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Autore: quirke    06/04/2016    0 recensioni
Si mordicchiò il labbro inquieto, lanciando delle veloci occhiate al viso della ragazza che sembrava assorta nei suoi pensieri, a scrutare il quadro autunnale che le si parava avanti con un'aria sprofondata nei più piccoli dettagli che l'attorniavano.
Gigi si chiedeva una sola cosa, una sola domanda le frullava in quella testa contorta e silenziosa.
Non riusciva a rispondere al dubbio che le attanagliava la mente, a placare quel senso di profonda incapacità che la stava colmando.
"Ti accompagno, okay?" quello che fuoriuscì dalla bocca di Bill, che si catapultò senza fraintendimenti, stupì lui stesso sopratutto.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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lou23
 


Glitch

Capitolo I
 

"Non ti sei mai ritrovato a bramare la presenza di qualcuno? Tipo, ti basterebbe anche sederti al suo fianco in silenzio, così, niente di più e niente di meno.
Sedermi al suo fianco, magari davanti alla console, no?"



"È proprio lei" soffiò Nasser, leggero quanto una piuma.
Non si stupì del fatto che nemmeno Bill, affiancatogli, avesse percepito le sue parole. Lui, a fatica, riuscì a reprimerle, ad impedire loro di traboccare. Ma tanto insistenti e vivaci, erano saltate giù, approfittando di un momento di debolezza del ragazzo, che ammaliato fissava un punto ben preciso davanti a lui.
Erano balzate oltre la fessura delle sue labbra sottili e rosee, rapide e nuove, gli bruciarono le guance, accendendole di un porporeo colore. Represse a fatica l'agitazione che cominciava a scuoterlo, il nervosismo irrequieto che gli solleticava ogni centimetro della pelle imperlata di una nuova emozione.
Lo attraeva fisicamente, e non ci poteva fare nulla. Malgrado tutte le sue ferree intenzioni di mantenersi alla larga dalle ragazze, la fatidica lista che era appallotolata dentro le tasche del suo giubbetto militare. Solo quella lista avrebbe dovuto liberargli la mente da quel pensiero fisso, scuoterlo per bene e rimuovergli dal corpo ogni traccia di follia che gli attanagliava i muscoli, li irrigidiva ogni qualvolta l'adochiasse, anche per caso.
Che fosse qualcuno che si divertiva a manipolarlo, a spingerlo oltre la soglia delle sue convinzioni, oltre il limite della sua pazienza soltanto per vederlo cedere dietro ad un bel visino?
Deglutì rumorosamente, inorridito da quel disgustoso pensiero. 
Avrebbe davvero mandato a monte ogni precedente fatica, ogni minuto speso a collaudare il suo povero cuore da quella lontana notte?
Davvero si sarebbe arreso? Esponendo così tutte le sue debolezze a una totale sconosciuta, ferendosi con le sue stesse dita.
Non poteva crederci.
Sbuffò impazientito, buttando la sua faccia, impegnata in una dolorosa smorfia, tra le grandi mani fredde. Soffiò profondamente, guadagnandosi così un'occhiataccia da parte di Billche, stranito da quel comportamento inaspettato, lo fissava come se gli fosse spuntato qualcosa nel viso.
Se lo palpò spaventato, e fortunatamente si rese conto che non c'era nulla di disgustoso a contaminargli la faccia. Era stata solo la sua reazione bizzarra, quel chiudersi improvvisamente dentro se stesso per un lungo e silenzioso minuto, per poi librarsi in aria con uno stridulo sbuffo, causando disordine tutto intorno.
La ignorò. Pretese di ignorarla con tutte le forze che circolavano nelle sue vene.
Iniziò a rimirare le alte vetrate in pietra che lasciavano penetrare dentro la stanza fili dorati di luce.
La prima delle tre vigorose regole diceva di non dare un nome al proprio animale domestico. Ed infatti, non tradendo la stretta promessa trascritta e mantenuta dall'inizio dell'Università insieme a Bill, il cane abbandonato che avevano ritrovato quella sera si chiamava, semplicemente, Cane.
La seconda regola diceva implicitamente di evitare quel fatale contatto, dove la sua mano si ritrovava a stringere, ed essere stritolata, da un'altra più morbida, femminile.
