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Autore: NeroNoctis    02/04/2016    2 recensioni
All'apparenza Daniel è un normale ragazzo di 20 anni, amante delle più svariate cose e con uno spiccato sarcasmo. Ma nasconde semplicemente la sua vera identità, quella di un soldato dell'organizzazione Sephiroth.
Organizzazione che caccia "Loro", creature assetate di sangue che vagano per il mondo, che a prima vista non sembrano avere un obbiettivo, ma che tramano qualcosa da dietro le quinte, perseguendo un oscuro obbiettivo. E proprio "Loro" hanno sterminato la famiglia di Dan anni prima.
In un mondo dove "Loro" si nutrono di umani, Dan dovrà viaggiare per trovare la sua sorellina scomparsa e vendicarsi delle creature che han cambiato per sempre la sua vita.
Sullo sfondo paranormale popolato dai Wendigo, prenderanno vita numerosi personaggi il cui destino di andrà ad incrociarsi con quello di Daniel e della sua partner Lexi, per svelare un segreto rimasto sepolto per anni.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sephiroth'
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Daniel era immobile. Sentiva la punta freddissima della pistola sulla sua nuca e la cosa gli provocava un brivido lungo tutto la schiena, complice anche il fresco vento scozzese. Cercò di mantenere la calma, analizzando ogni singola via d'uscita. Guardò con lo sguardo intorno a lui, facendo attenzione comunque a non muoversi. Non vide nessuno, le strade erano deserte per sua sfortuna. Deglutì, non si era mai trovato con una pistola puntata addosso, non seriamente almeno, dato che aveva svolto diversi addestramenti con Victor usando armi cariche. Era il prezzo dell'addestramento di ogni Nezakh, l'addestramento era rischioso quasi quanto un'uscita ufficiale. Sentì che la mano del suo aggressore era ferma, non tremava, questo faceva di lui un professionista, quindi una fuga era fuori questione, sarebbe finito sul pavimento a leccare il proprio sangue. Una testata? No, l'impatto avrebbe probabilmente fatto scattare il colpo, uccidendolo sul colpo, così come qualche altro tipo di contrattacco, non aveva manovre di azione. Poteva fare soltanto una cosa: temporeggiare.
«Chi sei?» chiese il ragazzo. Dopotutto quel tipo conosceva il suo nome, conosceva la vera natura dei Wendigo e a quel pensiero Daniel rabbrividì, ma non poteva distrarsi, non adesso, ne valeva la sua vita, doveva fare troppe cose. Vendicarsi, trovare sua sorella, giocare a Final Fantasy XV e scoprire chi avrebbe conquistato il Trono di Spade.  
«Un nome non ha importanza.» rispose l'altro, con tono serio ma con una sfumatura di divertimento. Beh, era comunque divertente non avere una pistola puntata, dopotutto.
«Un nome ha importanza» rispose Daniel «pensa se ti chiamavi Paul Po. In Italia ti avrebbero visto come una cena deliziosa. A proposito, mai assaggiato del polpo in Sicilia?»   
L'altro non sembrò gradire quell'umorismo, così spinse la pistola ancora più in profondità, lasciando sicuramente dei segni sulla nuca di Daniel. «Come sei serio. E sei anche in vantaggio.»
«Si diceva che fossi abbastanza serio e malinconico.»
Daniel fece una smorfia. «Si diceva anche che il 21 dicembre 2012 sarebbe finito il mondo, ma nella vita sono ammessi errori.»
«Esatto, errori proprio come te.»
Daniel non riuscì a capire il significato di quella frase. Okay, non era l'ostaggio più convincente e probabilmente non avrebbe mai sofferto di Sindrome di Stoccolma, ma definirlo errore era un po' eccessivo. 
«Cosa vuoi?» rispose infine Daniel, ormai stufo di quella situazione, ma prima che il suo aggressore potesse rispondere, un'altra voce cambiò le carte in tavola. 
«Fermo.» Brandon puntò la pistola dietro l'aggressore di Daniel, che fu contento di sentire quella voce familiare. Certo, non capiva come mai fosse là, ma la cosa non gli importava. Guardò in avanti, notando John e Vincent arrivare, entrambi armati, cosa che fece sorridere il ragazzo.
«A quanto pare è arrivata la cavalleria.» esclamò Dan, con aria soddisfatta. Sentì l'aggressore imprecare, fin quando Brandon non lo colpì alla testa, facendogli perdere i sensi.


«Continuo a pensare che sia una pessima idea.» disse Daniel, sedendosi sul tavolo di Vincent, pieno di cartacce e un piatto probabilmente usato poco prima che arrivasse. Era risaputo che Vince era troppo ordinato, ma prendendosi il giusto tempo. Brandon si grattò la barba incolta, fissando il prigioniero ancora privo di sensi sul pavimento.
