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Autore: Carme93    10/04/2016    2 recensioni
Anno 2020.
L'ombra sta nuovamente calando sulla comunità magica inglese (o forse europea) ed ancora una volta toccherà ad un gruppo di ragazzi fare in modo che la pace, con tanta fatica raggiunta, non venga meno.
Tra difficoltà, amicizie, primi amori e litigi i figli dei Salvatori del Mondo Magico ed i loro amici saranno coinvolti anche nel secolare Torneo Tremaghi, che verrà disputato per la prima volta dal 1994 presso la Scuola di Magia e stregoneria di Hogwarts.
Questo è il sequel de "L'ombra del passato" (l'aver letto quest'ultimo non è indispensabile, ma consigliato per comprendere a pieno gli inevitabili riferimenti a quanto accaduto precedentemente).
Genere: Avventura, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Un po' tutti | Coppie: Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Disclaimer: i personaggi appartengono a J.K. Rowling e questa storia non ha scopo di lucro (scusate dimentico sempre di scriverlo).
 
Capitolo secondo

Furto al Louvre

I Flamel erano un’antica e stimata famiglia. La loro fama derivava essenzialmente dalla figura di Nicolas Flamel, nato nel XIV secolo a Parigi. Egli era un alchimista ed è noto per aver fabbricato la pietra filosofale, con la quale poté realizzare l’Elisir di Lunga Vita. Grazie a questa pozione egli visse fino alla veneranda età di 665 anni, mentre la moglie fino ai 658. La residenza più antica dei Flamel è sita al numero 51 di rue de Montmorency ed è anche una delle prime case in pietra di Parigi. Oggi a Parigi esiste la rue Nicolas Flamel, nei pressi del Museo Louvre e si incrocia con rue Perenelle (dal nome della moglie di Flamel). Oggi la famiglia risiede in un altro antico palazzo, posto proprio al principio della via dedicata a Nicolas, ma dalla sua morte si è tendenzialmente chiusa in sé stessa nel tentativo di mantenere invariato il proprio prestigio. L’immenso palazzo, che occupa quasi un intero isolato, consta di tre piani, più un vesto sotterraneo che Flamel aveva usato come laboratorio personale. Il primo piano è occupato da vasti saloni di diverso stile che denotano l’antichità dell’edificio, ma anche le diverse mani femminili che si sono susseguite nel tempo. Al secondo piano c’è la camera da letto di Nicolas e Perenelle, degli attuali padroni di casa e l’immensa e bellissima biblioteca di famiglia, contenente tomi antichi e preziosissimi, che Nicolas si era premurato di raccogliere per più di seicento anni. Il terzo piano invece aveva un’ampia terrazza che dava una vista panoramica sulla capitale francese e le decine di stanze da letto per il resto della famiglia e per i suoi ospiti. L’ingresso principale dell’edifico dava sulla strada, mentre sul retro c’era un giardino bellissimo, con prati, radure, fontane, curato e voluto primariamente da Perenelle (naturalmente il tutto era nascosto alla vista dei Babbani, grazie ad un alto muro di cinta).
«Non dovremmo entrare qui. Se tuo padre ci becca, sono guai».
«Lo so, Louis, ma devo assolutamente farti vedere che cos’ho scoperto in primavera. Sono mesi che aspetto che tu venga. Sai che noia da solo con i miei? Tu almeno vai in una scuola babbana, sai quanto avrei pagato per poterci andare anche io? Tua madre non è mai riuscita a convincere i miei purtroppo».
Un ragazzino dai lineamenti graziosissimi e fini, fece un sorrisino triste al coetaneo e cugino, biondo e chiaro quanto lui. Valentin Flamel, undici anni compiuti da meno di un mese, non aveva sentito altro durante la sua ancor breve vita, oltre al fatto che era l’erede della notissima famiglia Flamel e non avrebbe avuto a che fare con nessun altro se non con i suoi noiosissimi precettori, se non fosse stato per Apolinne, sua sorella maggiore, ed i cugini: Louis, Dominique e Victoire, che però vivevano in Inghilterra e potevano incontrarsi solo un paio di volte l’anno, se andava bene. Il Natale precedente, per esempio, sua madre aveva deciso di andare in vacanza in America ed a nulla erano valsi i suoi capricci per andare in Inghilterra, anche da solo.  Finalmente dopo mesi i suoi cugini erano andati da lui a Parigi. Louis Weasley e Valentin Flamel non avrebbero avuto quasi nulla in comune se non fosse stato per l’ottavo di sangue Veela che scorreva in loro; caratterialmente erano come il giorno e la notte. Louis era tranquillo e molto timido, tanto da non spiccicar parola davanti agli estranei, ma anche con gli zii francesi se non obbligato, per di più era un bambino obbediente e studioso. Valentin, invece, era sempre pronto a far dispetti agli adulti, era sfrontato e spesso risultava maleducato, ma soprattutto era la disperazione dei suoi precettori. Sua madre era costantemente arrabbiata con lui, anche perché, non rendendosi conto di quanto desse fastidio al figlio, lo paragonava sempre al cugino. Suo padre Emile a malapena faceva caso a lui, anche perché per esperienza sapeva che in ogni caso sarebbe stato l’erede di tutto, indipendentemente dalla sua educazione; per cui non comprendeva minimamente le preoccupazioni della moglie: suo figlio avrebbe avuto qualunque cosa allo scrocchiare delle dita, tanto valeva che facesse da subito ciò che più gli aggradava. Per conto proprio Valentin non dava troppo peso a quel che si diceva di lui e si comportava come se il figlio per cui i genitori discutevano spesso non fosse lui; anzi non era lui: era l’erede; ma Valentin non voleva essere l’erede di un bel niente. Adorava andare in Inghilterra perché fuggiva al controllo asfissiante della madre e giocava come ogni bambino insieme ai cugini ed ai loro amici. Odiava l’enorme palazzo per cui gli altri maghetti, che aveva avuto modo di incontrare, lo invidiavano. Era troppo grande per un bambino solo e sua sorella aveva ben sei anni più di lui e si interessava solo ai vestiti ed ai ragazzi. Le stanze del secondo piano erano le uniche in cui non poteva entrare, per cui era proprio in quelle che andava appena i genitori uscivano per conto loro e a nulla valevano le suppliche degli elfi domestici che avrebbero condiviso parte della colpa se fosse stato beccato. In modo particolare lo attirava la biblioteca perché sapeva che il cugino la adorava e voleva avere qualcosa di fantastico da raccontargli ogni qual volta andava a trovarlo. E in questo caso era eccitatissimo, perché aveva fatto una scoperta strabiliante. Così appena le loro madri e le loro sorelle erano uscite in compagnia di Teddy Lupin e dello zio Bill (suo padre non andava mai a far compere con la moglie), Valentin aveva trascinato suo cugino in biblioteca.
