Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |       
Autore: FoolThatIam    13/03/2016    1 recensioni
Come reagirebbe Levi se un giorno non potesse ricomprare la sua amata candeggina? E come sarebbe Hanji se facesse il vigile urbano in un piccolo comune di provincia? E se questi due fossero due studenti di Chimica alle prese con la sessione invernale?
Una serie di one shot Alternative Universe sulla coppia Hanji/Levi, inizialmente ispirate dai prompt della levihan AU week del marzo 2016
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Scenario “forze dell’ordine” (1° prompt della AU levihan week)


Tutti odiano i vigili urbani
(o forse no…)


Di difetti Levi Ackerman poteva averne molti, ma l’arroganza non faceva parte del suo bagaglio, proprio no. A meno che non fossero arroganti tutti quelli che avevano stima delle proprie capacità, allora magari avrebbe dovuto rivedere le sue convinzioni.
Proprio per la sua relativa umiltà, il neo assessore all’urbanistica e architetto libero professionista, non avrebbe mai preteso un trattamento di favore per il ruolo che ricopriva nella giunta comunale. Però, di essere trattato anche peggio di tanti perché gli riusciva difficile piacere agli altri a causa del suo carattere schivo, gli sembrava ingiusto e ridicolo.
Va bene, non era esattamente un compagnone, ma quando mai era stato sgarbato?
Il problema era quell’agente, quella Zoe. Hanji Zoe.
Gli sembrava che da qualche mese a questa parte quella donna ce l’avesse particolarmente con lui, solo che Levi non capiva perché un vigile urbano dovesse tanto prendersela con un assessore comunale che magari sì, poteva essere un po’ distratto coi parcheggi, ma che male aveva poi mai fatto al prossimo? Bisognava sempre essere così fiscali?
Sembrava che l’avesse preso di mira con una certa diligenza: se era il suo turno di fare la ronda e malcapitatamente lui quel giorno era stato costretto a dedicarsi all’arte del parcheggio fantasioso, a causa della mancanza cronica di parcheggi che affliggeva da sempre la piccola cittadina dove vivevano, poteva star certo che avrebbe trovato un bel regalino sul suo parabrezza da parte di quella solerte donna.
Va bene, lo ammetteva: non era mai stato molto gentile con lei, ogni volta che si erano incrociati al bar che stava proprio tra la sede del loro piccolo comune e il comando dei vigili, non è che fosse mai stato particolarmente incline a rispondere ai suoi saluti e tentativi di attaccare discorso. Non riusciva mai a dirle più di due parole e a farle un mezzo ghigno, che voleva essere il suo malriuscito tentativo di rivolgerle un educato sorriso.
Non che volesse essere sgarbato, però. Mandarla a quel paese lo sarebbe stato semmai, e ci era andato vicino qualche volta. È che Levi era fatto così, era il suo carattere: gli piaceva stare sulle sue essendo un tipo schivo, e non se la cavava molto bene coi primi approcci. Lo faceva con tutti, mica solo con l’agente Zoe, non era niente di personale.
Questa parte del suo carattere lo faceva passare spesso per un arrogante misantropo, e Levi avrebbe mentito se non avesse ammesso almeno a se stesso che un po’ gli dispiaceva. Tuttavia cercava di non preoccuparsene troppo, semmai preferiva essere contento di avere pochi ma buoni amici che capivano quella parte del suo carattere e che lo accettavano per quello che era, senza metterlo in situazioni che gli sarebbero risultate spiacevoli da gestire.
Hanji Zoe era sempre sorridente, una gran chiacchierona, tutti sembravano trovarla piacevole e simpatica, immaginava che nei suoi irruenti tentativi di attaccare un discorso con lui non cercasse altro che di essere gentile dato che era nuovo del posto, ma quel tipo di irruenza per Levi era destabilizzante, lo metteva a disagio e non causava altro che di farlo chiudere a riccio.
Gli dispiaceva che potesse essersi offesa per la sua reticenza, ma non giustificava quello che tra l’altro, secondo Levi, era quasi un abuso d’ufficio.
