarmi, ma lui. All’epoca io ero una bambina» fece un sospiro nervoso «avevo solo sette anni…ma non gli è importato».

Non prometteva nulla di buono, ma non era neppure qualcosa di cui Sandman potesse stupirsi: secoli e secoli prima, Pitch era ben peggiore di quanto fosse al momento.

«un tempo il mio nome era Anine, e nel 1336 vivevo con mia madre e mia nonna in un villaggio dell’attuale Danimarca. Ricordo che fino a quell’anno sono stata felice. Non avevamo molto, ma eravamo benvolute da tutti quanti, tutti ci davano una mano e…e col senno di poi penso che non fosse propriamente naturale».

Sandman la guardò con aria interrogativa, ed April distolse per un attimo abbassò gli occhi, come vergognandosi di qualcosa.

«la telepatia non è arrivata con l’immortalità, ci sono nata, e l’ho ereditata da mia nonna. Solo che i suoi poteri non erano limitati come i miei -penso che oltre a quelli mentali ne avesse anche altri- e credo che lei influenzasse tutto il villaggio» disse, e la sua precedente reazione ovviamente era dovuta a questo «tre donne che vivono da sole, di cui due fanno le erboriste, nel 1336…e non vengono denunciate per stregoneria? Improbabile, se pensi a tutto il tempo in cui l’Inquisizione è stata attiva».

Sandy pensò che non avesse tutti i torti, ma non “disse” nulla, attendendo solo che continuasse.

«capendo che ero come lei, mia nonna iniziò a insegnarmi a controllare le mie abilità appena raggiunsi l’età per capire: avevo all’incirca quattro anni. Mi disse più volte che riponeva grandi speranze in me, perché neppure lei aveva dato prova di possedere strane facoltà prima dell’età dello sviluppo» sorrise tristemente «mi ha “fatto scuola” per tre anni, ed è sempre in questo periodo di tempo che ho conosciuto Harlequin. Si era reso invisibile, ma io riuscivo a vederlo lo stesso, con suo stupore. Anche lui era “particolare” come me, ed io ero felice di averlo trovato. Non lo temevo, né ero diffidente nei suoi confronti: sapevo per certo che non aveva pensieri “strani”, o li avrei sentiti. Diventammo amici, come è successo a Jack Frost con quel gruppo di bambini. Mi trattava come una sorella piccola. Poi…»

April si interruppe per bere il Bellini a grandi sorsi. Sandman notò che le tremava leggermente la mano, e non poté evitare di dispiacersi.

«una notte in cui, a causa del maltempo che mi impediva di rincasare, sono rimasta a dormire da una famiglia di amici, è arrivato lui. Pitch terrorizzò i miei amici...anch’io ero spaventata, ma questo non mi ha impedito di commettere gli errori più grandi che potessi fare: il primo, entrare nella sua testa. Il secondo: affrontarlo usando quel che avevo visto. A gran voce dissi che, in verità, lui era messo molto peggio di noi e non dovevamo temerlo. Era solo, consumato da rabbia e dolore, aveva perso tutti i suoi cari per colpa di altrui ambizioni, e un po’per il lento progresso, un po’grazie a voi, stava perdendo potere sempre più rapidamente. Mostrai tutto questo ai miei amici, e loro smisero di averne paura, tanto che non riusciva neppure a toccarli!»

Sandy annuì. “è successo anche con i nostri amici a Burgess, ad aprile”.

«un simile smacco per Pitch era inaccettabile, idem che fossi entrata nella sua mente. Mi afferrò la gola -non avere paura di lui nel mio caso non serviva- e mi giurò che l’avrei pagata estremamente cara per quegli affronti. Poi sparì. Quando riuscii a tornare a casa raccontai tutto a mia nonna. Siamo state guardinghe per qualche giorno, ma Pitch non si è visto, e da bambina ingenua -e sì, anche arrogante- quale ero, pensai “can che abbaia allora non morde” e mi tranquillizzai. Harlequin era di tutt’altro avviso, ma io ai tempi pensavo che si preoccupasse eccessivamente…invece aveva ragione».

Stavolta fu Sandy ad abbassare gli occhi. Ai tempi avevano già iniziato a battersi contro Pitch, ma purtroppo non avevano il dono dell’ubiquità, come non l’avevano tuttora. Facevano quel che potevano per proteggere i bambini, ma erano consapevoli che anche impegnandosi al massimo non avrebbero potuto aiutarli tutti.