«Ti assicuro, che non te ne pentirai» disse scacciando i brutti pensieri.
«Mmm speriamo, non voglio far arrabbiare i miei» borbottò Louis.
«Nessuno saprà che siamo stati qui oggi! Stai tranquillo, siamo soli in casa, chi dovrebbe scoprirci?».
«Hai detto quella cosa ai tuoi?».
«No, ho fatto di meglio».
«Cioè?» chiese Louis, cui non piaceva la strana luce che illuminava gli occhi del cugino.
«Ho usato quella piuma che falsifica la scrittura, quella che Domi ha regalato ad Apolline lo scorso Natale».
«Per far che?» chiese Louis sollecitandolo a parlare, visto che l’altro si aspettava proprio questo.
«Per falsificare la calligrafia di mio padre, naturalmente. La lettera di Beauxbatons arriva prima della vostra. Ho risposto alla Preside che in quanto erede del Casato che preferisco, cioè mio padre preferisce, istruire mio figlio a casa».
«Ma è una bugia!».
«Certo, che lo è. Ma a fin di bene».
«Il tuo bene, s’intende».
Valentin annuì felice. «Ed ho scritto anche alla vostra Preside chiedendoli di ammettermi ad Hogwarts! Non ha ancora risposto, ma sono sicuro che mi manderà la lettera di ammissione insieme a quelle degli altri! Ti rendi conti? Verrò a Scuola con te e Domi!».
«È assurdo, Vale! Quanto pensi di poterlo tenere nascosto ai tuoi?».
«Fin quando non sarò ad Hogwarts oppure me lo impediranno. I Flamel sono sempre stati allievi di Beauxbatons. Che ti salta in mente stupido che non sei altro! Questo mi ha risposto mio padre quando gliel’ho accennato e mi ha dato anche uno scappellotto».
«Quale è il piano?» chiese rassegnato Louis.
«Il 31 agosto farò richiesta di una passaporta urgente a nome di mio padre. Il Ministero non gli dice mai no e così me ne vengo a Londra, da lì alla stazione sarà un giochetto. In più sarò in territorio inglese, non mi può più toccare no? Ci vedremo sul treno, perché i tuoi farebbero ostacoli. Io spero di essere un Grifondoro, tu?».
Louis lo osservò in silenzio per qualche secondo e si chiese se per caso non avessero esagerato con i racconti su Hogwarts. «Sì, certo anche io. Mio padre e le mie sorelle sono stati smistati in Grifondoro» bofonchiò poco convinto. «Il tuo piano è folle però».
«La fortuna aiuta gli audaci, non dimenticarlo mai».
«Saresti un Grifondoro perfetto».
«Lo so e non vedo l’ora».
«Ma Beauxbatons non è male come Scuola, mamma è sempre felice quando parla dei suoi trascorsi scolastici ed è anche un bel posto. Soprattutto qui in Francia non piove spesso come in Inghilterra».
«Cavoli, Louis! Nemmeno tu mi capisci?» chiese Valentin con le lacrime agli occhi. «Io voglio andarmene da qui! Voglio venire in Inghilterra con voi! Sono stanco di essere solo! E non mi dire che a Scuola non lo sarei! Sarei l’erede dei Flamel! Il fratellino di Apolline. E soprattutto voglio allontanarmi il più possibile dai miei genitori. Se verrò lì a Scuola, sarà più facile che durante le vacanze io possa venire a casa tua. Mi capisci almeno tu? Ti prego».
Louis annuì, comprendeva eccome, aveva sentito un milione di volte sua mamma lamentarsi della sorella con suo padre: da quando aveva sposato un Flamel aveva perso la testa e non si rendeva conto che prima o poi, se non avessero cominciato a trattarlo come un bambino, Valentin avrebbe fatto qualche sciocchezza grave prendendola come uno dei suoi soliti dispetti. Ebbene sua mamma aveva avuto ragione: suo cugino stava progettando di scappare di casa e visto che i suoi zii davano per scontato che il figlio facesse quello che volevano loro, probabilmente ce l’avrebbe fatta e quando loro se ne sarebbero accorti, lui sarebbe stato ormai diretto in Scozia. Non fece commenti sul fatto che si trattava di un minorenne ed il Ministero inglese non avrebbe mosso un dito in suo favore, senza contare che il suo pesante cognome l’avrebbe seguito anche ad Hogwarts.
«Come posso aiutarti?».
«I libri. Tuo padre ti ha promesso che ti comprerà tutti i libri nuovi, vero?».
«Sì, Domi usa quelli di Vic, ma ha il brutto vizio di impasticciarli tutti, di disegnarci e di scriverci sopra con le sue amiche. Papà mi ha promesso di comprarne una copia nuova tutta per me».
«Bene, allora tu metti nel baule anche quelli di Vic del primo anno e poi me li dai ad Hogwarts. Pensi di poterlo fare senza problemi?».
«Domi li ha buttati in cantina e Vic ha tenuto solo quelli pozioni e degli ultimi due anni in camera, anche perché servono anche a Domi».
«Sì, ma puoi prenderli senza che i tuoi ti facciano domande?».
«In realtà l’ho già fatto. Papà ha detto che andremo a comprare il materiale solo dopo che arriverà la lettera anche a Domi e probabilmente dopo il matrimonio di Vic. Io volevo dare un’occhiata a quello che faremo al primo anno, per cui sono andato a cercare i libri vecchi. Sono tutti in camera mia, anche quello di pozioni».
«Magnifico, non ti resta che tenerli lì e poi metterli nel baule. Ok?».
«Sì, va bene. Lo farò, te lo prometto».