Come sapeva che fosse lei l’autrice di tutte quelle contravvenzioni? Semplice, l’aveva vista con i suoi occhi almeno un paio di volte compilarle e metterle sul suo parabrezza, dopo di che aveva imparato a riconoscere i tratti femminili e tondeggianti della sua ordinata calligrafia in quelle successive.
La prima volta era in torto marcio e con l’auto per di più parcheggiata indegnamente sul marciapiede. Aveva visto l’agente Zoe compilare la multa mentre era nel piazzale davanti alla sede del Comune, immerso in una discussione con un architetto dei Genio Civile riguardante un’annosa questione, la riqualificazione delle case popolari che da tanti, troppi anni, aspettava un’effettiva realizzazione.
Era un tipo permaloso quello con cui stava parlando, e di una certa età, non avrebbe potuto interromperlo mentre pontificava per dirgli scusi mi stanno facendo una multa devo andare a fermare il vigile, per cui si era rassegnato a pagare.
Quello scherzetto gli era costato ben sessanta euro con la decurtazione di due punti sulla patente. E gli era andata anche bene: dato che l’aveva pagata entro pochi giorni non erano stati ottantaquattro come prevedeva il Codice della Strada.
La seconda volta aveva parcheggiato su uno stallo di sosta blu senza pagare. O meglio, aveva pagato fino ad una certa ora, ma poi le cose erano andate molto per le lunghe in Comune e quand’anche avesse avuto il tempo di andare al parchimetro a mettere qualche altra monetina, se n’era completamente dimenticato. Erano stati altri poco meno di trenta euro, sempre perché aveva pagato subito, o sarebbero stati più di quaranta.
Alla terza multa se l’era presa, perché era stata a suo parere una vera bastardata.
Anche in quel caso l’aveva vista senza poter fermarla, dalla finestra al piano terra della stanza dove era in riunione con altri assessori.
Se fosse uscito dalla finestra, sarebbe riuscito ad intercettarla prima che il fattaccio avvenisse, cosa che ovviamente sarebbe stata oltremodo ridicola. Anche se si fosse precipitato fuori dalla stanza e si fosse messo a correre a rotta di collo verso l’uscita, non sarebbe mai arrivato in tempo. Anche lì non aveva potuto fare che rassegnarsi. Aveva guardato Hanji Zoe scribacchiare sul suo taccuino e poi piegarsi con la schiena per raggiungere il tergicristallo, appoggiandosi appena al cofano.
Forse era perché quella era ufficialmente la riunione più noiosa della storia, magari era il suo orgoglio ferito e in parte l’arrabbiatura per quella che considerava in quel caso un’ingiustizia bella e buona. Un po’ certamente c’entrava il fatto che fosse un maschio, e come tale quella cosa, volente o meno, ce l’aveva quasi sempre in testa. L’agente Zoe, doveva ammettere inoltre, si faceva decisamente guardare.
Messa in quella posizione, anche se l’aveva mantenuta non più di dieci secondi, aveva fatto violentemente virare l’immaginazione di Levi verso tematiche vietate ai minori. Tuttavia si era lasciato bearsi non più di una manciata di secondi in quel volo pindarico a luci rosse, riprendendosi immediatamente, dalla persona seria che era.
Primo, stava lavorando. Secondo, una fantasia del genere, non faceva un po’ troppo maschio alfa castigatore? Alla fantasia non si comanda, va bene, ma razionalmente tre secondi dopo ti rendi conto che è veramente triste come potessero venirti in mente cose del genere, ti fa davvero riflettere sulla natura umana. Terzo, appena la riunione fosse finita, tempo dieci minuti o giù di lì, avrebbe marciato dritto al comando dei vigili e avrebbe chiesto spiegazioni, quella volta le voleva proprio e si sentiva intitolato ad averne.
Così aveva fatto, chiedendo di parlare direttamente con l’agente in questione, che nel frattempo aveva finito la ronda ed era tornata in ufficio, mostrandosi molto ben propensa a discutere con lui, nonostante che il chiaro intento dell’assessore fosse quello di lamentarsi.