«se riesco a tollerare la sua presenza è solo perché adesso Pitch non è messo troppo bene» aggiunse la ragazza, e aveva l’aria di voler continuare a parlarne, ma…

«ah, vorrei vedere!» Baba Yaga si intromise improvvisamente nella conversazione, pur avendo sentito soltanto l’ultima frase, e lasciò cadere il suo vecchio e gracile corpo su una delle sedie di legno «privo di poteri, circondato da persone che ovviamente lo detestano, e con due maledizioni addosso! L’unica cosa buona è che quella selvaggia di Hallows ce l’abbia tolto di torno. Buona per noi. Per lui non so. L’ho detto che quella è selvaggia».

Sandman si lasciò sfuggire una smorfia seccata. Baba Yaga non era una persona gradevole, e in quel caso era stata anche priva di tempismo!

«che vuol dire “con due maledizioni addosso”?» chiese April, perplessa, alla strega.

Baba Yaga sollevò le sopracciglia, squadrandola a lungo. «davvero non lo sai? Proprio tu? Lascia che te lo dica, ragazzina, tu mi perplimi».

Non fecero in tempo ad approfondire l’argomento, perché Jack irruppe nella sala come se lo stesse inseguendo il diavolo, e corse verso l’unico altro Guardiano presente, ossia Sandy. «hanno preso Sophie!!!» gridò «gli Insorti hanno preso Sophie, Jamie me l’ha detto ora, dobbiamo fare qualcosa!»

Sandy lì per lì non riuscì a connettere, ma le parole di Harlequin, sopraggiunto con molta più calma di Frost, furono decisive. «ignoro perché siano arrivati a coinvolgere una bambina, ma la cosa non promette niente di buono».

Il Guardiano impietrì.

Non era possibile, non potevano essere caduti così in basso. Cosa c’entrava Sophie Bennett?!

Si alzò, pronto a raggiungere le stanze dei suoi colleghi per avvertirli, ma Nord e Dentolina sbucarono fuori dall’ascensore proprio in quel momento, con perfetto tempismo.

«ragazzi, capitato qual-»

«Galaxia ha rapito la sorella di Jamie!» urlò Jack, afferrando Nord per il bavero «non possiamo lasciargliela, dobbiamo salvarla!»

Tanto Babbo Natale, quanto Dentolina, reagirono esattamente come Sandman.

Avevano capito che i loro ex compagni non scherzavano affatto, e che non intendevano avere alcuna pietà verso chi li avesse intralciati, ma arrivare a coinvolgere un’innocente era troppo persino per loro. «p-perché?» balbettò Dentolina «cosa pensano di ottenere con questo?! E poi gli Insorti ormai sono persi e c’è da aspettarsi di tutto, ma come ha potuto permetterglielo Calmoniglio?!» aggiunse, concitata «lui è un Guardiano, come ha potuto appoggiare una cosa del genere?!»

«hai proprio il cervello di un uccellino, non c’è che dire» commentò Baba Yaga «se anche non fosse stato d’accordo, come pensi che avrebbe potuto impedirglielo?»

Il soggiorno di Pitch poteva essere sgradevole per la considerazione che gli altri avevano di lui, ma nel caso di Baba Yaga spesso lo diventava per la considerazione che lei aveva degli altri: se gli oggetti della sua mal sopportazione fossero stati solo gli umani, la si sarebbe potuta definire “misantropa”. Trovava pace e persino gioia nella solitudine, e riteneva che frequentare gli altri spiriti fosse completamente inutile, in quanto, parole sue, “troppo stupidi”. Ora che l’Uomo Nero non era più una minaccia sarebbe già tornata a casa, se non fosse stato per Liesel -la quale al momento giocava a chemin de fer in un’altra sala- e la sua mania di rischiare l’osso del collo.

«avrebbe potuto provarci!» ribatté la fata.

“non solo ha il cervello di un uccellino, ma è anche ostinata” pensò Heike. «chi ti dice che non l’abbia fatto? Magari è anche morto male per questa cosa, chi lo sa».

«non fare l’uccello del malaugurio!» esclamò il Leprecauno, avvicinandosi al tavolo «comunque sia, sarebbe bene che qualcuno vada ad avvisare la crocerossina di Manny» ossia Nightlight, che aveva trascorso in infermeria il novantacinque per cento del suo tempo «che quelli si sono mossi».