«Grande, Louis. Non devi dire nulla ai tuoi, però!».
«Tranquillo, papà dice che posso servirmi a piacimento dei libri che ci sono in casa, tranne quelli delle mie sorelle, anche perché mi ucciderebbero».
«Per Vic non sarà un problema se tengo io il libro di pozioni?».
«No, non credo. Lo tiene lì solo in caso di necessità, ma lei adesso usa i manuali di Pozioni Avanzate».
«Comunque ho tenuto d’occhio papà, come mi hai chiesto. L’ho visto parlare con dei tizi con l’accento straniero. A me è sembrato proprio inglese. Sono venuti un paio di volte e papà li ha fatto vedere la biblioteca. Non so che cosa si siano detti, perché mi ha cacciato. Ah, sono venuti anche degli Auror. Mamma e papà li hanno fatti accomodare in salotto. Mi hanno fatto rimanere. Gli Auror li hanno chiesto se era entrato in contatto con qualcuno di particolare negli ultimi tempi e soprattutto con qualche inglese. Papà si è alterato ed ha alzato la voce affermando che non dovevano nemmeno permettersi di fare certe domande ad un Flamel. Gli Auror non si sono fatti intimidire ed hanno riposto le domande e mio padre ha risposto di no. Ma ha mentito, capisci? Quei tizi li aveva già incontrati! Ed ho sentito i nonni arrabbiarsi con mamma: le hanno detto che avrebbe dovuto richiamare suo marito e non permettergli di alzare la voce in quel modo contro le forze dell’ordine, che in quel modo non ha fatto altro che darmi un cattivo esempio. Ma io so che ha mentito! Io non mi fido più di lui. In più lui e la nonna hanno litigato. Qualche giorno dopo la nonna è stata male…».
«La nonna è stata male?» lo interruppe Louis. «Ma mia mamma lo sa?».
«No, non credo. È stata un’intossicazione alimentare. Appena si è ripresa nonno ha voluto lasciare il palazzo. Non so perché. Da quando sono nato, loro sono sempre stati qui. Nessuno mi ha spiegato nulla. Nonna mi ha detto che preferiva stare nella sua villetta di campagna, perché l’aria di città le fa male. Ma se n’è accorta proprio adesso dopo più di undici anni? In più siamo andati noi da loro per festeggiare il mio compleanno. Mio padre non è voluto venire. Mamma era dispiaciuta, ma non hanno detto nulla in proposito. I nonni sembravano contenti di non vederlo. Doveva essere il mio compleanno più bello ed invece è stato il peggiore. Apolline non è voluta venire, perché aveva gli esami a Beauxbatons ed ha detto che doveva studiare, ma non è vero. Lei non studia mai, semplicemente voleva starsene con i suoi amici. In più mentre la nonna stava male, nonno e papà hanno litigato e sono sicuro che è per questo che se ne sono andati. E papà nonostante non mi voglia tra i piedi, non ha mai permesso che io dormissi dai nonni».
Louis aveva ascoltato ogni sua parola con sorpresa crescente: «Ecco perché mamma e zia Gabrielle ieri hanno discusso! Mamma non sapeva tutte queste cose!».
«Già, adesso sbrighiamoci prima che tornino tutti».
Louis lo seguì verso il fondo della biblioteca, staccando a fatica gli occhi dall’uroboro di cui aveva parlato allo zio Harry diversi mesi prima. E così gli Auror francesi non avevano ottenuto nulla.
«Ecco» disse eccitato Valentin indicando il caminetto spento.
Louis lo osservò interrogativo: quel caminetto era vecchio quanto la casa, anche se forse non veniva acceso da quando il nonno di Valentin era morto.
«Ho scoperto un passaggio segreto!». Valentin si sporse in avanti ed inserì la testa dentro il caminetto. Alla fine la tirò fuori e con il viso un po’ sporco di cenere sorrise al cugino, mentre sotto i loro occhi la parte interna del camino si apriva e lasciava intravedere un buio corridoio.
«Dove porta?» domandò subito Louis.
«Non lo so. È lungo. Non l’ho mai percorso tutto. Ho sempre avuto paura che i miei mi cercassero. Comunque ho iniziato ad usarlo come nascondiglio».
«È davvero una scoperta fantastica! Tuo nonno mi ha detto, che la biblioteca, come tutto il palazzo d’altronde, è stato progettato da Nicolas Flamel in persona. Non l’ha messo qui per caso, Vale! Ti rendi conto?» disse tutto d’un fiato Louis con gli occhi che brillavano. «Potrebbe portare addirittura ad un laboratorio segreto, dove ha conservato i suoi appunti sulla pietra filosofale!».
Valentin non fece in tempo a replicare, che sentirono delle voci e la porta della biblioteca aprirsi.
«Ma non erano tutti fuori?» chiese spaventato Louis.
Suo cugino non rispose e lo spinse dentro il caminetto e poi nel corridoio buio. L’apertura segreta si chiuse senza fare il minimo rumore. Louis odiava il buio, preferiva beccarsi un castigo che rimanere lì un secondo di più; Valentin lo bloccò e sussurrò: «Ci sono io tranquillo. Non ci allontaniamo, rimaniamo qui. Appena se ne vanno, usciamo anche noi».
Louis cercò di tranquillizzarsi e si mise a sedere, stringendo le gambe con le braccia e cercando di non guardare il buio che si estendeva senza fine alla sua destra.
«Allora Flamel, quest’accordo?» la voce aspra che aveva parlato aveva un inconfondibile accento inglese.
«Mi hanno cercato ancora gli Auror! Mi avevate assicurato che non vi è nulla di illegale!» disse una voce altrettanto aspra, che riconobbe essere quella dello zio Emile. Valentin fremette di fronte a lui. Non poteva vederlo al buio, ma avrebbe potuto scommettere che non si stava perdendo una battuta.
«Razza di idiota! Vogliamo gli appunti di Nicolas Flamel! Ce li hai promessi! Non ce ne frega un cavolo die tuoi problemi con gli Auror. E comunque è Potter che non sta tranquillo a Londra. Vuole anche lui quelli appunti. Te l’ho spiegato un milione di volte con noi ci guadagni di più. Siamo disposti a darti un bel po’ di galeoni. Stai attento, però, noi non siamo pazienti come gli Auror» rispose la stessa voce di prima.