«Dottor Ackerman, che posso fare per lei?» gli aveva chiesto sorridente e gioviale com’era sempre, quando l’aveva raggiunta alla sua scrivania.
Così le aveva spiegato le sue ragioni.
Era giorno di pulizia della strada, tecnicamente avrebbe dovuto spostare la sua auto alle due del pomeriggio perché il divieto di sosta vigeva dalla quattordici alle diciotto. Ma era ben noto che nella progressione della pulizia, quella strada al lato della sede del Comune non sarebbe stata pulita che molto più tardi, non prima delle sedici o addirittura le diciassette. Tutti lo sapevano e tutti se la prendevano comoda nell’andare a spostare l’auto, nessuno aveva mai avuto sorprese, anche perché, essendo tutti o quasi dipendenti del comune quelli che posteggiavano lì, figuriamoci se i vigili si accanivano su di loro. La multa che la Zoe gli aveva rifilato quel giorno portava l’orario delle quattordici e venti, per cui Levi si era sentito intitolato a fare le sue rimostranze.
Hanji Zoe l’aveva ascoltato tranquilla, senza scomporsi.
«Capisco il suo punto di vista dottor Ackerman, ma vede, la segnaletica verticale parla chiaro. Non decido io i miei turni di ronda, e se trovo auto in flagranza di violazione in quel momento, è il mio dovere fare le contravvenzioni. Mi creda, non è davvero la parte del mio lavoro preferita» gli aveva detto con un tono accomodante, ma fermo, di chi aveva la ragione dalla sua parte.
«Le credo Agente, dico sul serio. E non mi permetterei mai di suggerirle di non fare bene il suo lavoro, affatto. Ma lei sembra davvero più di altri prendere molto alla lettera quel divieto di sosta. Insomma, alla luce dei fatti, non potrebbe essere meno fiscale quando è possibile, soprattutto considerando che siamo tutti qui per lavorare?»
«Beh, ha ragione tutto sommato» aveva ammesso Hanji. «Magari se parla con il comandante Smith gliela facciamo togliere…» aveva suggerito quasi angelica.
«Oh, no, no. Non è per questo che sono qui, ho sbagliato io comunque e mi assumo tutte le conseguenze del caso» aveva detto immediatamente Levi, per rendere ben chiaro che non era lì a chiedere favoritismi di alcun genere. «Magari potrebbe cercare di essere un po’ meno inflessibile per le prossime volte?» le aveva suggerito.
L’altra aveva inclinato la testa appena da un lato, aveva il labbro inferiore appena incastrato tra i denti e la coda di cavallo che portava era rimasta perpendicolare al pavimento, pendendole da un lato della testa. Gli aveva sorriso di nuovo, di un bel sorriso caldo, non sembrava affatto dispiaciuta che fosse lì a lamentarsi con lei.
Forse aveva le traveggole, ma in un altro scenario avrebbe detto che stava facendo la carina con lui. O forse era un’eco delle sue fantasie sessuali di non molto prima, che gli faceva vedere quello che gli sarebbe piaciuto vedere
«Ci proverò, Dottore» lo aveva rassicurato.
Avevano su per giù la stessa età, Levi si era chiesto perché continuassero ad essere così formali, con lei che lo chiamava persino dottore. Non che non lo fosse, era un architetto dopo tutto, e le persone educate che non ti danno automaticamente confidenza come se fosse un fatto dovuto gli piacevano. Però in quel momento gli era pesato, quasi che gli dispiacesse che ci fosse tutta quella distanza fra loro.
Ma andava benissimo così, tutti stavano al loro posto come doveva essere.
Aveva salutato e se n’era andato. Ed erano stati altri circa trenta euro con la solita formula del trenta per cento in meno, se la multa era pagata entro cinque giorni.
La stessa cosa nemmeno tre settimane dopo, aveva parcheggiato su un’isola di traffico per disperazione, in uno di quei giorni in cui trovare un parcheggio era sembrato più difficile che azzeccare tutti e sei i numeri del superenalotto. Ovviamente, stessa identica calligrafia sul ben noto foglietto rosa. Rotonda, ordinata, così femminile…
Si era immaginato darle uno schiaffo su quel bel sedere che aveva mentre era piegata a mettere il foglietto sotto il tergicristallo sul suo parabrezza, e si era ritrovato suo malgrado con un sorriso tonto in faccia, mentre ancora stringeva in mano la multa.