«Andiamo Dan, ho notato che quel tizio ti seguiva, non potevamo rischiare.» rispose John, aprendo un pacchetto di patatine, mentre Vincent fissava tutti con aria infastidita. Brandon lo guardò, fece per dire qualcosa ma si diresse dal figlio, rubando un po' del bottino, per poi pulirsi le mani sui vestiti dell'ostaggio.
«Siamo rimasti al Foodhallen per troppo tempo, dovevamo spostarci. Poi andiamo, non potevamo lasciarti in pericolo.» rispose Bran, osservando la stanza. I muri erano bianchi, qualche vestito appeso qua e là, una scrivania con un 32" bianco e una Playstation 4 nera sulla destra, mentre il case di un computer faceva capolino sul pavimento. Era molto semplice, moquette bordeaux e un tavolo di legno su cui era seduto Daniel. 
«Siete comunque troppo esposti.» disse Dan, voltandosi verso Vincent che aveva ancora l'espressione infastidita, cosa che notarono anche John e il padre.
«Che c'è Vincent?»
«Dobbiamo proprio tenerlo sulla moquette?» disse, indicando il tizio legato. «Se si sporca la pulite voi.»
«Eh va bene.» rispose Brandon, prendendo una sedia e depositandolo non troppo delicatemente su di essa. Lo osservò attentamente, aveva dei vestiti grigi, un giubbotto antiproiettile sotto la maglia e una placca rivestita sulla spalla con un logo di un albero in fiamme. «L'albero in fiamme» sussurrò, osservando il figlio che smise di mangiare le patatine al bacon.
Vincent e Dan si fissarono, con aria interrogativa, ma tutti i loro dubbi furono ben presto chiariti dai due ex Sephiroth. «L'albero in fiamme è il logo di un organizzazione anti Sephiroth, la nostra... vostra nemesi per eccellenza.»
Daniel scese dal tavolo, avvicinandosi al suo aggressore. Lo guardò in faccia, non era molto grande di età, aveva circa venticinque anni. I capelli castani erano ricoperti di gel, e il viso era spigoloso, zigomi sporgenti e ben definiti. Osservò quel logo, accorgendosi si non averlo mai visto prima. «Com'è che non ne ho mai sentito parlare?»
«Questione di massima riservatezza. Il Re Sephiroth ha un bel po' di scheletri nell'armadio. Questi qua, si fanno chiamare "Flamboyant". Cacciano i Sephiroth, li rapiscono, poi quello che succede resta un mistero. Non si sa molto su di loro, ma si dice che siano stati fondati da uno dei nostri tempo fa. Sono addestrati come noi e dicono di conoscere la vera natura del male.»
"La vera natura del male" Dan ripensò a quanto accaduto all'ospedale, al piccolo bambino che si trasformò davanti ai suoi occhi per poi finirlo con le sue stesse mani. Aveva ucciso un bambino, anche se di umano non aveva più nulla. Improvvisamente gli venne voglia di vomitare, ripensando anche a tutti i Wendigo uccisi nel tempo, Wendigo che non erano altro che persone un tempo.
«Siete patetici.» sussurrò il prigioniero, a denti stretti. Alzò la testa, osservando il quartetto. Sorrise in modo beffardo e con uno slancio, si liberò dalla corda e afferrò la pistola che John aveva lasciato sul pavimento, ma prima che tutti potessero muovere un muscolo, il Flamboyant sorrise e si sparò in bocca, finendo sul pavimento immerso nel suo stesso sangue.
«La moquette...» disse Vincent a bassa voce, osservando il sangue che sporcava tutto, mentre padre e figlio rimasero fermi, immobili, non aspettandosi quella reazione.
«Devo andare da Victor.» esclamò infine Daniel, recuperando armi e cappotto.
«Ma Dan, e questo?» disse John, tentando di fermare l'amico.
«Occupatevene voi, fatemi sapere se scoprite qualcosa. Ci terremo aggiornati, io indago in maniera più ufficiale.» detto ciò, il ragazzo scomparve dietro la porta, componendo il numero del suo mentore.


Dall'altra parte del mondo, un cellulare vibrò. Un uomo di quasi cinquant'anni afferrò il dispositivo, osservando il nome che comparve sul display. I suoi capelli brizzollati incorniciavano quegli occhi azzurri, rendendolo un uomo ancora affascinante. Indossava un costume elegante gessato, mentre sulla cintola aveva una fondina contenente una pistola.
«Daniel.» rispose, con voca calda.
«Victor, dobbiamo parlare. E' urgente. Sei in America, giusto? Alla base Gevurah?»
«Proprio così.»
«Perfetto, sono quasi in volo.»
«Deve essere proprio urgente. Ma prima che arrivi alla base, c'è un'emergenza a Chicago. Stavo per occuparmene io, ma sei capitato giusto in tempo. Sistema il Wendigo, poi portami il suo cuore come da procedura. Parleremo dopo.»