Si sentirono delle risatine. Dovevano essere almeno tre o quattro persone.
«Ok vi darò quello che volete, ma visto il rischio che sto correndo con gli Auror pretendo almeno mille galeoni in più di quelli concordati» disse zio Emile.
«Ahó ma chi credi di essere?» sbottò un’altra voce.
«Su, su. Emile ci sa fare, vero? Avrai altri mille galeoni. Sono tutti qui, ma prendi gli appunti del tuo avo» replicò la prima voce, che doveva appartenere al capo.
Nella stanza risuonò un tintinnare di monete, dopo ci furono diversi minuti di silenzio.
«Ecco a voi. Io sono un uomo di parola. Questo è il grimorio di Nicolas Flamel. È stato disilluso, naturalmente. Un incantesimo molto potente, ma la vostra Signora sarà in grado di leggerlo, ve l’assicuro».
«Spero per te che non ci stai prendendo in giro. La famiglia Flamel ha una storia antichissima, ma ti giuro che noi ci metteremmo pochissimo a cancellarla dalla faccia della terra! Sono stato chiaro?».
«N-naturalmente».
«Bene, ora noi andiamo. Prenditi il denaro».
Ci fu un altro tintinnare di monete e poi di nuovo silenzio.
«Vi accompagno» disse zio Emile.
Appena la porta della biblioteca si chiuse alle loro spalle Valentin saltò fuori insieme a Louis e scapparono di corsa da lì. Solo quando si furono chiusi la porta della camera di quest’ultimo alle spalle, presero fiato. Rimasero in silenzio per un bel po’ di tempo, alla fine Valentin parlò:
«Tu lo sai vero che nessuno sa dove Nicolas Flamel ha nascosto i suoi grimori prima di morire?».
«Sì, tuo padre che cos’ha in testa? Se quelli sono gli uomini a cui mio zio dà la caccia…».
«Ci ha venduto! Ecco cos’ha fatto! I soldi sono più importanti di noi per lui! Quelli uomini si vendicheranno! Dobbiamo andarcene. Devi avvertire tuo zio!».
«Sì, ma come? Un gufo ci metterebbe troppo tempo!» ribatté Louis con voce tremante. «Dobbiamo dirlo a mio padre».
«No, gli adulti non ci crederanno mai! Sarebbe la sua parola contro la nostra! Finiremmo solo nei guai. Non puoi chiamarlo per telefono?».
«Telefono? Sì, ce l’ha, ma sarebbe una chiamata internazionale! Sai quanto costano?».
«Paga mio padre, appena arriva il messaggino di notifica glielo cancello e non lo saprà».
Louis acconsentì e scesero insieme al primo piano. Valentin lo condusse dentro uno dei salotti preferiti dalla madre e qui su una mensola trovò uno degli ultimi modelli di Iphone messi in vendita dalla Apple.
«Questo è della mamma. Papà gliel’ha comprato solo perché lo possa mettere in mostra con le amiche. Lei non lo sa nemmeno usare e lo lascia quasi sempre a casa. Io di solito ci gioco di nascosto. Ricordi il numero a memoria?».
«Sì, quello di casa di mio zio».
Valentin gli porse il cellulare e rimase in attesa, ma Louis gli disse: «Guarda che non l’ho mai usato, mamma e papà ne hanno comprato uno a Vic, ma è un androide e comunque io non ho il permesso di usarlo. Non ho idea di come si apra lo schermo o la schermata con i numeri».
Il cugino sbuffò e si riprese il telefonino. «Anche a me l’hanno vietato, secondo me sei troppo obbediente… Detta il numero».
Pochi secondi dopo Valentin aveva fatto partire la chiamata.
«Avanti rispondi!» lo esortò.
Louis prese il cellulare ed attese. I secondi sembrarono dilungarsi e Valentin era così curioso che non andò nemmeno a controllare che non arrivasse qualcuno.
«Credo che l’operatore telefonico li chiederà se vogliono accettare la chiamata, se non lo fanno siamo fregati» aggiunse Valentin.
Louis non replicò e continuò ad attendere in silenzio.
«Pronto? Qui è casa Potter. Chi parla?» la voce squillante di sua cugina Lily, per poco non gli perforò un timpano. E chi se non Lily avrebbe accettato subito una chiamata internazionale?
«Lily! Sono Louis. Tuo padre è a casa?».
«No, è ancora a lavoro. Ma tu sei ancora in Francia?».
«Lily con chi parli?» Louis sentì la voce di Albus intromettersi. «Con Lou! Ha chiamato dalla Francia! Vuoi salutarlo?».
«Lily hai accettato una chiamata dalla Francia senza dirlo alla mamma?» chiese esasperato Al.
«Lily, passami Albus devono chiedergli una cosa importante!». Sentì la cuginetta sbuffare. «Che siete noiosi. Ecco te lo passo».
«Lou, che succede?» chiese subito Albus.
«Ascolta, mio zio Emile si è incontrato con degli uomini con accento inglese. Non li ho visti in faccia. Li ha venduto il grimorio di Nicolas Flamel, ma in realtà lui non è in possesso. Non lo è mai stato. Capisci? Devi dirglielo a tuo padre! Quelli lì l’hanno minacciato e…».
«Che diavolo state facendo voi due?» la voce di zia Gabrielle fece saltare Louis, Valentin gli strappò il telefono dalle mani e chiuse la telefonata. «Con chi stavate parlando?».
Era entrata nel salotto in compagnia di tutti gli altri senza che la sentissero.
«Ecco vedi mamma» iniziò Valentin, «Louis aveva nostalgia dei suoi cugini, così l’ho fatto chiamare con il tuo cellulare. È vero che sei contento di aver sentito… com’è che si chiama?».
«Al» replicò Louis con un filo di voce. Percepiva su di sé gli sguardi di tutti: i suoi avevano un’espressione tra il sorpreso ed il preoccupato, quella di Domi ed Apolline era divertita, inquisitoria quella di Vic e Teddy che avevano smesso da lungo tempo di prendere per vere ogni parola che fuoriusciva dalla bocca di Valentin. Avrebbe voluto sprofondare.