«e io credo che a breve si faranno vivi per farcene conoscere i perché e i percome» disse Harlequin.

«dovremmo chiamare a raccolta anche tutto il resto del gruppo. Qualcuno di voi sa dov’è Aiko?» domandò April.

«e dove vuoi che sia Aiko, sii seria? Da quel che ho visto, eccettuate rare occasioni, se trovi Nightlight trovi anche lei!» esclamò il Leprecauno «mi ci gioco la pipa che prima o poi li beccheremo a darsi da fare da qualche parte. Tu» schioccò le dita all’indirizzo di un cameriere lì vicino, che aveva sentito tutto «trovameli».

«sissignore».

«nooo, Nightlight può stare solo con Manny! Sono la mia OTP!» affermò Harlequin «sembrano attaccati con la colla…»

«l’Uomo nella Luna dà l’idea di un bambino grosso e grasso, quindi lui, Nightlight e la ragazza possono formare una bella famigliola» ipotizzò Baba Yaga.

«smettete!!!» inveì Nord «bambina piccola è stata rapita e voi vi mettete a dire cose stupide?!»

«e tu non eri quella che doveva sorvegliarli?!» sbottò Jack all’indirizzo della strega «che facevi mentre loro-»

«non sto di continuo nelle teste dei miei uccelli, bimbo» disse la strega, con fare annoiato «specie perché quasi subito distruggono tutti quelli che mando. Riuscire a coglierli sul fatto sarebbe stato improbabile in ogni caso».

«non sembra che quel che è accaduto ti importi molto» osservò Dentolina, decisamente irritata.

«perché infatti non mi interessa proprio. Proteggere i bambini non è compito mio».

«ma vaffanculo!» esclamò Frost prima di tutti gli altri.

«condivido appieno, Jack» disse Dentolina «ma ti prego, modera il linguaggio…»

«non me ne frega nulla del linguaggio al momento, e quasi sarebbe da mandare a quel paese anche te!» sbottò il ragazzo.

«sentimi bene, sapere del rapimento stressa me quanto te, ma non credere di potermi maltrattare soltanto perché sei nervoso!» ribatté la fata «altrimenti puoi andarci tu di corsa, a quel paese!»

Dentolina aveva pazienza, ma non ci stava a farsi maltrattare in quel modo, specie da qualcuno che l’aveva evitata per giorni. Perché, perché doveva andare tutto male di nuovo?, pensò, mentre lei e Jack si scambiavano un’occhiata dura.

La tensione venne spezzata da due persone ormai date quasi per disperse che comparvero improvvisamente di fianco a Frost, e non sembravano affatto di buonumore.

«…ma certo, tu vai ad uccidere chiunque ti capiti a tiro e devo rimetterci anch’io!»

«io non volevo farlo, sono stata usata! Non l’ho fatto!»

«sì, come no! Ammetti di aver preso gusto a farne fuori uno dietro l’altro, e falla finita!»

Una delle suddette persone era Emily Jane, arrabbiata e, come rivelava il suo volto livido, anche spaventata; l’altra invece era Shu Yin, e nessuno di coloro che la conoscevano l’aveva mai vista così evidentemente terrorizzata e confusa.
Il loro arrivo inaspettato causò non poco scompiglio tra gli astanti, che si domandarono con cos’altro avrebbero dovuto fare i conti, oltre al rapimento della bambina; nulla nelle frasi delle due era incoraggiante, e sembrava ci fosse di mezzo un altro omicidio!

«voi siete vive allora!» esclamò Nord «perché non siete venute qui prima, e cos’è successo? Chi ha ucciso cosa?!»

Solo allora l’attenzione di Emily Jane, dapprima totalmente rivolta a Shu Yin, iniziò a rivolgersi all’ambiente circostante. Non solo quest’ultimo le era familiare, ma oltre a quelli dei Guardiani vide diversi altri volti a lei noti, e non era del tutto convinta che la cosa le facesse piacere.

«salve Emilia, è un po’che non ci si vede» esordì Harlequin.

No, d’accordo, non le faceva piacere proprio per nulla. «sì, e non penso che ti sia dispiaciuto poi così tanto, per cui evita i convenevoli ipocriti».

«visto, April? È rimasta la solita simpaticona».