Gli venne un conato di vomito soltanto a pensarci, ad immaginarsi mano nella mano con qualche noiosa e sdolcinata ragazza. Che incubo, quanta molestia!
Quando ritornò nella vita reale, Nasser si accorse di star camminando, di star muovendo dei passi in avanti, dietro un Bill tra le nuvole. E stavano dirigendosi proprio ... 
Gli occhi di Nassersi spalancarono, la bocca si inaridì ed esplose in una marea di imprecazioni muti.
Rapidamente, più veloce di un razzo, cambiò rotta fino a finire dalla parte opposta della biblioteca. Più lontano da lei si ritrovava, più sarebbe divenuto tutto più semplice. Ne era sicuro.
Si ritrovò la terza regola stampata in testa, bruciante ed influente riguardo il suo orgoglio maschile.
Niente emozioni.
Niente emozioni, niente emozioni, niente emozioni. Si ripeté mentalmente quelle parole, prestò loro la più totale attenzione, importanza. Ci credette fino alla fine, si arrampicò su quelle parole convincendosi sempre di più.
Si ricordò di quello che Bill aveva aggiunto quella sera, rincuorandosi e dandosi nuova energia.
Sarebbe stato solo gay se avesse lasciato spazio alle emozioni, se si fosse arreso a provare qualcosa ... qualcosa di così repellente per qualcuno che lo era altrettanto.
E non gay nel senso più stupido che ci poteva essere, Billlo aveva interpretato come un insulto ironico. Ma comunque un insulto pesante, nonostante non avesse nulla contro di loro, contro i gay.
Deglutì per l'ennesima volta, e quando fece per girarsid, si accorse che Bill non c'era. Magari lo aveva perso già da molto tempo dato che non lo aveva messo al corrente di quella manovra improvvisa.
Intorno a lui si estendevano scaffali legnosi, alti e potenti. Ed erano colmi di libri di qualsiasi tipo, taglia e volume.
Nasser, ad essere sincero almeno con se stesso, avrebbe voluto baciarla fino a sentirsi le labbra gonfie e la bocca umida, la bocca che affogava sommersa dal sapore dell'altra.
Sentiva la testa esplodergli. Quando mai seguiva i suoi ormoni, dava loro un peso che gli sembrava soltanto esagerato. Quella ragazza sconosciuta, intravista di tanto in tanto qua e là, non aveva nessun diritto di influenzarlo in quel modo.
La odiava, e non ci poteva fare niente. Non sapeva come azzerarsi il cervello, come cambiarla in modo da farla sparire per sempre dalla sua testa. Non sapeva nemmeno che cosa ci facesse in quel posto, in biblioteca. Non se lo ricordava più.
E l'unico rimedio, che sembrava essere sufficiente a toglierla dalla sua mente almeno per un po', era in camera sua. Quella dannata console che non poteva essere portatile!
Ogni oggetto in quei metri quadrati era ricoperto da un lieve, leggero manto di polvere, resa visibile dalla liuce diurna che quel pomeriggio appariva più rigorosa che mai.
Il pavimento era lucido, in marmo chiaro e costellato da file ordinate di tavoli lunghi e neri. Su ognuno vi si posava qualche lampada da scrivania.
Si ritrovò a pensare come un vero e proprio ragazzo della sua età. Sorprendendo perfino se stesso, Nasserammise mentalmente di voler andarci a letto. Non farci l'amore, baciarla prestandole attenzione ed accarezzarla dolcemente nei momenti più bui, o abbracciarla così forte da sentirla spezzarsi da un momento all'altro, asciugare le guance umide di tanto in tanto o sfiorarle la schiena con la punta delle dita affusolate.
Lui voleva portarla a letto senza emozioni, senza il suo cane di nome Cane nella sua camera a fissarli minacciosamente e sopratutto senza stringerle, e farsi stritolare, le mani.
E se mai lei avesse rifiutato, o avesse obbiettato domandandogli dei motivi per dargli ragione, allora lui glieli avrebbe pure dati.
Billlo fissò stranito, dieci metri più in là. Lo osservò sedersi pensieroso su una sedia a caso, su un tavolo a caso e sopratutto lontano da lei, che gli dava le spalle venti metri più in là.