Molto più tardi, quando si rigirava tra le coperte senza riuscire a prendere sonno Louis si disse che lui e Valentin avevano avuto una fortuna assurda. Quasi tutti si erano bevuti od avevano fatto finta di bersi la scusa inventata da Valentin. La verità è che prima di partire aveva fatto un macello ai suoi, proprio per rimanere a casa con i nonni ed i suoi cugini; per cui che avesse nostalgia di casa non li era parso troppo strano, certo i suoi genitori l’avevano comunque sgridato per aver usato il telefonino della zia di nascosto e non averne parlato direttamente con loro. Per quanto lo riguardava era rimasto in silenzio tutta la serata ed aveva mangiato pochissimo, e ciò in realtà li aveva fatti preoccupare tantissimo; ma non era colpa sua se in quella casa si mangiava sempre roba complicata, di alcune portate non aveva capito nemmeno il nome.
«Louis?». Sobbalzò e si voltò verso suo padre. Non l’aveva sentito entrare. «Oh, meno male temevo che già dormissi». Bill Weasley avanzò nella stanza in penombra e si avvicinò al letto. Con un lieve sorriso gli porse quello che Louis riconobbe come un sandwich semplicissimo con prosciutto, formaggio e lattuga. Lo prese felice e gli diede un morso.
«Grazie» disse, dopo aver ingerito il primo boccone. Bill attese in silenzio osservandolo mangiare.
«Se continui così, nessuno avrà mai problemi a invitarti a pranzo. Disdegni l’alta cucina e mangi poco. Decisamente un convitato economico» disse poi sorridendogli. Louis ricambiò il sorriso e scrollò le spalle. «Mi dispiace avervi fatto preoccupare, ma proprio quelle cose non mi piacciono» sospirò dopo aver mangiato tutto il sandwich. «È vero che mi manca casa, ma non così tanto da dovervi preoccupare».
«Hai chiamato a Londra, Louis. Certo che ci dobbiamo preoccupare. E la mamma si sente in colpa, però non è dipeso solo da lei. Per quanto tu sia un bambino tranquillo, non ti volevo lasciare due settimane dai nonni. Cominciano ad essere anziani e le responsabilità le sentono. E poi anche questa è la tua famiglia, per quanto non ti entusiasmi».
«Io voglio bene a zia Gabrielle e soprattutto mi piace giocare con Valentin. Non mi piace questo posto. Andiamo dai nonni in campagna? Che bisogno c’è di restare qui? In fondo siamo venuti soprattutto per loro».
«Penso che faremo così».
«Papà, vuoi sapere la verità?».
«La verità?» chiese Bill.
«Sì, sulla telefonata. Quella di Valentin era solo una scusa».
«Ah, quindi avete o non avete chiamato a Londra?».
«Questo sì. Ho chiamato zio Harry, ma non era in casa. Ho avuto il tempo di parlare solo con Lily ed Al. Ho lasciato un messaggio ad Al».
«Non capisco, Louis. Che dovevi dire di così urgente a zio Harry?».
«Oggi pomeriggio io e Valentin abbiamo origliato una conversazione di zio Emile con degli uomini. Non li abbiamo visti in faccia, perché eravamo nascosti. Avevano l’accento inglese ed a pensarci bene parlavano francese male, un po’ come te. Anche peggio. Zio ha venduto loro un grimorio di Nicolas Flamel, affermando che lì dentro vi sono i suoi appunti. Tutti noi sappiamo però che nessun membro della famiglia ha mai visto quegli appunti. Quegli uomini l’hanno minacciato. Hanno detto che se li stava prendendo in giro, avrebbero messo fine all’intera famiglia».
Bill aveva ascoltato con attenzione e la sua espressione era diventata man mano sempre più pensierosa.
«Perché non ce l’avete detto?».
«Ci avreste creduto? Dai, la parola di due undicenni contro quella di un mago adulto?».
«Ma a me lo stai dicendo adesso».
«Tu non sei gli altri. Non mi piace dirti le bugie e poi ho tanta paura».
Bill si chinò su di lui e lo abbracciò stretto. «La casa è ben protetta non hai nulla da temere. Gli Auror pattugliano l’isolato. I Flamel sono abbastanza potenti da potersi permettere la migliore delle protezioni, ok?».
Louis continuava ad essere preoccupato, ma annuì.
«Domani parleremo del tuo comportamento di questo pomeriggio» lo avvertì con una punta di severità nella voce. «Adesso dormi, buonanotte». Bill lo baciò sulla fronte e poi uscì dalla stanza silenziosamente così com’era entrato.
Louis sospirò, ma non prese sonno. Lesse svogliatamente qualche pagina di un fumetto francese che gli aveva prestato Valentin un paio di giorni prima. Anziché tranquillizzarsi, però, si stava inquietando sempre di più. Si alzò con l’intenzione di andare nella camera dei suoi genitori, ma un urlo lo gelò sul posto. Ad esso ne seguirono altri e nel corridoio scoppiò il caos. Si fece coraggio ed uscì, ma quello che vide lo spaventò ancor di più. Nonostante fosse quasi l’una di notte, il corridoio era tutto illuminato; ma soprattutto vi era un gruppo di uomini con la veste nera ed una maschera argentata. Proprio come nelle foto sulla Gazzetta del Profeta. Valentin lo raggiunse di corsa terreo in volto. Incantesimi scudo furono innalzati dagli adulti, ma questi erano decisamente in minoranza.
«Dominique» urlò Bill Weasley, «porta i bambini fuori da qui!».
Domi nonostante il caos lo sentì, meccanicamente si volse verso di loro e li incitò a scappare dall’ala libera del corridoio, voltando le spalle ai duelli e seguendoli. La situazione al piano di sotto non era delle migliori, anzi vi erano altrettanti uomini e zia Gabrielle, zio Emile ed alcuni guardia-maghi al servizio dello zio tentavano di bloccare un altro gruppo di Neomangiamorte che andava verso la biblioteca.
«L’edificio è nostro» disse uno di loro ad Emile Flamel. «Hai tentato di prenderci in giro? Perderai ogni cosa questa notte, magari ti lasceremo la vita. Dopo che avremo distrutto ogni cosa, la morte sarebbe come farti un favore».