«non stuzzicarla, abbiamo già problemi a sufficienza» ribatté April, senza dare minimamente spago al “fratello” «e la ragazza sembra del tutto sconvolta».

Tanto sconvolta che Jack, a causa dell’effetto che lei gli provocava, sulle prime non riuscì a resistere all’istinto di avvicinarsi a lei con fare premuroso. «Shu Yin, cos’è successo?! Tu tremi!»

“ci mancava solo questo” non poté fare a meno di pensare Dentolina, con una certa amarezza.

«io non l’ho fatto» disse ancora la ragazza «non l’ho uccisa. Diglielo, Jack!» non ci voleva molto a capire che era piuttosto fuori di sé, perché non si era mai comportata in quel modo, né avrebbe cercato il sostegno di Jack -che comunque non poteva dire proprio niente sulla questione- in condizioni normali.

«no, certo che non l’hai uccisa» ripeté docilmente il Guardiano, facendole eco «certo che…no, un momento» si riscosse «ma di chi parliamo? Shu Yin, per favore, cerca di tornare in te, qui nessuno sta capendo niente».

«mi sa che serve un bicchiere di liquore a tutte e due» commentò il Leprecauno «a te il Grain Whisky piace ancora, Emily Jane?»

Dopo un’esitazione piuttosto lunga, la donna si avvicinò al bancone. «un bicchiere ben colmo mi servirebbe proprio».

«non sapevo vi conosceste» disse Dentolina, sinceramente stupita.

«non vedo perché avresti dovuto saperlo» ribatté Madre Natura.

«severo ma giusto» disse Baba Yaga.

Allertati dal cameriere, Nightlight e Aiko raggiunsero finalmente gli altri. «con quel che hanno fatto, gli Insorti hanno passato ogni limite!» affermò il guerriero «non-»

«taglia corto, Albino Numero Due» lo interruppe Baba Yaga «mi sa che abbiamo anche un altro problema».

«può darsi che sia senza “mi sa”» confermò Shu Yin, una volta che le venne consegnato il liquore «io ho paura che quel che è successo avrà conseguenze molto gravi, ma ve lo giuro, mi ci sono trovata coinvolta senza capire bene né come né perché» sollevò il viso ad osservare i Guardiani «Calmoniglio mi odierà più di quanto abbia mai odiato qualcuno, quando lo saprà. Questo è quel che è successo…»

 

 

 

*** poco prima ***

 

 

 
Erano cinque lunghissimi giorni che non si muoveva niente. Cinque!
Quella tensione sembrava così promettente, e invece no, era sfociato tutto in una noia mortale. Viaggi in giro per il pianeta a parte, Tanith aveva passato quei giorni a fare la spola tra Fabbrica, locanda e attico di Larry Hagman, nell’attesa che succedesse qualcosa, ed era rimasta profondamente delusa: erano tutti troppo cauti gli uni verso gli altri per fare qualunque mossa.
Neppure il fatto che il coniglio bianco e nero e la donna bionda fossero partite per rapire una bambina riusciva a divertirla, perché quella mossa rischiava di far finire tutto in un nulla di fatto, privandola di tutto il dolore che avrebbe potuto ricavarne. Gli Insorti erano stati intelligenti, ma in quel caso per lei era controproducente.

“guarda cosa deve fare una povera Ephemeride per mangiare un po’…” o magari anche più di un po’ perché, Secondo Tanith, i pasti che faceva erano soddisfacenti solo di rado “quanto mi mancano i bei vecchi tempi!” pensò, lasciandosi sfuggire un sospiro “una volta bastava dire la cosa giusta alla persona giusta per dare inizio a tutto, ora invece non giova neppure mutilare qualcuno!”.

Era un’Ephemeride e dunque, di natura, una vera e propria parassita. Alla luce di questo alcuni avrebbero potuto considerarla tra gli esseri più infimi della galassia, e se si fosse trattato di altre Ephemerides forse non avrebbero neppure avuto torto, ma Tanith era qualcosa di diverso: le sue simili si nutrivano del dolore che trovavano, o al massimo lo alimentavano coi loro sussurri, ma non giocavano a fare Dio, non si lasciavano ritrarre dai mortali, e non li ragguagliavano su alcune delle loro usanze per essere citate in qualche libro.
Tanith soffriva di manie di protagonismo -per i canoni della sua razza- e le suddette “manie” erano il motivo per cui in passato si era degnata di dare degli “aiutini” a coloro che riteneva opportuno, e che secondo lei avevano il giusto atteggiamento.
Peccato che attualmente non ci fosse nessuno con tali requisiti, neppure la ragazzina orientale, sebbene avesse fatto la sua parte.