Victor attaccò il cellulare, avvicinandosi ad un piano bar dove si versò del vino rosso.


Passarono diverse ore e a Chicago, Simon e Tessa erano arrivati di fronte una fabbrica abbandonata. Era in rovina, tetto quasi del tutto assente e fondamenta ben visibili. Un tempo era una fabbrica di prodotti per la casa, poi per colpa di un'incendio era stata evacuata, mentre un'esplosione danneggiò in via permanente la struttura. Adesso era rifugio per senzatetto e drogati, infatti la puzza che emanava l'interno era nauseabonda. La coppia camminava all'interno, Tessa stretta alle braccia di Simon, che istintivamente toccò la pistola. Si guardarono intorno, osservando il degrado di quel luogo. Al piano terra vi erano residui dell'attività industriale, con flaconi vuoti e scatoloni ammassati l'uno sull'altro. Alcune scritte con della vernice spray decoravano quei muri di mattoni, inneggiando a qualsiasi cosa: proposte d'amore, disegni di dubbia qualità artistica e insulti vari.
«Sei sicuro che sia qui?» chiese la ragazza, osservandosi intorno e stando attenta a non respirare col naso, anche se in quella situazione era meglio non respirare affatto.
«Veniva sempre qui quando beveva. Era il suo rifugio. Solita stanza, al piano di sopra.»
Tessa deglutì, certa di non voler fare altre domande. Sapeva che Simon odiava parlare di quelle cose, anche se la situazione era particolare. Il padre dopotutto mancava sempre di casa, quello era il suo rifugio dove bere, drogarsi e farsi diverse prostitute, o peggio. Tessa cacciò via quei pensieri, non accorgendosi di trovarsi di fronte a delle scale. Se la struttura era malridotta, le scale erano peggio. I graffiti erano praticamente triplicati e sostanze dalla dubbia provenienza facevano capolino su ogni gradino. L'unica cosa più pulita probabilmente era un preservativo visibilmente usato e questo la diceva lunga sul grado di igiene di quel posto. Si fece forza e salì lentamente, accanto a Simon che non proferiva parola. Si ritrovarono in un lungo corridoio con diverse stanze, un tempo quello doveva essere il reparto dedicato agli uffici probabilmente. Fortunatamente la stanza indicata da Simon era la prima sulla destra, almeno non avrebbero dovuto percorrere quel corridoio pieno di coperte e vestiti sporchi. La ragazza fu certa di aver visto un topo dentro un carrello, ma non voleva indagare.
«Ci siamo.» sussurrò Simon, estraendo la pistola. Portò la mano sulla maniglia, ma prima che potesse aprire, sentì degli strani versi provenire dall'interno. Era inconfondibile... quella era la voce del padre. Un pò più rauca, quasi stridula, come se avesse un problema alla gola, ma era pur sempre la sua voce. Spalancò la porta e puntò la pistola davanti a sè, ma quello che vide non era quello che si aspettava. Un essere curvo, con diversi vestiti sporchi addosso stava divorando qualcosa, come dei resti di carne. Aveva la pelle cadaverica e cadente, e alcuni capelli in testa. Si voltò piano verso i due, la bocca era uno squarcio colmo di lunghe zanne, da cui si poteva notare una collana, probabilmente appartenuta a quella carne che solo dopo Simon riconobbe essere appartenuta ad un essere umano. I vestiti erano familiari, così come la collana. Sapeva che suo padre era un mostro... ma non letteralmente. Tessa urlò e il Wendigo si scagliò contro di loro, Simon immobile fece cadere la pistola a terra, mentre spinse via Tessa, che cadde rovinosamente vicino ad un mucchio di giornali.
«Papà...» ma non appena finì la parola, si ritrovò a vomitare. Il Wendigo non perse tempo e attaccò il ragazzo, ma uno sparo riecheggiò nell'intera struttura, mentre il Wendigo giaceva immobile sul pavimento. Daniel entrò in stanza, estraendo il cuore di quello che un tempo era il padre di Simon e lo ripose nel cofanetto in dotazione ad ogni Nezakh, successivamente si accertò delle condizioni del ragazzo. «Stai bene?»
Simon non rispose. Stava fissando quell'ammasso di carne e sanfue vicino la finestra, sapeva cosa stava osservando ma non voleva ammetterlo. Dan sospirò, avvicinandosi a Tessa. Le porse la mano ma non appena la guardò in viso si bloccò, come se avesse visto un fantasma. Si accorse di star tremando, e con voce dubbiosa esclamò un nome.
«Karen.»
Tessa osservò quel ragazzo, e non appena sentito il nome Karen anche la sua espressione mutò di colpo. Simon si voltò, incerto. «Cosa succede, T?»
Tessa deglutì e scuotendo la testa rispose al suo ragazzo.
«Lui è mio fratello maggiore.» 
   
 
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