Dominique gemette e si fermò appena in tempo prima di svoltare il corridoio e farsi vedere, trattenne anche Valentin e Louis.
«Siamo spacciati» mormorò con voce tremula, che mai Louis le aveva sentito. «Forse saremmo dovuti rimanere sopra con mamma e papà. Voi non avete nemmeno la bacchetta. Non abbiamo via di uscita. Sarebbe assurdo combattere con tutti loro e anche se riuscissimo ad arrivare alle scale, sotto ce ne sono altri. Sentite i lamenti degli elfi domestici ed i rumori di vetri infranti?».
«P-possiamo usare il passaggio segreto in biblioteca. Da qualche parte dovrà pur portare e la porta al momento non è sotto l’attenzione di quegli uomini. Sono occupati a torturare i miei. Se riuscissimo ad uscire potremmo chiedere aiuto» disse Valentin.
«Papà ha detto che la casa è sorvegliata dagli Auror, arriveranno a momenti» sussurrò Louis.
«Temo proprio di no, se no sarebbero già qui. Qualcosa è andato storto. Lasciate che vi disilluda e poi tirerò questo detonatore abbindolante tanto per prendere un po’ di tempo. Poi ci buttiamo dentro la biblioteca. Pronti?».
I due annuirono.
«Perché vai in giro con i prodotti di tuo zio?» le domandò Valentin.
«Ho un conto in sospeso con Apolline» borbottò Dominique, prima di disilluderlo.
Louis percepì una sensazione di freddo quando sua sorella lo colpì in testa con la bacchetta. Domi stringeva il detonatore tra le mani; prese un bel respiro: il saltar fuori, il tirarlo ed il correre fu un tutt’uno. Non si fermarono minimamente a vedere se il diversivo avesse funzionato. Con il cuore a mille Domi si chiuse la porta della biblioteca alle spalle.
«Homenum revelio» sussurrò. «Bene qui non c’è ancora nessuno. Colloportus» disse sigillando la porta. «Avanti questo passaggio?».
Valentin e Louis corsero verso il caminetto; mentre qualcuno là fuori tentava di forzare la porta, aprì il passaggio e si infilarono all’interno tutti e tre. Domi sigillò anche quell’entrata e poi per un tempo che a Louis parve infinito, procedettero al buio nel corridoio.
«Dovremmo essere abbastanza lontani. Lumos» sussurrò Domi. La luce fioca della sua bacchetta illuminò le pareti di pietra. Camminando si avvidero che ad intervalli regolari vi erano delle lanterne eleganti appese alle pareti. Valentin raccontò a Domi tutto quello che erano accaduto nel pomeriggio.
«Tuo padre è un idiota» sbottò lei alla fine. «Non hai proprio idea di dove stiamo andando? Sono almeno dieci minuti che camminiamo e credo che ci siamo allontanati da casa tua».
«No, te l’ho detto».
Louis tirò su con il naso ed intervenne. «Credo che abbiamo cominciato ad allontanarci da casa nel momento in cui abbiamo sceso quelle scale. Siamo scesi più in basso del laboratorio sotterraneo di Nicolas Flamel».
«Non ci resta che continuare e trovare l’uscita».
Meno di cinque minuti dopo in effetti trovarono delle nuove scale ed iniziarono a salire per trovarsi ad una porta di legno massiccio. Questa al tocco di Dominique si animò e disse con voce cavernosa: «Solo un Flamel».
Superato il momento di sorpresa e spavento Valentin si fece avanti e toccò la maniglia di ottone: «Io sono Valentin Nicolas Flamel, fammi entrare».
«Sì, lo sei. Ma perché dovrei farti entrare? Nicolas non ha mai portato nessuno qui e mi ha raccomandato che se fosse morto, avrei dovuto fatto entrare solo un suo erede, ma questi avrebbe dovuto meritarselo» replicò la porta. «È inutile che tiri l’anello, brutto teppista. Mi fai solo male. È messo solo per bellezza, mi apro da sola e solo se voglio».
«Ma per favore!» sbottò Domi. «I Neomangiamorte hanno attaccato la casa, non vorrai farci morire di stenti qui davanti a te? Tanto sarebbe valso combattere e farci uccidere da loro!».
«Chi è entrato nel Palazzo del mio amico Nicolas?».
«Uomini cattivi che vogliono impadronirsi degli appunti del tuo amico; ma ti prego aiutaci» intervenne Louis supplichevole.
«No, dovete dimostrare di esserne degni. Ho un indovinello per voi. Ascoltate con attenzione.
La mia vita può durare qualche ora
quello che produco mi divora
sottile, son veloce
grossa, sono lenta,
ed il vento molto mi spaventa»
«Ci mancava la porta degli enigmi» borbottò Dominique.
«Un po’ di rispetto madamoiselle. Avanti trovate la soluzione e vi farò entrare. Nicolas apprezzava solo gli uomini intelligenti».
Si sedettero sui gradini e per la prima volta quella sera Dominique cedette davvero e scoppiò in lacrime. Louis non l’aveva mai vista così… così indifesa. Distolse lo sguardo e tentò di concentrarsi solo sull’indovinello. Valentin si avvicinò alla cugina per consolarla ed a mezza voce malediva la porta ed il suo schifosissimo destino che l’aveva fatto nascere proprio in quella famiglia di pazzi. Il tempo sì sa scorre molto velocemente quando vorremmo che si fermasse e così accadde quella notte. Fortunatamente Louis saltò su esultando dopo nemmeno cinque minuti ed osservò la porta trionfante. «La risposta te la posso dare io o dev’essere per forza un Flamel?» chiese con un certa arroganza che sorprese gli altri due.
«Fa’ pure» concesse la porta.
«La candela. Non dura assai e nel produrre luce si consuma. La sua grandezza aumenta o diminuisce la velocità con cui si consuma e naturalmente il vento spegne la fiammella».
«Bene, bene. Prego entrate, ma mi raccomando rispettate le cose di Nicolas. Ci teneva tanto».
Procedettero all’interno della stanza, che si rivelò abbastanza piccola. Probabilmente la sua cameretta a Villa Conchiglia era più grande. Era comunque un luogo affascinante e ne rimase colpito. Come aveva immaginato era il laboratorio segreto di Nicolas Flamel. Provette ed alambicchi luccicavano alla luce della bacchetta di Domi. Sarebbe rimasto volentieri lì a guardare ogni cosa.