Ed era proprio Shu Yin che in quel momento stava abbandonando la terrazza dov’era posizionato l’idromassaggio.
Il tempo trascorso non aveva reso molto più semplice la sua convivenza con Madre Natura, tanto che l’unico miglioramento era rappresentato dal fatto che questa non la insultasse più tutte le volte che apriva bocca, e si limitasse a farlo solo nell’ottanta per cento dei casi.

Non aveva fatto passi avanti neppure con un qualsivoglia piano per fermare gli Insorti: gliene erano venuti in mente diversi, come rapirli uno a uno sfruttando il cristallo e intrappolarli ognuno in un posto diverso, ma anche quelli che più si avvicinavano all’essere plausibili le erano sembrati fiacchi ad un secondo esame, ed Emily Jane, col suo criticare tutto senza proporre nulla, non l’aveva aiutata affatto.
Shu Yin si era fatta l’idea che la sua compagna di sventura avesse solo voglia di prendersela con qualcuno per la perdita di padre e casa, e lei era la vittima sacrificale. Se non era ancora andata da Jack Frost e gli altri Guardiani era stato soltanto perché sapeva che non sarebbe stata ben accolta neppure da loro. Quindi preferiva sopportare Emily Jane, che quantomeno non avrebbe mai tentato un assalto a sfondo sessuale nei suoi confronti.

«capisco che non voglia stare nella stessa vasca con me, ma è assurdo che pretenda che io me ne vada quando è in costume» mormorò la ragazza, piuttosto seccata.

Tanith, invisibile, alzò gli occhi al soffitto e rise silenziosamente. Non dubitava che a Shu Yin quella pretesa di Madre Natura sembrasse frutto di puro e semplice snobismo portato all’estremo, ma lei era di tutt’altra opinione.

“ho ancora un po’di tempo” pensò.

Attraversò la parete e uscì in terrazza, proprio mentre Emily Jane lasciava cadere vicino a sé l’asciugamano.

Era l’imbrunire, ma Tanith riusciva a distinguere perfettamente le cicatrici di quattro grandi e orribili sfregi sulla schiena pallida della donna. Era incredibile che fossero ancora lì, specie perché Emily Jane era diventata da moltissimo tempo un’immortale con relative capacità di guarigione, ma forse la presenza di quei segni sulla pelle era lo specchio del suo stato emotivo. Certe ferite non se ne andavano mai del tutto.

“il titano Typhan che ti ha accolta non era male, ma lo stesso non si può dire della moglie, vero?” pensò la donna serpente, sfiorando le cicatrici con le dita.

Emily Jane trasalì. «chi…chi c’è?! Chi sei?!»

Si guardò attorno, ma non vide nessuno. La piccola ipocrita era da escludere a priori, visto che era appena rientrata in casa.

“che sia stato il fantasma di…no. Che idiozia. Mio padre non si è curato di me quando era vivo, perché dovrebbe tornare da fantasma e farlo da morto?” si disse, e pensò che comunque il fantasma di Pitch non avrebbe potuto tornare neppure volendo, non in quel periodo dell’anno. Nessuno l’aveva toccata, si era solo fatta influenzare da tutto quel che stava succedendo e da un’ingiusta vergogna per quelle cicatrici.

Dopo ciò Tanith la lasciò entrare nella vasca senza darle ulteriore fastidio e si allontanò, rientrando nell’attico. Aveva una missione da compiere, e una marionetta da procurarsi.

“io temo proprio che dopo oggi…” avvolse le proprie spire attorno all’ignara Shu Yin, e avvicinò un indice al suo esile collo “la tua reputazione peggiorerà visibilmente”.

Se le cose non intendevano evolversi per conto proprio, allora ci avrebbe pensato lei. Aveva impiegato del tempo per decidere come muoversi, ma complice l’ultima idea degli Insorti era riuscita a trovare, infine, un’idea soddisfacente.
Dalla seconda falange nacque una sottile lama d’ossa, con la quale Tanith sfiorò appena la cordicella cui era appeso il cristallo.

“credo sia l’ora”.