Non si fece domande. Gli fece cenno con le mani di aspettarlo lì dove si trovava, senza alcuna risposta dato che sembrava essere proprio lontano dalla realtà che lo circondava. E glielo si leggeva in faccia, con quel cipiglio curioso, i muscoli della faccia che si tendevano, si rilassavano e si inacidivano ancora una volta.
Così Bill non gli prestò altra attenzione, buttandosi a capofitto su una corsia per cercare quello di cui aveva bisogno quel pomeriggio.
Nasser, d'altronde, non lo si poteva biasimare. Era in trappola, e nessuno lo aveva costretto in alcun modo, o lo aveva raggirato con tanto di parole.
In trappola ci si era ritrovato e messo da solo, con le sue stesse mani e così velocemente che quando se ne rese conto, non poteva più fare nulla se non continuare nel sentiero sbagliato. Magari sperando in una svolta, in un aiuto divino che gli piovesse dal cielo.
Ormai Nasser ci si ritrovava dentro fino al collo, anzi interamente. E lo aveva capito una volta che, inconsciamente, si ritrovò ad elencare quegli stupidi motivi per spingerla nel suo adorato letto.
Innanzitutto, e sembrava cristallino quanto una goccia vitrea, lei doveva essere, e come darle colpe, già innamorata di lui. Ma così tanto da spingerla a fare qualsiasi cosa per lui, per il suo benessere e la sua felicità. Perfino buttarsi dal tetto di quell'accademia così alta.
Poi, ed anche questo era chiaro come il cielo quella giornata, era meglio togliersi il pensiero una volta per tutte. Perché appesantirsi le giornate con quel dilemma, sprofondare nella curiosità? Come sarebbe stato tra loro due?
Ed infine, e questo sembrava uno dei motivi meno discutibili in assoluto, girava voce che era un'enorme delusione, il sesso. Quindi perché aspettare, perché crogiolarsi nell'amara insoddisfazione, dargli importanza inutilmente?
Ecco, lei non avrebbe resistito oltre. Lo avrebbe afferrato per il colletto e trasportato di peso nel primo stanzino vuoto. Si sarebbero macchiati a vicenda, riempiti di graffi e morsi per così tanto tempo da sentire lo stomaco brontolare ed i muscoli intorpidirsi.
"Nasser" fu la voce di Bill a risvegliarlo da quello che lui definiva a tutti gli effetti come un ripugnante incubo, "Tutto bene?"
Nasser annuì, poco convincente. Lanciò un'occhiata ai libri che Bill teneva in mano, sfiorò con indulgenza i titoli marcati a fuoco su di loro senza leggerli veramente, e, per una frazione di secondo, prestò attenzione anche alla schiena della ragazza maledetta.
"Tra poco inizierà il torneo" affermò Bill in sua direzione, cominciando a sfogliare il primo libro che gli capitò attorno, "E voglio farmi notare, accidenti!"
Nasser s'impose di darci un taglio con quella ragazza, di andare avanti e proseguire con il riavvolgimento del suo cervello, riformattandolo. 
Le uniche priorità, per il momento, parevano essere le sicurezze mancate di Bill.
Riafforò quindi, stringendo i pugni sotto il tavolo ed arricciando le labbra. Sinceramente, non aveva capito.
"Mh?" borbottò alzando un braccio sulla superficie levigata del tavolo, dove quindi vi posò una guancia.
"L'anno scorso nemmeno mi hanno dato un briciolo di possibilità" spiegò Bill, continuando a non guardarlo, "Ti ricordi quel problema, no?"
Nasser annuì. Come dimenticarsi di quel casino?
"Ecco, non mi sono impegnato a dovere e quindi, già alle prime audizioni per far parte del team che participerà al torneo, mi hanno squalificato" mormorò, "In pratica, ho già buttato via un anno"
"Ma non mi dicevi che andavi agli allenamenti?"
Bill sbuffò, paziente come al solito. Nonostante tutto non poteva dargli colpe, l'anno precedente si era rabbuiato, chiudendo così ogni argomento che trattasse il nuoto con Nasser. 
"Certo," esclamò indulgente, "Ma non ci trattano allo stesso modo. Cioé, agli altri riservano tutto un altro trattamento, danno loro importanza e ci spendono molto tempo affinché migliorino giorno dopo giorno" Bill sentì un retrogusto amaro scivolargli lungo la gola. Delusione, tristezza, insuccesso.