«Muoviti, Louis» lo apostrofò acida Dominique. Lei e Valentin erano già vicini all’altra porta e la osservavano. Per un momento si chiese quanto sua sorella lo odiasse, non faceva altro che dirgli che erano un stupido piagnone, una piaga e quella sera gli avvenimenti avevano mostrato quanto avesse ragione. Si avvicinò loro mesto ed a testa china con l’intenzione di non essere di ulteriore peso; però mentre i due spingevano la porta lievemente incastrata per tutto il tempo che era restata chiusa, gli caddero gli occhi sulla mensola più bassa di una libreria di legno grezzo. Era una specie di grosso librone. Lo prese e con il cuore in gola, capì che quello era il vero grimorio di Nicolas Flamel. Nascose il libro sotto la maglia del pigiama e seguì la sorella ed il cugino fuori dal laboratorio. Si ritrovarono in una specie di sgabuzzino ingombro di scatoloni.
Uno strillo di Domi attirò l’attenzione di Louis e Valentin su quello che altro non era che un sarcofago. Entrambi si spaventarono. Il cuore di Louis riprese a battere normalmente solo quando puntò la bacchetta di Domi sul sarcofago e capì che era un manufatto antico.
«Magnifico, siamo finiti in un covo di ladri di opere d’arte» borbottò Domi quando si rese conto anche lei di che cosa avessero davvero davanti.
«Usciamo da qui» li esortò Valentin.  
Louis non era proprio sicuro che si trattasse di un covo di ladri e quando uscirono dallo sgabuzzino ne fu certo. Rimasero senza parole. Era una vasta sala piena di sculture.
«È possibile che io abbia già visto questo posto?» chiese Domi.
«Anche io ho la stessa impressione» replicò Valentin.
«Oh, sì. Siamo nel seminterrato del Louvre» sospirò estasiato Louis, sempre più convinto del genio di Nicolas Flamel.
«CHE COSA?!».
L’urlo di Domi e Valentin risuonò nella sala deserta. Avevano commesso un grave errore. «Chi c’è?» chiese una voce poco distante.
«Una guardia! Deve essere nella sala dell’arte islamica. Prendiamo le scale. Portano al primo piano, ma evitate di urlare! Questo posto è protettissimo!» biascicò rapidamente Louis e fece loro strada. Il nonno materno ce lo portava da quand’era piccolo. Era uno dei pochi motivi per cui adorava andare in Francia e quando aveva saputo che i nonni erano in campagna c’era rimasto malissimo anche per questo. Certo non pensava proprio che ci sarebbe entrato di notte.
Giunsero in un’altra sala con delle sculture.
«Da dove si esce?» sussurrò ansimando Dominique. Si bloccarono e Louis disse: «Tutte le uscite sono chiuse e se le forziamo scatteranno gli allar-». Le sue parole furono coperte da una serie di sirene che si accesero.
«In realtà ci siamo già fatti beccare» ricordò Dominique.
«Domi, la smaterializzazione» disse Valentin. La ragazza li prese per le braccia e girò su stessa. Si ritrovarono a terra tutti e tre.
«Non funziona e…» tentò di spiegare Louis, ma un potente spruzzò d’acqua li beccò in pieno.
«Ma che pensano questi babbani… Che ci sia un incendio?» sbottò Dominique, sputacchiando.
«I maghi collaborano alla protezione del museo. E non era semplice acqua. Siamo tornati perfettamente visibili. È quella che alla Gringott viene chiamata Cascata del ladro» spiegò finalmente Louis. «E naturalmente ci sono anche incantesimi anti-smaterializzazione».
«Venite avanti con le mani ben in vista» intimò una voce autoritaria.
I tre si alzarono ed obbedirono avvicinandosi alle guardie, alle cui spalle c’erano degli altri uomini in divisa e il simbolo su di essa era eloquente: erano Auror in borghese. Uno di loro vide la bacchetta che Domi non aveva posato e si fece avanti: «Ci occupiamo noi di loro e tu ragazzina consegna la bacchetta».
Dominique, mentre le guardie babbane lasciavano la sala, obbedì a malincuore.
«Almeno tu sei maggiorenne?» chiese l’Auror, scrutandoli criticamente.
«Sì, lo sono. Noi non siamo ladri. È una storia molto complicata, ma dovete andare subito al Palazzo dei Flamel. Sono stati attaccati» replicò rapidamente Dominique.
*
«Potter!».
«Malfoy, per Merlino che è successo? È l’una e mezza di notte!».
«Sono appena stato contattato dal Ministero francese. I tuoi famigliari sono stati attaccati».
«Oh, Merlino! Stanno bene, vero?» chiese Ginny ansiosa. Era scesa in vestaglia quando avevano suonato e trovarsi Draco Malfoy alla porta era stato un colpo.
«Non ne ho idea, mi dispiace. A parte i vostri nipoti, loro hanno chiesto esplicitamente di te, quindi deduco stiano bene». Tirò fuori una bottiglietta di plastica vuota. «Hai cinque minuti per prendere la passaporta straordinaria». Harry fece per strappargliela di mano, ma Malfoy lo allontanò bruscamente. «No, Potter. Ascolta le regole attentamente. La passaporta è stata autorizzata per i signori Potter, in quanto Ginevra Weasley in Potter è la sorella di William Weasley e qualunque cosa sia accaduta lei ha il diritto di prendersi cura dei suoi nipoti, a maggior ragione se uno di questi è minorenne. Potter, non voglio ripetermi, con questa passaporta non partirà il Capo del Dipartimento Auror Inglese. Chiaro, Potter?».
«Sì, Malfoy».
Ginny trasfigurò i loro pigiami in jeans e maglietta ed Harry inviò un patronus a Ron ed Hermione per avvertirli ed affidarli in figli che dormivano. I due arrivarono di corsa appena prima che partissero e non ebbero il tempo di aggiungere altro. Harry e Ginny strinsero la passaporta.
«Vi porterà dentro il Ministero francese. Un Auror vi sta aspettando» aggiunse Draco Malfoy.