Shu Yin si rese a malapena conto che il ciondolo le era scivolato via dal collo, perché l’istante successivo il mondo attorno a lei perse ogni parvenza di senso. Capì solo di essere stata presa e sollevata in aria, e tutto quel che riusciva a distinguere erano insiemi di scie luminose inframezzati da momenti di buio quasi completo. Non riuscì neppure a gridare, perché qualcosa le aveva tappato la bocca sin da subito, e le aveva avvolto braccia, mani, torace e collo in una morsa stretta.

Se il modo in cui Tanith teneva “prigioniera” Shu Yin fosse stato visibile, diversi sarebbero rimasti disgustati dallo spettacolo: l’Ephemeride sembrava quasi essersi “fusa” con la ragazza tramite le proprie ossa -braccia con braccia, mani con mani, dita con dita- come fossero state una particolare versione di gemelle siamesi.

A un certo punto quel folle viaggio rallentò di molto, e Shu Yin si trovò a svolazzare sopra una cittadina che le sembrava familiare. Cercò di divincolarsi, tentò di parlare, ma chiunque l’avesse presa la stava imprigionando con qualcosa che non le permetteva di riuscirci.
Tutto ciò che si leggeva al momento negli occhi della ragazza, di solito così controllata, era terrore allo stato puro, perché non riusciva proprio a capire cosa stesse succedendo. Un conto era avere a che fare con nemici che conosceva -o che almeno riusciva a vedere- un altro essere presa e portata via da chissà chi e per chissà quale motivo.

Tentò di congelare quelle…cose invisibili…che la stavano trattenendo per poterle spezzare più facilmente, ma fu inutile, come fu inutile utilizzare l’oscurità, o qualsiasi altra cosa.

chi sei?! Cosa vuoi?!” pensò la ragazza.

Venne fatta chinare in avanti, così che potesse guardare in basso. Ebbe un sussulto quando riconobbe la via che stava sotto di lei e al suo rapitore, e soprattutto quando riconobbe la casa cui si stavano avvicinando: era senza alcun dubbio quella di Jamie, il bambino amico di Jack.
Questo la indusse ad agitarsi con forza ancora maggiore, perché di sicuro chi l’aveva presa non aveva buone intenzioni, e Shu Yin iniziò a temere che potesse fare -o farle fare- del male a quel bambino, o forse sia a lui che a tutti gli altri. Non poteva permettere una cosa del genere, e non solo per la considerazione già pessima che gli altri avevano di lei. Aveva fatto delle cose di cui non andava fiera, che in certi casi le pesavano sulla coscienza, ma c’era sempre stato un motivo, o la necessità. Essere costretta a fare del male a qualcuno così a caso era molto diverso, e lo sarebbe stato ancor di più se la sua teoria si fosse rivelata esatta.

All’improvviso il volo subì una brusca virata, e in un battito di ciglia Shu Yin si trovò nascosta a lato di una casa.

“…che sia il fantasma di Atticus, o di Pitch?” pensò assurdamente, e ciò non fece che aumentare la sua paura. Se fosse stato davvero così allora avrebbe dovuto da aspettarsi il peggio del peggio, soprattutto nel secondo caso.

«lo sai Jamie, mi sembra ancora strano pensare che Jack sia su Facebook».

Shu Yin venne fatta affacciare appena appena, così che potesse vedere Jamie e Pippa in arrivo, ma il suo rapitore lasciò che il suo sguardo restasse puntato su di loro solo per poco; subito dopo, infatti, fu costretta ad osservare un coniglio bianco e nero che si muoveva da un posto nascosto all’altro.

Galaxia?” pensò la ragazza “perché è qui?”

«non dirlo a me. L’unica cosa buona è che almeno i loro nemici non si sono fatti vedere».

«già…beh, Jamie, se vieni a sapere qualcosa dimmelo subito, ok? Non mi piace questo silenzio».

Neppure a Shu Yin piaceva il silenzio di chi l’aveva portata lì. Se almeno avesse detto qualcosa, qualunque cosa!

«lo farò di sicuro, tranquilla. Ci vediamo, Pippa».

«Jamie, Jamie!»

La bambina piccola. Si ricordava anche di lei, benché l’avesse vista ancor più di sfuggita rispetto ai ragazzini più grandi.

«Sophie! Non puoi uscire di casa senza cappotto, se no poi chi la sente mamma? Dai, rientriamo».