Nasser pendeva dalle sue labbra, lo fissava curioso e per questo Bill si ritrovò ben predisposto a continuare a spiegargli l'accaduto.
"Per esempio," riprese convinto, "noi non participiamo agli allenamenti insieme al resto della squadra, non veniamo istruiti ... Cioé, gli istruttori non ci seguono, non ci calcolano per niente" senza accorgersene, Bill si rese conto di aver aumentato il volume della sua voce.
Si beccò un'occhiataccia dalla bibliotecaria che, dalla sua collocazione alle sue spalle, si era alzata dirigendosi verso di loro per ammonirli personalmente.
Gli occhiali le pendevano sul naso adunco, i piccoli occhietti li fissavano così ardentemente da bruciarli sul posto. 
Protese un dito, laccato di un blu smeraldo, sulla propria bocca, invocando ferocemente il silenzio.
Nasserarriciò le labbra annoiato, una volta che la donna diede loro le spalle per ritornare al suo posto. Spronò a continuare l'amico di parlare con un gesto della mano, alludendo alla futilità delle parole della bibliotecaria.
"Quindi" soffiò Bill, "quest'anno voglio passare le tre prove, voglio batterli tutti quanti" terminò finalmente, portandosi un ciuffo di capelli dietro la testa.
"Va bene" bisbigliò Nasser in risposta, "Ma ora non esageriamo" Rubò un accenno di sorriso divertito all'amico, che roteò gli occhi ridacchiando. 
Poi, Bill ritornò subito su quel libro, sfogliandolo ed agrottando la fronte, pensieroso.
"Cos'é?" domandò Nasser, reputando troppo faticoso allungare il collo e provare ad indovinare il tutto da solo.
"Ho qualche problemino sui tuffi di partenza" ammise con nonchalanche Bill, sminuendo il problema con un gesto della mano, "Quindi ho preso qualche volume su questo argomento"
"Conosco la tua tendenza a screditare le cose" Nassersi fece scrupoloso e attento, "E non é mai una buona cosa" 
Billsi rizzò su con la schiena, assumendo un'espressione dura e teatrale che improvvisamente lo tradì, addolcendosi in un sorriso amaro.
"Già" ammise debolmente; cercò di abbassare il tono, preoccupato del burbero schiarire della voce della bibliotecaria, "Il tuffo di partenza é di estrema importanza, dato che da esso ne dipenderà poi la velocità" cominciò a spiegargli sussurrando, "E, a dirla tutta, io voglio un preciso tuffo di partenza. Ho due settimane di tempo per raggiungere il mio obbiettivo"
"Quanto é grande il tuo problemino?" Nasser si riferì alla precedente confessione.
"In acqua non ho alcun problema, sono più che soddisfatto ..."
"Non girarci intorno" lo bloccò subito Nasser, "Vorrei cercare di aiutarti"
Bill si morse il labbro inferiore, allontanando gli occhi dalla figura del suo compagno. Ondeggiò con le pupille chiare, non osò soffermarsi su nessun oggetto in particolare. Intrecciò le dita sul tavolo, sfiorò ancora una volta il viso di Nassere decise finalmente di sciogliersi.
"La situazione é grave" gli concesse questa verità con le guance gonfie di orgoglio, nessuna traccia di debolezza, "E ..." respirò a fondo. Sentiva che da un momento all'altro, quelle stupide debolezze sarebbero saltate fuori mettendo a repentaglio la sua reputazione. Sopratutto se si trattava di Nasser, che sarebbe stato capace di punzecchiarlo fino alla sua, ormai vicina, morte.
Confessarsi ad Nasserequivaleva al suicidarsi, organizzare il proprio funerale. Esaurire ogni briciola di superbia e presunzione, rendersi ridicoli ai suoi occhi. E Nasser non faceva altro che rincarare la dose di dolore, spingerti sempre di più con le sue stesse mani nei fondali, con il sottofondo delle sue rozze e grasse risate di divertimento.
Nasser afferrò il libro che poco prima Bill stava studiando, assottigliò gli occhi e sbuffò. Estrasse dal suo zaino un paio di occhiali neri, se li posiziono per bene sulla punta del naso e schiarì la voce.
Puntò l'indice sulla definizione che più gli interessava, gonfiò il petto ed iniziò a leggere. 