Mezzo secondo dopo si era dato dell’immane cretino, e frustrato sessualmente, per giunta.
E poi, di punto in bianco, passate un altro paio di settimane, era successo il fattaccio, quello che l’aveva proprio fatto imbestialire definitivamente: stesso giorno di pulizia della strada, stessa multa, stesso orario. Ovviamente, stessa calligrafia sexy.
«E adesso mi hai davvero rotto le palle!» aveva detto a voce alta quando aveva avuto in mano quel maledetto foglietto rosa, per una volta facendo uscire allo scoperto la sua personalità da bullo di periferia che era stato da molto giovane.
Si era diretto a grandi falcate decise verso il comando dei vigili, deciso a dirgliene quattro sul serio stavolta.

***

Fare il vigile urbano non era esattamente un lavoro divertente, farlo in un piccolo comune di provincia dove tutti ti conoscono ancora meno.
Commetti un’effrazione? Ti multo, una logica schiacciante. Un po’ meno se sai benissimo che l’auto che stai multando per divieto di sosta è quella del figlio della cugina di tua zia da parte di padre, con cui magari sei andata a scuola insieme e che sai che verrà, nella migliore delle ipotesi, a chiedere che tu gliela tolga, o a lamentarsi anche se avevi le tue sacrosante ragioni per staccare quell’odioso foglietto rosa. Che poi, che credevano tutti, che ti alzassi la mattina dicendo oh che bello, adesso vado al lavoro e mi metto a fare multe come se piovessero!?
Ma scherziamo?
È che si conoscevano tutti, non erano che un piccolo comune di quindicimila anime o giù di lì, ottomila delle quali della cittadina in cui risedevano, era facile imbattersi in amici o parenti.
In verità Ackerman non era niente del genere per nessuno del piccolo comando dei vigili dove Hanji lavorava. Era uno nuovo, che veniva dalla città e si era trasferito da poco.
Le recenti elezioni comunali erano state un punto di completa svolta, quasi nessuno si aspettava niente di simile. Non importava sotto che simbolo e sotto che ideologia fossero state le precedenti giunte, erano trent’anni che governavano più o meno sempre le stesse persone e tutto ristagnava pacificamente nel guazzabuglio dei soliti sempiterni problemi, quelli per cui si facevano prima di ogni elezione tante promesse, e dopo ben pochi fatti.
Evidentemente qualcuno, finalmente ad opinione di Hanji, s’era rotto le scatole e aveva cominciato a votare con la testa, così da un giorno all’altro s’erano ritrovati con quella giovanissima Historia Reiss, che aveva appena l’età legale per essere eletta a quella carica, eppure aveva dato una bella scossa a tutti. S’era circondata di assessori capaci e s’era messa di buona lena al lavoro, come nessuno aveva saputo fare in trent’anni.
Quell’Ackerman era uno di quei nuovi assessori, un architetto che al momento s’era preso l’ingrato compito di rivedere i progetti per risanare le case popolari di cui si parlava dagli anni novanta.
Dicevano che la sua famiglia d’origine fosse locale, ma non c’era più nessun Ackerman ormai che vivesse da quelle parti, e i più vecchi, a sentire quel cognome, avevano sentenziato che non si ricordavano granché, eccetto che non fosse completamente nuovo a sentirlo.
Sembrava un tipo a posto. Faceva bene il suo lavoro in giunta e pareva che avesse anche successo con la sua professione privata, non s’era capito perché si fosse disturbato a venire a fare pure l’assessore di quel loro piccolo comune, anche se erano girati dei pettegolezzi in proposito sulle sue motivazioni. Si diceva che ci fosse nato in quelle case popolari, quei casermoni di periferia brutti come un pugno in un occhio che erano venuti su negli anni sessanta, grazie alla legge Fanfani. In quel periodo di boom economico avevano risolto sia un problema occupazionale che abitativo, poi però, per i seguenti cinquant’anni, nessuno ci aveva fatto quasi più nessun lavoro di manutenzione, per cui erano diventate catapecchie o poco più.