Vide Jamie rientrare, e Sophie avviarsi dietro a lui, ma…

«pssst! Ehi!»

Galaxia era uscita dal suo nascondiglio, e Shu Yin temette di aver iniziato a capire come mai si trovava a Burgess.
Era quasi convinta che i suoi simili che non avrebbero mai coinvolto chi non c’entrava, ma si era sbagliata.

«ciao».

«ciao, Sophie».

«tu sei la fida…fidanzatina…del Coniglietto di Pasqua?»

«ehm. No. Ma siamo amici. E anche la Donnina del Sonno è mia amica, te la ricordi? Quella tutta d’oro».

«sì! Bella e buona! Mi ha aiutata!»

«anche lei si ricorda di te. Ti piacerebbe rivederla?»

Sì, purtroppo ci aveva visto giusto. Galaxia non sembrava particolarmente felice di quel che stava facendo, ma Shu Yin immaginò che questo non l’avrebbe fermata. Più che altro la stupì che fosse da sola. Che ci fossero anche gli altri, un po’più a distanza?

«posso portarti da lei per un pochino, e farti conoscere anche altri amici».

«sì! Portami dalla Donnina del Sonno!»

Vide la bambina lasciarsi prendere docilmente in braccio da Galaxia, che se la strinse al petto.

«Sophie!!!»

Jamie era tornato fuori, ma poco importava, non sarebbe riuscito a fermarla.

«ci dispiace, credimi, ci dispiace!» esclamò Galaxia, e poi corse via.

Era veloce, ma Shu Yin non avrebbe potuto perderla di vista neppure volendo, perché il suo rapitore lo era molto, molto di più.

«Ljuba! Ce l’ho!»

«otlichno! Ottimo! Andiamocene!»

Questo se non altro rispondeva alla sua domanda precedente, si disse, vedendole spiccare il volo. Più si andava avanti meno riusciva a comprendere. L’aveva portata lì per mostrarle cosa stavano facendo gli altri Insorti? A che pro?!

Emise un grido soffocato quando venne fatta schizzare a sua volta verso il cielo, di nuovo tanto velocemente da non distinguere ciò che aveva attorno: temeva che l’avrebbe scoperto a breve.
Che l’intenzione fosse quella di mandarla a morire? Se si trattava davvero del fantasma di uno di quei due, era perfettamente plausibile.

L’arresto fu, ancora una volta, improvviso e brusco.

«ma cos-»

«Shu Yin!...Galaxia, addormenta la bambina!»

Nonché precisamente davanti alle due Insorte.
Shu Yin sentì la propria schiena chinarsi in avanti nel classico saluto orientale senza che lei riuscisse a opporsi in alcun modo. Sì, ormai non aveva più dubbi: era stata mandata a morire.

O forse no, visto il modo in cui il suo rapitore le fece evitare i primi colpi di Ljuba.

La ex compagna di Babbo Natale non aveva detto altro dopo aver dato quell’ordine a Galaxia, lasciando che le azioni parlassero al posto suo. Intendeva ferirla e nient’altro: il resto sarebbe venuto dopo, una volta che l’avesse portata al Polo Nord dagli altri ed avessero deciso di comune accordo cosa fare di lei. Non aveva una voglia pulsante di ucciderla, e Atticus aveva molto più diritto di lei a procedere ad un’eventuale esecuzione.

“cosa fa qui, proprio oggi e proprio ora?” pensò la donna. Che i Guardiani fossero già venuti a sapere di quello che avevano fatto, e l’avessero mandata lì apposta?

Per un attimo pensò che sarebbe riuscita a centrarla con quell’ultima scarica infuocata, ma non fu così: la sua avversaria si spostò all’ultimo secondo, quasi come se avesse voluto prenderla in giro. E dire che la sua velocità non era neppure merito del cristallo, perché non glielo vedeva brillare al collo!

“non la ricordavo così svelta”.

Tanto svelta da evitare non solo i suoi colpi, ma anche quelli di Galaxia, che al momento sorreggeva l’addormentata Sophie con un solo braccio e utilizzava l’altro per tentare di fare qualcosa di concreto.

«ma perché non stai ferma?!» gridò.

Tanith, di rimando, fece fare a Shu Yin una piroetta. Probabilmente avrebbe potuto farle fare tutto il balletto del Lago dei Cigni senza che venisse colpita una sola volta, ma a dirla tutta iniziava già ad annoiarsi.

