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Autore: NiagaraFalls    09/04/2016    0 recensioni
Com'è possibile vivere sotto il peso dei propri pensieri? I pensieri mi uccidono, mi corrodono dall'interno, come acido astratto la cui artefice sono io. Io ed esclusivamente io, perché siamo tutti vittime di altri, ma specialmente di noi stessi. Non so più piangere.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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car- tu Car- Tu,
    non so più come piangere. Oh, scusa, come stai? Io sto. Esisto, cerco di sopravvivere, di essere. È possibile non essere? Cogito ergo sum, quindi no. Sto pensando, credo. Da quando pensare è diventato così complicato? Mi fa male la testa, mi fa male il cuore, mi fanno male i polmoni. Respirare è difficile, il peso del nulla preme spesso sulla trachea e l'aria non va giù, non mi riempie. Eppure non ho niente. Sono sana, fisicamente. Quindi di cosa mi lamento? Non ho diritto di lamentarmi. Ho cibo, acqua, svago. Svago a cui mi rifiuto di prendere parte, perché il letto è più comodo. Il letto è casa, il letto ti accoglie e non giudica, il letto ti rovina. Il letto è il mio rifugio, eppure dormo male da mesi. Mi sveglio nel bel mezzo della notte, e mi chiedo perché non sia già mattina. La mattina mi sveglio, e mi chiedo perché non sia già sera. La mia è una sfilza di momenti vissuti non vissuti, momenti proiettati verso momenti non ancora vissuti che non vivrò pienamente. Ha senso? Non lo so, ultimamente non mi fido nemmeno della mia mente. Pensavo di essere logica, di essere razionale, di essere mentalmente abile. È per caso questa abilità mentale a rendermi così vitalmente inabile? Com'è possibile vivere sotto il peso dei propri pensieri? I pensieri mi uccidono, mi corrodono dall'interno, come acido astratto la cui artefice sono io. Io ed esclusivamente io, perché siamo tutti vittime di altri, ma specialmente di noi stessi. Non so più piangere.
Tecnicamente non è vero, perché piango sempre. Mi ritrovo a piangere di punto in bianco, per un pensiero che mi attacca quando sono più indifesa o quando credo di stare bene. Be', non di stare bene, ma quando penso di aver trovato un equilibrio giornaliero. È forse la routine? È forse il passato? Mi chiedo spesso cosa sia, a rendermi così inadatta a me stessa. Non mi piaccio, non è una novità. A volte immagino di uscire dal mio corpo, da tutto ciò che mi rende me, di strappare la carne e gettarla al suolo, per ritrovarmi un'anima trasparente e fluttuante sul mio veccho involcro. Un'anima ancora troppo simile a ciò che ero, e quindi immagino di lacerare il mio spirito e di uscire anche da esso. E quindi desidero di essere il nulla. Il nulla è la morte? Mi ritrovo terrorizzata anche dalla morte, perché la morte è qualcosa. E anche perché io desidero vivere, ma non so come. Non so come vivere sotto il peso della mia mente, di tutto il male che ci circonda. C'è così tanto dolore, dolore incolore e dolore incredibilmente colorato, dolore ovunque. Vedo il dolore in chi cammina per strada, vedo il dolore nei conoscenti, e soprattutto vedo come le persone a me care siano state forgiate dal dolore e non dal piacere. Vedo come io mi sia piegata di fronte al dolore e mi sia lasciata violare. Vedo il dolore in ogni dove, e non so come ignorarlo. Noto come tutto, sulla Terra, sia collegato, sia un procedimento causa-effetto, come dietro ad aspetto positivo ci sia del sacrificio e dello sfruttamento di altri. Se tutto è dominato da ciò, io sono parte del bene causato dal male. Quindi io sono colpevole, colpevole di una colpa non mia. Siamo tutti Adamo ed Eva, incastrati nel mondo come ingranaggi arrugginiti di una macchina ormai usurata. Nonostante la metafora biblica, sono atea. Non sono sicura nemmeno di questo, perché sono insicura di tutto. Vorrei essere religiosa, per potere credere in qualcosa, per potermi appigliare a un'ideologia. Per sapere, per avere l'assurda illusione che il dolore sia temporaneo e sarà sicuramente seguito dalla pace eterna. Però io desidero il nulla, e sono atea, e quindi affidata a me stessa e in balìa di me stessa.
Siamo tutti figli di genitori che non sono né eroi, né entità invincibili, ma semplicemente persone. Persone con le stesse insicurezze, con gli stessi sogni infranti, con gli stessi rimorsi. Persone che hanno dato vita ad altre persone. Niente di più, niente di meno. Crescendo si impara a conoscere i propri genitori e a volte li si perdona.
La vita mi affascina molto. Mi affascina la sua varietà, il suo spessore, la sua essenzialità. Mi affascina come la vita sia un processo uguale per tutti. Si nasce, si muore. C'è chi muore prima di nascere, c'è chi nasce e muore, c'è chi nasce, vive - pienamente o no - e muore. E mi chiedo, qual è il motivo? Perché viviamo? Qual è la nostra ragione di vita, qual è il senso di essa? Da millenni gli umani hanno trovato una ragione in comune, senza però riuscire a darci una spiegazione universale: l'amore. Secondo la cultura generale, l'amore cura, l'amore fa vivere. Ma c'è chi dice che l'amore corroda, che l'amore sia un'arma a doppio taglio. Ci credo, perché la lama ha penetrato anche me, ed io ho tagliato. E con masochismo mi sono lasciata tagliare e segnare. Segnata da un solo uomo, uomo che è migliore amico, protettore, rifugio, amante e anima opposta. Uomo che mi ama, ma io devo
ancora imparare come amare me stessa.
  
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