Il nuovo assessore all’urbanistica, a furor di popolo, non piaceva quasi a nessuno. Ma il problema non era che Ackerman non fosse considerato all’altezza di risolvere quel problema, piuttosto era che fosse un tipo scorbutico, a voler essere gentili. Mai che facesse un sorriso, rispondeva a monosillabi quando qualcuno amichevolmente cercava di coinvolgerlo in qualche chiacchiera, sembrava sempre qualcuno che avrebbe voluto essere dovunque, meno che lì: era sempre per conto suo, scuro in volto, non faceva una bella impressione.
In un minuscolo paese in cui tutti si conoscevano come quello, non era una gran presentazione.
Eppure ad Hanji, sebbene la sua personalità fosse esattamente all’opposto, quell’uomo bassino e difficile era piaciuto sin da subito, dalla prima volta che gli aveva messo gli occhi addosso. Non se lo spiegava nemmeno lei perché.
Magari erano quegli occhi grigio azzurri e penetranti, la sua postura elegante, il fatto che fosse sempre ben vestito e che la sua aria pulita e dignitosa le sembrava dicesse qualcosa di molto specifico su chi fosse come persona. Magari era perché s’immaginava che forse, se fosse riuscita ad entrarci un pochino in confidenza, l’avrebbe trovato piacevole di carattere.
Però ogni volta che tentava di farci due chiacchiere, Ackerman la rispediva educatamente ma allo stesso tempo fermamente al mittente, non c’era verso di cavargli di bocca più di due parole, ed Hanji ci si era impegnata, eccome se l’aveva fatto.
Il suo collega ed amico Mike, ad un certo punto, si era accorto della cosa. Durante una delle loro pause caffè un giorno, quando le aveva detto che aveva notato il suo interesse, lei aveva replicato convinta: «Io te lo dico subito, così non puoi dire che non eri stato avvertito: io con quel piccolo brontolone mi ci metto insieme, prima o poi!»
Mike aveva riso. «Hanji, sii realista. Non ti si caga manco di striscio, che non lo vedi?» aveva sentenziato divertito, ma con un tono che era chiaramente uno che non voleva essere né offensivo né brutale nella sua onestà. In ogni caso se lo sarebbe anche potuto permettere di essere sincero con lei, erano amici da tanti anni.
«E poi questa cosa me la devi spiegare, mi dici che ci trovi in uno così?»
«Ma dai, è adorabile!» aveva replicato lei convinta, tuffando il naso nel suo espresso subito dopo. Lo sguardo attonito di Mike probabilmente l’aveva spinta a spiegarsi meglio dopo aver svuotato la sua tazzina di caffè.
«È un po’ come uno di quei gattacci randagi che poi però quando ti si affezionano sono i più coccoloni di tutti» aveva risposto tutta tranquilla, guardandolo con quei suoi occhioni color nocciola vispi dietro gli occhiali e i capelli quasi sempre scomposti che le ricadevano in faccia, scappando dalla coda di cavallo che si faceva quasi sempre.
«Hanji, quei gattacci di solito soffiano e graffiano, e basta! E poi davvero, non mi pare interessato. Voglio dire, peggio per lui, eh…» aveva commentato l’altro, non gli piaceva vederla infatuata di uno che secondo lui non era proprio un granché come materiale da fidanzato per la sua amica.
«Mh, vedremo…» aveva commentato lei sorniona, con l’aria di qualcuno che aveva un piano.
Questo non aveva rassicurato Mike, i piani di Hanji in questi casi erano sempre sconclusionati se non folli. Sarebbe stato a vedere.
Non la considerava? Non c’era verso di attaccarci un discorso vero e proprio? Beh, avrebbe fatto in modo di farsi notare in qualche modo, costasse quello che costasse.
A lui, ovviamente.

«Ammazza che stronza che sei!» aveva commentato Mike, quando si era reso conto in cosa consistesse il brillante piano di Hanji per conquistare il cuore del burbero e glaciale assessore. «E quando uno ti sta antipatico che fai, gli squarci le gomme direttamente?»