“d’accordo, ho indugiato abbastanza: è tempo di fare quello per cui sono qui”.

Accostò le dita della propria mano destra, e di conseguenza della mano di Shu Yin, l’una all’altra. Le ossa che le circondavano crebbero e si fusero tra loro, dando forma ad una sporgenza tanto dura quanto acuminata, di un candore perlaceo che sembrava quasi brillare. Tanith scelse di rendere quell’arma visibile, oltre che tangibile, e si deliziò dell’esclamazione soffocata della sua prigioniera quando portò il suo braccio in posizione d’attacco.

Quel che accadde dopo fu tanto veloce che nessuno, anche intuendolo, sarebbe riuscito a evitarlo.

Un attimo prima Galaxia aveva visto Shu Yin a diversi metri di distanza, e quello dopo invece eccola lì, davanti a lei, a guardarla con…occhi lucidi e pieni di paura?!

Era strano, ma l’Insorta non ebbe tempo di arrovellarcisi su.

Le parve d’intravedere un movimento del braccio destro di Shu Yin, e sentì qualcosa di liquido e caldo colare lungo il pelo.

Il dolore arrivò solo dopo, quando Shu Yin mosse di nuovo il braccio, stavolta verso il basso.

Galaxia emise un gemito soffocato nel rendersi finalmente conto di cos’era accaduto. Strinse la bambina in modo quasi convulso, e abbassò lo sguardo su uno squarcio che non lasciava speranze di sopravvivenza.

Cercò di sollevare il braccio sinistro, così da tentare di non far fuoriuscire ulteriormente le interiora, ma non ci riuscì. Alzò gli occhi, e fu allora che la vide: una donna serpente che aveva intrappolato Shu Yin -la quale ormai piangeva senza ritegno- con delle strane cose bianche.

Galaxia se ne sarebbe andata definitivamente, ma l’avrebbe fatto senza portare rancore a Shu Yin per la propria morte, conscia che non era lei la vera colpevole. Aprì la bocca per dirle che lo sapeva, per dire anche a Ljuba che in quel caso non era Shu Yin il vero nemico, ma riuscì a far uscire dalla gola solo un suono strozzato privo di significato.

Shu Yin scomparve dalla sua vista, e lei iniziò a cadere. Sentì dapprima il grido di Ljuba in lontananza, come ovattato; poi percepì che qualcuno aveva interrotto la sua caduta,  delle parole e delle grida sempre più distanti.

La sua vista sempre più annebbiata riconobbe il volto di Ljuba: era lei che l’aveva presa e che la stava toccando. Negli istanti di vita che le restavano, il suo ultimo sprazzo di lucidità le permise di passare alla sua amica di sempre tutto il potere che aveva. Lei stava per morire, ma la sua ultima azione sarebbe stata fare quel che era nelle sue possibilità per il bene della sua famiglia, come sempre.

Ormai non vedeva più nulla, non udiva più nulla, ma un ultimo pensiero le balenò in mente.

Aster”.

Sarebbe stato male, in quei giorni si erano riavvicinati.

Dopo quell’ultima triste considerazione, Galaxia spirò, e se ne andò in un luogo dove nessuna sofferenza terrena avrebbe potuto raggiungerla.





Salve!

Come vedete non sono morta, e sono intenzionata a continuare questa storia.

Il mio ritardo di oltre un mese e mezzo non ha giustificazioni, se non che ho passato tutto questo tempo a scrivere, riscrivere, cancellare e modificare questo capitolo, che definire “un parto” è poco, e vi dirò di più: sono convinta che senza l’aiuto di vermissen_stern sarei ancora in alto mare. L’idea che è riuscita a “sbloccarmi” sul punto dove mi ero arenata,  e a permettermi di scrivere la seconda parte del capitolo -che poi è quella che conta davvero!- si deve a lei, e per questo va ringraziata…sia da me che da tutti quanti! :D

Ok, diciamo “da tutti quanti eccetto Galaxia”. Non vi nascondo che uccidere lei per prima mi è dispiaciuto!

Se mai aveste voglia di farmi conoscere la vostra opinione in merito a questo capitolo, all’intera storia, o abbiate una qualsiasi domanda da farmi a riguardo, sono e sarò sempre disponibile ad ascoltarvi :)

Alla prossima,

 
_Dracarys_


   
 
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