Billgià si preparava al peggio; ora che Nasser ne avrebbe capito un po' di più, lo avrebbe sotterrato. Anzi, avrebbe scavato la sua fossa solo per il gusto di vederlo soffrire, poi lo avrebbe abbandonato morente di fianco, a crogiolarsi nel misero dolore recatogli con tanta cattiveria.
"Un tuffo eseguito correttamente si riconosce immediatamente per la sua angolatura a quarantacinque gradi" mormorò aggrottando le sopracciglia, "rispetto la superficie dell'acqua. Le mani entrano in contatto con l'acqua e successivamente il resto del corpo, che deve essere perfettamente allineato"
Nasser si soffermò un poco per degnare Billdi un'occhiata, poi si precipitò di nuovo su quell'enciclopedia, "Esistono diversi tuffi di partenza ..." borbottò il resto della frase con fare annoiato, "Poi esistono due tipi di tuffi," riprese nuovamente, forse più interessato, "il Grab Start, quando il nuotatore é generalmente posizionato con entrambi i piedi aggrappati al bordo anteriore del blocco ..."
Bill ascoltava attentamente, seppur quella definizione già la conoscesse a memoria. Era impressa nella sua mente da sempre. Fin da piccolo si era assimilato tanta teoria quanta pratica. Era questo il suo vero segreto, capire e proiettare quel che aveva studiato, nella realtà.
"E il tuffo Track Start, quando il nuotatore é posizionato con un piede sul bordo anteriore del blocco, e l'altro nella parte posteriore. Le mani si trovano negli angoli del blocco anteriore. Questa tecnica, che riprende la partenza dal blocco dell'atletica, é il modo più utilizzato ad alti livelli perché ritenuto molto efficace e veloce" e finalmente Nasser inspirò a fondo, unì lentamente le palpebre ed alzò il viso verso il compagno.
Scosse un po' il capo, come ad aver capito tutto quel che ronzava dentro la testa di Bill, e stremato schiuse le labbra.
"Scommetto che punti al ..." abbassò prontamente lo sguardo sul libro, "Al Track Start"
Bill annuì eccitato, contento che qualcuno fosse riuscito a snodare tutti i pensieri che gli tempestavano la mente. Che qualcuno lo avesse capito.
"Non ci riuscirai mai" lo smontò all'istante Nasser, "Se fai schifo come dici," e ridacchiò, come non detto, "non arriverai nemmeno alle audizioni"
Bill s'accigliò.
"Perché sarò io stesso, da ottimo amico, a fermarti dal renderti così ridicolo per il secondo anno di fila. E fidati che non mi farò alcun scrupolo a renderti la vita un inferno" terminò la frase buttandosi all'indietro, allineando la schiena con lo schienale, sorridendo sotto ai baffi.
Lo aveva in pugno, e Bill si crogiolò nella propria disperazione buttando la testa tra le braccia.
Per un istante, un misero secondo, pensò di trattenere il fiato fino a suicidarsi, asfissiato. Ma non poteva dargliela vinta.
I suoi occhiolini erano un'aria frizzante che penetrava fino alle sue ossa, un'acuminata e beffarda derisione. Li ignorò, semplicemente cercò di usare la sua parte razionale, così da non dare alcuna soddisfazione all'altro della sua sciagurata caduta.
"Dovresti accontentarti di qualcosa di semplice e allo stesso tempo efficace" gli spiegò Nasser, ora più serio, "Magari potrai recuperare con la tua immensa bravura in acqua" un tagliente dileggio sfuggì dalle sue labbra sarcastiche, "Ma intanto, il tuo punto debole" aveva nuovamente marcato quelle parole. 
Bill, esasperato, sbuffò.
"Non ti danneggierà, no?" concluse Nasser, rimuovendo gli occhiali dal naso.
Bill annuì, meno convinto che mai.
"Comunque," riprese di nuovo il riccio, più rilassato, "i miei genitori mi hanno mandato qualcosa. Ed io sono sicurissimo che quella manciata di banconote non avrà nemmeno il tempo di riscaldarsi che finirà dritta dritta al Game-Over, che ne dici?"
Per la prima volta, in quell'intenso pomeriggio, Bill si ritrovò a concordare in pieno con lui.

 

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