Hanji aveva riso. Levi Ackerman se n’era appena andato dal loro ufficio dopo la sua visita fatta per lamentarsi per la multa della pulizia della strada.
«Ora non esagerare, mica sono una squilibrata!» si era difesa Hanji.
«Per curiosità, quante gliene hai già fatte negli ultimi due mesi?»
«Questa è la terza.»
Mike l’aveva guardata di traverso per un momento.
«Sei un genio del male, ti va riconosciuto. Però vacci piano, per dire, se ci andava davvero da Erwin a lamentarsi? Ti saresti beccata una bella lavata di capo dal Comandante, ne vale la pena? E poi vai a sapere che non s’incazzi sul serio e reagisca in qualche altro modo, chissà che tipo è…»
Hanji aveva annuito. «In effetti lì me la sono vista brutta, ma volevo passare a tutti i costi come quella che non aveva fatto niente di male.»
«Che subdola. E cattiva poi!» aveva scherzato a sua volta Mike.
«Oh senti!» era sbottata, andandosi poi a difendere. «In effetti stavolta l’ho fatta un po’ sporca, ma cosa posso fare se sono fuori di ronda e mi trovo la sua macchina parcheggiata sul marciapiede a tanto così dalla rampa dei disabili?» aveva detto mettendo una distanza di pochi centimetri tra il pollice e l’indice. «E quando con il macchinone che si ritrova lo becco che non ha pagato il parcheggio? Va bene tutto, ma mica sono così scema, il mio lavoro lo faccio a modo!»
Mike aveva riso, in effetti non faceva una piega. Tuttavia era un po’ preoccupato che la situazione degenerasse. Non vedeva un miglioramento sostanziale nel modo in cui Ackerman guardava la sua amica, per cui aveva scarsa fiducia che quello strampalato piano stesse in qualche modo funzionando.
Più che altro aveva paura che prima o poi Hanji, così facendo, lo spingesse al limite della sua sopportazione e che Ackerman le avrebbe fatto una scenata di quelle brutte, che l’avrebbero messa nei guai sul serio.
Non lo preoccupava una reazione violenta, quello no: ogni tanto l’Assessore gli pareva un cagnolino di piccola taglia, di quelli che abbaiano tanto ma mordono poco. Non c’era da stupirsi che Nanaba, una loro collega, lo definisse un chihuahua umano. Non gli faceva nessuna paura insomma, era prontissimo a smontargli la faccia con un pugno se si fosse preso libertà con Hanji. Solo sperava che non succedesse nulla del genere.
Per qualche settimana ancora era andato tutto liscio, si erano tutti lasciati trasportare dalla solita routine quotidiana che non lasciava molto spazio a particolari sorprese, ma poi all’improvviso, durante un pomeriggio piovigginoso, ecco l’imprevisto.
Aveva visto Ackerman entrare come una furia negli uffici del comando dei vigili urbani, andando diretto a spron battuto verso la scrivania di Hanji, con un foglietto rosa in mano di ben nota natura.
Oh oh, aveva pensato Mike. Si era messo sull’attenti, un po’ per godersi la scena, un po’ per intervenire se si metteva male.

***

«Buon pomeriggio dottor Ackerman, che posso fare per lei?» gli aveva chiesto sorridente come sempre Hanji, con sul viso l’aria più innocente che potesse fare.
In verità era molto cosciente delle sue malefatte, sapeva cosa poteva aspettarsi. Prima di staccare quella contravvenzione ci aveva pensato un attimo, valutando i pro e i contro, ma poi si era detta che sarebbe stato il suo ultimo tentativo di attirare la sua attenzione. Se funzionava bene, sennò avrebbe battuto in ritirata, si vede che non era destino.
L’altro aveva replicato con un sorrisetto sarcastico, come a volerle far capire che non si beveva nemmeno un po’ i suoi modi gentili. Si era seduto sulla sedia davanti a lei, poi aveva buttato con un modo di fare seccato sulla scrivania la multa stropicciata.
«Mi dica, agente Zoe, le ho fatto qualcosa?» aveva chiesto calmo, ma decisamente alterato insieme.