«Grazie» disse Harry poco prima che il famigliare e fastidioso strappò all’ombelico li facesse partire.
Appena toccarono il pavimento, furono avvicinati da un uomo con la divisa azzurra.
«Bonsoir. Vous êtes les Messieurs Potter? ».
«Oui, nous sommes» replicò Harry che per necessità aveva dovuto imparare qualche parola di francese.
«Suivez-moi, s’il vous plaît».
Harry e Ginny lo seguirono per una serie di corridoi silenziosi e bui. Erano all’interno del Ministero della Magia francese, Harry c’era già stato, ma di giorno era affollato e frenetico. L’Auror comunque li accompagnò al loro Quartier Generale, che era molto più ampio rispetto a quello inglese. Lì non c’erano cubicoli, ma ordinati uffici per lo più chiusi a quell’ora della notte, ma sicuramente era molto più popolato rispetto al resto dell’edificio.
«Ceci est le bureau du Capitaine. S’il vous plaît, entrez» disse l’Auror dopo aver bussato ad una porta.
Harry non fece in tempo ad entrare, che Louis gli saltò letteralmente addosso. Lo strinse a sé, percependo tutta la sua paura ed il suo smarrimento. Delicatamente Ginny lo staccò da lui e lo abbracciò anche lei; mentre Harry avanzava nella stanza. C’era un altro ragazzino, che doveva essere il nipote di Fleur e Bill, l’aveva visto diverse volte anche se dall’ultima era cresciuto parecchio e Domi che gli sorrise stancamente per poi abbracciarlo anche lei.
«Boinsor» disse al Capitano Leroy, porgendogli la mano.
«Boinsor, Pottér» replicò questi, ricambiando la stretta. «Ti presento l’Auror Lefebvre, nostro traduttore» disse in un inglese un po’ stentato, per poi far cenno all’altro di parlare.
«Molto piacere, signor Potter. Le volte precedenti in cui è stato qui, io ero fuori Parigi per motivi famigliari. Nonostante ciò sono dispiaciuto di doverla conoscere in una simile circostanza» disse Lefebvre, un uomo sulla cinquantina con un pizzetto brizzolato che saltava subito agli occhi.
Harry strinse la mano anche a lui, con impazienza crescente.
«Il corpo Auror deve delle scuse alla sua famiglia e le farà personalmente anche ai signori Flamel se ne avrà la possibilità. Gli uomini che dovevano pattugliare la zona e sorvegliare il Palazzo Flamel sono stati posti sotto maledizione Imperius. Non solo non sono intervenuti, ma hanno tolto anche ogni protezione magica sull’abitazione dei Flamel».
«Come stanno i miei cognati?» chiese. I dettagli e le spiegazioni potevano anche aspettare.
Lefebvre si toccò il pizzetto pensieroso. «Stiamo aspettando notizie dal nostro ospedale. Dovrebbero arrivare a momenti. Se nel frattempo vuole accomodarsi».
Harry prese posto nella sedia lasciata libera da Dominique e sfiorò con una carezza Valentin in quella accanto. Il bambino fino a quel momento aveva mantenuto uno sguardo vacuo e non aveva proferito parola, ma al gesto gentile cedette e la tensione si fece sentire tutta. Scoppiò a piangere ed accolse con sollievo l’abbraccio di Harry. Trascorsero così una decina di minuti, poi un Auror entrò e parlottò con i colleghi, lasciando loro un foglio.
«Allora per quanto riguarda William e Fleur Weasley sono stati lievemente feriti. Tra un paio di giorni saranno dimessi. Victoire Weasley e Ted Lupin stanno bene, ma saranno tenuti sotto osservazione per il resto della notte. Gabrielle Flamel ha riportato un ferita più grave ed ha subito diverse volte la maledizione cruciatus, la prognosi è di almeno due settimane. Emile Flamel, invece, è molto grave. I guaritori stanno facendo di tutto per salvarlo» disse Lefebvre mantenendo un tono professionale.
La tensione nella stanza diminuì palpabilmente.
«Ma mia sorella?» domandò Valentin con voce acquosa per il pianto.
«Apolline, sta meglio di tutti noi. Stai tranquillo» rispose aspramente Dominique. «Non era in casa. È uscita di nascosto dopo che i tuoi sono andati a letto. Probabilmente non sa ancora niente ed avrà bevuto così tanto che non capirà nulla per un bel po’».
«Signor Potter, può portare via i ragazzi. Hanno già testimoniato».
Harry annuì e ringraziò.
«Noi a casa senza gli altri non torniamo» lo avvertì Dominique.
«Stai tranquilla» replicò Ginny. «Cerchiamo un hotel, dove potrete riposare e domani mattina andremo in ospedale a trovarli».
«Zio Harry» sussurrò Louis, accostandosi all’uomo in modo che lo potesse sentire solo lui. «Ho il grimorio. Quello vero… quello che stanno cercando. Sono sicuro che spiega come si fa la pietra filosofale». Nel dirlo si toccò l’ampia maglia del pigiama. Era di almeno tre o quattro taglie più grande, ma era di Geronimo Stilton e qualche anno prima aveva costretto i genitori a comprarglielo anche se non c’era la sua taglia. Adesso era tornato utile. Nessuno li aveva perquisiti, quando al Louvre avevano capito che cos’era accaduto.
Harry sgranò gli occhi e lo osservò sorpreso e spaventato allo stesso tempo.
 
Angolo autrice:

Ciao a tutti!
Eccomi di nuovo!
Non avete detto nulla del primo capitolo, ma spero vi sia piaciuto. Ecco il secondo dove Louis è il protagonista assoluto :-D È un personaggio che adoro :-D Per le parti in francese ho usato google traduttore (la mia conoscenza delle lingue è davvero pessima). Immagino che Louis e le sue sorelle parlino normalmente francese quando sono dai parenti in Francia per cui non ho ritenuto oppurtuno usarlo in quel caso (oppure Bill in privato si rivolge a Louis in inglese ma lo parlano entrambi), ma solo quando vi è 'contrasto' tra le due lingue (Harry e Ginny con gli Auror francesi). 
Se vi va, lasciate una piccola recensione ;-)
Buona domenica.
Alla prossima settimana.
Carme93
   
 
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