«Mh… no, direi di no.»
«Ci pensi bene, per cortesia. Ho mai detto o fatto qualcosa che l’ha offesa, lei o la sua famiglia, le ho mai fatto anche involontariamente qualche torto?»  
«No.»
«Allora per caso mi trova particolarmente antipatico, o fastidioso?»
«Ma… veramente, tutt’altro» le era scappato.
Ackerman per un attimo aveva sgranato gli occhi, non se l’aspettava quella risposta. Tuttavia si era ripreso subito.
«E allora, cortesemente, mi potrebbe spiegare perché se la prende tanto con me?» aveva domandato ancora, perdendo un po’ della calma con cui aveva iniziato.  
Hanji se n’era rimasta in silenzio, Mike dalla sua postazione si era preoccupato. Si era alzato, guardandola, come a chiederle tacitamente se dovesse intervenire, ma lei gli aveva fatto un piccolo cenno di assenso con il capo, come per dire che era tutto a posto.
«Davvero, Agente, me lo dica! Perché credevo che fossimo arrivati a capirci l’altra volta, per cui vorrei che mi spiegasse perché anche oggi ha deciso che doveva così zelantemente fare il suo dovere con tanta fiscalità! È per caso in lizza per il premio vigile urbano più rompiscatole del Comune?»
«Beh, innanzi tutto si calmi» aveva detto Hanji, pacata ma ferma. «Io sarò anche il vigile urbano più rompiscatole del Comune, ma che lei sia in torto non ci piove, Dottore!»
«Questo lo so! Ma allora non ha capito niente di quello che le ho spiegato l’altra volta? Glielo devo spiegare di nuovo, con più calma o con parole più semplici?»
«Oh, non creda che io sia stupida, ho una laurea anch’io sa? E se vuole rispiegarmi qualcosa, benissimo: mi inviti a cena e me lo spieghi!» aveva sbottato lei, alterata a questo punto quasi quanto lui.
«Va bene! Ha impegni stasera?» aveva replicato l’altro, rabbiosamente. «E la smetta di chiamarmi dottore e di darmi del lei, cazzo, non ho l’età d’essere suo padre e ci conosciamo da mesi ormai!»
«Stasera va benissimo, Levi. E se magari anche tu la smettessi di darmi del lei e mi chiamassi Hanji, direi che saresti meno ridicolo!»
«Bene, Hanji!» aveva ribattuto lui alzandosi, incavolato nero.
«Benone, Levi!» era stata la risposta della donna, che altrettanto arrabbiata, aveva incrociato le braccia al petto mentre lo guardava alzarsi ed andarsene via, non prima di essersi ripreso la multa dalla scrivania della donna.
A metà strada verso la porta si era girato e l’aveva guardata furente. «Ti vengo a prendere alle otto» aveva quasi letteralmente abbaiato.
«Dove?» aveva chiesto lei, sempre sulla difensiva, con le braccia strette al petto.
«Sotto casa tua! Che credi, che non sappia dove abiti, lo sanno tutti! E se mi troverai ad aspettarti in doppia fila, per l’amor del cielo, cerca di contenerti!» aveva tuonato, poi aveva preso la porta e se n’era andato.
C’era stata una manciata di secondi di completo silenzio in ufficio, non era volata una mosca. Solo un telefono stava suonando incessantemente, qualcuno avrebbe dovuto rispondere, ma nessuno si stava curando di farlo.
Mike si era alzato in piedi, la testa girata verso la scrivania di Hanji, in viso lo sguardo più ammirato che avesse mai rivolto a qualcuno. Aveva battuto le mani insieme, incominciando con lentezza un applauso, al quale si erano uniti alcuni dei loro colleghi presenti alla scena.
«Sei un fottuto genio del male, Zoe!» le aveva detto mentre l’altra si esibiva in un inchino, ringraziando i suoi ammiratori.
Quella sera, aveva deciso, il conto l’avrebbe pagato lei.
Con tutto quello che gli era costata in multe, al burbero assessore carino una cena almeno gliela doveva!

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: FoolThatIam